In Pace Christi

COMBONI Daniele

COMBONI Daniele
Data di nascita : 15/03/1831
Luogo di nascita : Limone BS/I
Data ordinazione : 31/12/1854
Data consacrazione : 12/08/1877
Data decesso : 10/10/1881
Luogo decesso : Khartoum/SD

Una vita per la Missione

Il suo primo sogno: diventare missionario e martire in Giappone. A quindici anni, tutti i ragazzi sognano qualcosa di grande.

            Ad accendere la fantasia di Daniele, alunno del collegio di don Mazza a Verona, è un libro. Nelle Vittorie dei martiri, sant'Alfonso Maria de' Liguori narra le vicende dei martiri giapponesi. Il loro esempio basta per far scattare la molla e aprire nuovi orizzonti nel cuore dell'adolescente. Nato il 15 marzo 1831 a Limone sul Garda, in provincia di Brescia, Daniele Comboni è abituato al panorama splendido del suo lago e a spingere lo sguardo lontano, sulle sue acque, fino all'altra riva. Ora il cuore lo spinge ben oltre, a varcare oceani, fino al Giappone.

Le radici

            Daniele è il quarto di otto figli, la maggior parte morti in tenera età fra le braccia di mamma Domenica. Papà Luigi lavora come giardiniere nella limonaia e podere di un ricco possidente, in località Teseul. Vivace e intelligente, il ragazzo manifesta il desiderio di diventare prete. Ma a Limone non c'è possibilità di continuare gli studi. Benché poveri, i genitori si sobbarcano al sacrificio di mettere il figlio a pensione presso una famiglia a Verona. E così nel 1842 Daniele lascia Limone.

            L'anno seguente viene accolto nel collegio che don Mazza ha aperto per fanciulli poveri, ma intelligenti e meritevoli.

            È qui che improvvisamente gli si schiude l'orizzonte del Giappone. Passano gli anni, Il 6 gennaio 1849, ormai quasi diciottenne, Daniele giura nelle mani di don Mazza di consacrare la sua vita all'Africa. Cosa è successo? Tutt'intorno, in Italia, è esploso il movimento del risorgimento, con i suoi ideali di indipendenza e libertà.

            Anche Daniele ha scelto il suo ideale. Cresciuto alla scuola di don Mazza, scherzosamente chiamato "don Congo" per la grande sensibilità missionaria che lo spinge a inviare in Africa alcuni dei suoi sacerdoti, il giovane Comboni ha messo a fuoco e maturato la sua decisione: ora si sente chiamato a essere missionario in Africa. Sì, in Africa: stavolta non ci sono più dubbi.

            Ordinato sacerdote nel 1854, col passare del tempo Daniele vede avvicinarsi la possibilità di realizzare il suo sogno e fare parte di una nuova spedizione per l'Africa organizzata da don Mazza. Ma c'è un problema: i suoi genitori. Degli otto figli avuti, ne hanno visti morire sette. Daniele è l'unico rimasto e sente fortemente il dovere di provvedere al sostegno dei suoi "vecchi". E un momento e una scelta difficile. Nella preghiera e nella direzione spirituale, Daniele trova la luce per verificare l'autenticità della sua vocazione missionaria, e nella solidarietà dei buoni l'aiuto economico per provvedere convenientemente ai genitori.

            Finalmente, il 10 settembre del 1857, può partire per l'Africa assieme ad altri cinque missionari.

In Africa

            L'impatto con 1'Africa Centrale, la "Nigrizia" dei suoi sogni, non potrebbe essere più forte. Giunto il 14 febbraio 1858 alla missione di Santa Croce, lungo il Nilo, in Sudan, il gruppo dei giovani missionari si mette generosamente al lavoro, studiando la lingua denka e cercando di vincere la diffidenza degli africani, che tendono a identificare tutti i bianchi con i loro peggiori nemici, i mercanti di schiavi. Ben presto il clima malsano presenta il conto. Il primo a soccombere, dopo quaranta giorni, è don Francesco Oliboni, 33 anni. Sul letto di morte, chiede ai compagni: “Se anche uno solo di voi rimanesse.. . non si ritiri!”. Daniele raccoglie e custodisce nel cuore queste parole. Ma le febbri portano anche lui più volte sull'orlo della tomba. A novembre, il battello con la posta reca due cattive notizie: la morte a Khartum di un altro membro del gruppo, e quella, quattro mesi prima, di mamma Domenica, a Limone.

            La scelta del posto si rivela sempre più inadatta. Il gruppo è costretto ad abbandonare Santa Croce e a tornare lungo il Nilo fino a Khartum, dove muore un terzo missionario. Fisicamente distrutto, Daniele deve rientrare in Italia. La sua prima esperienza africana è durata complessivamente meno di due anni, di cui solo 11 mesi a Santa Croce. È costata tre morti e si conclude con l'abbandono della missione stessa. Inutile girarci attorno. Al di là della generosità e del sacrificio dei missionari, è un fallimento.

            Per tre anni, dopo essersi rimesso in salute e mentre fa da vicerettore al gruppo di ragazzi e ragazze africani riscattati dalla schiavitù e accolti da don Mazza nei suoi istituti, Comboni rimugina nel suo cuore l'esperienza fatta, studia e riflette su quella degli altri. Nel frattempo, la missione dell'Africa Centrale viene affidata ai francescani. Muoiono come mosche, nel giro di pochi mesi. No, così non funziona. Roma si vede costretta praticamente a sopprimere la missione. Comboni non desiste.

            Si mette in contatto con gruppi e associazioni missionarie di Francia, Austria, Germania. Ascolta, discute. Poi, il 15 settembre 1864 a Roma. durante il triduo di preparazione alla beatificazione di Margherita Maria Alacoque, mentre è in preghiera sulla tomba di san Pietro, è colto da una "ispirazione dall'alto". Le riflessioni e discussioni fatte, le esperienze sue e degli altri si compongono ora come in un mosaico e acquistano la forma di un disegno nuovo, globale e coerente. Don Daniele scrive per quasi sessanta ore.

            Il giorno 19, papa Pio IX legge e approva il "Piano per la rigenerazione dell'Africa" e il cardinale prefetto di Propaganda Fide lo incoraggia a diffonderlo e a chiedere la collaborazione degli istituti e delle grandi associazioni missionarie. Il Piano si basa sul principio di "salvare l'Africa con gli Africani", uomini e donne che Comboni vede come protagonisti, missionari della loro stessa gente; catechisti, istitutrici, maestri, sacerdoti e religiose... Il nuovo corso della missione prevede anche quattro università sulle coste africane. Ma tutto si regge su una condizione essenziale: la collaborazione di tutte le forze vive della Chiesa, clero, religiosi e laici, coordinati da Roma e uniti nell'impresa di portare il Vangelo a un continente finora escluso e abbandonato da tutti. Una parola! Comboni si mette in moto per tutta l'Europa, da Parigi a Londra, a Vienna. Parla, invita, scuote le coscienze di molti, bussa alle porte di istituti e congregazioni religiose.

            Il Piano piace, molti lo lodano, altri lo ritengono un'utopia, alcuni s'impegnano ad appoggiarlo. Ma l'idea che vari istituti mettano a disposizione personale e mezzi per un'iniziativa comune e coordinata da altri, francamente sembra un po' troppo. Tanto per cominciare, lo stesso istituto cui Comboni appartiene, morto il fondatore don Mazza, fa marcia indietro e ritiene di non avere più le forze per impegnarsi nell'impresa. Comboni si trova da solo. Fra le mani ha un Piano audace e innovativo, ma non dispone di persone per realizzarlo. Non si arrende. Il 1° giugno 1867, sotto la protezione del vescovo di Verona, monsignor Canossa, e nell'ambito dell'Opera del Buon Pastore - associazione missionaria a raggio internazionale -, fonda l'Istituto per le Missioni Africane. Sacerdoti e laici che si impegnano con giuramento a dedicarsi alla Missione dell'Africa Centrale.

            Nell'attesa di poter formare i suoi candidati, Comboni parte da Marsiglia per l'Africa con tre religiosi camilliani che si associano a lui nell'impresa. Per le suore, può contare sulla collaborazione di un istituto di origine francese, le Suore di San Giuseppe dell'Apparizione. Con sé, come prima realizzazione del principio di salvare l'Africa con l'Africa, porta anche 16 ragazze e istitutrici nere, schiave riscattate e educate nel collegio Mazza. È il 29 novembre 1867.

            Incredibilmente, per la fine dell'anno riesce a stabilire al Cairo due istituti per africani, uno maschile e uno femminile. Il suo Piano diventa lentamente realtà: l'Egitto, porta dell'Africa, è uno di quei luoghi “dove l'africano vive e non si muta, e l'europeo opera e non soccombe”. Funziona!

Tutto per la Nigrizia

            A questo punto, non è più possibile seguire Comboni passo per passo nei vari momenti della sua frenetica attività missionaria.

            Per consolidare la sua opera, comincia a fare la spola tra l'Africa e l'Europa, lanciando iniziative e bussando a tutte le porte per coinvolgere nell'Opera della rigenerazione dell'Africa cardinali e vescovi, sacerdoti, suore e religiosi, re e nobili delle varie corti europee, come pure la gente umile e semplice che incontra nei suoi viaggi di animazione missionaria. Chiede preghiere, personale e soldi. Nel 1870 tenta il colpo grosso: si fa nominare teologo del vescovo di Verona e dal Cairo corre a Roma, dove si celebra il Concilio Vaticano. Prepara una petizione che riesce a far firmare a 70 vescovi. Chiede che tutta la Chiesa assuma la sua responsabilità missionaria e faccia qualcosa per i "cento milioni" di africani finora dimenticati e abbandonati da tutti. Vuole dare voce all'Africa e rimetterla sulla mappa e al centro dell'interesse della Chiesa. Il Papa approva l'iniziativa e ordina che la "questione africana" sia messa all'ordine del giorno del Concilio, quando si discuterà il decreto sulle missioni. Sembra fatta. Ma il 20 settembre 1870 Garibaldi e le sue truppe entrano a Roma per la breccia di Porta Pia. II Concilio viene prima sospeso, e poi rimandato indefinitamente. È un brutto colpo. Comboni cerca altre tribune per il suo messaggio. Nel settembre dell'anno dopo, a Magonza, interviene alla riunione dei cattolici tedeschi e lancia il suo motto: “O Nigrizia o morte!”. Scrive migliaia di lettere (1.347 solo nei primi cinque mesi del 1871!), rubando il tempo al sonno, fra un viaggio e l'altro, spesso in preda a forti febbri. Fonda anche una rivista. gli Annali dell'Associazione del Buon Pastore per comunicare a tutti un po' della passione che gli ha conquistato il cuore: l'amore per la sua "Nigrizia". Il 1° gennaio del1872 nasce l'Istituto delle Pie Madri della Nigrizia, le suore che assieme al ramo maschile formano quel "piccolo cenacolo di apostoli" chiamato a irradiare la luce del Vangelo in tutta l'Africa.

            Proprio per l'opera di Comboni e dei suoi, pur tra innumerevoli difficoltà di ogni genere, la missione dell'Africa Centrale, che sembrava destinata al fallimento, comincia a rivivere e progredire.

            Roma lo riconosce, e il 26 maggio del'72 nomina Daniele Comboni Provicario apostolico dell'Africa Centrale. La Nigrizia ha finalmente il suo pastore. Uno come Gesù, il Buon Pastore che dà la vita per i suoi. “Io ritorno fra voi, per non mai più cessare d'essere vostro..., e il più felice dei miei giorni sarà quello in cui potrò dare la mia vita per voi” dice dall'altare alla sua gente a Khartum, dove giunge nel maggio del'73 alla testa di un nuovo gruppo di missionari. Sono parole che gli sgorgano dal cuore, ardente d'amore per Dio e per i suoi figli più abbandonati. Senza volerlo, tradiscono il segreto di Comboni, l'esperienza che ha dato una svolta alla sua vita e il significato più profondo alla sua missione.

Il segreto

            È successo nove anni prima, quando, raccolto in preghiera, a San Pietro, Comboni aveva avuto l'intuizione del Piano. Nel suo racconto, è chiaro che l'iniziativa è partita dal Cuore trafitto del Crocifisso. Lui, Daniele, si sente improvvisamente investito e “trasportato... dall'impeto di quella carità... uscita dal costato del Crocifisso per abbracciare tutta l'umana famiglia”, compresa l'Africa, dimenticata da tutti ma non da Cristo, “che è morto anche per i neri”. Contemplando il Crocifisso, sente “battere più frequenti i palpiti del suo cuore”. Gli pare che siano l'amore e la forza stessa di Dio a spingerlo in Africa per “stringere fra le braccia e dare il bacio di pace e di amore” alla “miriade infinita di fratelli appartenenti alla sua stessa famiglia, aventi un comun Padre su in cielo”.

            Ecco svelato il segreto di Comboni, la fonte del suo ardore missionario e la chiave di lettura di tutta la sua attività. Tutto nasce e si alimenta dalla sorgente di amore infinito che è il Cuore di Gesù: Comboni ne è investito personalmente e si sente spinto a condividerlo con i fratelli africani.

            Per questo, ora, una delle prime iniziative del Provicario è la solenne consacrazione dell'Africa Centrale al Sacro Cuore di Gesù, il 14 settembre 1873 a El Obeid. È convinto che è giunta "l'ora dell'Africa", ma non ha dubbi sul vero protagonista della sua salvezza: “L'opera dell'evangelizzazione dell'Africa riuscirà non perché noi missionari siamo decisi a vincere o a morire, ma perché l'abbiamo affidata al Cuore di Gesù, che deve incendiare l'Africa e riempirla tutta del suo fuoco divino”. Certo, Comboni, testimone e apostolo di questo Cuore, fa generosamente la sua parte. Lancia l'esperienza del villaggio agricolo di Malbes, in cui i neri convertiti possono lavorare e formare famiglie cristiane, il nucleo di una nuova società. Con un personale scarso ed eterogeneo, apre nuove missioni e si prepara a penetrare verso il Sud, fino all'Uganda. Non lo fermano le febbri e malattie ricorrenti e devastanti, i pericoli e disagi dei viaggi (otto dall'Europa all'Africa), in barca sul Nilo o a cammello nel deserto. Non importa se una volta, dal Cairo a Khartum, impiega 98 giorni, o se per altri 82 deve tenersi al collo un braccio rotto per una caduta da cammello. Fa tutto parte del prezzo da pagare per la missione, che, come tutte le opere di Dio, “nasce e cresce ai piedi del Calvario”. E non si tratta solo di privazioni materiali e difficoltà esterne. La croce più pesante è fatta delle incomprensioni e opposizioni interne, da parte di alcuni dei suoi più stretti collaboratori. Comboni soffre e perdona. Sa e riconosce di avere anche lui i suoi bravi difetti. Lo accusano a Roma. Prima tace, poi spiega e infine lotta per stabilire la verità. Alla fine di una lunga e penosa vertenza, Roma riconosce le sue ragioni e nel 1877 Pio IX lo nomina vescovo e Vicario Apostolico dell'Africa Centrale. È il vicariato più vasto del mondo. Uno sguardo alla carta dell'Africa rivela le dimensioni enormi della missione che gli è affidata.

            Enormi sono anche i problemi, come il traffico di schiavi che, in barba alle leggi, continua a decimare e straziare i suoi africani. Comboni vi si oppone con tutte le forze. Ne riscatta e libera molti, e si adopera presso le autorità per bloccare la tratta. Tornato in Sudan nel '78 con nuovi missionari e con il primo gruppo delle sue Pie Madri, Comboni si trova presto di fronte al flagello della siccità e della carestia. È poi la volta della pestilenza, che miete moltissime vittime. Scrive al cardinale Franchi, di Propaganda Fide: “Più della metà degli abitanti di Khartum sono ammalati e muoiono come le mosche..., mi trovo solo, e faccio da Vescovo, Parroco, Superiore, pretino, medico, infermiere, e becchino”.

            A sorreggerlo è sempre la sua grande fede, il forte "senso di Dio" che inculca e trasmette ai suoi missionari. In questo modo affronta anche le battaglie, le febbri tropicali e le sofferenze degli ultimi tre anni. Anche le calunnie infamanti di chi non capisce perché il vescovo difenda a spada tratta e sia disposto a giocarsi la mitra per una suora armena, che egli ritiene trattata ingiustamente a Verona da alcuni suoi collaboratori. Rientra da un viaggio di esplorazione fra i Monti Nuba e dalla visita pastorale ad alcune missioni, stanco e minato nella salute. Poco dopo, la morte stronca la vita di vari dei suoi giovani missionari. Comboni regge fino al 4 ottobre 1881, incoraggiando e confortando tutti. Poi viene assalito da violente febbri che, assieme alle sofferenze intime che 1o affliggono, hanno ragione del suo grande cuore. Sfinito, anima i suoi: “Coraggio per il presente... e soprattutto per l'avvenire!” Muore a 50 anni a Khartum, alle 10 di sera del 10 ottobre 1881, e viene sepolto nel giardino della missione. Durante la rivolta della Mahdia, nel gennaio dell'85, la missione è saccheggiata, la tomba profanata e le ossa disperse.

            Daniele Comboni diventa così una cosa sola con la sua Africa. La storia iniziata sulle rive del Lago di Garda sembra finire e perdersi nella sabbia del deserto.

Padre Giuseppe Franzelli, Mccj

Dall’opuscolo “San Daniele Comboni Missionario, primo vescovo dell’Africa Centrale”,

supplemento n.3 al n. 40 di Famiglia Cristiana del 5 ottobre 2003, pp. 3-8