In Pace Christi

Bonomi Luigi

Bonomi Luigi
Luogo di nascita : Verona/I
Data decesso : 02/02/1927
Luogo decesso : Asmara/ER

            P. Luigi Bonomi, nato a Verona nel 1841, si unì al Comboni nel 1874 quand'era già sacerdote. Lavorò soprattutto a Khartoum e tra i Nuba nel Kordofan Meridionale. Nel 1882, quando era a Delen, fu fatto prigioniero dal Mahdi; ma nel 1885 riuscì a fuggire da El Obeid e raggiunse Dongola, essendo il primo Missionario del Comboni a raggiungere la libertà.

            Dopo un breve riposo in Italia, ritornò al Cairo dove si adoperò per liberare gli altri missionari prigionieri. Non trovandosi a suo agio nella nuova Congregazione dei Figli del Sacro Cuore, in cui su insistenza di Sogaro era stato trasformato il gruppo eterogeneo del Comboni, P. Bonomi accettò volentieri la proposta di diventare cappellano delle truppe del Generale Orero in Eritrea. P. Bonomi lavorò nei primi tempi a Massawa, che allora era il centro della nuova colonia. Divenne famoso tra gli ufficiali e soldati per il suo zelo ed il suo carattere schietto. Ma non dimenticò mai di essere un missionario "ad gentes". Mentre ancora era a Massawa aprì una scuoletta per giovani Eritrei, in cui si insegnava un po' di tutto, ma soprattutto catechismo.

            Nel 1882 P. Bonomi è già ad Asmara. Mons. Sogaro, nella sua relazione sullo stato delle "nostre stazioni all'inizio del 1893", assieme al P. Hanriot menziona anche il P. Bonomi "che è ad Asmara, dove ha una scuola". P. Bonomi stesso, in un articolo a Nigrizia, parla della scuola di Asmara scrivendo che "dopo quattro anni di paziente lavoro, incominciava a raccoglierne i primi frutti". Tra l'altro, quando P. Michele da Carbonara, il neo nominato Prefetto Apostolico dell'Eritrea, raggiunse Asmara alla fine del 1894, fu ricevuto dal Maggior Toselli e da P. Bonomi, cappellano dei soldati italiani".

            Oltre che essere coinvolto con la "sua scuola", P. Bonomi fu anche il cappellano dell' ospedale civile "Regina Elena", il cui nome fu in seguito cambiato in "Iteghe Menen", ed ora nell'Eritrea indipendente in "Mekone Hiwet". In ambedue queste attività P. Bonomi fu sempre uno zelante Missionario del Comboni e fece del suo meglio per avere come aiutanti le Suore Missionarie Comboniane. Queste arrivarono per la prima volta in Eritrea nel 1914 e , assieme alle Figlie di S. Anna, portarono avanti un lavoro meraviglioso di assistenza medica e di insegnamento per molti decenni.

            Sebbene di modi burberi e sbrigativi, P. Bonomi ha lasciato una forte impronta nella colonia. Con la sua scuola diffuse la conoscenza della lingua italiana e della religione cristiana, perseverando nel suo impegno missionario fino alla sua morte che lo colse nel febbraio del 1927.

            Fu sepolto nel cimitero di Asmara in una tomba con un monumento di granito ancora oggi esistente. La sua fedele perpetua Margherita ne conservò il ricordo con venerazione ed affetto fino a poco tempo fa, ed una via che portava il suo nome ricordò questo educatore per molti anni.

            Anche se molti Comboniani ricordano P. Bonomi solo vagamente, per il suo zelo e la sua costanza potrebbe anche oggi essere un esempio carismatico.

Da Bollettino n. 206, aprile 2000, p. 75-76

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Don Luigi Bonomi non risulta dallo Stato Personale di Verona; eppure era partito da Verona e s'imbarcò a Trieste il 18 settembre 1874 e raggiunse in Cairo la carovana del Carcereri in viaggio per Khartoum a fine 1874. Don Rolleri in Cairo scrive:

"D. Luigi Bonomi di Verona, arrivato al Cairo in settembre 1874, partì per l'interno della missione il 25 ottobre 1874. Fu superiore a Khartoum e a Nuba. Dal '79 a tutto l'80, nell'assenza di mons. Comboni, fu vice-gerente. In seguito fu di nuovo superiore ai Nuba"(SPC, 11-12).

Nato a Verona nel 1841, e divenuto sacerdote diocesano nel 1864, era curato a Montorio quando si unì all'Istituto del Comboni nel 1874. Dalla corrispondenza sua e dalle altri fonti, appare come il tipico prete veronese, di buon senso, di poche parole, senza fronzoli, spicciativo nei modi, che va diritto alla sostanza delle cose; di buon umore, gli piace scherzare su tutto e su tutti, anche se ha qualche impennata passeggera. Ne è prova questa sua lettera del 19 dicembre 1875 da El Obeid in risposta ad una di d. Paolo Rossi, segretario del Comboni, allora entrambi sotto accusa: "Mi veggo con meraviglia tirato in mezzo a pettegolezzi dai quali sono stato sempre alieno, e pei quali non avrei certo incontrato i viaggi e le disagiate strade dell'Africa Centrale. Voi lo sapete, o mio caro d. Paolo, e perciò non occorre che io vi assicuri; prima, che se altri ha da fare lamenti per lettere, o violate, od aperte, o che so io, io non ci ho alcun interesse in ciò, che né per parte mia ho niente da lagnarmi, né, se n'avessi motivo, avrei bisogno di far chiasso, né il crederei opportuno, ma saprei ben farmi rispettare, amando il procedere franco ed aperto nelle mie cose; secondo, che mi meraviglio altamente che altri abbia potuto anche dubitare od insinuare ch'io abbia sottoscritto e redatto un indirizzo a chiunque, contro la mia volontà e mosso da altri motivi che non fossero consentanei ai miei sentimenti... Né Monsignore, né alcuno al mondo, fosse pure il Papa, mi avrebbero strappato un documento ed una testificazione di cui non fossi stato persuaso. Questo credo che valga anche per tutti i miei confratelli che sottoscrissero, se considero l'impegno col quale discussero , studiarono e pesarono ogni parola di quell'indirizzo, prima di sottoscriverlo insieme con me... Spero che varranno queste mie franche dichiarazioni a liberarmi dalla noia di vedermi implicato in questi affari che non riguardano, né il mio ministero, né la mia vocazione, e dei quali, come spero voi che mi conoscete, il sappiate, sono stato sempre alieno" (A/1/10/25). Si tratta dell'indirizzo o attestato a Mons. Comboni a conclusione della sua visita del Kordofan nel 1875 riportata da P. Gilli (225) tutta di mano di d. Bonomi (A/1/10/39).

Tra il 1874 e il 1876 scrisse 9 lettere a don Antonio Squaranti, rettore degli istituti di Verona, dandogli del tu (si vede ch'erano amici) e scherzando, gli espone chiaramente il suo pensiero, come quando il 4 novembre 1876 lo pregava di dire a d. Rolleri di non spedire nel Sudan "calze lunghe, anche se d. Losi insistesse per averne. Sono un vero capriccio ed un rompicapo per le suore, che hanno altro da fare. Ci sono certi che venendo in Africa si immaginano di voler vivere all'europea in tutto e per tutto; tu forse non crederai, ma se vieni quassù ne vedrai di belle... si dovrà tutto aspettare dall'Europa fino ai legaccioli delle scarpe?... Te ne dirò un'altra e poi basta. C'erano di quel che digiunavano per devozione, ed alla sera a cena per non mangiare un solo pezzetto di carne che passa la comunità, comperavano coi danari della missione una scatola di sardine all'olio ogni sera... Scusami se ti ho tirato fuori di questi pettegolezzi... avevo voglia di sfogarmi un poco". E avendo notato che alcune lettere gli erano pervenute con notevole ritardo aggiunge: "Non voglio credere che tu ne abbia colpa, ma se fosse vero, pentiti e fa di esser più sollecito un'altra volta" (A/26/4/9).

Altri saggi del genere si trovano sparsi qua e là scrivendo sul vari individui. Qui basterà ricordare che d. Bonomi fu successivamente a Delen ed El Obeid, e che nel 1879, quando Comboni andò in Italia, lo richiamò a Khartoum come suo rappresentante. In questo periodo Bonomi informava regolarmente il vicario apostolico sull'andamento della missione e sugli affari correnti, parlando dei singoli missionari, sempre nel suo stile. Il 5 novembre 1879 gli scriveva: "Se lei è sulle spine, io non sono sulle rose... Per bacco banchetto... Ma ho portato pazienza, perché cogli ammalati ci vuol maniera". E poco oltre: "D. Leone so quanto vale, ed è molto se basterà per compagnia a d. Losi" (A/26/6/5).

Riguardo alle Pie Madri, da poco arrivate nel Sudan, scrive il 10 novembre 1879: "Del resto, ad onta di tutte le lodi fattemene e che stanno ancora facendo, senza nulla togliere alla loro bontà dico che le Sante Francesche di Chantal sono poche, forse perché son pochi i S. Franceschi di Sales... Non posso però di nulla lamentarmene per tutti i versi" (A/20/6/6). E il 20 novembre 1880, scrive della superiora: "E' di quei geni che dicendo di fare la volontà di Dio in tutte le cose... riescono santamente a fare la loro; ma infine son buone, fin troppo, e si può perdonare qualche cosa, massime chi ha bisogno di esser perdonato" (A/20/6/11). Sr. Bettina Venturini, però, nelle sue memorie scrive, riferendosi al viaggio da Khartoum ad El Obeid nel 1881 sotto la sua guida: "Il P. Bonomi non poteva fare di più di quello che ha fatto; aveva una premura per tutti, proprio come un padre" (A/32/19/3/1).

Come fu detto, Bonomi ebbe delle noie per causa di Polinari e del console Hansal, tanto da far giungere reclami a Roma, sicché Propaganda impose a Comboni di rimuoverlo dal suo incarico. Scrive infatti lo stesso Comboni a Propaganda il 20 maggio 1881: "Come V.E. m'ha ordinato, appena giunto in Khartoum d. Luigi Bonomi cessò di essere vicario generale; l'umile missionario ne fu contentissimo; e nessuno ha tanta abnegazione spirito di sacrificio come lui; ma gli mancano i bei modi a certi momenti". (A/17/16/13). E già il l'8 febbraio 1881 aveva scritto a Propaganda: "Il console Hansal (col quale mi sono perfettamente aggiustato circa i lamenti che aveva con d. Bonomi, uomo un po' duretto, ma di grande abnegazione e spirito di sacrificio, che vien meco a Nuba, ove fu prima superiore".(A/17/17/2).

E il 12 febbraio 1881 scriveva a P. Sembianti: "D. Luigi Bonomi è un vero galantuomo. E' rozzo e rustico nel trattare col di fuori, se vuole, e col di dentro: ma ha una abnegazione da trappista, ed è vero missionario e senza superbia e pretese, ed obbedisce a tutti. Egli è che fa tutto qui, istruzione catechistica pei ragazzi e ragazze, dottrina della festa, orazioni (sempre in arabo) in chiesa mattina e sera etc". (A/15/108). E il 25 aprile scriveva a Giulianelli questo elogio eloquente: "Il missionario più capace di tutto il vicariato, e che abbia in maggior abnegazione, e più abile come missionario, parroco, amministratore e solido e positivo, è d. Luigi Bonomi. Gli mancano i bei modi e la gentilezza, per cui è avversato da molti, anche dai consoli: ma é il più capace ed il più fermo e fedele: Nigrizia o Morte" (A/16/19/27).

E' nota l'impennata di Bonomi alla richiesta di un preciso resoconto sulla contabilità della sua missione da parte di d. Giulianelli, che il Comboni aveva nominato suo amministratore in Cairo e per tutta la missione nel 1881, come riferito in "Il dopo Comboni". Dopo la morte del fondatore le relazioni tra i due non migliorarono, ma nel frattempo nel Kordofan andava estendendosi il movimento mahdista, e i missionari di Delen venivano catturati in settembre 1882, e condotti ad El Obeid: Bonomi, Ohrwalder, Mariani, Regnotto e tre suore: ma questa è tutta un'altra storia, che merita essere raccontata a parte, come si spera di fare, pubblicando lo studio di P. Umberto Pescantini, presentato come esercitazione "ad licentiam" alla facoltà di Storia Ecclesiastica alla Pontificia Università Gregoriana.

Sorvolando perciò sulla prigionia (di cui accenna parlando di Marietta), qui basta ricordare che in giugno 1885, dopo quasi tre anni di dura prigionia, Bonomi incontrava presso El Obeid il suo liberatore,(inviato da mons. Sogaro per interessamento del cav. Licurgo Santoni, impiegato dell'amministrazione postale egiziana) e poteva raggiungere Dongola il 24 giugno 1885: era il primo missionario a ritornare in libertà. Dopo un breve periodo di riposo in Italia, Bonomi ritornava in Egitto, per sollecitare ogni mezzo per la liberazione degli altri prigionieri. Nel 1888 la S. Sede pregava mons. Sogaro di inviare un cappellano per le truppe italiane in Eritrea, che ne erano affatto sprovvedute, e fu inviato Bonomi, che divenne subito popolare tra ufficiali e truppa. Per suo interessamento fu aperta la prima scuola per indigeni, che egli mantenne per anni, finché trasferito ad Asmara, come cappellano dell'ospedale, si interessò per affidare alle Pie Madri della Nigrizia la scuola e l'assistenza ospedaliera. Morì ad Asmara il 2 febbraio 1927 ad 86 anni di età, dopo 52 di vita missionaria, tra la comune venerazione. Era una figura leggendaria nell'Eritrea del tempo. Ecco la testimonianza di un autorevole e saggio ufficiale:

"P. Bonomi, scampato pericolosamente da Khartoum (veramente fuggì da El Obeid, Kordofan) fu il religioso che, pur non avendone ufficialmente la carica, poteva considerarsi nel fatto il cappellano della colonia. Intransigente in modo feroce verso le missioni protestanti, nonché con scarsa cristianità di sentimenti verso le missioni cattoliche francesi, viveva in mezzo a noi, e fu in seguito uno dei più validi diffonditori della lingua italiana, starei per dire del dialetto veneto, fra i "diavoletti" della colonia. Per loro aveva organizzato all'Asmara una specie di asilo-ricreatorio-laboratorio e scuola-omnibus dove insegnava lui con metodi propri, tra i quali non mancavano all'occasione gli scapaccioni, e faceva un gran bene. Lo vedo ancora con la sua lunga barba prolissa, la sua tunica bianca ma non sempre candida, col crocifisso in una mano e il sigaro virginia nell'altra, pronto a qualunque rischio. Dio l'abbia in gloria" Alessandro SAPELLI, "Memorie d'Africa", 1883-1906, Zanichelli, Bologna 1935, p. 35).

A conclusione, riferisco queste poche righe scritte dal P. Paolo Meroni il 13 ottobre 1925: "P. Tappi mi disse che alla morte del Comboni, P. Sembianti voleva fargli succedere uno dei missionari, ma che in Propaganda esistevano informazioni degli uni contro gli altri. Per es. che P. Bonomi avesse rotto la testa ad una mora. Il P. Tappi s'informò dal P. Bonomi, il quale disse che davvero diede una legnata ad una mora, ma che era una pazza, ma non la diede così forte da produrgli tanto male...".    P. Leonzio Bano

Da P. Leonzio Bano , Missionari del Comboni 4, p. 4-8

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Nel 1867 Daniele Comboni aveva fondato il suo Istituto di sacerdoti e Fratelli per la Missione. Dopo la sua morte, avvenuta nel 1881, questo Istituto è diventato Congregazione religiosa. Per un po’ di anni, in terra di missione, si sono trovati a lavorare fianco a fianco i missionari di Comboni e quelli della nuova Congregazione.

Il missionario di cui parliamo oggi rappresenta la linea di continuazione tra i missionari dei due rami. Inoltre è importante anche perché, con i suoi 52 anni di missione, è entrato nella rosa dei “veterani d’Africa”. Diciamo subito che p. Bonomi è nato a Verona nel 1841 ed è diventato sacerdote nel 1864. Dopo un periodo come curato a Montorio, è stato reclutato da Comboni stesso. Imbarcatosi a Trieste nel 1874, ha raggiunto Khartoum poi ha proseguito per El Obeid, quindi è diventato superiore della missione di Delen tra i Monti Nuba, proprio quei monti dai quali erano state rapite dagli schiavisti santa Bakita e la serva di Dio Suor Zeinab Alif.

Uomo di buon senso, di poche parole, senza fronzoli, spicciativo nei modi, p. Bonomi andava diritto alla sostanza delle cose. Costantemente di buon umore, gli piaceva scherzare su tutto e su tutti. Ne è prova una lettera che ha scritto da El Obeid nel 1875 in risposta a una di don Paolo, segretario di Comboni, che lo accusava: “Mi veggo con meraviglia tirato in mezzo a pettegolezzi dai quali sono stato sempre alieno e pei quali non avrei certo intrapreso i viaggi e le disagiate strade dell’Africa centrale… Né Monsignore, né alcuno al mondo, fosse pure il Papa, mi avrebbe strappato una testimonianza di cui non fossi stato persuaso”.

Scrivendo a don Squaranti, rettore dell’istituto comboniano a Verona, dice: “Ti prego di dire a don Rolleri di non spedire in Sudan calze lunghe, anche se don Losi insiste per averne. Sono un vero capriccio e un rompicapo per le suore che hanno altro da fare”. E più avanti esterna il suo spirito umoristico in questo modo: “Qui ci sono alcuni che digiunano per devozione non mangiando il pezzetto di carne che passa la comunità e poi, alla sera, coi soldi della missione, vanno a comperare le scatole di sardine all’olio. Bel digiuno!”.

 Vicario generale di Comboni

 Nel 1879, quando Comboni è andato in Italia, p. Bonomi è stato chiamato a Khartoum, da Delen, come suo rappresentante. Quale suo vicario generale, informava regolarmente Monsignore su tutto. Nel 1879 gli scriveva: “Per bacco bacchetto, se lei è sulle spine, io non sono sulle rose, ma porto pazienza perché con gli ammalati ci vuole maniera”.

Riguardo alle suore da poco arrivate, dice: “Ad onta di tutte le lodi fattemene, senza nulla togliere alla loro bontà, dico che le sante Francesche di Chantal sono poche, forse perché sono pochi i santi Franceschi di Sales. La superiora è di quei geni che, dicendo di fare la volontà di Dio, riesce sempre a fare la sua, ma santamente, tuttavia si deve perdonare, specialmente da chi ha bisogno di essere perdonato”.

P. Bonomi, per il suo carattere schietto ha avuto delle noie col console austriaco, Hansal, che ha protestato presso Roma. Quando Comboni è giunto a Khartoum lo ha dovuto togliere dall’incarico di Vicario perché: “gli mancano i bei modi e la gentilezza per cui si urta con le autorità, ma è il missionario più capace del Vicariato, di maggior abnegazione, il più abile come parroco e amministratore, il più solido e positivo. Fu contentissimo di essere tolto da quell’incarico perché è di un’umiltà a tutta prova, un vero gentiluomo anche se rozzo e rustico nel trattare, ma ha un’abnegazione da trappista. Quando non è in chiesa, è ad insegnare catechismo ai ragazzi e alle ragazze”(Comboni).

Si diceva cha a Khartoum p. Bonomi avesse rotto la testa a una nera con una bastonata. P. Tappi si è informato del fatto ed è venuto a sapere che “sì, le ha dato una bastonata perché la ragazza era troppo intraprendente (!)con i giovani missionari, ma si è rotto il bastone, non la testa”.

Prigioniero del Mahdi

Nel settembre del 1882 p. Bonomi, con tre missionari e tre suore, si trovava a Delen, sui Monti Nuba. Improvvisamente furono catturati dal mahdisti e condotti prigionieri ad El Obeid. I missionari avevano portato con sé un grande crocifisso di bronzo. Per timore che fosse profanato dai musulmani, durante la notte, elusero la vigilanza delle guardie, scavarono una buca alle falde di un monte e lo seppellirono. Quel crocifisso, grandezza quasi naturale, non è stato ancora trovato.

Nel giugno del 1885, dopo quasi tre anni di dura prigionia, p. Bonomi è riuscito a fuggire. Dopo un viaggio avventuroso, sfuggendo alle guardie che lo inseguivano, ha raggiunto la libertà. Dopo un breve periodo di riposo in Italia, è tornato in Egitto per sollecitare ogni mezzo per la liberazione degli altri prigionieri.

Missionario in Eritrea

Nel 1888 la Santa Sede ha chiesto a mons. Sogaro di inviare un cappellano per le truppe italiane in Eritrea. È stato mandato p. Bonomi che è diventato subito popolare tra gli ufficiali e la truppa. Per la popolazione è stato un fuori serie.

Per suo interessamento è stata aperta la prima scuola per indigeni che egli ha mantenuta per anni, e ha chiamato le suore comboniane. Trasferito ad Asmara come cappellano dell’ospedale, si è interessato per affidare alle Pie Madri della Nigrizia la scuola e l’assistenza ospedaliera.

È morto ad Asmara nel 1927 alla bella età di 86 anni, dopo 52 di vita missionaria, tra la comune venerazione. Era una figura leggendaria nell’Eritrea del tempo. Ecco la testimonianza dell’autorevole e saggio ufficiale Alessandro Sapelli, che ha scritto di lui: “P. Bonomi divenne una figura leggendaria in Eritrea, intransigente in modo feroce verso le missioni protestanti, nonché con scarsa cristianità di sentimenti verso le missioni cattoliche francesi, fu uno dei più validi diffonditori della lingua italiana, starei per dire del dialetto veneto… Lo vedo ancora con la sua veste bianca, ma non sempre candida, con il crocifisso in una mano e il sigaro virginia nell’altra. Era l’idolo dei “diavoletti” della colonia, che lui istruiva e faceva giocare”. (Memorie d’Africa, 1883-1906, Zanichelli, Bologna 1935, p. 35).

 P. Lorenzo Gaiga