Il nostro venerando e amato P. Vianello non è più! Il 17 dicembre 1936, la sua anima spirava nel bacio del Signore e volava a ricevere il premio del servo buono e fedele.
Egli era nato a Portosecco, vicino a Venezia, in diocesi di Chioggia, il 28 marzo 1872. Dopo aver compiuto brillantemente il corso ginnasiale presso le scuole Cavanis di Venezia, il 19 agosto 1888 entrava nell’Istituto dei Figli del S. Cuore, accolto ed educato amorevolmente dal P. Asperti, che intuì subito il gran dono che il Signore faceva del giovane aspirante alla nascente Congregazione. Perciò ebbe per lui un amore di predilezione e procurò di infondergli il vero spirito religioso.
Modello di religiosa osservanza durante tutto il tempo della formazione, ammirato anche dai professori e dai compagni di scuola secolari, che sempre lo ricordarono con venerazione, fu ordinato sacerdote a Verona l'11 agosto 1895. Fu subito incaricato dell'apertura della casa di Bressanone, e poi ritornò nella Casa Madre, a fianco di P. Mologni, che pure l' ebbe carissimo e in grande stima.
Il 3 settembre 1897 veniva mandato in Egitto, ove fece da P . Spirituale ne11e case di Cairo e di Gesira ; ma dopo otto mesi veniva richiamato in Italia, ove il P. Voltolina, succeduto al Mologni, l'aveva fatto nominare Assistente Generale insieme al P. Angelo Colombaroli con un Decreto di Propaganda.
Nel giugno 1899, nel primo Capitolo Generale, venne eletto l Assistente e poi Maestro dei Novizi. Ripieno dello spirito di Dio, cercò di infonderlo nei suoi allievi, dei quali sapeva guadagnarsi la confidenza in modo mirabile con le sue maniere affabili, nelle quali riluceva la carità di Nostro Signore.
Nel Capitolo del 1909 venne eletto Superiore Generale. Egli fu atterrito dal peso imposto alle sue spalle, e cercò di liberarsene. All'uopo corse perfino a Roma, dal Sommo Pontefice Pio X, che lo conosceva personalmente e lo amava: ma il Papa, quanto fu amorevole nell'accoglierlo subito e consolarlo paternamente, altrettanto fu irremovibile nel non voler accettare la rinunzia. Lo assicurò però di tutto il suo appoggio, che di fatti gli diede in ogni occorrenza.
Durante il suo governo, per suo impulso, e con mezzi da lui forniti, fu fondata la nostra Missione d'Uganda, per la quale egli non dubitò di farsi mendicante presso quanti benefattori poté trovare. Nel 1913 ottenne che si effettuasse la prima divisione dell'immenso Vicariato dell'Africa Centrale, distaccandone la parte sud, che divenne la Prefettura e poi Vicariato del Bahr el Ghazal. Egli anzi avrebbe voluto fin d'allora fare una divisione in tre giurisdizioni ecclesiastiche, ma a ciò non ebbe il consenso del Vicario Apostolico.
Gli anni della grande guerra rovesciarono anche sulla Congregazione un cumulo di sventure: molti missionari del Vicariato di Khartoum furono internati; gran parte dei religiosi in Europa obbligati ad indossare la divisa militare e a combattere sui campi di battaglia, esposti a tanti pericoli per la vocazione e per la vita; i missionari rimasti nella Missione in pericolo di essere chiamati alle armi e a quando a quando sospettati per ragioni politiche; i beni della Congregazione sul punto di essere sequestrati; la Casa Madre più volte in pericolo d'essere occupata dai militari.
Questo complesso di cure e dolori, a cui il P. Vianello doveva pensare e provvedere quasi da solo, finirono per fiaccare la sua fibra, del resto già così debole e sensibile. Nel maggio 1918 fu preso da un grave esaurimento nervoso, che da allora gli procurò gravi dolori fisici e una estrema prostrazione morale, per vedersi ridotto all'impotenza fra tante calamità.
Così nel 1919 i Confratelli dovettero rinunciare al desiderio di riaverlo a loro capo : però lo fecero 2° Assistente, e il Superiore Generale lo volle suo Vicario dal 1923, fino a tanto che recisamente egli non rinunciò, nel 1928, non sentendosi ormai in grado neppure - per un rincrudirsi dei suoi disturbi - di rispondere a tante lettere.
Nel 1931 poi, ringraziava vivamente il Signore di essere stato finalmente esonerato da ogni ufficio onorifico della Congregazione, ma continuò anche allora nell'ufficio di Padre Spirituale della Casa Madre, che aveva assunto fin dal 1919. E con quale amore vi attendeva! Con quanto affetto riceveva « i suoi buoni figlioli », come chiamava gli scolastici, che andavano da lui, ad aprirgli la propria anima, per riceverne gli ammaestramenti per la vita religiosa ed apostolica.
Le sofferenze, che aveva avuto sempre più o meno nella sua vita, specialmente dal 1918 in poi, si erano accentuate con l'età. Aveva un'insonnia persistente, un sudore abbondante e frequente e ogni notte passava qualche ora di ambascia indicibile per disturbi di cuore. Eppure manteneva sempre la sua calma serena, aveva sempre sul labbro quel sorriso e quella parola che scendeva come balsamo in fondo al cuore.
La sua intima unione con Dio si scorgeva al solo guardarlo. La sua orazione da molti anni ormai prendeva lo spunto da poche pagine delle « Meditazioni di S. Agostino» in cui l'anima desidera di unirsi a Dio.
Negli ultimi giorni aveva scritto, per sua devozione, alcuni versetti dei salmi su un quadernetto; gran parte contenevano aspirazioni alla patria celeste, e l'ultimo diceva: «Ne proicias me in tempore senectutis meae, cum defecerit virtus mea ne derelinquas me.» Era questa una delle sue preghiere abituali.
Il 4 dicembre celebrò la Messa, che offerse al S. Cuore, come in tutti i primi venerdì del mese. La mattina seguente non poté alzarsi. Il medico manifestò subito il timore che potesse svilupparsi una broncopolmonite. E purtroppo il giorno dopo la malattia apparve in tutta la sua gravità, date anche le condizioni cardiache del malato. Questi, avvertitone, chiese l'Olio Santo, che gli fu amministrato alla presenza di una ventina di scolastici e fratelli, mentre il resto della comunità pregava in chiesa. Egli rispondeva con fervore alle preghiere, recitò il Confiteor, segnandosi quando occorreva, e movendosi per rendere più facile al sacerdote il praticare le sacre unzioni. Compiuto il rito, e datagli anche la Benedizione papale, ai presenti che chiedevano la sua benedizione rispose: « sì, vi benedico » e tracciò il segno di croce, pronunciando la formula. Uno gli disse che Mons. Comboni doveva fargli la grazia della guarigione, che tutti imploravano. « Sì, s ì, . grazie. Sarei contento, più che per me, per la glorificazione del nostro caro Padre, che mi sta tanto a cuore. Ma anche se io andrò in Paradiso, voi ricordate vi di lavorare per la glorificazione di Mons. Comboni ....... State saldi nella vostra vocazione, che è l'unica tavola di salvezza che il Signore vi ha posto nelle mani. Cercate di diventare tutti dei grandi santi. E poi - concluse - se il Signore mi chiama, vedete di non lasciarmi a lungo in Purgatorio». Nel dire queste parole aveva un accento e un vigore, che non sembrava l' ammalato di un'ora prima. Tutti gli si avvicinarono a baciargli la mano, e a dirgli una parola, che voleva ricordare le confidenze già fattegli e chiedergli l'aiuto delle sue preghiere per necessità a lui ormai note: a tutti egli sorrideva e diceva qualche parola.
Il giorno dopo venne a visitarlo il Vescovo; la sera venne il P. Meroni da Venegono. Il P. Generale, sul punto di imbarcarsi per l'Egitto, telegrafava manifestando il suo dolore e la sua presenza in spirito.
La sera del 7, progredendo il male, gli fu raccomandata l'anima. Invece la mattina dopo il medico, contro ogni sua aspettazione lo trovò assai migliorato. Era la Madonna Immacolata che voleva farci passare più lieta la sua festa. Purtroppo alla sera il male riprese, benché con minor violenza. Egli soffriva molto, ma si mostrava sempre paziente e talvolta cercava di parlare col tono scherzevole che soleva rendere tanto cara la sua conversazione abituale; ma la voce e le forze non rispondevano alla vigoria della mente ancor perfettamente lucida.
Nel pomeriggio del 16, fu molto depresso e non parlò quasi mai; la sera. recitò con fervore l'Angelus e baciò, come sempre, con trasporto il crocefisso. La notte fu agitata: recitava da solo preghiere e invocazioni a S. Giuseppe e specialmente alla Madonna: voleva parlare, ma era difficile capirlo. La mattina del 17, verso le 5,40, ripeté ancora giaculatorie e baciò il crocifisso, ma non poté ricevere la S. Comunione, che aveva ricevuto in tutti i giorni della malattia, eccetto il primo. Poi non diede più risposta, ma facilmente conservò ancora la conoscenza per parecchie ore. Alle 6 incominciò il rantolo dell'agonia. Gli si raccomanda ancora l'anima; gli scolastici sono inginocchiati a pregare fuori della stanza . Viene a visitarlo la M. Generale delle nostre Suore e poi Don Calabria.
Poco prima di mezzogiorno incomincia ad impallidire: è il momento supremo: stringe un momento le labbra e gli occhi, poi il volto ritorna sereno; dà· ancora alcuni placidi sospiri; indi non si avverte più alcun movimento. La sua bel l'anima era spirata in Dio. Erano le 11,55 del giovedì 17 dicembre.
Tutta la comunità si raccolse subito nella stanza a recitare il De Profundis. Più tardi la salma venne portata nella stanza del vescovo, trasformata in camera ardente; ove venne vegliata in tutte le ore del giorno, per turno, dai religiosi. Si fecero i suffragi che la regola prescrive per il Superiore . Generale, come si fece anche per il compianto P. Angelo Colombaroli.
Alle 5 del venerdì la salma venne chiusa nella doppia cassa, ove fu posta una pergamena; e prima molti vollero toccarla con oggetti di devozione da conservare come ricordo. La mattina del sabato fu cantato l'ufficio dei defunti con Messa solenne, presente cadavere, nella nostra cappella. Nel pomeriggio si fece il funerale, al quale accorse anche una vera folla di esterni, che formò un lunghissimo corteo. V'erano tra essi il Vicario Generale della diocesi, il Rettore del Seminario, parecchi altri Monsignori, parroci di città, molli sacerdoti e religiosi e moltissimi laici.
La bara fu portata a spalle da religiosi in cotta nella chiesa di S. Giovanni in Valle, ove fu ripetuta l'assoluzione, indi si proseguì per il cimitero, ed ivi la salma fu tumulata nella nostra tomba.
Molte personalità c'inviarono le loro condoglianze, tra essi il Vescovo di Verona, il Vescovo di Vicenza, l'Arcivescovo di Chieti, il Patriarca di Venezia e il suo Ausiliare, il Podestà di Verona, e moltissimi sacerdoti e laici; e quanti lo conobbero lo dicono un vero uomo di Dio.
La memoria del P. Vianello rimarrà perennemente in benedizione nel nostro Istituto. La sua preghiera presso Dio c'impetri che viva sempre nella Congregazione lo spirito che lo ha animato in vita, e di cui ci fu maestro.
Da Bollettino n. 13, dicembre 1936, p. 390-3
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È il 28 marzo 1872, quando il piccolo Federico fa la sua comparsa a Portosecco Venezia, viene così ad allietare i cari genitori. Nasce in una famiglia benestante ma soprattutto ricca di fede e di principi cristiane. Dalla mamma Federico eredita quella delicatezza di sentire e signorilità nel tratto, mentre il padre gli trasmette l'amore e la fedeltà al dovere, anche pesante che lo caratterizzerà per tutta la vita. Ben presto Federico inizia e compie i suoi studi presso i Padri Cavanis a Venezia, facendosi una cultura classica che gli permetterà fra l'altro di comporre belle poesie.
Nel 1888 entra nel noviziato missionario di Verona dove emette nel 1890 i santi voti. Presso il seminario di Verona poi completa i suoi studi, e nel 1895 è ordinato sacerdote.
Federico è trattenuto poi a Verona per altri due anni durante i quali offre un grande aiuto nel ministero e in casa, supplendo qualche volta anche il Padre maestro assente.
Siamo nel 1897 P. Federico è in Cairo in qualità di Padre Spirituale della colonia di Gesira. Ma subito nel maggio 1898 è richiesto dai superiori a Verona dove assume la responsabilità di P. Maestro. Ha solo 26 anni.
Nel primo Capitolo Generale P. Federico pur continuando nella cura dei novizi è eletto I assistente e Vicario generale e si assume anche la direzione spirituale della Comunità e la direzione della rivista "La Nigrizia". Ed è attraverso la Nigrizia che P. Federico compirà l'animazione missionarie e attirerà molte vocazione, dato che non gli era possibile viaggiare molto.
Dal 1909 al 1919 vediamo P. Federico in qualità di superiore generale della congregazione.
Nel suo governo chiede la collaborazione dei migliori, si consiglia in tutti gli affari, lascia libertà nelle mansioni affidate ai singoli, sa mutare anche le sue disposizioni quando gravi e giuste ragioni lo richiedono.
L'amore alla chiesa e alla congregazione è la guida del suo governo, la carità più squisita il suo modo di agire.
Riceve tutti con grande bontà e ascolta con attenzione; sa prevenire spesso le crisi. Vuole che la Congregazione vivendo sempre più della vita dello spirito, assimili ognor più la carità del divin cuore, sì che si conservi degna del suo nome.
Continua, anche mentre è superiore generale, il compito di direttore spirituale degli scolastici, come pure per corrispondenza con alcuni missionari. E continuerà sempre questa sua direzione spirituale fino quasi verso la fine della sua vita.
Fatta eccezione di una visita al Cairo nel 1913, Padre Federico non potrà mai visitare la missione per ragioni di salute anzitutto, ma anche per la guerra del 1914-1918. Tuttavia amò con tutto il suo cuore le missioni, incoraggiò Mons. Geyer ad aprire stazioni in Uganda, nel Bahr el Gebel e fra gli Azande, facendosi lui stesso promotore per raccogliere i fondi necessari.
Ed è durante la guerra 14-18 che P. Vianello manifesta la sua grande carità. Rimasto quasi solo, egli si fa un dovere di tenere una copiosissima corrispondenza con i confratelli richiamati alle armi, con i tedeschi in campo di concentramento, manda loro pacchi viveri e altri aiuti necessari. Si adopera presso le autorità affinché i missionari siano lasciati al loro posto in Cairo. Nel 1918 però cade in un serio esaurimento dal quale non si riavrà più completamente.
Si è nel 1919, P. Vianello è eletto Vicario Generale mentre continua la direzione spirituale degli scolastici. Ma nel novembre del 1928 egli stesso prega finalmente il superiore generale di esonerarlo dalla carica di vicario generale causa la mancata salute. Ed è proprio in questo suo ultimo scorcio di vita che P. Vianello risalta più chiaramente nella sua vera luce di paternità. Questa dote della paternità compenetra e assorbe in certo qual modo anche le altre sue attività di Maestro dei Novizi, di Direttore spirituale, di superiore, di consigliere: in qualunque posizione ed ufficio egli si trovi, egli è innanzi tutto e soprattutto il padre. Sostanza della paternità è la bontà. E buono era davvero. Quella sua gentilezza d'animo, quella squisita e delicata sensibilità alle bellezze del creato, ne sono chiari indizi. Da vero figlio del S. Cuore egli si era adoperato per ritrarne in sè lo spirito e le virtù. E divenne la mitezza personificata.
Il 17.12.1936 P. Vianello lascia l'ombra della vita per entrare nella vita vera. Parte serenamente per incontrarsi con il suo Signore che tanto aveva amato e fatto amare su questa terra.
La sua dipartita fu paragonata ad una stella tramontata, sì, ma la cui sua luminosità sarebbe rimasta per sempre nel cielo della Congregazione; di fatto egli è considerato ancor oggi il Padre spirituale della Congregazione.
P. Leonzio Bano
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P. Federico Vianello è nato a Portosecco, Venezia, 1872. Dopo aver concluso il corso ginnasiale presso le scuole dei Padri Cavanis di Venezia, il 19 agosto 1888 è entrato tra i Comboniani, accolto e formato da p. Asperti che ha intuito subito le grandi doti di cuore e di intelligenza del giovinetto aspirante alla nascente Congregazione (aveva tre anni di vita). Federico è cresciuto come un modello di osservanza religiosa.
Ordinato sacerdote a Verona l’11 agosto 1895 è stato subito incaricato dell’apertura della casa comboniana di Bressanone, ma subito dopo è tornato in Casa madre a fianco del superiore p. Mologni che lo aveva in grande stima.
Il 3 settembre 1897 è stato mandato in Egitto come p. Spirituale nelle case del Cairo e della Gesira. Richiamato in Italia, è diventato Assistente del superiore Generale insieme a p. Angelo Colombaroli.
Nel Capitolo del 1899 è stato eletto Maestro dei novizi. Ripieno di spirito di Dio, ha cercato di infonderlo nei suoi allievi dei quali sapeva guadagnarsi la confidenza con le sue maniere affabili, nelle quali riluceva la carità di nostro Signore. È stato chiamato il padre spirituale della Congregazione.
Nel 1909 è diventato Superiore Generale.Terrorizzato dal peso imposto sulle sue spalle, ha cercato di liberarsene ricorrendo perfino al papa Pio X che lo conosceva personalmente e lo stimava. Ma il Papa è stato irremovibile nel non voler accettare la rinunzia. Lo ha assicurato, però, del suo aiuto che difatti gli ha dato in molte occasioni.
I Comboniani in Uganda
Fino a questa data i Comboniani erano presenti solamente in Sudan. Comboni stesso, però, aveva desiderato ardentemente di mandare i suoi figli nella regione dei Grandi laghi d’Uganda, ma la morte lo ha strappato prematuramente da questo mondo, all’età di 50 anni, per cui il suo sogno è rimasto… un sogno.
P. Vianello ha voluto realizzare questo sogno e, già nel 1910, ha inviato i primi missionari in Uganda. Per la Missione d’Uganda si è fatto mendicante presso i Benefattori per trovare i mezzi. Nel 1913 ha ottenuto che si effettuasse la prima divisione dell’immenso Vicariato dell’Africa centrale, distaccandone la parte sud che divenne la Prefettura e poi il Vicariato del Bahr el Ghazal.
Gli anni della prima guerra mondiale hanno rovesciato sulle sue spalle problemi a non finire. Molti missionari del Vicariato di Khartoum sono stati internati, i beni della Congregazione sono stati sul punto di essere sequestrati, gli aiuti alle Missioni che si andavano moltiplicando venivano meno. I missionari non potevano sostituire i confratelli stanchi o ammalati perché le vie di comunicazione erano interrotte e il personale scarseggiava. Non solo, ma tra i missionari chiamati alle armi c’erano italiani e austriaci, obbligati dai rispettivi governi a spararsi addosso.
P. Federico ha scritto migliaia di lettere sacrificando giorni e notti pur di essere vicino ai suoi confratelli e far giungere il conforto della sua parola. Nessuno si è perso o è venuto meno nella carità. Questo enorme lavoro ha inciso profondamente sulla sua salute tanto che, nel Capitolo del 1919 i confratelli hanno dovuto rinunciare al desiderio di riaverlo loro capo, però lo è stato nominato 2° Assistente e, il Superiore Generale, lo ha voluto suo Vicario dal 1923 fino al 1928, anno in cui ha rinunciato all’ incarico, tanto era malato.
Nel 1931 è stato esonerato da ogni ufficio causa l’insonnia persistente e un’ambascia indicibile per disturbi di cuore. Eppure ha mantenuto sempre la sua calma e il suo sorriso. La sua costante preghiera era: Non abbandonarmi nel tempo della mia vecchiaia; quando la mia forza verrà meno non lasciarmi solo.
Auspicava la canonizzazione di Comboni
P. Federico desiderava ardentemente la canonizzazione di Comboni. Ha caldeggiato la grossa biografia del fondatore, scritta da Mons. Grancelli, e ha cercato di diffonderla il più possibile. Prima di morire ha lasciato ai presenti la consegna di adoperarsi perché la Chiesa riconoscesse la santità del Fondatore.
Nell’ultima malattia, broncopolmonite, i confratelli gli hanno detto che stavano pregando mons. Comboni perché lo guarisse. “Più che per me, sarei contento per la glorificazione del nostro caro Padre, che mi sta tanto a cuore. Ma anche se io andrò in paradiso, voi ricordatevi di lavorare per la sua glorificazione... State saldi nella vostra vocazione che è l’unica tavola di salvezza che il Signore vi ha posto nelle mani. Cercate di diventare tutti dei grandi santi, e vedete di non lasciarmi a lungo in Purgatorio”.
Nelle sue ultime ore di vita è stato visitato dal Vescovo di Verona e da San Giovanni Calabria. Si è spento serenamente alle 11,55 di giovedì 17 dicembre 1936. I suoi funerali hanno mosso e commosso tutta Verona. P. Vianello, infatti, era il confessore di tantissime persone, anche importanti. La sua memoria rimane ancor oggi in benedizione nell’Istituto comboniano. P. Lorenzo Gaiga