Per questa rievocazione di P. Ivo Ciccacci usiamo ampiamente di un articolo dell'avv. Nicola Longone, comparso su «La Nuova Stagione» di Napoli del 2-8-70, in occasione del trigesimo della sua pia ed immatura morte.
I1 1° luglio è morto P. Ivo. Erano le 4 del pomeriggio.
Il giorno prima, mentre era in chiesa, si era sentito malissimo; un dolore fortissimo al petto, come una pugnalata, grosse gocce di sudore scendevano sul suo viso diventato cadaverico; il suo cuore era scoppiato.
Un uomo piccolo, magro, nervoso, dai tratti un po' tesi, i capelli grigi alle tempie e sempre arruffati, un pizzetto ribelle che le dita scarne e sottili tormentavano incessantemente, un parlare a scatti, arrotondando le consonanti, con un suono duro, quasi tedesco, due occhi azzurri tanto profondi, e sotto l'abito talare un cuore grande, traboccante d'amore per Cristo e per gli altri.
Aveva alle spalle una dura esperienza di quindici anni passati nel Sudan, terra di missione da dove era stato espulso dagli Arabi. Quindici anni trascorsi a contatto con uomini primitivi non ancora avvelenati dalla civiltà industriale. Tra quella gente aveva instancabilmente predicato Cristo, trovando un fertile terreno in quelle anime semplici e genuine: era stato conquistato dalla loro semplicità al punto da lasciare, dove possibile, intatte molte loro usanze misteriose, innestando su di esse il mistero pasquale di Cristo.
Nato 1'11-4-1920 a Fabriano (Ancona), fu ordinato sacerdote a Como il 29-6-1945. Era stato in missione a due riprese, sempre nel Bahr-el-Ghazal: dal 1949 al 1957 a Wau e poi, dopo un soggiorno di due anni a Pesaro, dove fu Superiore, al Bussere e a Thiet fino alla sua espulsione dal Sudan il 1° marzo 1964.
E con il cuore pieno di nostalgia per la sua missione di Thiet, tra la gente dei Denka, giunse nel 1964 a Napoli, per continuare la sua missione, quale parroco di S. Maria della Consolazione a Villanova. Un agglomerato di vecchie case, in molte delle quali la vita è ancora difficile, situato sulla cresta della collina di Posillipo, al quale si sono di recente sovrapposti moderni insediamenti residenziali, dimora di un'agiata borghesia. Una comunità parrocchiale eterogenea e quindi non facile da guidare.
La chiesa antica e non molto ampia, frequentata per la maggior parte da anziani. La Messa domenicale con pochi fedeli: la gente «bene» preferiva dirigersi ad altre chiese.
Una vita religiosa sonnacchiosa e stanca animata solo a tratti da imbandierate processioni con luminarie e fuochi d'artificio.
Quest'immagine è però rapidamente svanita, cancellata dallo slancio animatore del piccolo prete che non conosceva riposo.
Appena giunto si mise al lavoro di gran lena, rendendosi conto che anche quella era «terra di missione», anche se l'evangelizzazione si presentava ben più difficile, perché diretta ad uomini che avevano perso da tempo la semplicità e l'ingenuità.
Cominciò rivolgendosi alla parte migliore di questo nuovo gregge che il Cardinale gli aveva affidato: i giovani. Li ha conquistati, ha saputo pretendere sempre di più dalla loro generosità e la gioventù è stata la superba animatrice di un inarrestabile movimento di lievitazione spirituale.
Molti genitori si sono avvicinati a lui per conoscerlo, incuriositi, chiedendosi che cosa mai potessero trovarci i loro figlioli in quel prete missionario che vedevano andare su e giù per tutte le strade della Parrocchia; che cosa mai li aveva conquistati al punto da far loro abbandonare tutte le futili occupazioni alle quali un tempo dedicavano tante ore, per correre ora in quella vecchia chiesa, dove, in pochi sotterranei umidi e oscuri si riunivano per ascoltarne la parola. Si ritrovavano insieme ragazzi e ragazze, riuniti attorno all'altare per la Messa e la Comunione, per intonare canti pieni di gioia, per programmare sempre nuove iniziative: raccolte di roba vecchia, carta straccia per le missioni, marce dimostrative, assistenza ai poveri ed ai malati, raccolte di fondi per la costruzione di un edificio destinato ad ospitare le attività parrocchiali, ecc.
E a molti padri e madri di famiglia è bastato avvicinare quel prete per sentirsi restituiti ad una concezione della vita cristiana che credevano ormai per sempre perduta con l'innocenza degli anni più verdi. E così egli è riuscito a creare, conquistando un cuore alla volta, una vera comunità, disposta a vivere una vita cristiana fatta soprattutto di testimonianza di Cristo in uno spirito di reciproca cooperazione spirituale e materiale rivolta al raggiungimento del fine comune della redenzione in Cristo. Una comunità che si ritrova compatta intorno alla mensa eucaristica e che è fortemente caratterizzata da quell'ideale missionario che egli ha saputo trasfondervi. Egli curava personalmente la redazione di un giornalino dal titolo «Azione Missionaria» il quale ha raggiunto una tiratura di ben 54.000 copie, diffuso in Italia e all'estero.
«Non attaccatevi a me» andava ripetendo. «Guai se dovessi accorgermi di questo; considererei la mia missione fallita. Io non devo attirare gli altri a me, ma a Cristo». E nella ricorrenza dei suoi 25 anni di sacerdozio, caduta il 29 giugno scorso, nella sua omelia domenicale, con grande umiltà chiese perdono a Dio ed a tutti per quanto avrebbe potuto fare per ognuno in quei 25 anni di sacerdozio e non aveva fatto; per quello che avrebbe potuto dare a Cristo e non aveva dato. Il giorno dopo, il suo cuore traboccante d'amore si è spezzato e il giorno successivo la sua vita terrena si è conclusa, dopo aver visto anche concretamente iniziata la costruzione dei nuovi locali destinati ad accogliere le attività parrocchiali, per la cui realizzazione egli si era per anni battuto contro ostacoli economici e burocratici di ogni sorta.
I suoi giovani che lo avevano vegliato l'intera notte, intonavano i canti che lui, amando profondamente la musica, aveva loro insegnato, spesso componendoli egli stesso. Si stringevano attorno alla sua bara gli uomini del Consiglio Parrocchiale, professionisti, impiegati, operai, commercianti, che egli aveva voluto sempre intorno a sé per consultarsi, prima di prendere ogni decisione importante per la vita della comunità; le Dame e le Attiviste Missionarie, gli uomini dell'Associazione del Sacro Cuore, i giovani di tutte le associazioni che egli aveva creato, le ragazze del vicino Istituto del Buon Pastore, per le quali era stato affettuoso P. Spirituale.
Mancavano i suoi Neri, ora sofferenti per quella fede che P. Ivo ha loro dato con zelo e con amore, ma per tutti, e per i sudanesi in modo particolare, la sua vita tanto generosamente donata non sarà certo vana; possiamo essere certi che essa produrrà ora i suoi frutti migliori. R.I.P.
Da Bollettino n. 92, pp. 77-79