In Pace Christi

Canestrari Giorgio

Canestrari Giorgio
Data di nascita : 18/01/1914
Luogo di nascita : Marano Lagunare UD/I
Voti temporanei : 15/08/1943
Voti perpetui : 15/08/1946
Data ordinazione : 11/07/1937
Data decesso : 26/11/1986
Luogo decesso : Verona/I

Tra le antiche carte di p. Giorgio si è trovato un quaderno che risale alla quarta elementare. In una pagina è disegnata una cassa da morto con sotto, questa epigrafe: "Padre Giorgio missionario, morto in Africa a 70 anni". Ciò sta ad indicare quanto profonde siano state le radici della sua vocazione missionaria. In un 'intervista rilasciata ai giovani, p. Giorgio ebbe a confermare: "Già all'età di 8 anni -mi ricordo benissimo- volevo farmi missionario" .

Che razza di missionario sia poi diventato, lo constatiamo da una lettera scritta da Verona al suo provinciale in data 18 maggio 1986. "Carissimo Padre Superiore Provinciale, da una settimana mi trovo in patria. Ogni mattina vado a celebrare la messa nel Centro Ammalati e poi passo la giornata con i miei fratelli che abitano qui in città, Borgo Trento. Lunedì 26 maggio andrò all'ospedale di Borgo Roma e mi metterò nelle mani dei medici che, dopo le analisi necessarie, mi dovranno operare. Come lei sa, i medici in Messico mi hanno trovato un cancro nell'intestino retto. Ringrazio il Signore che mi ha dato la forza di ricevere la notizia con tranquillità. Ho tante persone buone che pregano per me. .. e quindi ho fiducia di fare bene la volontà di Dio. In questi momenti l'unica cosa che vale è credere nell'amore di Dio che, essendo Padre, vuole il nostro vero bene. Sono rimasto contento per la sistemazione del Centro Ammalati e mi è piaciuta la nuova cappella della Casa Madre. L'ambiente è tranquillo e ho notato la serenità dei confratelli che assistono gli ammalati. Cordialmente la saluto e mi raccomando alle sue preghiere" .

Annunciando il suo arrivo in Italia a p. Mencuccini, causa il cancro, p. Giorgio commentava: "È arrivato per me il momento di credere nell'amore di Dio". E al p. Generale aggiungeva: "Devo vivere io ciò che ho predicato tante volte agli altri. Mi sento unito moltissimo con tutta la Congregazione e offro le preghiere e le sofferenze perché tutti i comboniani siano fedeli alla loro vocazione. Soprattutto sto pregando per gli scolastici (evidentemente in prima fila i messicani) perché la loro formazione risponda alle esigenze della Chiesa e del mondo d'oggi. In Casa Madre ho notato tanta gioia in tutti".

Salvato per miracolo

P. Giorgio, pur essendo veronesissimo, era nato a Marano Lagunare in provincia di Udine: suo papà Giuseppe era ufficiale di posta in quella località, e mamma Elvira Griso, l'aveva seguito. Un anno dopo la nascita di Giorgio, scoppiò la prima guerra mondiale. Nella zona di Udine le offensive e le controffensive si susseguivano a ritmo incalzante. Le granate dei cannoni e dei mortai provocavano catastrofi non solo sui campi di battaglia ma anche tra le abitazioni dei civili. Durante l'infuriare di una battaglia in cui le bombe cadevano come grandine, il papà e la mamma che tenevano stretto tra le braccia il piccolo Giorgio riparandolo con i loro corpi, furono feriti. Il bambino rimase illeso. I genitori, ottimi cristiani, non esitarono ad attribuire il fatto ad un miracolo della Madonna.

A 6 anni Giorgio ricevette la Cresima da Mons. Rossi, vescovo di Udine. Era il 16 agosto 1920. In seguito, la famiglia Canestrari -ormai aumentata di numero, ritornò a Verona. Giorgio, dopo le prime elementari, frequentò l'Istituto Don Bosco; ben presto manifestò il desiderio di farsi sacerdote per cui prese la via del seminario diocesano. I suoi compagni (di vivi ce n'è ancora una ventina) sono concordi nell'affermare che era un giovane vivacissimo, arguto , sempre allegro e capace di dire quello che pensava senza tante circonlocuzioni. Di pietà era esemplare, coerente e piuttosto rigido nel comportamento. Le mezze misure non gli andavano a genio.

Doppia crisi

Durante gli anni di seminario, Giorgio era a contatto con numerosi Comboniani che frequentavano le stesse classi. Inoltre leggeva riviste e libri che parlavano delle missioni e dell'Africa. Ammirava quei suoi coetanei e sentiva una grande simpatia, quasi un'invidia, per la loro vocazione. Avrebbe voluto essere uno di loro, ma tutti quelli ai quali aveva chiesto consiglio, gli avevano messo davanti mille difficoltà. Fece il liceo e la teologia con questo "verme" che gli rodeva l'anima. Divenne anche sacerdote, sacerdote diocesano naturalmente. Fu ordinato a Verona l' 11 luglio 1937. Don Giorgio aveva una straordinaria capacità comunicativa, per questo il Vescovo lo mandò come curato a Soave, una cittadina medioevale con tanto di mura e di castello, a 20 chilometri da Verona, e famosa per il vino dei suoi colli. Gli furono affidati i giovani, e parlava spesso, s'infervorava e diceva che bisognava pregare perché aumentasse il numero di missionari, e così dicendo batteva con forza il dorso della mano destra contro il palmo della sinistra quasi per sottolineare la necessità di partire. Dài oggi e dài domani, una sera un giovane si alzò in piedi e gli disse a bruciapelo: "Se è così importante che qualcuno parta, perché non va lei?". Don Giorgio rimase di sasso. "È fatta! -mormorò tra sé diventando rosso in faccia- Se non mi decido ad insistere ulteriormente, non potrò più mettere la faccia fuori dalla canonica!".

Sapeva che sarebbe andato incontro a grandi difficoltà sia da parte dei superiori, sia da parte dei familiari, come egli stesso racconterà in una lunga lettera; tuttavia prese il coraggio a due mani e si buttò.

Missionario Comboniano

Nella lettera di domanda al padre generale scrisse: "Il M.R. p. Farè, che fu a Soave per una giornata missionaria, mi ha consigliato di rivolgermi a voi per esporre il mio desiderio ... Desiderio che non è di pochi giorni. M'è venuto in quinta elementare, in Collegio Don Bosco, avendo avuto occasione d'avvicinare dei Padri missionari. I miei genitori hanno riso del mio proposito. Allora sono entrato in seminario diocesano per la seconda ginnasio. I diversi padri spirituali ai quali esposi il mio desiderio, mi consigliarono di aspettare. In seconda liceo mi presentai al Rev. p. Vianello che mi accettò. I superiori del seminario, saputa la cosa, mi misero davanti che avevo salute malferma, che non avrei potuto resistere alle fatiche della vita missionaria, ed allora io stesso scrissi al p. Vianello annullando la mia richiesta. In quello stesso anno tre miei compagni entrarono nel vostro Istituto (p. Albrigo, p. Venturelli e p. Tezza) e uno si fece Gesuita. Per questo i superiori fecero difficoltà al mio ingresso tra voi. Proseguii gli studi, ma il desiderio rimase. Alla vigilia dell'ordinazione il padre spirituale (Don Filippini) mi disse di aspettare ancora. Ora sono passati quattro anni dalla mia ordinazione. I superiori mi hanno dato il permesso di fare la domanda. La scusa della salute malferma non esiste più. Da parte della famiglia avrò le solite difficoltà, ma non hanno bisogno di me per vivere, perché sono di condizione agiata. Ora, reverendo padre, mi metto nelle sue mani. Il Signore è stato buono a conservarmi il desiderio della Missione per tanto tempo, e perciò è giusto che io, una buona volta, mi decida. Entro senza nessuna riserva, disposto a fare ogni cosa per il bene dell'anima mia e per il bene del vostro Istituto ... " . Questa lettera era del 6 settembre 1941. Il 6 ottobre, don Giorgio scrisse: "Il Vescovo sta cercando un nuovo curato da mandare al mio posto. L'attesa si fa lunga. I miei, pur lasciandomi libero, mi trattano come un figlio matto e senza cuore. Aiutato dal Signore non mi sono impressionato. Anzi mi sono rallegrato ripetendo le parole di San Paolo: 'Nos stulti propter Christum'". L'8 dicembre scriveva nuovamente: "La speranza di entrare in noviziato per la festa dell'Immacolata è svanita. Però sono sempre in attesa. E l'attesa prolungata renderà più grande la mia gioia quando potrò raggiungere la mèta tanto sospirata. Ieri, 7 dicembre, 70° anniversario dell'erezione del vostro istituto, ho celebrato la santa messa per la prosperità spirituale e materiale della vostra Congregazione. Sono lontano col corpo, ma vicinissimo con l'anima. mandatemi l'orario del noviziato e le regole onde possa cominciare a studiarle. P. Albrigo mi ha scritto dal campo di internamento. La sua lettera è di buon auspicio per me. Ma devo ancora pazientare". Il tempo dell'attesa era ormai finito. Infatti entrò a Venegono Superiore il 19 gennaio 1942, nel pieno della seconda guerra mondiale. Aveva 27 anni. Suo fratello, soldato in Africa, gli scrisse una sola parola: "Pazzo". Al che il novizio rispose altrettanto laconicamente: "Grazie".

Zelo missionario

Mentre Don Giorgio faceva i primi passi nella nuova vita come novizio, "L'idea giovanile", giornale dell' Azione Cattolica, pubblicava un articolo dal titolo: "Dalla terra di Soave Don Canestrari va missionario". In esso si diceva, tra l'altro: "La partenza di Don Giorgio Canestrari, meraviglioso assistente di questa Associazione, ha profondamente commosso i nostri giovani. Da oltre quattro anni egli lavorava con tanto amore e tanto zelo in mezzo ai nostri giovani. Aveva dato all' Associazione, con le sue iniziative geniali, col suo zelo missionario, con la sua pietà profonda, un indirizzo molto promettente. Il bel gruppo di aspiranti era da lui trascinato all'apostolato franco ed entusiastico. Indimenticabili le giornate di ritiro sempre organizzate e riuscite meravigliosamente, che erano il segreto di quell'attività che ha fatto più volte stupire l'intera parrocchia. Da segnalare l'apostolato della stampa, l'apostolato catechistico e missionario. Il piccolo clero, la scuola di catechismo, la scuola di canto, senza dire di tutte le altre sue mansioni sacerdotali nella parrocchia nella quale trasfuse sempre i tesori delle sue eccellenti qualità, delle sue virtù sacerdotali, furono il campo prediletto del suo lavoro. Ma la sua anima eminentemente missionaria desiderava un campo più vasto per espandersi: le Missioni. Esse furono il suo sogno fin dagli anni della fanciullezza... I nostri giovani non dimenticheranno ciò che hanno ricevuto da lui...".

Le note del padre maestro non discordavano con le espressioni lusinghiere dell'articolista soavese. "Mostra grande adattabilità e buon spirito di fede con grande generosità nel sacrificio. Ama la sua vocazione ed è edificante nell'osservanza delle regole. È riflessivo, adattabile, semplice, generoso, pronto all'obbedienza. È uomo di molta carità, umile e molto adatto alla vita comune. Domina molto bene il suo temperamento che sarebbe impetuoso e lo porterebbe ad arrabbiarsi". Il 15 agosto 1943, festa dell' Assunta, emise i Voti che lo legavano all'Istituto comboniano.

Le avventure della guerra

La prima destinazione di p. Giorgio fu il noviziato di Firenze, con l'incarico di economo. Essere economo voleva dire procurare il cibo a un'ottantina di giovani. Tutto questo durante l'infuriare della guerra, con pericoli di ogni genere e con il cibo razionato, quando c'era. P. Giorgio si fece in quattro. Cominciò a battere i paesi e le parrocchie chiedendo giornate missionarie e raccogliendo generi in natura. Alla sera, quando rincasava con una buona provvista, era contento. Quando invece era andata "magra" diceva: "Dobbiamo pregare un po' di più".

Firenze fu per alcuni mesi teatro di guerra, e quindi di pericolo e di spaventi. I diari del tempo consentirebbero di costruire una storia interessante di quella comunità comboniana. P. Giorgio conservò l'incarico fino al giugno del 1945, data in cui fu assegnato a Trento come superiore.

Educatore

Sono tanti i Comboniani che sono passati per quella casa negli otto anni in cui fu superiore a Fai finché venne ricostruito il seminario distrutto dalle bombe e poi a Muralta (Trento). P. Giorgio amava trascorrere molte ore con i seminaristi missionari, parlava con loro, giocava con loro, sapeva animarli. All'occorrenza sapeva essere anche duro. Per ciò che riguardava la preghiera, lo studio, la scuola non ammetteva sotterfugi. Voleva abituare i giovani allo spirito di sacrificio, per questo insisteva sulla necessità della mortificazione. Un esempio: durante l'estate consigliava che si bevesse acqua solo durante i pasti. Era un sacrificio enorme per quei giovanetti che correvano e saltavano durante la ricreazione, e sudavano. Arrivare fino a cena con tutta quella sete in corpo era un vero supplizio. Tuttavia quelli che volevano proprio diventare missionari e "andare in Africa dove ci sono i deserti da attraversare senza trovare una goccia d'acqua, quindi bisognava abituarsi alla sete" (questa era la motivazione di tanta pena) prendevano il consiglio del superiore come un ordine. E ci stavano anche se non riuscivano a studiare dalla sete. Uno di quei ragazzi è diventato sacerdote, ma con i reni compromessi. Quando, incontrando dopo tanti anni p. Giorgio, gli ha detto: "Se lei avesse avuto un po' più di giudizio, forse non sarei conciato in questo modo", il padre gli chiese perdono e gli rispose: "Hai ragione, ma purtroppo allora, le regole dell'ascetica erano quelle".

Oltre che per il gran caldo d'estate, Trento è famosa anche per il freddo d'inverno. In casa non c'era riscaldamento, salvo una vecchia stufa a carbone nei dormitori, che si esauriva in poco tempo e poi ... si battevano i denti per buona parte della notte. Chi risolse l'inconveniente fu proprio Mons. Carlo Ferrari, Arcivescovo di Trento. Una domenica andò a celebrare la santa messa nella cappella dei Comboniani. Per poco non svenne dal freddo. Prima di partire disse ai seminaristi: "Ma voi diventate i missionari dell'Africa o del Polo Nord?". Poi sorridendo proseguì: "I carcerati di Trento hanno il riscaldamento in prigione. Io lascio al vostro superiore la somma di lire 100.000 perché cominci i lavori per il riscaldamento". Questi fatti non devono impressionare, perché anche nelle normali famiglie la vita non era tanto diversa. P . Giorgio insisteva molto perché ogni alunno, durante le vacanze in famiglia, diventasse un "propagandista di idee missionarie" . Tutti perciò, partivano carichi di libri che avrebbero dovuto vendere ai paesani. Per i migliori non mancavano piccoli premi. P. Giorgio lasciò in tutti i suoi alunni un ricordo, di un uomo retto, onesto e buono, che per primo condivideva le tribolazioni e i disagi inerenti ad una società che usciva spennata dall'esperienza della guerra.

Messico

Nel novembre del 1953 P. Giorgio partiva per il Messico. "Una mattina mi dissero che sarei dovuto partire per il Brasile -scrisse-. Nel pomeriggio mi arrivò la destinazione per il Messico. Per me un posto valeva l'altro, purché si partisse. Ho passato i primi anni in Bassa California e poi ho lavorato nella formazione" .

Si è notato subito che a "La Purissima", dove il padre è stato inviato, come sua prima destinazione, egli si è dedicato ai più poveri materialmente, e soprattutto spiritualmente. In una lettera al p. Generale scriveva: "Qui in America Latina c'è estrema necessità di sacerdoti. Pensi, ci sono 45.000 parrocchie senza sacerdote. Anche qui in Messico ci sono tribù di Indios completamente abbandonate religiosamente" .

Assillato dalla mancanza di sacerdoti, cominciò a preoccuparsi della formazione del clero. "Solo incrementando il clero locale, comboniano o diocesano, potremo risolvere, o tentare di risolvere la fame di Dio di questa gente". Il suo entusiasmo, il suo ottimismo, erano una spinta ai confratelli. "Il segreto della mia vitalità è il mio amore alla Chiesa e l'aver avuto dei formatori che hanno saputo donarsi con gioia a Dio". Nel 1954 passò a "Maria Auxiliadora" come superiore; nel 1956 a La Paz, coadiutore; nel 1957 a Sahuayo, padre spirituale dei futuri Comboniani. Vi resterà per l0 anni di seguito, interrotti da qualche puntatina qua e là. "L'anno prossimo -annotava nel dicembre del 1962- avremo 120 alunni. Se saranno buoni e se andranno avanti, sarà una manna". Scrivendo da san José del Calvo nel 1963, diceva: "L'ambiente non è troppo favorevole alla religione. Qui domina il laicismo più assoluto. La Chiesa è un'isola. Cerco di gettare ponti. Le anime buone ci sono anche qui. I protestanti hanno due cappelle e usano il grande argomento: i cattolici sono ubriaconi, immorali, ecc. È vero, purtroppo, ma ci sono le dovute eccezioni, e c'è la misericordia del Signore che è più grande di tutte le debolezze umane. Egli è il nostro salvatore e ci salverà" .

Nel 1964 i medici riscontrarono che: "Divento vecchio troppo in fretta. Ci sono disturbi al cuore e alla circolazione". La quiete della stanza di padre maestro a Sahuayo gli ridiede vigore.

I missionari del Sudan Meridionale, intanto, venivano espulsi in massa. Il fratello di p. Giorgio, on. Alessandro, insieme ad altri Parlamentari veronesi, si adoperò a livello di Governo per appianare le cose. Tutto fu inutile; il fatto però dimostra l'interesse per le Missioni che p. Giorgio aveva fatto suscitare in famiglia e nell'ambiente "alto" di Verona.

Gli anni passavano. P. Giorgio vedeva con soddisfazione che la Congregazione in Messico faceva passi da gigante. Egli camminava con i tempi. Nel 1968 scrisse al p. Generale che era arrivato il momento "di avere come padre maestro un comboniano messicano in Messico ... Io penso che con i giovani d'oggi è necessario un maestro dei novizi relativamente giovane, quindi sarà buona cosa pensare ad uno che mi possa succedere. Mettere un altro italiano non mi sembra conveniente" ... Questa proposta dimostra quanta stima p. Giorgio avesse dei Messicani e quanto rispetto per la loro cultura.

Testimonianze

I confratelli di Messico parlano del grande dolore che ha colpito la popolazione alla notizia della scomparsa di p. Giorgio. "Tutti ricordano la sua sollecitudine per i ritiri, le confessioni, le visite agli infermi, il conforto ai poveri. A San José del Cabo fu coinvolto in un incidente stradale che per poco non lo mandò in paradiso. Ripresosi, continuò con l'entusiasmo di sempre. Preparato in spiritualità, fu maestro insigne di schiere di giovani che si preparavano alla vita missionaria. Sempre allegro e gioviale, sprizzava ottimismo da tutti i pori . Un uomo esuberante, che era anche la 'regola vivente'; sempre il primo negli atti comunitari, sempre disponibile alle esigenze di chi gli chiedeva qualcosa. Se talvolta aveva qualche scatto d'ira, non andava a letto senza aver chiesto perdono, anche quando aveva ragione o l'offeso era stato proprio lui. Sì, perché era incapace di conservare sentimenti meno nobili nel suo cuore sensibile e buono.

Il pensiero che Cristo è vivo e sta per arrivare lo conservava sempre attivo e allegro. Quando qualcuno andava a trovarlo, egli lo riceveva con le braccia aperte e con un largo sorriso sulle labbra. Anche le diverse operazioni chirurgiche sono state accettate ed affrontate con il sorriso sulle labbra. E non perse il buon umore neanche quando gli dissero che i suoi giorni erano contati, 'Bene, così andremo in Cielo', rispose. E passò quel periodo ringraziando il Signore per avergli concesso il tempo necessario ad una buona preparazione alla morte".

Così p. Mario. P. Giovanni Bressani scrive: "Lo conobbi la prima volta nel 1959 quando con lui e con altri quattro confratelli partimmo in nave per il Messico. Egli tornava dal Capitolo Generale. Mi colpirono due cose: la sua conversazione sempre interessante e la sua serenità sempre inalterabile che, unita ad una certa decisione che gli era connaturale, ti dava sicurezza e fiducia. Dedicava molto tempo alla lettura e alla preghiera... Durante la convalescenza dopo l'incidente stradale in Bassa California, ebbi modo di fargli compagnia. Lì capii perché i superiori lo avevano destinato ad essere formatore di futuri missionari. Era un uomo non solo di preghiera profonda, ma di contemplazione. Nonostante l'età aveva un animo giovanile ed era un confessore stupendo in quanto sapeva infondere in chi lo avvicinava un forte senso della presenza amorosa di Dio. Ed era generosissimo. Nonostante le costole che gli facevano male, non diceva mai di no a chi gli chiedeva celebrazioni di messe o confessioni. Nel 1976 predicò gli esercizi spirituali al clero diocesano e ai religiosi. Ricordo che dopo la preghiera iniziale si sedette e disse: "lo non predico mai agli Esercizi se non c'è un'immagine della Madonna". Si dovette correre a prendere un quadro e collocarlo provvisoriamente nel salone delle conferenze. Solo allora cominciò a parlare. Il vescovo messicano che vedeva p. Giorgio per la prima volta, alla fine della predica mi disse: 'Che meraviglioso vecchietto-giovane avete!'.

Un capitolo tutto speciale meriterebbe la devozione alla Madonna di p. Giorgio. Quando era incaricato della formazione permanente nella provincia messicana (80 anni) ho visto che passava il suo tempo oltre che in abbondanti ore di preghiera sempre in chiesa, anche nello studio. Leggeva molto, si interessava dei nuovi movimenti ecclesiali, si aggiornava con riviste ben scelte. Poi si dava a lunghi e spossanti viaggi da una comunità all'altra della vastissima provincia per predicare ritiri, corsi di Esercizi, visite ai confratelli che avevano particolari necessità; ma anche a religiosi e religiose e a gruppi parrocchiali. A questo si aggiunga una vasta corrispondenza di centinaia e centinaia di lettere, tutte di tipo 'direzione spirituale'. È unanime il coro di persone che parlano del bene da lui ricevuto. Non c'era conferenza o predica o anche colloquio personale in cui non raccomandasse la devozione alla Madonna. La Madonna per lui era la Madre capace di guarire le ferite dello spirito. Bastava invocarla e pregarla con fede. Sì, la sua devozione alla Madonna poggiava su solide basi teologiche" .

Scolaro

Dal 1967 al 1968 p. Giorgio fu a Roma, San Pancrazio, per un corso di spiritualità. Non stava male quel missionario di 54 anni sui banchi insieme ai giovani perché, in certi punti era più giovane di loro. E quanto ad esperienza e preparazione era in grado di battere certi insegnanti. Tuttavia assorbiva tutto e prendeva nota di tante cose con grande umiltà e disponibilità. Sentiva il peso dei tempi che cambiavano a velocità vertiginosa e lui non voleva perdere il treno. "Tempi nuovi, gente nuova" scriveva al p. Generale intendendo sottolineare la necessità non solo di nuove leve, ma di un rinnovamento di coloro che, pur avendo una certa età, dovevano sapersi rendere ancora utile alla Congregazione. Per tutta risposta i superiori lo destinarono superiore e padre maestro a Xochimilco, in Messico. Vi rimase dal 1968 al 1974.

Maestro ... in umiltà

P. Giorgio si impegnò, come il suo solito, con tutte le energie nel nuovo lavoro. "Gli alunni stanno bene. Quattro hanno fatto la loro professione il giorno dell'Immacolata, e quattro si preparano a farla nel prossimo anno". E poi la vecchia antifona: "Quello che più mi sta a cuore è che si prepari un sostituto per il mio ufficio. Cerco di seguire le norme date dai Documenti Capitolari, ed aspetto il nuovo Direttorio per il noviziato comboniano. Direttorio “stil novo” (1970). In coscienza non mi sento più di aver la responsabilità della formazione dei nuovi missionari comboniani ... Ho 57 anni!" (1971). In Provincia, intanto, andava affermandosi una corrente da "progressisti", una minuscola schiera di "profeti minori", che ritenevano si dovessero cambiare molte cose. P. Giorgio invece di inveire o di protestare (e in questo si vede il suo alto grado di umiltà) fece l'esame a se stesso, e scrisse al p. Generale: "Alcuni confratelli hanno dichiarato più volte che io sono incapace di svolgere l'ufficio di maestro di novizi e di superiore dei filosofi, perché il mio metodo è sbagliato. Dicono anche che se nella casa c'è disordine la colpa è mia. Avendo perduto la confidenza e la fiducia dei confratelli penso proprio che sia arrivato il momento di essere cambiato. Guai se per colpa mia ne andasse di mezzo la vita della comunità e l'educazione dei giovani" (1971). Intanto il padre mandava i suoi giovani a contatto diretto con la realtà missionaria, persuaso che in questo modo si sarebbero ridimensionate tante cose. "Domani un gruppetto dei nostri, approfittando delle vacanze, andranno a visitare alcune tribù di Indios al Sud della repubblica. Noi qui li abbiamo chiamati 'gli esploratori' ricordando coloro che furono inviati a visitare la Terra Promessa. Io personalmente penso che sia cosa buona che vadano a constatare di persona la realtà dei poveri da evangelizzare" (1971).

Una cosa che balza evidente del voluminoso epistolario di p. Canestrari, e che impressiona, è il fatto che mai una volta vi si trova qualche accusa o lamentela contro chicchessia. Nelle inevitabili diatribe che l'esistenza umana comporta, egli, anziché esaminare gli altri, studiava a fondo se stesso per scoprire qualche eventuale manchevolezza. Anche il fratello, On. Alessandro, afferma la stessa cosa: "Era largo di idee, comprensivo; e anche quando si parlava dei problemi dei giovani (nipoti e non) non si permise mai di giudicarli o di condannarli. Diceva che prima dovevamo esaminare noi stessi, i più vecchi".

Sia un punto di unione

I superiori facevano l'orecchio da mercante alle proteste del padre e lo lasciavano nel suo incarico perché potesse constatare la validità dei suo operato. "Si spera che i nuovi filosofi siano una quindicina -scriveva egli nel 1972- e si vuoI fare loro un corso di spiritualità per prepararli ad incominciare la filosofia con idee chiare sopra l'orazione, la Parola di Dio e le Missioni" . Dopo sei anni di un ufficio tanto delicato, il p. Generale (confortato anche dalla Regola che prescrive vacanze in patria almeno ogni 5 anni) propose a p. Giorgio di tornare in Italia per diventare superiore della Casa Generalizia di Roma. "Prenderà piena responsabilità dal 12 marzo 1974 -gli scrisse. Poi aggiunse- Abbiamo creduto bene fare questa scelta per l'importanza che ha la Casa di Roma per i confratelli di passaggio, e anche perché lei viene dall' America Latina. Lei è abituato alle difficoltà e ai problemi della vita: non mancheranno neanche qui i problemi e le difficoltà. Lei li saprà superare con il suo spirito giovanile e generoso, e soprattutto con la sua preghiera. Non so come sarà la prossima Direzione (si era in prossimità del Capitolo), tuttavia sarà bene che ci sia un punto di unione fra la presente Direzione e la prossima, per quanto riguarda la Casa di Roma". "Come lei sa, rimarrei ancora qui in Messico molto volentieri, a lavorare in mezzo alla povera gente, ma . .. quando mi sono fatto missionario ho promesso disponibilità piena ai superiori. Quello che importa non è tanto essere in Messico o a Roma, ma fare la volontà di Dio. Se poi lei arrivasse, per vari motivi, a vedere che a Roma fanno anche senza di me, allora non ha che da avvisarmi!", replicò l'interessato. Commentando la nomina, p. Giorgio disse ai suoi amici: "Vedete, il dialogo con i superiori consiste in questo: ti dicono 'Qui c'è un piatto di pastasciutta da mangiare. Se dici sì, è come se ci fosse sopra il formaggio, se dici no... be'! Lo mangi senza formaggio"'. E rideva fregandosi le mani. A Roma fece anche parte del Segretariato per le Missioni e divenne parroco della parrocchia S. Alberto Magno (che allora aveva sede nella cappella della Casa).

Preghiera e sofferenza

I ricordi di p. Giorgio parroco e superiore a Roma sono tanti. Accenniamo solo alla cordialità che si instaurò immediatamente fra lui e i fedeli. Le sue prediche e le sue omelie, ben preparate ed estremamente pratiche, erano seguite e capite da tutti. Ma soprattutto si distinse per il contatto con gli anziani e gli ammalati della zona e per il suo spirito di preghiera. A Roma p. Giorgio entrò in contatto con numerosi sofferenti ai quali chiedeva l'offerta generosa delle loro pene per le vocazioni e per la Missione. Contattò una ventina di monasteri di clausura per avere preghiere per il medesimo scopo. Quando, nel 1979, lascerà Roma per il Messico, affiderà queste anime agli Amici Oranti delle Missioni, il Movimento che p. Mango porta avanti da l0 anni, per il bene della causa missionaria. Senza esibizioni e senza fanatismi, p. Giorgio faceva parte di alcuni gruppi Mariani e dei Focolarini. Ci si è accorti di quanto fosse intensa ed efficace la sua partecipazione il giorno del suo funerale a Verona, quando un sacerdote "focolarino" lesse un'antologia di brani ricavati dalle lettere di p. Giorgio. In quel momento, la settantina di concelebranti e i numerosi fedeli che gremivano perfino il corridoio antistante la cappella, si spiegarono come mai il padre avesse saputo soffrire così a lungo, così atrocemente e così allegramente.

Formazione permanente

Dal primo novembre 1979 p. Giorgio si trovò ancora destinato al Messico. A Roma p. Giorgio aveva fatto bene; aveva fatto del bene a tanti confratelli di passaggio e molto spesso con seri problemi. "Il mio lavoro attuale -scriveva p. Giorgio dal Messico nel 1980- consiste nella predicazione di ritiri, di Esercizi, nel fare conferenze ai confratelli sempre in vista della formazione permanente, nell'aiutare i confratelli che lavorano nella Colonia "Las Virgencitas", una parrocchia di 120 mila abitanti alla periferia di questa mostruosa capitale, tra povera gente che vive nell'ingiustizia e nello sfruttamento. Il lavoro mi piace in quanto posso contattare anche i confratelli che abitano nelle missioni più lontane e abbandonate" .

Scrivendo al p. Generale, in data 4 agosto 1980 dichiarava la "mia competa disposizione di obbedienza" e lo incoraggiava a portare avanti " le sei sfide che la missione oggi fa alla Congregazione" .

Un capitolo a parte meriterebbe il rapporto tra p. Canestrari e la diocesi di Verona. Ci sono numerose lettere con fatti interessanti. Spesso torna a parlare di Soave "il mio primo amore sacerdotale" .

La lunga strada della croce

Preceduto dalla notizia della sua malattia, p. Giorgio giunse a Verona nel maggio del 1986. La magrezza e il pallore del viso dicevano più di tante parole. Eppure si mostrò sempre uguale a se stesso, sereno, anzi pronto alla battuta umoristica. Per togliere i confratelli dall'imbarazzo, era lui che rompeva il ghiaccio dicendo: "Ho un cancro. Adesso mi operano, poi si vedrà ciò che vuole il Signore". Nei giorni seguenti l'operazione pareva volesse andarsene, invece superò la crisi. Ebbe la soddisfazione di celebrare nella cappella di Casa madre il 49° di sacerdozio insieme ai suoi compagni di messa, una ventina. La festa ebbe il suo coronamento in refettorio.. . L'ultima cena. Poi p. Giorgio si mise a letto cercando di fare il buon malato. Le sofferenze e i dolori diventavano ogni giorno più lancinanti. Ma a chi chiedeva se soffrisse rispondeva: "Non tanto, un pochino, qualcosetta". Rispondendo al superiore (p. Bressani) che gli chiedeva come andava, disse: "Beh! dire che sto bene non lo potrei ... un dolorino qua, uno là . Del resto i dottori mi hanno dato chi due mesi, chi sei . .. ma poi farà il Signore. Intanto io vivo giorno per giorno. Ogni giorno di vita è un dono di Dio; ed ogni giorno di sofferenza è un dono ancor più grande". Il fratello, la sorella e la cognata, insieme ai nipoti venivano spesso a trovarlo . Una sera, mentre il padre pareva assopito, la sorella bisbigliò: "Ma come è possibile che il Signore permetta tanta sofferenza!". Il padre girò la testa, aprì i suoi occhietti ancora vispi, e con gesto di rimprovero disse: "Un cristiano non domanda mai perché al Signore" , e si rigirò. Ad un gruppo di sacerdoti che erano venuto a fargli visita disse: "Ringraziate il Signore con me e per me. Io non mi sto preparando alla morte con preghiere o belle meditazioni, ma sto vivendo con gioia la mia preparazione all'abbraccio eterno col Signore. È bello sapere che tra poco mi incontrerò con il Signore. È una gioia grande".

Vien da pensare a ciò che ha scritto Henry Scott sulla morte: "Una nave dispiega le vele alla brezza mattutina e prende il largo. Io resto a guardare finché scompare all'orizzonte. Qualcuno al mio fianco dice: 'È andata!'. Ma lontano, qualche altro esclama: 'Ecco che viene"'. Questo è morire. Che la nave di p. Giorgio sia andata dritta al Porto, ce lo assicura la sua vita di autentico missionario, ce lo garantisce la corona del rosario dalla quale non si è mai separato neanche per un minuto. La sua salma riposa nella tomba dei missionari a Verona.  P . Lorenzo Gaiga

Da Mccj Bulletin n. 153, aprile 1987, pp.50-59