In Pace Christi

Sosio Valentino

Sosio Valentino
Data di nascita : 25/01/1911
Luogo di nascita : Valdidentro SO/I
Voti temporanei : 11/02/1932
Voti perpetui : 07/10/1936
Data ordinazione : 27/03/1937
Data decesso : 14/01/1987
Luogo decesso : Awasa/ET

«Vi sarebbe un giovanetto di 15 anni, sveglio ed intelligente, che desidererebbe iniziarsi alla carriera sacerdotale in un isti­tuto missionario, essendo sua intenzione di­venire un giorno missionario? Potrebbe ri­ceverlo nel suo istituto per iniziare gli studi ginnasiali?» Questa letterina del 27 settem­bre 1926 è scritta dal sacerdote Andrea Sosio di Buglio (Sondrio) al superiore dei Comboniani. La risposta deve essere stata affermativa se, l’8 ottobre, il parroco di Valdidentro, don Bradanini Albino, scriveva: «Ecco qui i documenti richiesti per il mio parrocchiano Sosio Valente. È il quinto di undici fratelli e sorelle. Fin da piccolo mo­strò inclinazioni alla vita religiosa, ma le circostanze di famiglia non gli permisero di assecondare questa sua inclinazione. Anzi, non poté nemmeno fare con profitto le scuo­le elementari perché la maggior parte del­l'anno doveva fare un viaggio di più di un'o­ra di cammino in mezzo alla neve e alla tor­menta, e a primavera troncare le scuole pri­ma che fossero finite per aiutare in famiglia. Ha una gran buona volontà e discreta intel­ligenza».

La mamma era morta per un attacco di cuore, per cui si può facilmente immagina­re come fosse la famiglia Sosio con undici figli da tirare su, e con scarsissime risorse economiche.

Entrato nella scuola apostolica di Brescia, si impegnò a fondo negli studi tanto da superare la quinta ginnasio con buoni voti. Si prestava generosamente anche ai lavori di pulizia della casa e di aiuto al lavandino (come si usava allora) con molta dedizione. La vita dura in famiglia prima di entrare tra i Comboniani gli aveva insegnato tante co­se. In tre anni, infatti, riuscì a ricuperare i cinque anni di ginnasio in modo da trovar­si alla pari con coloro che erano entrati a 12 anni.

Il 28 ottobre 1929 fece la vestizione nel noviziato di Venegono Superiore (vi era en­trato il 12 settembre), e poi cercò di appli­carsi come meglio poté per l'acquisto delle virtù proprie del missionario.

Un po' la salute, un po' l’incertezza se quella fosse la sua vera strada, tennero il gio­vane in grande angustia spirituale. I Supe­riori, vedendo in lui buona stoffa, tanta ge­nerosità ed una grande retta intenzione, aspettarono. Col tempo, la luce irruppe nel­la sua anima. Valentino emise i primi Voti a Verona, durante il liceo, l’11 novembre 1932.

Anche questa volta riuscì a raggiungere i compagni emettendo i Perpetui nel 1936.

Missionario in Etiopia

Con il suo carico di entusiasmo e di fede, p. Sosio partì per l'Etiopia nel 1938. Era missionario della Prefettura di Gondar. Gondar, Asmara, Kerker lo videro infatica­bile nell’apprendere la lingua e nel parlare con la gente. Una caratteristica della missionarietà di p. Valentino era la sua grande ca­pacità di ascoltare la gente. Stava ore ed ore ad ascoltare e a parlare. Qualcuno poteva pensare che ciò fosse tempo perso, invece p. Valentino diceva: "Siamo venuti per ascol­tare, prima che per insegnare". Quel suo modo di fare gli attirò la simpatia di tutti e gli permise di imparare quattro lingue e di conoscere gli usi e i costumi della gente.

In Etiopia, intanto, scoppiò la guerra. I missionari italiani divennero improvvi­samente "nemici" per gli inglesi e furono fatti prigionieri. P. Sosio, insieme a p. Pio Ferrari, finì in Rhodesia come cappellano dei prigionieri di guerra italiani. Il lavoro di questi nostri confratelli tra i prigionieri fu prezioso. È facile immaginare come tra uo­mini obbligati a stare lontano dalla famiglia ci fossero momenti di sconforto e di scoraggiamento. I missionari diventarono i loro amici e i loro fratelli, in grado di sostenere i più deboli con la parola, con il ricordo del­la patria lontana e dei famigliari che atten­devano. Il loro esempio di vita sacerdotale integra e di uomini di preghiera salvò la fe­de in tanti connazionali che, a distanza di anni, li ricordano ancora.

Scrivendo al padre Generale dall’Internment Camp. N. 3 - Southern Rhodesia, il 10 ottobre 1943 p. Sosio e p. Ferrari dicevano: "Vi abbiamo scritto spesse volte; abbiamo incaricato anche il rev. p. Bassanini Carlo delle Missioni estere di Milano di portarvi le nostre notizie. Così pure abbiamo pregato Mons. Tiziani, con gli ultimi rimpatriati. Noi stiamo bene, con la nostalgia della ca­sa religiosa viviamo nella speranza. Noi vo­gliamo vivere e morire per quei cari cristia­ni d'Etiopia. Rassicurate le nostre famiglie".

Due anni dopo, nel 1945, scrivevano: "Noi stiamo bene. Salutateci i famigliari dei quali nulla sappiamo". Questa era la vita di prigionia. Nel 1946, a guerra finita, poterono tornare alle loro missioni di Etio­pia (Collegio Comboni) dove p. Sosio sa­rebbe rimasto fino al 1950, data della sua prima vacanza in Italia.

A cavallo della sua cammella

Le vacanze in Italia furono brevissime, da luglio a novembre. Nel dicembre di quel­lo stesso 1950 era già ad Asmara con l’incarico di padre spirituale. Al sabato e alla do­menica faceva ministero nei villaggi.

Per essere più spedito nei suoi movimen­ti, si procurò una motocicletta che chiamò "la mia cammella". Quanti chilometri abbia fatto, nessuno lo sa. Preferibilmente cele­brava nella lingua del posto in modo che la gente potesse seguire e capire.

Curava in modo particolare le festività dei copti e si adattava alla loro mentalità con spirito veramente ecumenico. Aveva una particolare predilezione per i poveri e per gli ammalati che andava a trovare nelle loro ca­panne e ai quali portava sempre qualche pic­colo dono. Quante persone aspettavano pro­prio lui per ricevere i sacramenti e per pre­pararsi all'incontro con il Signore. Tuttavia gli restava in fondo all'anima la nostalgia della missione vera e propria.

Dopo due anni trascorsi in Italia come economo a Crema (1956-1957) e come ret­tore della chiesa della Santissima Trinità a Trento (1957-1958), poté tornare ad Asmara per riprendere il suo ufficio di padre spi­rituale. Con i giovani ci sapeva fare, sempre grazie a quella sua grande bontà di cuore e a quella disponibilità ad ascoltare e a capire.

Tra i Sidamo

La volta buona per entrare in pieno nel campo missionario strettamente detto, gli venne nel 1966 dopo l'apertura della prima missione comboniana tra i Sidamo del Sud Etiopia.

Partì per Awasa dopo aver imparato i ru­dimenti di una lingua etiopica assai diversa dal Tigrino... E ormai non era più un giova­notto. Aiutò, sempre col solito entusiasmo, a fondare alcune delle prime missioni.

"P. Sosio - dice p. Bellini - era sempre pronto a tutto e si impegnava in qualsiasi la­voro gli venisse richiesto. I suoi viaggi per trasportare il materiale erano frequenti e as­sai faticosi. Eppure li compiva con grande allegrezza. Questi viaggi gli erano occasio­ne di raccontare ai confratelli strabilianti avventure. L'allora Nunzio Ap. Mons. Mojoli riferiva con il suo diplomatico umori­smo di aver imparato da p. Sosio che cosa era il semiasse di una macchina.

Considerando alcune caratteristiche di p. Sosio, viene spontaneo dire che non è mai stato un'isola. Gli piaceva incontrare tutti e stare con tutti. Sì, non si poteva scansarlo: bisognava incontrarsi con lui, o magari scontrarsi.

"Chi lo aveva incontrato anche una sola volta - prosegue il p. Provinciale d'Etiopia - non lo dimenticava più. Lo conoscevano e stimavano moltissimi etiopici e non etiopi­ci, cattolici o di credenze diverse. Egli ci te­neva a presentarsi come missionario catto­lico, e dimostrava di esserlo, non nel senso dogmatico della parola, ma con la sua aper­tura e comprensione. Ha sempre avuto per tutti una parola ami­chevole ed un incoraggiamento. E come missionario è stato un seminatore di bene".

Tra il 1969 e il 1970 trascorse le sue va­canze a Rebbio dove si fece ben presto co­noscere ed amare. Poi di nuovo tra i Sidamo, a Tullo, ad Awasa come procuratore, a Dil­la e ancora ad Awasa come segretario del Vescovo, poi a Dongora.

Tra il giugno e l'agosto del 1979 trascor­se brevissime vacanze in Italia. In Etiopia le cose stavano cambiando e i missionari nel terrore di non poter ritornare, riducevano il tempo delle pur meritate vacanze.

Rientrato ad Awasa nel 1979, vi rimase fino al 1982 come vice parroco. Anche se gli anni cominciavano a pesargli, non si decise a mettere da parte la sua "cammella", che usò fino all'ultimo.

Vacanze  galeotte

Alla fine dell'82 era di nuovo sulla brec­cia, instancabile e rimesso a nuovo. Ma... l'età non è una buona compagnia per la sa­lute. E nell'86 era di nuovo in patria.

"A Verona mi hanno esaminato e, in complesso, sono stato promosso e dichiara­to abile a tornare in Africa. Con la sorella, sr. Valentina, del Karamoja, mi sto godendo questi mesi. I due fratelli mi vogliono un gran bene e così i parenti e i paesani". Era­no le sue ultime vacanze, gli ultimi mesi di vita che il Signore gli concedeva nella pace dei suoi monti insieme alla sorella che con lui aveva diviso le ansie e le gioie della vi­ta missionaria.

«Nell'agosto del 1986 - scrive p. Pasina - abbiamo fatto insieme gli Esercizi Spiri­tuali a Santa Caterina di Valfurva. P. Sosio vi partecipò molto intensamente. Era un uo­mo di fede cristallina. In Valtellina la fede dovette essere salvata e difesa anche con le armi nei secoli addietro. In p. Sosio era ri­masto un po' di questo spirito.  Qualche vol­ta, parlando amichevolmente, si lamentava di certi cambiamenti e soprattutto di certi modi di pensare e di agire quanto all'anima­zione vocazionale e alla formazione. Poi concludeva: “Qui non ci si capisce più. Me­glio andare a fare quello che si può in mis­sione e poi, se c'è da lasciarvici la pelle, la­sciarla tranquillamente come ha fatto Com­boni e come hanno fatto tanti missionari... Dio mi ha dato anche troppi anni!” Nelle sue battute c'era sempre un pizzico di buon umore per cui la conversazione era sempre piacevole».

Proprio nel bel mezzo delle vacanze, p. Sosio fu colpito da una brutta broncopolmo­nite. Per parecchie settimane rimase ricove­rato all'ospedale di Bormio. Appena poté reggersi, partì per la missione d'Etiopia si­curo che il clima più mite lo avrebbe rista­bilito.

Uomo di preghiera

Prima di partire, volle far visita alle Monache Benedettine di Grandate. Andava ad elemosinare preghiere per l'Etiopia. Appe­na giunto in missione scrisse una delle sue ultime lettere da cui si vede quale concetto avesse della preghiera quest'uomo che ave­va dedicata tanta parte della sua esistenza all'azione apostolica.

«Dopo il nostro incontro a Grandate il due agosto u.s. sento il dovere di ringraziar­vi tanto, tutte quante, per il vostro aiuto per la missione Sidamo e più ancora per le vo­stre preziose preghiere. Mi sono trovato in un momento molto brutto per le mie condi­zioni fisiche.

Ora mi basta essere rassegnato, ma devo saper accettare tutto dalle mani del buon Dio. Certo mi pesa non poter lavorare, a tempo pieno, come un tempo, con tutto il la­voro in questa grossa parrocchia. Infatti, fi­no a qualche mese fa, avevamo 15 comuni­tà cristiane con 5.500 fedeli su un raggio di 40 km. Adesso si sono aggiunte altre 24 co­munità, staccate dalla parrocchia di Awasa; si sono aggiunte con altri 4.000 fedeli e ci estendiamo fino a 70 km. su queste monta­gne senza strade. Siamo in tre padri (e io non conto molto), per cui non si riesce più a da­re la santa messa e i sacramenti a tutti, alme­no una volta al mese.

La cosa che ci preoccupa di più però è che il governo non rinnova il permesso di la­voro a chi è entrato nel paese come maestro. Fino ad ora non hanno negato i permessi a chi lavora nel campo sanitario. Se il miraco­lo non succede, ci strozzano e i nostri pove­ri cristiani dovranno solo pregare per con­servare la fede senza messa e sacramenti. Il vescovo comboniano, mons. Gasparini, sta chiedendo preghiere alle suore di clausura di vari conventi. È la cosa di cui abbiamo maggior bisogno. L'opera è del buon Dio e Lui sa quello che fa e farà meglio di noi. A noi l'essere fedeli, con tanta fede e confi­denza nel suo aiuto.

Io anche vi scrivo, chiedendo questo vostro prezioso aiuto. E pensare che qui tanti vogliono la fede e in genere corrispondono abbastanza bene, ma bisognerebbe anche stare molto con loro, assisterli, incoraggiar­li e visitarli più spesso. Durante le piogge poi è difficile raggiungere tutte le cappelle con la macchina anche con le gomme da fango e catene. Bisogna viaggiare a piedi parecchio. Avessimo le belle strade d'Ita­lia!

Sono arrivato qui il 15 ottobre u.s. aven­do lasciato Roma il 6 ottobre.

Ora sono contento d'essere riuscito ad arrivarci e se mi rimetto ancora un poco non sarò solo "la dama dì compagnia" della co­munità, ma missionario. Comunque sono nelle mani del Signore e quello che lui di­spone sarà sempre per il meglio.

Mi raccomando alle vostre preghiere, i bisogni sono tanti e di vario genere. Speria­mo di poter dare un po' di speranza e confor­to a questa nostra gente. Rinnovando gli au­guri e cari saluti nel Signore Gesù, sono il vostro aff.mo p. Valentino».

L'ultimo biglietto per la Madonna

L'aria dell'Etiopia non gli fece quel be­ne che gli aveva fatto altre volte. Si accorge­va che la ripresa era lenta e questo gli cau­sava qualche momento di depressione. So­prattutto si rammaricava di non poter ri­prendere il lavoro con quell'energia che avrebbe voluto e che le esigenze della mis­sione di Tullo richiedevano.

Aveva anche rimesso in ordine la sua "cammella". Per la celebrazione del Natale etiopico (7 gennaio) si era recato ad una cap­pella vicina: Worancia. La calorosa acco­glienza dei cristiani e la partecipazione di questi ai sacramenti lo avevano lasciato contento, per cui tornò a casa apparente­mente poco stanco.

A distanza di pochi giorni, però, provò un improvviso malessere e dovette mettersi a letto. Fu subito chiamata la dottoressa del vicino ospedale di Bushullo. Le analisi e gli alti e bassi della febbre fecero sospet­tare che si trattasse di malaria. Sr. Bona e sr. Silvia, esperte infermiere, lo assistevano in continuazione. La dottoressa lo visitava tut­ti i giorni.

Un improvviso miglioramento lasciava sperare in una definitiva guarigione. Invece seguì il crollo, dovuto probabilmente a un attacco di malaria perniciosa con blocco re­nale.

P. Sosio, che si rendeva perfettamente conto della situazione ed era sereno, chiese i Sacramenti. Mons. Gasparini glieli ammi­nistrò. Pregarono a lungo insieme. Poi il morente chiese un biglietto ed una penna e si mise a scrivere un'invocazione alla Ma­donna. Poco dopo, quasi improvvisamente, spirava. Erano le ore 23 del 14 gennaio.                   P. Lorenzo Gaiga