«Vi sarebbe un giovanetto di 15 anni, sveglio ed intelligente, che desidererebbe iniziarsi alla carriera sacerdotale in un istituto missionario, essendo sua intenzione divenire un giorno missionario? Potrebbe riceverlo nel suo istituto per iniziare gli studi ginnasiali?» Questa letterina del 27 settembre 1926 è scritta dal sacerdote Andrea Sosio di Buglio (Sondrio) al superiore dei Comboniani. La risposta deve essere stata affermativa se, l’8 ottobre, il parroco di Valdidentro, don Bradanini Albino, scriveva: «Ecco qui i documenti richiesti per il mio parrocchiano Sosio Valente. È il quinto di undici fratelli e sorelle. Fin da piccolo mostrò inclinazioni alla vita religiosa, ma le circostanze di famiglia non gli permisero di assecondare questa sua inclinazione. Anzi, non poté nemmeno fare con profitto le scuole elementari perché la maggior parte dell'anno doveva fare un viaggio di più di un'ora di cammino in mezzo alla neve e alla tormenta, e a primavera troncare le scuole prima che fossero finite per aiutare in famiglia. Ha una gran buona volontà e discreta intelligenza».
La mamma era morta per un attacco di cuore, per cui si può facilmente immaginare come fosse la famiglia Sosio con undici figli da tirare su, e con scarsissime risorse economiche.
Entrato nella scuola apostolica di Brescia, si impegnò a fondo negli studi tanto da superare la quinta ginnasio con buoni voti. Si prestava generosamente anche ai lavori di pulizia della casa e di aiuto al lavandino (come si usava allora) con molta dedizione. La vita dura in famiglia prima di entrare tra i Comboniani gli aveva insegnato tante cose. In tre anni, infatti, riuscì a ricuperare i cinque anni di ginnasio in modo da trovarsi alla pari con coloro che erano entrati a 12 anni.
Il 28 ottobre 1929 fece la vestizione nel noviziato di Venegono Superiore (vi era entrato il 12 settembre), e poi cercò di applicarsi come meglio poté per l'acquisto delle virtù proprie del missionario.
Un po' la salute, un po' l’incertezza se quella fosse la sua vera strada, tennero il giovane in grande angustia spirituale. I Superiori, vedendo in lui buona stoffa, tanta generosità ed una grande retta intenzione, aspettarono. Col tempo, la luce irruppe nella sua anima. Valentino emise i primi Voti a Verona, durante il liceo, l’11 novembre 1932.
Anche questa volta riuscì a raggiungere i compagni emettendo i Perpetui nel 1936.
Missionario in Etiopia
Con il suo carico di entusiasmo e di fede, p. Sosio partì per l'Etiopia nel 1938. Era missionario della Prefettura di Gondar. Gondar, Asmara, Kerker lo videro infaticabile nell’apprendere la lingua e nel parlare con la gente. Una caratteristica della missionarietà di p. Valentino era la sua grande capacità di ascoltare la gente. Stava ore ed ore ad ascoltare e a parlare. Qualcuno poteva pensare che ciò fosse tempo perso, invece p. Valentino diceva: "Siamo venuti per ascoltare, prima che per insegnare". Quel suo modo di fare gli attirò la simpatia di tutti e gli permise di imparare quattro lingue e di conoscere gli usi e i costumi della gente.
In Etiopia, intanto, scoppiò la guerra. I missionari italiani divennero improvvisamente "nemici" per gli inglesi e furono fatti prigionieri. P. Sosio, insieme a p. Pio Ferrari, finì in Rhodesia come cappellano dei prigionieri di guerra italiani. Il lavoro di questi nostri confratelli tra i prigionieri fu prezioso. È facile immaginare come tra uomini obbligati a stare lontano dalla famiglia ci fossero momenti di sconforto e di scoraggiamento. I missionari diventarono i loro amici e i loro fratelli, in grado di sostenere i più deboli con la parola, con il ricordo della patria lontana e dei famigliari che attendevano. Il loro esempio di vita sacerdotale integra e di uomini di preghiera salvò la fede in tanti connazionali che, a distanza di anni, li ricordano ancora.
Scrivendo al padre Generale dall’Internment Camp. N. 3 - Southern Rhodesia, il 10 ottobre 1943 p. Sosio e p. Ferrari dicevano: "Vi abbiamo scritto spesse volte; abbiamo incaricato anche il rev. p. Bassanini Carlo delle Missioni estere di Milano di portarvi le nostre notizie. Così pure abbiamo pregato Mons. Tiziani, con gli ultimi rimpatriati. Noi stiamo bene, con la nostalgia della casa religiosa viviamo nella speranza. Noi vogliamo vivere e morire per quei cari cristiani d'Etiopia. Rassicurate le nostre famiglie".
Due anni dopo, nel 1945, scrivevano: "Noi stiamo bene. Salutateci i famigliari dei quali nulla sappiamo". Questa era la vita di prigionia. Nel 1946, a guerra finita, poterono tornare alle loro missioni di Etiopia (Collegio Comboni) dove p. Sosio sarebbe rimasto fino al 1950, data della sua prima vacanza in Italia.
A cavallo della sua cammella
Le vacanze in Italia furono brevissime, da luglio a novembre. Nel dicembre di quello stesso 1950 era già ad Asmara con l’incarico di padre spirituale. Al sabato e alla domenica faceva ministero nei villaggi.
Per essere più spedito nei suoi movimenti, si procurò una motocicletta che chiamò "la mia cammella". Quanti chilometri abbia fatto, nessuno lo sa. Preferibilmente celebrava nella lingua del posto in modo che la gente potesse seguire e capire.
Curava in modo particolare le festività dei copti e si adattava alla loro mentalità con spirito veramente ecumenico. Aveva una particolare predilezione per i poveri e per gli ammalati che andava a trovare nelle loro capanne e ai quali portava sempre qualche piccolo dono. Quante persone aspettavano proprio lui per ricevere i sacramenti e per prepararsi all'incontro con il Signore. Tuttavia gli restava in fondo all'anima la nostalgia della missione vera e propria.
Dopo due anni trascorsi in Italia come economo a Crema (1956-1957) e come rettore della chiesa della Santissima Trinità a Trento (1957-1958), poté tornare ad Asmara per riprendere il suo ufficio di padre spirituale. Con i giovani ci sapeva fare, sempre grazie a quella sua grande bontà di cuore e a quella disponibilità ad ascoltare e a capire.
Tra i Sidamo
La volta buona per entrare in pieno nel campo missionario strettamente detto, gli venne nel 1966 dopo l'apertura della prima missione comboniana tra i Sidamo del Sud Etiopia.
Partì per Awasa dopo aver imparato i rudimenti di una lingua etiopica assai diversa dal Tigrino... E ormai non era più un giovanotto. Aiutò, sempre col solito entusiasmo, a fondare alcune delle prime missioni.
"P. Sosio - dice p. Bellini - era sempre pronto a tutto e si impegnava in qualsiasi lavoro gli venisse richiesto. I suoi viaggi per trasportare il materiale erano frequenti e assai faticosi. Eppure li compiva con grande allegrezza. Questi viaggi gli erano occasione di raccontare ai confratelli strabilianti avventure. L'allora Nunzio Ap. Mons. Mojoli riferiva con il suo diplomatico umorismo di aver imparato da p. Sosio che cosa era il semiasse di una macchina.
Considerando alcune caratteristiche di p. Sosio, viene spontaneo dire che non è mai stato un'isola. Gli piaceva incontrare tutti e stare con tutti. Sì, non si poteva scansarlo: bisognava incontrarsi con lui, o magari scontrarsi.
"Chi lo aveva incontrato anche una sola volta - prosegue il p. Provinciale d'Etiopia - non lo dimenticava più. Lo conoscevano e stimavano moltissimi etiopici e non etiopici, cattolici o di credenze diverse. Egli ci teneva a presentarsi come missionario cattolico, e dimostrava di esserlo, non nel senso dogmatico della parola, ma con la sua apertura e comprensione. Ha sempre avuto per tutti una parola amichevole ed un incoraggiamento. E come missionario è stato un seminatore di bene".
Tra il 1969 e il 1970 trascorse le sue vacanze a Rebbio dove si fece ben presto conoscere ed amare. Poi di nuovo tra i Sidamo, a Tullo, ad Awasa come procuratore, a Dilla e ancora ad Awasa come segretario del Vescovo, poi a Dongora.
Tra il giugno e l'agosto del 1979 trascorse brevissime vacanze in Italia. In Etiopia le cose stavano cambiando e i missionari nel terrore di non poter ritornare, riducevano il tempo delle pur meritate vacanze.
Rientrato ad Awasa nel 1979, vi rimase fino al 1982 come vice parroco. Anche se gli anni cominciavano a pesargli, non si decise a mettere da parte la sua "cammella", che usò fino all'ultimo.
Vacanze galeotte
Alla fine dell'82 era di nuovo sulla breccia, instancabile e rimesso a nuovo. Ma... l'età non è una buona compagnia per la salute. E nell'86 era di nuovo in patria.
"A Verona mi hanno esaminato e, in complesso, sono stato promosso e dichiarato abile a tornare in Africa. Con la sorella, sr. Valentina, del Karamoja, mi sto godendo questi mesi. I due fratelli mi vogliono un gran bene e così i parenti e i paesani". Erano le sue ultime vacanze, gli ultimi mesi di vita che il Signore gli concedeva nella pace dei suoi monti insieme alla sorella che con lui aveva diviso le ansie e le gioie della vita missionaria.
«Nell'agosto del 1986 - scrive p. Pasina - abbiamo fatto insieme gli Esercizi Spirituali a Santa Caterina di Valfurva. P. Sosio vi partecipò molto intensamente. Era un uomo di fede cristallina. In Valtellina la fede dovette essere salvata e difesa anche con le armi nei secoli addietro. In p. Sosio era rimasto un po' di questo spirito. Qualche volta, parlando amichevolmente, si lamentava di certi cambiamenti e soprattutto di certi modi di pensare e di agire quanto all'animazione vocazionale e alla formazione. Poi concludeva: “Qui non ci si capisce più. Meglio andare a fare quello che si può in missione e poi, se c'è da lasciarvici la pelle, lasciarla tranquillamente come ha fatto Comboni e come hanno fatto tanti missionari... Dio mi ha dato anche troppi anni!” Nelle sue battute c'era sempre un pizzico di buon umore per cui la conversazione era sempre piacevole».
Proprio nel bel mezzo delle vacanze, p. Sosio fu colpito da una brutta broncopolmonite. Per parecchie settimane rimase ricoverato all'ospedale di Bormio. Appena poté reggersi, partì per la missione d'Etiopia sicuro che il clima più mite lo avrebbe ristabilito.
Uomo di preghiera
Prima di partire, volle far visita alle Monache Benedettine di Grandate. Andava ad elemosinare preghiere per l'Etiopia. Appena giunto in missione scrisse una delle sue ultime lettere da cui si vede quale concetto avesse della preghiera quest'uomo che aveva dedicata tanta parte della sua esistenza all'azione apostolica.
«Dopo il nostro incontro a Grandate il due agosto u.s. sento il dovere di ringraziarvi tanto, tutte quante, per il vostro aiuto per la missione Sidamo e più ancora per le vostre preziose preghiere. Mi sono trovato in un momento molto brutto per le mie condizioni fisiche.
Ora mi basta essere rassegnato, ma devo saper accettare tutto dalle mani del buon Dio. Certo mi pesa non poter lavorare, a tempo pieno, come un tempo, con tutto il lavoro in questa grossa parrocchia. Infatti, fino a qualche mese fa, avevamo 15 comunità cristiane con 5.500 fedeli su un raggio di 40 km. Adesso si sono aggiunte altre 24 comunità, staccate dalla parrocchia di Awasa; si sono aggiunte con altri 4.000 fedeli e ci estendiamo fino a 70 km. su queste montagne senza strade. Siamo in tre padri (e io non conto molto), per cui non si riesce più a dare la santa messa e i sacramenti a tutti, almeno una volta al mese.
La cosa che ci preoccupa di più però è che il governo non rinnova il permesso di lavoro a chi è entrato nel paese come maestro. Fino ad ora non hanno negato i permessi a chi lavora nel campo sanitario. Se il miracolo non succede, ci strozzano e i nostri poveri cristiani dovranno solo pregare per conservare la fede senza messa e sacramenti. Il vescovo comboniano, mons. Gasparini, sta chiedendo preghiere alle suore di clausura di vari conventi. È la cosa di cui abbiamo maggior bisogno. L'opera è del buon Dio e Lui sa quello che fa e farà meglio di noi. A noi l'essere fedeli, con tanta fede e confidenza nel suo aiuto.
Io anche vi scrivo, chiedendo questo vostro prezioso aiuto. E pensare che qui tanti vogliono la fede e in genere corrispondono abbastanza bene, ma bisognerebbe anche stare molto con loro, assisterli, incoraggiarli e visitarli più spesso. Durante le piogge poi è difficile raggiungere tutte le cappelle con la macchina anche con le gomme da fango e catene. Bisogna viaggiare a piedi parecchio. Avessimo le belle strade d'Italia!
Sono arrivato qui il 15 ottobre u.s. avendo lasciato Roma il 6 ottobre.
Ora sono contento d'essere riuscito ad arrivarci e se mi rimetto ancora un poco non sarò solo "la dama dì compagnia" della comunità, ma missionario. Comunque sono nelle mani del Signore e quello che lui dispone sarà sempre per il meglio.
Mi raccomando alle vostre preghiere, i bisogni sono tanti e di vario genere. Speriamo di poter dare un po' di speranza e conforto a questa nostra gente. Rinnovando gli auguri e cari saluti nel Signore Gesù, sono il vostro aff.mo p. Valentino».
L'ultimo biglietto per la Madonna
L'aria dell'Etiopia non gli fece quel bene che gli aveva fatto altre volte. Si accorgeva che la ripresa era lenta e questo gli causava qualche momento di depressione. Soprattutto si rammaricava di non poter riprendere il lavoro con quell'energia che avrebbe voluto e che le esigenze della missione di Tullo richiedevano.
Aveva anche rimesso in ordine la sua "cammella". Per la celebrazione del Natale etiopico (7 gennaio) si era recato ad una cappella vicina: Worancia. La calorosa accoglienza dei cristiani e la partecipazione di questi ai sacramenti lo avevano lasciato contento, per cui tornò a casa apparentemente poco stanco.
A distanza di pochi giorni, però, provò un improvviso malessere e dovette mettersi a letto. Fu subito chiamata la dottoressa del vicino ospedale di Bushullo. Le analisi e gli alti e bassi della febbre fecero sospettare che si trattasse di malaria. Sr. Bona e sr. Silvia, esperte infermiere, lo assistevano in continuazione. La dottoressa lo visitava tutti i giorni.
Un improvviso miglioramento lasciava sperare in una definitiva guarigione. Invece seguì il crollo, dovuto probabilmente a un attacco di malaria perniciosa con blocco renale.
P. Sosio, che si rendeva perfettamente conto della situazione ed era sereno, chiese i Sacramenti. Mons. Gasparini glieli amministrò. Pregarono a lungo insieme. Poi il morente chiese un biglietto ed una penna e si mise a scrivere un'invocazione alla Madonna. Poco dopo, quasi improvvisamente, spirava. Erano le ore 23 del 14 gennaio. P. Lorenzo Gaiga