Terzo di una famiglia di otto fratelli, e primo dei maschi, Natale Magistrelli trascorse la sua infanzia aiutando il papà che lavorava alcuni campi di sua proprietà. Secondo la stagione, doveva arrampicarsi sui gelsi per procurare il cibo ai bachi da seta che allora costituivano l'entrata principale della famiglia, o entrare nelle risaie, sfidando le sanguisughe e le zanzare. La fede genuina che si viveva in famiglia, accompagnata dal sacrificio per campare e dalla pratica dei sacramenti, contribuì a dare al giovane un carattere forte, attento alle cose sostanziali e sempre ottimista. Ragazzino di 10 anni, Natale si prestò con i compagni più grandi di lui a raccogliere carta, stracci e ferri vecchi per la costruzione del nuovo oratorio che poi frequentò con assiduità e profitto. Col passare del tempo divenne muratore. Alla domenica, però, non mancava mai all'oratorio per animare i coetanei. Era infatti attivista di Azione Cattolica. "Dolce e semplice - scrive un compagno - non spiccava in dialettica, come altri giovani, ma al momento giusto si inseriva nella discussione con la parola giusta". Durante l'Anno Santo 1950 andò a Roma con altri giovani dell'oratorio. In quella circostanza confidò ad un amico che presto si sarebbe fatto missionario comboniano. Il 25 settembre 1950 entrò in noviziato a Gozzano. Il suo parroco, don Ezio Re, scrisse ai superiori: "La famiglia è buona e sta maturando altre vocazioni. Il giovane ha fatto il militare lo scorso anno e, al suo ritorno, non ho notato nulla di cambiato. Lo vedo ai santi sacramenti tutte le domeniche (durante la settimana lavora a Milano come muratore). La sua condotta è ottima sotto ogni aspetto". I giovani dell'oratorio festeggiarono la sua partenza con vera partecipazione e gli regalarono un vangelo con una lunga dedica. Gli resteranno sempre vicino anche quando sarà missionario.
Al servizio del Re dei re
È interessante vedere che cosa ha scritto Natale prima di entrare tra i comboniani. Riportiamo alcuni pensieri: "Gradirei entrare il più presto possibile perché, dalla poca esperienza della mia giovane vita, ho trovato che, restando nel mondo come semplice operaio, è troppo facile seguire una cattiva strada. E allora è meglio servire il Signore se vogliamo goderlo nell'altra vita. Questa mia vocazione è nata mentre stavo meditando un poco 'Le domande che attendono una risposta' che di tanto in tanto mettete su Nigrizia" (senza data). "Recito le preghiere tutte le mattine e le sere. Vado in chiesa spesso e faccio la comunione tutte le domeniche. Mi confesso una volta o due al mese. Durante il giorno non passa mai un'ora senza che mi ricordi del Signore. Fin da quando ero bambino ho incominciato ad avere il desiderio di fare qualcosa per il Signore. Leggo le riviste e i libri missionari" (19 luglio 1950). "È già passato un mese da quando sono venuto a Verona a parlare con lei (scrive a p. Leonzio Bano). Ho tardato a mandare i documenti perché l'impiegato è andato in ferie. Ora voleva legalizzarmeli, ma temo che perda del tempo per cui li mando così come sono... Già mi pare di essere il giovane più felice del paese e non vedo l'ora che arrivi il giorno in cui lascerò questo mio paese natio con tutto il mondo egoista e peccatore, per venire con voi a lavorare solamente per il nostro caro Redentore. Spero che questo giorno venga presto" (30 agosto 1950). "Entrerò il 25 di questo mese con il permesso di papà e mamma che sono un po' addolorati di vedermi partire, ma anche contenti perché vado a servire il Re dei re... Gradirei conoscere il nome del padre maestro per poter inviare qualche mia lettera allo scopo di fare conoscenza... Vorrei sapere se la barba si lascia crescere subito o bisogna portare qualcosa per raderla. A dire la verità preferirei lasciarla crescere subito" (6 settembre 1950). E scrivendo a p. Giordani, maestro dei novizi: "Gradirei sapere come si passa la giornata in noviziato per prepararmi bene in modo da comportarmi discretamente. In attesa della vostra risposta prego la Madre Celeste perché mi guidi al porto sicuro e mi formi da bravo Fratello che salva tante anime care a Gesù. Vi mando tanti saluti e prego anche per voi perché possiate guidarmi presto verso la via della santità per sempre". Espressioni semplici, se vogliamo, ma che indicano un cuore ed una mente già determinati alla vita missionaria e alla perfezione religiosa.
Un po' qua un po' là
Fr. Magistrelli ebbe un noviziato molto movimentato. Dal settembre del 1950 all'agosto del '51 fu a Gozzano. Dall'agosto del '51 al novembre dello stesso anno a Firenze, poi a Cincinnati fino all'agosto del '52; quindi a Monroe dove il 19 marzo 1953 emise i Voti temporanei. Gli incarichi che ricoprì in questo periodo furono quelli di muratore e di cuoco. I giudizi dei rispettivi padri maestri concordano e sono lusinghieri. "È un buon elemento - scrive p. Giordani nel 1951 - di buon giudizio, energico, piuttosto rude, senza sentimentalismi, generoso, non sfugge il sacrificio, riflessivo, obbediente. Fatto giù alla buona, è senza pretese. La sua tenacia è una virtù, ma potrebbe diventare un difetto. Sempre sereno, di compagnia, sembra una vocazione sicura". P. Gabriele Chiodi, maestro a Monroe: "Buono, di pietà, gran lavoratore. Non ha paura dei lavori pesanti, anzi! Io mi sento tranquillo nel raccomandarlo. Ha buone doti di criterio nei suoi lavori e nella vita pratica e religiosa. Non trova difficoltà nell'osservanza dei Voti e delle regole. Il suo difetto principale è la tenacia che alle volte diventa cocciutaggine, ma nel senso del bene".
Nella squadra volante
Terminato il noviziato, fr. Magistrelli fu inviato a Verona, dove restò dal novembre del 1953 al maggio del 1956. Entrò in quel famoso gruppo di fratelli incaricati di spostarsi nelle varie comunità comboniane per compiervi dei lavori. Il gruppo si chiamava "la squadra volante" e si rese benemerito per tante costruzioni tirate su in fretta e bene in quel periodo di espansione della Congregazione. Parlando di Magistrelli, p. G. Rizzi, allora superiore di circoscrizione, ebbe a dire: "Se persevera sarà di grande buon esempio a tutti nella perfezione religiosa". Sempre come muratore ormai specializzato, dal maggio del 1956 al maggio del 1957 fu a Sunningdale, e dal 1957 al 1960 a Mirfield, in Inghilterra. Dotato di una salute di ferro, lavorò con quella tenacia e quell'entusiasmo che erano connaturali al suo carattere, vivificati in più dalla fede. Quasi come premio per il suo zelo e attaccamento alla vocazione, ottenne di pronunciare i Voti perpetui con un anno di anticipo. La lettera che p. L. Urbani, provinciale d'Inghilterra, scrisse al p. Generale è esplicita: "Fr. Magistrelli mi ha ripetutamente pregato di ottenergli la grazia di poter fare i Voti perpetui al più presto. Sottometto la domanda ufficiale con la pagella accompagnatoria e prego vostra paternità di concedergli di fare i Voti alla fine degli esercizi annuali che faremo alla fine di luglio. Merita davvero un trattamento di eccezione per la sua bontà e laboriosità" (14 aprile 1958). Entrando in noviziato Magistrelli aveva scritto: "La mia determinazione è di vivere e morire in questa Congregazione e di onorarla con la mia condotta". Ai Voti perpetui scrisse: "Ringrazio e lodo Dio di tutto cuore per la grande grazia che mi ha concesso. La Madonna e San Giuseppe hanno avuto verso di me una benigna protezione che certamente non mi sono meritato. Chiedo perdono delle mancanze che ho commesso in questi anni... voglio spendere tutto il resto della mia vita a maggior gloria di Dio e per la salvezza delle anime". Post mortem, possiamo dire che fr. Magistrelli fu fedele ai suoi propositi di donazione incondizionata a Dio e ai fratelli.
Finalmente in Africa
Dopo tanta attesa, nel febbraio del 1961 fr. Natale poteva salpare per l'Africa. Sua destinazione fu Angal, dove c'erano tanti lavori che richiedevano un valido muratore. Infatti il Fratello si impegnò a fondo nella costruzione-ampliamento dell'ospedale e della missione. Scrisse suor Angioletta Pagani che fu con lui per 18 anni: "Insieme abbiamo sofferto e goduto quando vedevamo sorgere nuovi locali per l'ospedale. Ha lavorato tanto ed ha aiutato a fornire la missione di tutto quello che ora si vede. Fr. Natale ha percorso anche un'ascesi spirituale molto forte. Mi accorgevo da un anno all'altro: anche durante il lavoro era in contatto con Dio. Riferiva a Dio ogni gioia e ogni dolore. Ecco il suo motto: 'Lui è il padrone. Noi siamo servi inutili'. Il Signore l'ha trovato pronto e sono sicura che in paradiso ha raggiunto un alto grado, pari ai santi". Dopo 6 anni di attività ad Angal, fr. Natale tornò in Italia per un po' di vacanze. Vacanze per modo di dire! Infatti fu inviato ad Asti per costruire quella casa insieme ad altri fratelli della "squadra volante". Nell'agosto del 1968 era di nuovo ad Angal dove rimarrà praticamente fino alla morte, salvo le regolari vacanze in patria.
A proposito di vacanze
Il tempo delle vacanze in Italia diventava, per fr. Natale, il momento dell'animazione missionaria nella sua zona. "Ma, essendo piuttosto timido e taciturno - dice la sorella Lucia - andavo io in giro per le famiglie e anche in qualche parrocchia per proiettare i filmini che fr. Natale portava con sé. Noi sorelle passavamo gli inverni a fare lavoretti che poi vendevamo per poter aiutare il nostro fratello missionario. Così, un poco alla volta, siamo riuscite a comprargli il primo trattore, la falciatrice, il congelatore ed altri attrezzi di falegnameria e di meccanica. Devo dire che il gruppo missionario parrocchiale ha lavorato molto e bene per sostenere le iniziative di promozione umana di Natale, in Africa. Egli parlava poco, ma parlava bene. E la gente restava convinta delle sue testimonianze di vita missionaria. Sì, devo dire che contagiava di missionarietà tutti quelli che accostava... Quando era al paese per le vacanze si vedeva chiaramente che era qui solo col corpo, il suo spirito e la sua anima erano in Africa. Ha amato davvero l'Africa e gli Africani, nostro fratello. Proprio come Mons. Comboni".
Un vero fratello
P. Vittorino Cona, provinciale d'Uganda, scrive: "Fr. Natale ha passato 26 anni in missione, sempre ad Angal. Visse il vero ministero del fratello missionario comboniano, insegnando alla gente a lavorare molto, ad essere onesti, ad essere fedeli a Dio e alla loro famiglia come lo era lui nei confronti della sua comunità. Al funerale tutti, il parroco, il cancelliere diocesano, gli anziani della parrocchia... testimoniarono che fr. Natale era un gran lavoratore ed un uomo di preghiera, un amico del popolo tanto da meritarsi il titolo di 'vero Alur"'. Ai suoi funerali assistette anche il p. Generale che per una disfunzione nei servizi aerei, giunse ad Angal mentre il fratello spirava. Il p. Generale disse: "Fr. Natale è considerato da tutti un vero missionario, perfettamente realizzato ed identificato con la sua vocazione. Col suo esempio, con le sue lunghe ore di preghiera, con il ministero del lavoro in tutti i settori, dall'officina all'edilizia, dai campi alla stalla... ha veramente vissuto quell'ideale di fratello comboniano voluto dal Fondatore all'inizio della sua attività missionaria nel cuore dell'Africa". I dottori, le suore, i confratelli sottolinearono la sorridente disponibilità di Fr. Natale per qualsiasi tipo di lavoro e sempre. Le prime e le ultime ore del giorno erano riservate al Signore. Al mattino chiedeva forza per affrontare gli impegni derivanti dall'ospedale, dalle scuole, dal garage e dall'azienda agricola; alla sera la sua era una preghiera di ringraziamento e di relax. P. Lorenzo Bono non esita a definire fr. Natale come l'uomo della Provvidenza in un'Africa provata da tanti dolori. "A prima vista - dice p. Bono - sembrava un uomo di poche capacità. Ciò gli derivava dalla sua umiltà, dal desiderio di non apparire, di non mettersi in mostra. In realtà sapeva fare di tutto e bene: il muratore, l'architetto... La parrocchia di Angal deve a lui la massima parte delle cappelle costruite nei vari villaggi. Altrettanto dicasi per il catecumenato, buona parte dell'ospedale, case per i catechisti e i dottori, il restauro della chiesa parrocchiale e tante altre opere. Come abile meccanico, teneva in ordine i generatori per l'acqua e per la luce. Era uno specialista nell'agricoltura e nell'allevamento del bestiame. Seppe portare ad Angal, nonostante le immense difficoltà, vacche di razza per la carne e per il latte. Quale Provvidenza! E poi che cosa non fece per impiantare una sega per tagliare i tronchi in modo da avere a disposizione legname adatto senza dipendere da altri! Le fatiche alle quali si sottopose per tagliare mogani e portarli a casa furono forse la causa della sua morte prematura. Lo vidi io spingere il trattore su per le rapide salite di Pamora Ambere, molte volte senza mangiare e bere. Quante volte gli dissi: 'Fratello, lascia stare, ché ti rovini la salute'. 'Padre - rispondeva - bisogna tribolare per guadagnarsi il paradiso"'.
Uomo di fede
"I suoi ragionamenti - prosegue p. Bono - erano sempre basati sulla fede e sulla volontà di Dio. Durante la sua ultima malattia non faceva che ripetere: 'Come vuole il Signore'. Mai un lamento, mai una recriminazione, mai una parola contro chicchessia. Era poi umile e di grande preghiera. Sentiva la preghiera come una vera necessità per la sua anima. Un'altra cosa mi ha sempre colpito nel nostro fratello: il suo spirito di povertà. Riceveva tanti pacchi e regali dalla sorella Lucia, ma lui distribuiva tutto agli altri. Odiava le cose superflue e inutili. Anche con se stesso era molto austero e amante del sacrificio. Rifuggiva dalle novità e dalle idee peregrine. Voleva fatti, non parole. Insomma, per me (e l'ho conosciuto bene) fr. Natale era un vero uomo di Dio". Il dr. Mario Marsiaj e sua moglie Claudia vissero accanto a fr. Natale per 20 anni. "Parlava poco, ma di tanto in tanto veniva fuori con una frase piena di significato, di saggezza, di particolare humor, che ci faceva capire che cosa si nascondeva sotto quella scorza di uomo duro, privo di fronzoli, ricco di una profonda spiritualità e soprattutto di un'immensa fede. Poiché tra le sue mille incombenze c'era anche la manutenzione dell'ospedale, non poche volte avemmo con lui delle vivaci discussioni poiché, vedendo noi il problema sotto il punto di vista sanitario, e pensando che la soluzione dovesse essere immediata, non ci calavamo nel suo mondo più complesso di missionario. Essendo infatti lui immerso da molti anni nel mondo africano, con mentalità e ritmi ben diversi dai nostri, affrontava e risolveva i problemi senza ansie e drammaticità intercalando nel suo discorso quella parola "podi" che in dialetto Alur significa "non ancora". Col passare degli anni la reciproca conoscenza ed amicizia crebbe in noi a tal punto che, quando nel 1985 ritornammo ad Angal, ci sentivamo tutti lavoratori della stessa vigna, veramente amici".
L'arte di "passar sopra"
Scrive p. Felice Centis: "Ero presente quando il dr. Marsiaj gli rivelò - su sua richiesta - che aveva un cancro praticamente incurabile. Sorridendo - ma si vedeva quanto gli costava quel sorriso - disse. 'Quel che Dio vuole. Però voglio morire qui'. E per la prima volta vidi scorrere due lacrime appena percettibili su quel volto virile, forte e quasi ruvido. Lo stesso sorriso e lo stesso 'Quel che Dio vuole' quando lo salutai ad Entebbe in gennaio al suo rientro in Italia per possibili rimedi miracolosi, e quando gli diedi l'ultimo abbraccio a Roma in maggio prima del suo ritorno 'a morire' in Uganda. Era un uomo forte fisicamente e spiritualmente. La sua volontà d'acciaio lo mantenne fedelissimo alla sua vita religiosa, instancabile al lavoro fin quasi all'eccesso, incrollabile nei suoi principi, perseverante a dispetto di ogni ostacolo od opposizione che egli smantellava con brevi scatti di collera ma più spesso col suo caratteristico sorriso. La sua figura morale e la grande opera da lui lasciata ad Angal - di cui tutta l'Uganda può parlare - non si spiegano senza l'essenziale apporto della grazia che lui quotidianamente otteneva con le sue irrinunciabili pratiche di pietà, che aveva conservato fin dal noviziato. E sotto questa scorza dura c'era un cuore tenero che amava gli operai, i poveri, i malati, tutti. Sapeva sacrificarsi per loro, "passar sopra", perdonare, soccorrere nelle emergenze senza calcolare il costo o il rischio. Egli era nella comunità, come pure in tutta la vita della missione di Angal, una parte così viva e importante che da parecchi ho sentito dire: 'Con la scomparsa di fr. Natale, Angal non sarà più quella"'. Le testimonianze sulla vita di questo nostro fratello sono molte. Vogliamo concludere con una di suor Paola: "Non amava i complimenti, e quando sapeva che uno soffriva, andava a dire una parola di incoraggiamento. I miei inizi ad Angal non furono facili a causa dei molti feriti e rifugiati che riempivano l'ospedale. Lui, ogni sera, faceva un giro fino ai cancelli dell'ospedale per incoraggiare i guardiani. E quando mi incontrava diceva: 'Mai paura, avanti sempre che c'è Lui in prima fila'. Ogni volta che fui in difficoltà con i lavoratori, i visitatori, i soldati, fr. Natale capitava sempre a darmi una mano. Non mi sono mai sentita sola nelle difficoltà. Sapevo di avere qualcuno alle spalle, non a parole, ma di fatto. E poi, appena la situazione si appianava, spariva. La sua frase era sempre: 'Lei non si preoccupi, lasci fare a nostro Signore. Egli fa meglio di noi'. E quando tutti dormivano, egli faceva ancora un giro attorno alla missione recitando un ultimo rosario, per vedere se tutto era a posto".
La tappa al cimitero
Fr. Magistrelli aveva l'abitudine di recarsi al cimitero tutte le sere. Sostava sulle tombe dei confratelli e dei fedeli che erano già ritornati alla Casa del Padre. La sera del 7 dicembre 1986, vigilia della festa dell'Immacolata, fece fatica a ritornare a casa. Chiestogli il motivo, disse che da tre settimane non riusciva neanche ad andare in bicicletta. Scrive il dr. Marsiaj: "Pretese da me di essere informato sulla natura della sua malattia, ed io, da amico quale mi sentivo, gli dissi la verità. E qui abbiamo avuto modo di vedere ancora una volta quanto fosse grande la sua fede in Dio e la sua accettazione. Non a parole, ma a fatti. Egli infatti dimostrò che il 'fiat voluntas tua' della massima preghiera cristiana si identificava con la sua vita". "Dall'8 dicembre - scrive suor Paola - ho vista un fr. Natale diverso. Quella persona benefica sì, ma apparentemente rude, era di una sensibilità straordinaria, riconoscente per tutto quello che gli si faceva, timoroso di disturbare più del necessario. 'Quello che il Signore vuole, come il Signore vuole, non si disturbi per me'. Queste erano le sue espressioni".
Morire in missione
Il sogno di ogni autentico missionario, quando giunge il momento supremo, è quello di morire dove ha lavorato, amato e sofferto. Quando perciò dissero a fr. Natale che doveva andare in Italia per un estremo tentativo di fermare il tumore ai polmoni, chiese come una carità di poter morire in Africa. "Prima di lasciare Kampala - scrive p. V. Cona - mi disse che sarebbe andato per farsi curare e poi sarebbe tornato. A Verona i dottori confermarono la diagnosi di Angal. Poteva vivere solo pochi mesi. In seguito lo rividi a Verona mentre si sottoponeva a cure ed esami. Anche i confratelli del Centro Ammalati dissero che non c'era nessuna speranza. Fr. Magistrelli, tuttavia, era sereno e consapevole della sua prossima fine. Mi chiese nuovamente di poter tornare in Uganda al più presto, per potervi morire. Non potei contraddirlo. Dopo una fugace visita ai parenti, ai primi di maggio 1987 tornò ad Angal. Visse ancora 40 giorni. Le ultime due settimane furono caratterizzate da tanta sofferenza. Sul letto o sulla sedia a rotelle diceva a chi voleva consolarlo di non preoccuparsi perché in quel modo si compiva la volontà di Dio. L'ho visto lunedì 29 giugno. Respirava con difficoltà. Quando gli dissi che i confratelli e la gente pregavano per lui, disse: 'Grazie delle preghiere, ma è bene che preghino perché si compia la volontà di Dio'. Anche la forzata cancellazione del volo per Kampala fu predisposta da Dio perché il p. Generale fosse presente ai funerali di questo grande missionario". Una settimana prima della morte di fr. Natale, il Parish Council aveva organizzato una messa di ringraziamento per i 26 anni spesi dal fratello ad Angal. Egli non volle andarvi. "Mi aspetto la ricompensa dal Signore, se crederà bene di darmela", si giustificò. Verso la fine, non poteva prendere né cibo, né medicine, né acqua. Era come Cristo sul Calvario. E ancora come Cristo, poco prima di morire, disse: "Ho sete". La suora gli diede un goccio di tè. Lo bevve e dopo pochi momenti affidò la sua anima al Signore con le parole: "Sia fatta la tua volontà". E spirò serenamente. I funerali furono un trionfo. Al cimitero, due esponenti della parrocchia presero la parola: "Fr. Natale ha lasciato l'Europa per morire qui da noi. Noi affidiamo il suo corpo alla terra, ma il suo spirito vive con noi. Faremo una gran festa, come si fa per i nostri grandi capi perché fr. Natale ora è uno di noi, un Alur come noi". Le sue spoglie riposano in quel cimitero accanto alle tombe di tre confratelli, suoi amici e martiri (p. Fiorante, p. Dal Maso, p. Panza), in quel triangolo di terra secca e sassosa che conclude il lungo viale alberato che, ogni sera, egli percorreva lentamente tenendo tra le sue possenti dita di lavoratore la corona del rosario. P. Lorenzo Gaiga, mccj
Da Mccj Bulletin n. 156, gennaio 1988, pp.90-97