In Pace Christi

Alberti Giuseppe

Alberti Giuseppe
Data di nascita : 19/02/1897
Luogo di nascita : Seveso MI/I
Voti temporanei : 06/01/1927
Voti perpetui : 08/12/1932
Data decesso : 07/09/1987
Luogo decesso : Lacor/UG

Fr. Alberti è una delle figure "mitiche" della Congregazione, uno di quegli uomini che hanno creduto alla loro vocazione e che per essa hanno dato ogni attimo della loro esistenza con una gioia e un entusiasmo senza incrinature (pur nelle grosse difficoltà incontrate) e per questo ammirabili.

Prima di parlare della sua giovinezza e della sua vocazione, vorrei riportare una lettera di p. Pizzocolo, buttata giù a caldo, e per questo più vera, proprio all'indomani dei funerali del nostro fratello.

"Lacor Hospital - Gulu, 9 settembre 1987.

Ieri alle 3 p.m. si è celebrato in cattedrale il funerale del nostro carissimo fr. Alberti. Presiedeva l'ufficiatura Sua Ecc. Mons. Martin Luluga, vescovo coadiutore di Gulu, ed erano concelebranti tutti i sacerdoti religiosi e secolari che sono qui a Gulu. La partecipazione di religiosi e religiose della diocesi era totale, senza contare una numerosa rappresentanza del personale di servizio dell'ospedale. Un gran numero di fedeli, specie donne e scolari, si è unito al rito funebre. In tutti era evidente il dolore per la perdita di un missionario altamente stimato e amato per le sue virtù. lo sono convinto che a fr. Alberti si possano con verità, riferire le parole di Gesù: 'Euge serve bone et fidelis, intra in gaudium Domini tui'. Sì, il nostro caro fratello è stato durante la sua lunga vita un vero servo del Signore, umile, buono e fedele. Umile e buono con tutti, sempre sorridente nell'accogliere chi si rivolgeva a lui. Buono e paziente con i confratelli e con i numerosi poveri e ammalati che trovavano sempre in lui aiuto e conforto. Fr. Alberti è stato sempre un servo fedele nel senso soprannaturale, cioè un uomo di fede profonda che si manifestava nel suo amore a Gesù Eucaristia e alla preghiera. Anche quando era seriamente ammalato, era difficile convincerlo che era dispensato dall'andare in chiesa per la santa messa. Soprattutto non voleva privarsi della comunione che riceveva sempre con tanta devozione. Al sacerdote, che gli faceva l'atto di carità di portargli Gesù, al termine del rito diceva sempre con un gioioso sorriso: 'Grazie'. Sì, il nostro fratello era sempre sereno. Non aveva paura della morte, anzi la sospirava. Spesso mi diceva: 'Quando è che il Signore viene a prendermi?'. La morte per lui era il momento dell'incontro con Cristo che aveva servito nei poveri, nei giovani che erano stati alla sua scuola, nei sofferenti che aveva consolato. La fedeltà di fr. Alberti era eccezionale nella puntualità a tutte le pratiche di pietà. E' noto che con il Capitolo generale del 1969, che aveva delineato nuove forme di vita di preghiera, in parecchi c'era stato un certo disorientamento. In fr. Alberti ciò non capitò. Egli ha risolto la difficoltà in questo modo: mantenne tutte le pratiche vecchie, e in più aggiunse le nuove, come la recita comunitaria delle Lodi e del Vespero. Chi nella vita è guidato dalla fede trova sempre il modo giusto per risolvere le difficoltà. E fr. Alberti era veramente un uomo animato in tutto dalla fede. Non spetta a me ricordare quanto egli ha fatto per dotare le chiese di altari, tabernacoli, statue, ecc .. Altri confratelli possono dire molto di più di me e con più competenza. Io mi sono sentito in dovere di offrire questa testimonianza perché la memoria di questo fratello sia di stimolo ed incoraggiamento a vivere come si deve la nostra vocazione di missionari comboniani del Cuore di Gesù".

Appassionato lettore

Dieci anni fa fr. Alberti ha scritto in una lettera la storia della sua vocazione ... "Da giovane volevo diventare martire, ma l'idea del martirio svanì appena riuscii a mettere piede in Istituto. Ho capito che la vocazione non è qualcosa di romantico o un colpo di spada sul collo, bensì un dono continuo che dice tutto l'amore che Dio ha per l'anima, per me" ...

"Da ragazzo leggevo molto e mi piacevano assai i libri di Salgari, di Verne e di altri autori avventurosi. I viaggi, le gesta e i paesaggi che descrivevano, mi rendevano romantico e sognatore. Ad un certo punto ho avuto tra mano 'Operarii autem pauci' di p. Manna, i Martiri d'Uganda di p. Beduschi, la vita di Teofano Venard ed altri. Queste letture hanno suscitato in me entusiasmo e desiderio di donazione. Nella mia parrocchia di S. Pietro Martire vi è pure il seminario arcivescovile di Milano, e qui, per mia fortuna c'era come vicerettore don Camillo Fiono il quale era abbonato a "La Nigrizia" e la passava a me che la leggevo con vera passione. Da "La Nigrizia" del 1915, '16 e '17 ho conosciuto l'Istituto comboniano. Nel 1918 ero soldato e venni mandato in Albania. Lì, vedendo come erano maltrattati i sacerdoti, si è rafforzato il mio entusiasmo missionario, ma non ne seguì nulla. In seguito, comprendendo un po' meglio le cose, il fuoco che non era spento, si riaccese".

L'amore alla famiglia

"Al momento di prendere la mia decisione - prosegue fr. Alberti - cozzavo sempre contro un duro ostacolo: l'amore per la famiglia. A darmi la spinta decisiva è stata la partenza per il noviziato missionario di un mio amico più giovane di me, fr. Giuseppe Termi. Una domenica andai a trovarlo a Venegono con il segreto desiderio di vedere e di sentire come si trovava, e con il pensiero di aprirmi con qualcuno dei superiori. Infatti fr. Termi mi presentò al p. Corbelli il quale, dopo avermi ascoltato, mi consigliò di presentare regolare domanda al Superiore generale, per essere ammesso nell'Istituto. Così si è decisa la mia felice sorte. Ho scelto l'Istituto comboniano perché tutti i suoi membri vanno in missione. Avevo e ho molta simpatia per i gesuiti e per i salesiani, ma ho preferito le Missioni Africane di Verona appunto perché, essendo un Istituto esclusivamente missionario, tutti i suoi membri vanno in missione".

La lettera di presentazione del parroco di Seveso al superiore dei comboniani porta la data del 3 giugno 1924, quindi Giuseppe aveva 27 anni, e suona così: "Il giovane Alberti Giuseppe è ottimo (e quest'ultima parola è sottolineata, n.d.r.) sotto ogni punto di vista. Ciò basterebbe, ma dico di più aggiungendo che le Missioni faranno un ottimo acquisto. E' vero apostolo per spirito, per condotta, per vita vissuta ... ". Alla risposta di accettazione da parte del superiore, Giuseppe rispose con una lettera che è una lode al Signore: "San Pietro, 29 giugno 1924. Reverendissimo padre, sia lode e benedizione al buon Gesù che si degnò esaudire i miei desideri. Dunque sono accettato nella Congregazione dei missionari del Cuore di Gesù! Dopo anni ed anni di incertezze e di ambasce è venuta l'ora della pace. Caro Cuore di Gesù quanto sei buono anche con chi mille e mille volte ti ha offeso! Reverendissimo padre, mi aiuti lei a rendere grazie al Signore del grande beneficio che mi ha fatto ... ".

Ormai Giuseppe aveva rotto le catene che lo legavano alla famiglia e partì deciso, con la mente e il cuore protesi alla missione.

Age contra

Entrando tra i comboniani Giuseppe portava con sé le professioni di falegname e intagliatore che aveva apprese fin da piccolo ed esercitate con vera passione. Ma appena in noviziato, in forza della vecchia norma dell'age contra, gli fu affidato l'ufficio di sarto. Egli si sforzò di venire in possesso di quel "talento" che non possedeva e di trafficarlo bene. Per aiutarsi diceva: "In Africa c'è più bisogno di vestiti che di intagliatori ... Animo, Giuseppe!". Il padre maestro, Alceste Corbelli, era contento di lui e scriveva: "Ha vivo desiderio di progredire nella virtù. E' buono, pio, esatto e diligente nei suoi doveri. E' molto sensibile, per cui sente le osservazioni. Carattere sincero, aperto, gioviale. Deboluccio di salute. Quanto al suo ufficio di sarto, fa quello che può".

Intanto si avvicinava il momento di consacrarsi al Signore con i Voti. Giuseppe vedeva quella prima tappa nella vita missionaria come l'inizio di un servizio del quale si sentiva intimamente indegno. "Non guardi ai miei meriti, ma al grande desiderio che tengo in cuore di essere missionario. La Vergine Immacolata alla quale affido questo mio desiderio mi ottenga la tanto sospirata grazia della fedeltà a tutti gli obblighi che la professione religiosa impone. Con il cuore pieno di trepidazione e di fiducia mi abbandono totalmente nel divin Cuore di Gesù". Il 6 gennaio 1927 emetteva i primi Voti nella sede del noviziato di Venegono Superiore.

Assistente dei ragazzi

Dopo alcuni mesi trascorsi a Verona come aiutante presso l'Ufficio Nigrizia, fr. Giuseppe fu inviato a Sulmona, per assistere i ragazzi e per mandare avanti i lavori di casa. Si notò subito che il fratello ci sapeva fare con i giovani, soprattutto per la grande stima che aveva di ognuno, in quanto vedeva in essi dei futuri missionari. Sapeva ascoltare e anche correggere all'occorrenza, ma sempre con molta bontà e dolcezza. Il superiore scrisse: "Il suddetto religioso è di buon spirito, amante della pietà, obbediente, osservante delle regole. Sa mantenere la carità anche col sacrificio di se stesso. Con i ragazzi è paterno ma anche energico all'occorrenza. Vuole che diventino santi e ferventi missionari". Rimase a Sulmona fino al gennaio del 1931. "Padre, ho 34 anni. Lei conosce il mio desiderio di partire per la missione, ma sono sempre pronto all' obbedienza".

Costruttore di cattedrali

A Khartoum si doveva costruire la cattedrale. Occorrevano fratelli capaci. Anche se non era muratore, fr. Alberti vi fu inviato per prestare la sua opera. E divenne un bravo muratore, perché non gli mancavano né intelligenza, né buona volontà. Si prese particolare cura, naturalmente, dei lavori in legno.

Un giorno ebbe l'intuizione di trasferire la sua capacità di intagliatore del legno in quella di compositore di immagini e di modelli adoperando il cemento, magari giocando con i colori e con le forme. Scoprì una sua nuova vocazione. Infatti fr. Alberti sarà ricordato soprattutto per la sua grandissima abilità nel modellare il cemento e nel ricavarne veri capolavori.

Dopo quattro anni, nel 1935, quando la cattedrale di Khartoum era una splendida realtà, fr. Alberti fu inviato a Gulu a costruire un'altra cattedrale, sempre lavorando insieme ad altri fratelli quali Biasin e Fanti. Anche qui riuscì con dieci e lode.

Scolaro e contabile

Il giovanetto "deboluccio quanto a salute" secondo la sentenza del padre maestro, aveva fatto 9 anni ininterrotti di Africa. Eppure, tutto sommato se l'era cavata bene. Tuttavia uno stacco nella sua attività intensissima ci voleva. Arrivò in Italia appena in tempo per restarvi "prigioniero" causa la guerra che era appena scoppiata e che rendeva proibitiva la navigazione sui mari. Non fece tragedie. A Verona c'era un laboratorio di falegnameria ben attrezzato e fr. Alberti trovò pane per i suoi denti. P. Menghini, che allora era scolastico a Verona, scrive: "Alberti era il classico fratello! Preparato, buono, servizievole, amante della casa, rispettosissimo verso tutti. Ci commuoveva quando parlando con noi scolastici, si toglieva la caratteristica bustina che usavano allora i nostri fratelli. Aveva ereditato tutti i ferri di fr. Clemente Schroer, il grande ebanista tedesco che rimase con noi anche dopo la triste separazione. Li conservava ed usava con venerazione. Ma non ne era geloso. Amava insegnarci i piccoli lavoretti di falegnameria che poi ci sarebbero stati utili anche in missione. Ricordo con commozione la sua gioia quando gli proposi di costruire il baldacchino per le messe pontificali. Lo fece artistico, perfino con lo stemma della Congregazione, pratico per il montaggio e semplice per essere poi conservato in sacrestia. Ricordo che ascoltava con tanto rispetto e attenzione le mie idee e quando erano sballate tecnicamente, me lo sapeva dire con una delicatezza che sbalordiva. Amava la sua missione, e come godeva quando negli scantinati di Casa Madre, dove aveva la sua falegnameria, alle 4 del pomeriggio, andavamo per fare qualche lavoretto e per domandargli che ci parlasse del suo Sudan e della sua Uganda, dove sperava tanto di poter ritornare appena finita la guerra! E non mancava mai ai nostri Circoli Missionari e, se era il caso, vi prendeva parte attivamente. Peccato che le regole d'allora non permettessero di parlare molto, specie nelle ricreazioni, con i fratelli ... laici detti anche coadiutori. Lui però ci voleva un bene dell'anima ricambiato da tutti noi. Esemplarissimo. Uomo di preghiera e di sacrificio. Sempre pronto ad aiutare. Con quanta venerazione baciava le mani consacrate dei suoi scolastici appena uscivano dalla Cappella dopo l'Ordinazione! Per me, un gran santo. Dio l'abbia in gloria". Dall'ottobre del '45 al giugno del '46 fu inviato a Bologna per lo studio dell'inglese. Ci si era accorti che in missione i fratelli che si dedicavano alle costruzioni dovevano conoscere l'inglese, pena fare figure meschine con le autorità britanniche con le quali dovevano trattare sia per l'esame dei progetti, sia per la conduzione dei lavori. Fr. Alberti si impegnò, anche se non fu mai un "inglesista". Dopo la scuola, in attesa di poter partire per la missione, diede una mano all'ufficio Procura di Verona.

Missionario a tempo pieno

Partendo per Gulu nell'ottobre del 1947 portava con sé i macchinari per la tipografia. In una letterina pubblicata su "La Nigrizia" scriveva: "Ora sto costruendo la tipografia per collocarvi le preziose macchine venute da Verona. Un bel salone di metri 20 per 8 ed in più una discreta stanza per magazzino. Si spera di ampliare la Technical School, per dar posto ai nuovi allievi che desiderano entrare. Alla domenica vado ancora a visitare i malati all'ospedale civile e, in questo primo anno, sono una decina i battesimi che ho avuto la felicità di amministrare. Vedesse, amatissimo padre, quale enorme somma di lavoro c'è qui da fare, specialmente per i padri. A me sembra un'onda travolgente, a fronteggiare la quale occorrerebbero triplicate braccia, senza contare la cura che richiedono le scuole. Dappertutto è una ressa di catecumeni che attendono l'istruzione e poi c'è tutta la cristianità. Se fr. Arosio verrà a passare qualche giorno a Venegono, come mi ha promesso, sentirà da lui in quale felice ma soffocante situazione ci si trovi. Questo naturalmente parlando dal tetto in giù, ché, in alto, il Signore fa camminare le cose come vuol Lui, e a suo tempo provvederà". Come si vede, il lavoro era una forma di predicazione del Vangelo, ma si nota anche la grande gioia per quella decina di battesimi amministrati, per le visite ai malati, per i catecumeni che premevano ... Alberti si sentiva ed era un missionario autentico e realizzato.

Graniglia e cemento

E' impossibile seguire le tappe di fr. Alberti in Uganda. Diciamo che non si contano le chiese e le cappelle che adornò con i suoi lavori in graniglia e cemento. Ma si adoperò soprattutto per la promozione umana di una grande schiera di giovani che dalle scuole tecniche e artigianali di Gulu, di Ombaci, di Kalongo, di Layibi imparavano un mestiere altamente apprezzato. Fece puntate in Kenya e in Sudan, sempre per portarvi la sua arte.

Nella lettera citata all'inizio, fr. Alberti così delinea la sua vita missionaria. "Della mia vita di missione ho poco da dire. Due terzi dei miei anni trascorsi in Africa, li ho spesi insegnando falegnameria e disegno nelle nostre Technical School di Gulu e Ombaci. Una vita, quindi, piuttosto quieta, senza avventure. . Appena arrivato in missione nel 1935, con fr. Fanti Vittorio e fr. Farina, andavo ogni domenica all'ospedale governativo e alle prigioni per un po' di apostolato. All'ospedale ho avuto la gioia di dare parecchi battesimi in articulo mortis. Ricordo ancora vivamente la contentezza provata una domenica: due gemelli ai quali era morta la mamma dandoli alla luce, erano in gravissime condizioni. L'infermiera di turno ci chiamò d'urgenza (ero con fr. Fanti) e mostrandoci i piccolini che parevano morti ci chiese di battezzarli. Noi lo facemmo e ci accorgemmo che erano ancora vivi perché al contatto con l'acqua sussultarono. I neonati se la cavarono e divennero due ferventi cristiani e ottimi catechisti. Dal 1960 mi è stato assegnato un lavoro che costituisce anche adesso la mia contentezza: preparare con un bel gruppetto di bravi operai lavori in graniglia e mosaico. Altari, tabernacoli, amboni, fonti battesimali ... Dalla nostra scuola-laboratorio escono tanti lavori che vanno a confortare le abitazioni della gente, come stipiti di porte, finestre, servizi igienici, focolai, tavoli, ecc. Voltandomi indietro e guardando la mia lunga vita dico che sono felice di aver seguito questa preziosa vocazione e ogni giorno prego il Signore e la Madonna santa di concedermi di perseverare generosamente in essa fino alla morte, mentre ringrazio il Cuore di Gesù di avermi chiamato, nonostante la mia indegnità, a seguirla".

Testimonianze

Fr. Angelo Avi scrive: "Siamo stati insieme a Kalongo dal 1958 al 1959. Religioso veramente esemplare, fr. Alberti lavorava otto ore al giorno, come un operaio. Il resto era riservato alla preghiera comunitaria e personale. Siamo stati di nuovo insieme a Layibi dal 1965 al 1975. Egli era l'esempio della Regola di Vita vissuto pienamente. Non sgarrava di un secondo sull'orario. Tutti i pomeriggi andavamo insieme per la visita al Santissimo, seguita dalla lettura spirituale. Al mattino era il primo a recarsi in chiesa a preparare l'altare e a prepararsi per la santa messa con un'ora di meditazione. Uomo molto pio ed intelligente, non parlava mai male del prossimo ed era molto caritatevole con tutti anche con i monelli che, approfittando della sua bontà, lo imbrogliavano (e lui si lasciava volentieri imbrogliare perché voleva loro bene) e poi scusava sempre, e tutti". Fr. Giuseppe Dalle Mulle, in una lettera post mortem a fr. Alberti, gli dice: "Per oltre un quarto di secolo siamo vissuti insieme, abbiamo sofferto insieme (anche se tu dicevi che andava sempre e tutto bene, ma non era sempre vero) e posso dire che siamo stati allegri e contenti insieme. E' per questo, forse, che una settimana prima della tua morte ci siamo separati senza rimpianto, senza una lacrima. Anzi, con un bel sorriso mi hai detto: 'Ciao, arrivederci', consci che la nostra amicizia sarebbe continuata per tutta l'eternità. Per tanto tempo tu mi sei stato ispiratore e maestro di vita missionaria con la tua interpretazione dei Consigli evangelici e la tua pratica delle Beatitudini. Il Signore ti ha formato così, irremovibile in quella fede, speranza e carità che solo i giusti possiedono". E p. Vittorino Cona, superiore provinciale d'Uganda: "Fr. Alberti è stato l'uomo di Dio nel senso più completo della parola. E' stato il religioso perfetto, il missionario autentico e discepolo fedele di Cristo. Durante la sua ultima malattia, conclusasi all'ospedale di Lacor, ha avuto la gioia di assistere alla celebrazione della messa nella sua camera e di ricevere tutti i giorni il Signore. Quei momenti sono stati per lui l'anticipazione del paradiso che desiderava ardentemente per incontrarsi faccia a faccia col Signore e con la Madonna di cui era devotissimo".

Vorrei terminare queste brevi e inadeguate note per un missionario così vero, con le parole dell'interessato rivolte ai fratelli giovani, lui che li ha amati tanto. La sua venerabile età di 90 anni glielo consente: "Se mi è lecito aggiungere un suggerimento ai fratelli giovani vorrei dir loro di essere sempre dolci, cortesi con i confratelli, avere quasi un cuore di mamma per chi soffre ed essere sempre disposti a collaborare nel lavoro anche quando costa. Mi viene in mente una frase che il mio prevosto disse quando andai a salutarlo prima di partire per l'Istituto comboniano: 'Sii un bocia di buon comando'. E mille volte nella vita ho esperimentato che ad essere buoni si vive contenti, sani, a lungo e con tanta gioia intorno". Penso che questo possa essere il testamento più bello che fr. Giuseppe Alberti lascia a ciascuno di noi.                   P. Lorenzo Gaiga

Da Mccj Bulletin n. 157, Aprile 1988, p. 59-66