In Pace Christi

Osgnach Lorenzo

Osgnach Lorenzo
Data di nascita : 30/07/1925
Luogo di nascita : S. Leonardo UD/I
Voti temporanei : 15/08/1944
Voti perpetui : 23/09/1949
Data ordinazione : 03/06/1950
Data decesso : 10/04/1992
Luogo decesso : Pordenone/I

Quella di p. Lorenzo era una famiglia di sodi lavoratori della terra. Papà Giuseppe si alzava prestissimo al mattino per recarsi nel suo podere, e rientrava tardi alla sera. La mamma, Ernesta Clinac, di professione casalinga, condivideva le fatiche del marito dopo aver inviato a scuola i tre figli.

In questo clima di sacrificio, di lavoro e di vita cristiana intensamente vissuta, il piccolo Lorenzo modellò il suo carattere dolce e forte nello stesso tempo.

Dopo la quarta elementare, manifestò il desiderio di entrare in seminario per diventare sacerdote.

"Non possiamo farti studiare. Occorrono troppi soldi", tagliò corto il papà.

"Ma io sento che il Signore mi chiama a diventare sacerdote. Ne ho parlato anche col parroco".

"Domenica parlerò anch'io col parroco".

Questi convenne che il chierichetto Lorenzo, sempre esatto e minuzioso nelle cerimonie, amante dell'altare e delle cose sacre, aveva tutte le carte in regola per entrare in seminario. Se c'era qualche difficoltà per la retta... be' si poteva convergere su qualche congregazione religiosa... i missionari Comboniani, per esempio...

Triplice presenza

"In Friuli - sottolineò il parroco - è ancora vivo il ricordo della presenza dei Comboniani a San Vito al Tagliamento dal 1902 al 1909. Il Collegio Pio X ha sfornato ottimi missionari per l'Africa. Peccato che abbia dovuto chiudere a causa di una presenza, nella stessa casa, di un altro istituto 'antischiavista' portato avanti da mons. Coccolo, donatore della sede ai Comboniani.

Molti sacerdoti ricordano la seconda presenza dei Comboniani in Friuli, dal 1919 al 1921 presso il santuario della Madonna di Rosa, sempre a San Vito al Tagliamento. Ma poi, per mancanza di personale e per altre difficoltà, dovettero chiudere. Ma intanto ebbero numerose e ottime vocazioni. I Comboniani, però - concluse il parroco - sono presenti a Padova che non è poi tanto lontana da qui".

"Noi friulani non abbiamo paura delle distanze - rispose il papà con un certo orgoglio. - Sappiamo girare il mondo e ci troviamo bene dappertutto. Se Lorenzo vuol diventare missionario deve abituarsi ai distacchi".

"Giusto, giusto. Allora restiamo d'accordo così: terminate le elementari, potrà andare a Padova dove, dal 1931, i Comboniani hanno aperto un seminario".

A titolo di cronaca, diciamo che i Comboniani tornarono nel Friuli, a Pordenone questa volta, nel 1957 in una sede nuova, dotata di capannoni per officina e falegnameria, dove gli aspiranti Fratelli potevano specializzarsi. Ora, anche questa terza presenza è messa in discussione, sempre per carenza di personale. Quod Deus advertat.

Impegno serio

A 12 anni "mosso dal desiderio di consacrarsi al Signore per la conversione dei poveri infedeli dell'Africa", Lorenzo Osgnach entrò nella scuola apostolica di Padova per compiere gli studi ginnasiali. Era l'8 ottobre 1937. Nella sua cartella c'è anche il contributo mensile che la famiglia si dichiarava disposta a dare all'istituto per il mantenimento e l'istruzione del figlio: lire 15 o 20 al mese.

Lorenzo s'impegnò con serietà nella nuova vita. "Il giovinetto è di carattere fermo, generoso, docile. Ha una condotta esemplare e una soda pietà abbinate a una buona intelligenza per cui si hanno fondate speranze in una sua riuscita", scrisse il superiore.

Questo giudizio è condiviso e sottolineato dal parroco di San Leonardo che lo teneva d'occhio durante le vacanze. "Se dall'esterno è permesso giudicare anche l'interno, devo formulare le più belle speranze... Debbo dire, per amore di verità e con viva compiacenza, di aver notato nel ragazzo un contegno edificante per serietà, pietà e modi civili" (15 luglio 1942).

Nel 1942, in piena guerra, Lorenzo entrò a Venegono per il noviziato. Il giudizio di p. Todesco, maestro dei novizi, alla fine del noviziato non si scosta molto da quello dato dopo i primi sei mesi di permanenza in quella casa:

"Buono e di buona volontà. Animo tranquillo, comprensivo e generoso. Ha fatto buon progresso in tutto ed è sincero il suo desiderio di migliorare. Pietà buona, amore alla regola, carità facile. Assai attaccato alla propria vocazione e congregazione. Sincero e obbediente". Dai pochi scritti di Lorenzo riguardanti il periodo del noviziato appare che curò particolarmente la devozione al Sacro Cuore e alla Madonna, che considerava come il binario sul quale correva la sua vocazione missionaria e la sua spiritualità.

Il 15 agosto 1944, solennità della Madonna Assunta in cielo, emise la sua professione temporanea.

Seguì il corso filosofico e teologico a Rebbio di Como (la casa di Verona era in parte occupata dai tedeschi e sotto il costante pericolo di bombardamenti) e poi fu inviato a Brescia come assistente e formatore dei ragazzi. Quel giovane equilibrato, calmo, che rifletteva prima di parlare, aveva dato buona impressione ai superiori, per cui fu ritenuto idoneo ad un ufficio così delicato. E i ragazzi furono contenti di lui, del suo modo di accompagnarli nella difficile strada della vocazione missionaria.

Per l'ultimo anno di teologia (1949-1950) andò a Venegono Superiore insieme ai suoi compagni di corso.

Padre spirituale e rettore a Viseu

Venne ordinato sacerdote dal card. Schuster, arcivescovo di Milano, il 3 giugno 1950 e, subito, venne inviato in Portogallo per lo studio della lingua. Viste le sue belle doti di formatore e la sua salute piuttosto precaria, i superiori lo trattennero prima come padre spirituale e poi rettore del seminario missionario di Viseu. Ma trovava il tempo anche per fare il reclutatore.

P. Roberto Cona, che è stato con lui per una decina d'anni, lascia la seguente testimonianza: "Venni inviato in Portogallo ancora da scolastico, per studiare la lingua e frequentare la teologia. Feci subito amicizia con p. Lorenzo che andavo spesso a trovare nella sua stanza per un aiuto nel mio cammino vocazionale. Era gentile, disponibile, discreto e costante nel seguirmi. Inoltre, in certi momenti, dava una mano anche come capocoro. Il vescovo di Viseu aveva una tale stima di p. Lorenzo che, pur essendo ancora molto giovane, lo scelse come suo confessore. Ogni mattina teneva una breve meditazione ai seminaristi parlando un portoghese perfetto e fluido. Mi preparò, insieme agli altri tre miei compagni, agli ordini minori. Andava d'accordo e collaborava con p. Calderola e poi con p. Peano, rispettivamente superiori. Nel 1960, alla partenza di p. Severino Peano per altro incarico, fu nominato rettore del seminario, ben accetto dai seminaristi e anche dai loro genitori che ben lo conoscevano perché seguiva i ragazzi anche quando erano in famiglia per le vacanze.

I suoi tratti caratteristici erano la gentilezza, la precisione e la disponibilità. Ricordo che curava con attenzione e gusto le cerimonie religiose. Di lui conserverò sempre un ricordo affettuoso e pieno di nostalgia".

Si deve anche a p. Lorenzo Osgnach lo sviluppo meraviglioso dell'opera comboniana in Portogallo. Ciò, nonostante le difficoltà economiche in cui si dibatteva quella provincia.

In Africa

Erano passati 13 anni da quando p. Lorenzo aveva lasciato l'Italia per andare in Portogallo. Le case si erano moltiplicate e  già si vedevano i primi frutti del lavoro missionario in quella nazione raggiunta dai Comboniani nel 1947.

P. Osgnach cominciava a sentire il logoramento di quella vita da retrovia, e il desiderio di partire per la missione si faceva sempre più pressante.

In data 4 luglio 1963, si decise a prendere la penna in mano per scrivere al superiore generale la sua prima lettera. E' una lettera dalla quale traspare la grande umiltà che lo ha sempre caratterizzato.

"Lei è al corrente dei miei insuccessi in questi ultimi quattro anni - scrive. - Ciò ha creato un'atmosfera pesante intorno a me e un complesso di inferiorità che mi fa soffrire, anche se cerco di dissimularlo. Questa è una situazione di fatto ben documentata, lo creda, non immaginazione mia. Perciò esprimo il desiderio di essere trasferito in un'altra regione. Non ho preferenze: qualunque regione è buona e qualsiasi ufficio mi andrà bene e cercherò di portarlo avanti con umiltà cercando di compierlo nel modo migliore possibile.

Se crederà opportuno lasciarmi ancora in Portogallo, accetterò l'obbedienza in penitenza dei miei peccati...".

I suoi peccati non erano tanto grossi se il superiore generale gli risparmiò l'ulteriore penitenza di rimanere al suo posto, destinandolo al Mozambico. E anche i suoi proclamati fallimenti non dovevano essere tanto vistosi se il provinciale lo aveva designato per un servizio di altri tre anni in Portogallo. Il fatto è che p. Lorenzo non vedeva l'ora di partire per la missione.

Mozambico difficile

Nel 1964 poté finalmente imbarcarsi per il Mozambico. I Comboniani avevano ricevuto l'invito ufficiale di andare in Mozambico nel 1946. Verso la metà del 1947 p. Zambonardi era partito dal Cairo per cercare il posto più adatto alla nuova missione. Alla fine di luglio di quello stesso anno i padri Selis, Nannetti e Caselli lasciarono Lisbona e, dopo 43 giorni di navigazione, arrivarono in Mozambico.

La circoscrizione affidata ai Comboniani si estendeva lungo un litorale di 200 chilometri di lunghezza e 100 di profondità, con 380.000 anime. I cattolici, tra africani ed europei, erano 1.500 circa; i musulmani 140.000; il resto era pagano.

I missionari concentrarono il loro lavoro nelle scuole di missione per africani, dato che il governo coloniale portoghese aveva scuole solo per i figli degli europei. Questo fatto rese difficoltosa l'entrata di nuovi missionari italiani in Mozambico temendo, il governo, che la loro opera emancipasse la popolazione locale.

I missionari non si persero d'animo e continuarono il loro lavoro non solo nella scuola, ma preparando catechisti, istruendo catecumeni e fondando laboratori di arti e mestieri. Nel 1959 p. Ferrero, provinciale, scrisse: "Le missioni in Mozambico sono solo 6 perché il nuovo vescovo non ci permette di aprirne delle altre. Già ci sono 8 suore comboniane che lavorano nell'ambito femminile. Le nostre scuole di missione sono 132 con 16.000 alunni".

P. Osgnach arrivò in Mozambico nel momento più difficile della sua storia, quando, cioè, già cominciavano i fermenti rivoluzionari che sarebbero sfociati nell'indipendenza. Egli fu coadiutore a Mussoril ('64-'66) e a Lunga ('66-'67); superiore a Inhamizua ('67-'70) e parroco ad Alto da Manga dal 1970 al 1972.

Lo stile missionario di p. Lorenzo Osgnach fu caratterizzato da alcune costanti che lo resero gradito ai confratelli e alla gente. Estrema gentilezza con tutti, molta carità nella vita comunitaria, grande amore alla gente con la quale passava il tempo più lungo possibile, dedizione e zelo nel ministero missionario. Con il suo bel modo di fare, con l'equilibrio e la moderazione che lo hanno sempre caratterizzato riuscì a passare attraverso il fuoco senza bruciarsi.

Il "bianco" aveva in mano le grandi possibilità della tecnica e del denaro per la costituzione di grosse compagnie di tè, cotone, cocco, sisal; sfruttamento della mano d'opera con paghe irrisorie; disprezzo per la gente, la sua lingua e i suoi costumi ritenuti primitivi.

La finzione giuridica di "provincia portoghese d'oltremare" data nel 1951 dal governo portoghese alla colonia di Mozambico non concedeva molto agli indigeni e non lo stava certo preparando alla futura indipendenza. A questa pensava la guerriglia che si andava organizzando nelle foreste e nelle periferie delle città costituendo un tutt'uno col Movimento indipendentista "Frelimo".

I missionari dovevano rigare diritto per non cozzare contro i due scogli contrapposti del governo e della guerriglia e nello stesso tempo senza venir meno ai principi evangelici di cui erano portatori. P. Lorenzo fu un maestro in questo, anche se a prezzo di notevoli sofferenze. "Certi gesti profetici compiuti dai membri di qualche altra congregazione missionaria presente in loco - disse un giorno - finiscono per ritorcersi ai danni della povera gente". Si riferiva all'abbandono del campo da parte dei Padri Bianchi. Egli preferiva lavorare nel silenzio e nel nascondimento per far capire alla gente che le era vicino, che condivideva con essa sofferenze, preoccupazioni e persecuzioni.

Intanto i catecumenati si riempivano, le scuole traboccavano di alunni, la vita cristiana prendeva piede. In una relazione del 1968 parla della nuova scuola normale di Manga. "L'anno è cominciato con 85 alunni. Alcuni poi hanno lasciato ma, dei 53 arrivati alla fine, solo 9 sono stati rimandati agli esami pubblici. Anche se il vescovo non si pronuncia troppo, credo che sia stato soddisfatto del nostro lavoro. L'anno prossimo contiamo di avere 120 alunni suddivisi in tre classi. Sentiamo il bisogno di altro personale per la scuola, anche laico... Di salute siamo stati sempre bene".

Seconda fase

Nel 1971 troviamo p. Lorenzo in Italia per un periodo di vacanze. La sua salute non era mai stata robusta. Le fatiche dell'apostolato e le tensioni della vita in Mozambico finirono per incrinarla. "Mi trovo a Verona, purtroppo in cura. Il medico mi ha dato due mesi di riposo rigoroso avendo riscontrato qualche cosa che non va al cuore, si tratta di una leggera lesione che dovrebbe sistemarsi in poco tempo".

P. Agostoni ne approfitta per proporgli, a guarigione avvenuta, un corso di 9 mesi per formatori. "Abbiamo bisogno di personale per la formazione sia in Portogallo come in Italia. Tu hai già una buona esperienza in questo settore. Che ne dici?".

"A mio parere - rispose p. Lorenzo - un ritiro del parroco da una parrocchia come quella di Alto da Manga, con la sua incipiente organizzazione, a solo un anno dalla presa di possesso, mi pare che potrebbe essere interpretato dalla gente come segno di poca serietà da parte nostra. Tuttavia si metta d'accordo col mio provinciale e decidete ciò che vi sembra meglio. Non tocca a me giudicare. Quanto alla salute, va proprio bene".

Poco dopo, troviamo il Padre nuovamente in Mozambico. Nel 1974 il vescovo di Nampula e alcuni missionari che osarono fare un'analisi critica sulla situazione politica "colonialista" e sul tipo di impegno missionario nella scuola, vennero espulsi.

Con l'indipendenza del 1975 i missionari espulsi tornarono come trionfatori. La cuccagna durò poco. Il nuovo regime era smaccatamente marxista. Cominciarono le nazionalizzazioni, le vessazioni, le persecuzioni. I missionari e le missionarie si interrogavano sul nuovo modo di essere presenti in un contesto così diverso, sul come continuare ad impegnarsi per aiutare e favorire lo sviluppo del popolo e la crescita della vita cristiana in un regime "rivoluzionario marxista" che avrebbe portato il Mozambico all'epoca dei martiri.

In Italia: Brescia e Bologna

P. Lorenzo non fu coinvolto in questa nuova problematica perché, proprio nel 1975, anno dell'indipendenza, tornò definitivamente in Italia poiché la salute dava chiari segni di cedimento.

Fu inviato dapprima a Brescia come economo locale e addetto alla formazione (1975-1978) e poi, dal 1978 al 1981, a Bologna come segretario del p. provinciale e superiore della casa.

Anche il sottoscritto fu suo suddito in questo periodo. Di p. Osgnach ricorda la gentilezza con i confratelli e con le persone che frequentavano la casa, lo spirito di ospitalità con i confratelli di passaggio e con la gente, il suo costante sorriso e un sodo spirito di preghiera. Ci teneva proprio che la piccola comunità pulsasse all'unisono. Nei consigli di comunità metteva tutte le questioni sul tavolo e ascoltava il parere di ciascuno sforzandosi di tenerne conto il più possibile. Sembrava che in certi momenti avesse come un complesso di timidezza o di inferiorità, per cui esprimeva i suoi pareri con molta umiltà e quasi sottovoce. Curava in modo particolare la vita di preghiera e lui, in questo, dava l'esempio. Sotto di lui la casa provincializia fu ristrutturata e, purtroppo, la ristrutturazione fu fatta con criteri antichi, senza tener conto delle moderne esigenze che ormai richiedevano i servizi igienici in ogni stanza.

Sollecitato da qualche confratello per imporsi al direttore dei lavori per avere una casa "pienamente funzionale", rispondeva: "Abbiamo il provinciale in casa, la casa è la sua sede e quella dei suoi successori, lasciamo fare a loro". Così le cose andarono come andarono, in compenso fu salvata la pace in famiglia.

A Milano

Dal 1981 al 1987 fu a Milano come superiore locale. Suo primo compito fu quello di imprimere a quella casa un timbro marcatamente missionario. P. Osgnach a Brescia, Bologna, Milano e anche a Pordenone dimostrò la sua vera preoccupazione: quella di trasformare la casa in un centro di animazione missionaria con la diffusione delle riviste e dei libri, con gli incontri con la gente e le giornate missionarie ben preparate.

A Milano la prima cosa che fece fu "Il Centro Martiri Comboniani" con tanto di targa. Voleva che anche quella piccola casa, un po' in periferia, diventasse un centro di irradiazione delle nostre attività, di conoscenza delle missioni. Lavorò molto e bene in questo senso, anche se la salute non gli permise di attuare tutti i programmi che aveva in testa. E poi, si sa, certe opere vanno portate avanti in équipe.

P. Osgnach contribuì validamente ad accrescere il numero dei benefattori e degli amici delle missioni comboniane, specialmente tra i sacerdoti. Per conoscerli e per parlare con loro non mancava mai agli incontri che avevano luogo a livello diocesano. Sapeva bene che se si conquista il prete, si guadagna una parrocchia.

Come superiore e rettore della chiesa-santuario della Madonna di Fatima, si adoperò per la diffusione della devozione alla Madonna, imprimendole un'impronta prettamente missionaria. Mediante la pratica di tridui, novene e adeguate predicazioni, seppe coinvolgere la popolazione che accorreva sempre più numerosa alla nostra chiesetta. In questo fu validamente coadiuvato dai confratelli della casa, specie dai più anziani, che si prestavano per le confessioni trasformando così il Centro Martiri Comboniani in un centro di spiritualità.

A Pordenone

Allo scadere dei sei anni di servizio come superiore, fu inviato a Pordenone, la "sua" terra che lo avrebbe accolto per il riposo eterno. Era l'anno 1987.

Nella nuova comunità dovette subito affrontare un problema molto serio: quello dei Terzomondiali. Pordenone, città industriale, vide subito un notevole afflusso di africani, ma mancavano gli alloggi. I Comboniani avevano quell'enorme casa vuota che sembrava fatta apposta per accoglierli.

Padre Osgnach, da autentico figlio del Comboni qual'era, si sentì subito animato da un grande amore verso queste persone, considerate in quel momento e in quel contesto "le più necessitose". Ciò indipendentemente dalla loro religione o cultura. Ma doveva fare i conti con i confratelli della comunità. Qualcuno di essi, che aveva passato gran parte della vita nel mondo islamico, quei musulmani arrivati in Italia se li sarebbe mangiati arrosto, altro che ospitarli! E la vita si fece subito dura.

"Voleva bene ai Terzomondiali - afferma p. Agostini. - Era il padre dei neri. Stava con loro, parlava con loro, era come un formatore spirituale. Vedeva in essi un prolungamento della missione, la missione che viene a noi, un dono di Dio, insomma. Per essi dovette lottare con la polizia, con gli impiegati del comune, con quelli della sanità... Sempre paziente, sempre ospitale, quando trovava opposizione da parte di qualche membro della comunità per questa sua apertura, diceva: 'Insomma, io missionario non posso dormire sul materasso sapendo che la gente per la quale ho dato la vita dorme in macchina con sette gradi sotto zero'. E diceva queste parole con le lacrime agli occhi, quasi a implorare pietà e compassione per quella gente".

La casa ne ospitò fino a 50 ai quali, per un certo tempo, si dette anche un po' di cibo. "Dio ci manda i Terzomondiali - disse un giorno p. Osgnach - per darci la possibilità di esercitare la carità, di essere missionari in patria, perciò devono essere trattati come un dono di Dio".

"I nostri consigli di comunità - prosegue p. Mazzocco, altro veterano della comunità di Pordenone - quasi sempre si concludevano con una gran baruffa e con un nulla di fatto. Il Padre ne soffriva moltissimo e ciò non giovava al suo cuore malato. Alle volte si riprometteva di fare il duro con i Terzomondiali che arrivavano in continuazione, ma alla sera, quando vedeva qualcuno che era rimasto tutto il giorno davanti al cancello, scendeva e lo invitava ad entrare. Insomma non gli si poteva chiedere di andar contro la sua natura di missionario. Tra quei giovani c'erano anche dei 'furbi' che davano da fare alla polizia. Allora il Padre cercava di giustificarli, di spiegare ai tutori dell'ordine la diversa mentalità di quella gente, il loro modo di fare dettato dalla necessità o dalla disperazione, tanto che alle volte i poliziotti stessi si commuovevano di fronte a tanto amore e chiudevano un occhio o anche tutti e due, perché noi italiani, in fondo, siamo gente di buon cuore".

"La sua malattia di cuore - prosegue p. Agostini - lo ha condizionato molto, per cui anche le cose piccole diventavano grandi, e ne soffriva. Sentiva la responsabilità del suo ufficio di superiore. Voleva che la comunità camminasse unita secondo le regole e il direttorio, sia per la vita di preghiera come per il resto. Quando si vedeva contraddetto, o con le parole o con i fatti, si chiudeva in se stesso preso da una forma di timidezza e appariva la sua incapacità di comunicare in certe situazioni".

"Prima della sua venuta - prosegue p. Mazzocco - dicevano che era un dittatore, un autoritario. Niente di più falso. Se uno era disponibile dialogava, e come! Non si alterava, era equilibrato e comprensivo. E' sempre stato sincero e capace di riconoscere umilmente i suoi sbagli. Un giorno, un po' per scherzo, un po' sul serio, gli ho detto: 'Ti vedo sofferente e ti capisco, ma porta pazienza perché hai da fare con un branco di disgraziati'. Rispose con il suo solito sorriso".

Le sue creature

A Pordenone p. Osgnach mostrò ancora una volta il suo interesse per l'animazione missionaria. Per incrementarla, fece di tutto per allestire il museo africano. Una cosa piuttosto modesta ma carina, che veniva visitata da scolaresche di ragazzi. Era un'occasione per parlare a quei ragazzi di missione, per distribuire stampa e propaganda missionaria. Il museo non poté eguagliare l'interesse che suscitava il presepio che era stato definitivamente chiuso per motivi di sicurezza (era una potenziale miccia per incendiare la casa). Anche questa chiusura fu causa di sofferenza per il Padre.

Ma la tribolazione più grossa iniziò quando si cominciò a parlare di chiudere la casa di Pordenone. Il Padre optò per una presenza comboniana presso il santuario mariano della Madonna di Monte, a un chilometro da Costa e a tre e mezzo da Aviano. Un bellissimo santuario, posizione incantevole, che poteva essere trasformato in un centro di spiritualità missionaria. Ma qualcuno lo giudicava troppo isolato.

"L'importante è che non abbandoniamo il Friuli. Ha dato tanti e ottimi missionari. Dobbiamo lavorare di più e più a fondo per l'animazione vocazionale... Questa chiusura me la sento qui, sul cuore, che mi pesa come un macigno", diceva.

"La faccenda della presenza comboniana in Friuli è stata una lima per p. Lorenzo - dice p. Mazzocco. - Qualche giorno prima della sua morte era ritornato da un incontro col vescovo e con i sacerdoti parecchio sconvolto. Poi arrivò il p. provinciale. Io dissi a costui: 'Porta via p. Lorenzo da Pordenone, perché soffre troppo'. Dieci ore dopo era morto".

Era pronto

I confratelli di Pordenone assicurano che la morte non colse impreparato il Padre. Già da mesi il Signore stava preparandolo al gran passo. "Negli ultimi mesi - dice p. Mazzocco - il Padre si preparava con un incontro privilegiato col Signore. Meditava la Parola di Dio in un modo 'che mi è nuovo', diceva. Spesso, quando tutti erano a letto, egli si recava in chiesa e sostava ore ed ore in adorazione. Parlava della morte con serenità e con frequenza. Egli sapeva che poteva morire improvvisamente e si teneva pronto. Aveva il grande desiderio di aiutare la comunità in questo cammino verso il Signore. Organizzava novene, celebrazioni comunitarie... salvo a trovarsi solo e criticato...".

La mattina del 10 aprile 1992, non vedendolo alla messa comunitaria, si andò nella sua stanza. Sorella morte, serenamente attesa, era venuta a prenderselo. Il colpo fu duro e lasciò tutti con la bocca amara.

Testimonianze

I funerali, celebrati nella chiesa parrocchiale del Sacro Cuore, furono presieduti da mons. Sennen Corrà, vescovo diocesano, e furono solennissimi. Erano presenti più di 70 sacerdoti di cui una ventina comboniani, con un numero grandissimo di fedeli e di Terzomondiali che stimavano il Padre per la sua lealtà e la sua generosità. La bara fu portata a braccia dai Terzomondiali (ce n'erano più di 40 in chiesa) che vollero essere presenti per l'ultimo addio al loro padre e benefattore. Alcuni lo accompagnarono fino al suo paese. Uno di essi, con stile tutto africano, pronunciò le seguenti parole, interpretando i sentimenti di tutti:

"Ieri era la gioia. La gioia è diventata tristezza. La notte era meravigliosa, il mattino pieno di tristezza. I nostri occhi sono pieni di lacrime.

O Africa, il tam-tam si è rotto, il tam-tam di gioia e il tam-tam di consolazione. Piangiamo e preghiamo. La tua morte è come una biblioteca che brucia. Uomo di saggezza, uomo di esperienza, uomo senza colore.

Le pecore saranno disperse; non c'è più il loro pastore ed esse saranno frustate dai nemici.

Che il Signore ci mandi un altro come te per guidarci. Va', p. Lorenzo, amico fedele; il cammino è aperto per te. Tu hai fatto ciò che il Signore ha voluto. Tu non hai seminato alberi, ma hai seminato uomini in un campo che durerà nei secoli. Dalla terra siamo venuti e alla terra torneremo. Ciao, p. Lorenzo, arrivederci".

P. Sandro Trabucchi, presente alla mesta cerimonia, lascia il seguente scritto:

"Vorrei avere la penna adatta per descrivere i sentimenti che affiorarono dentro di me nell'ascoltare la semplice, toccante omelia del vescovo, le parole di ringraziamento dette da p. Armando Agostini alla fine, compresa la lettura di un breve scritto di un extracomunitario del Mozambico. Il fatto della numerosa presenza di extracomunitari, presenza dignitosa, sofferta, religiosa quanto mai, direi di fede, mi ha colpito enormemente. Non dimenticherò facilmente la visione della bara portata a mano da una dozzina di giovani africani. Il pianto di alcuni di loro, la compostezza durante la celebrazione e poi quel canto in inglese che dice: 'Ero affamato e mi hai dato da mangiare, senza vestiti e mi hai coperto, senza lavoro e me lo hai procurato...'. Il toccante, commovente ed impressionante lamento stile africano di quella ragazza vicino alla bara ha colpito tutti.

Una vera apoteosi del lavoro di p. Lorenzo, molte volte incompreso, tra e per gli extracomunitari. Le preghiere fatte dopo il Vangelo, i sentimenti espressi alla fine e, in particolare, i toccanti accenni di quanto ha fatto nell'omelia del vescovo, sono elementi su cui ogni comboniano dovrebbe riflettere. Quella di p. Lorenzo è un'eredità da non lasciar cadere; un discorso, il suo, da portare avanti con amore, coraggio e tenacia.

La casa di Pordenone, come è al presente, sta per essere ceduta ad altri. In ogni caso, con il funerale di p. Lorenzo Osgnach è stata scritta una gloriosa pagina di storia comboniana. Il suo è un esempio da imitare, un'eredità da raccogliere a Pordenone e altrove".

P. Centis ha commentato: "I funerali di p. Lorenzo hanno dato la misura dell'amore che i Friulani hanno nei confronti dei Comboniani".

Il centro missionario diocesano ha sentito il bisogno di esprimere al Signore commossa gratitudine per il generoso servizio di p. Lorenzo, e ha colto l'occasione del suo funerale per manifestare la vicinanza e riconoscenza alla famiglia comboniana per il suo prezioso contributo di animazione in diocesi. Un sacerdote ha ricordato ciò che p. Lorenzo aveva detto in un raduno: "La Chiesa è missionaria 365 giorni all'anno e spetta a tutti i cristiani, in eguale misura, vivere quotidianamente la dimensione della missionarietà". Altri hanno ricordato l'incoraggiamento e l'invito ai sacerdoti ad essere sale e lievito missionario nelle loro comunità parrocchiali. Sotto il sorriso di uomo mite e riservato, p. Lorenzo celava una sensibilità profonda e sofferta che, quando riusciva a manifestarsi, metteva a nudo la sua ribellione contro le ingiustizie e le ipocrisie di cui vedeva vittime i suoi "figli"; e non esitava a farsi pieno carico delle nuove povertà emergenti. Aveva capito che la sofferenza dello sradicato merita attenzione e cura, sia esso di pelle bianca o nera, cristiano o musulmano, perché è sempre sofferenza dell'uomo; per questo p. Lorenzo ha bussato a tante porte, ha chiesto al suo cuore già sofferente di sopportare ansie, solitudini e delusioni.

La sua morte non è giunta inattesa per quanti lo conoscevano da vicino e si erano accorti che portava sulle spalle una croce troppo pesante per le sue forze.

Dopo i funerali a Pordenone, la salma è stata traslata al suo paese natale, San Leonardo al Natisone. Ci auguriamo che sia fermento di nuove e ferventi vocazioni missionarie.                  p. Lorenzo Gaiga

Da Mccj Bulletin n. 176, ottobre 1992, pp.67-76