In Pace Christi

Messori Angelo

Messori Angelo
Data di nascita : 21/10/1918
Luogo di nascita : Bagno RE/I
Voti temporanei : 25/03/1941
Voti perpetui : 11/02/1943
Data ordinazione : 27/06/1943
Data decesso : 21/07/1992
Luogo decesso : Verona/I

Grande, anzi grandissima era la fiducia nella divina Provvidenza in casa Messori. Eravamo nel 1918. La prima guerra mondiale era appena terminata lasciando in Italia desolazione, povertà, malattie e disoccupazione. Ci volle del coraggio a papà Severino, modestissimo mediatore di terreni, a mettere al mondo 15 figli, cinque dei quali morirono in tenera età. E ci volle una fede ancor più grande ad affrontare le spese della retta quando quattro di essi, uno dopo l'altro, chiesero di entrare in seminario, mentre una figlia, dopo essersi diplomata maestra elementare, si fece suora.

Mamma Adele Tondelli possedeva un po' di terra che la famiglia lavorava con la tenacia propria degli emiliani. Il nonno materno, di nome Tonino, e uno zio impegnarono tutte le loro energie per il mantenimento agli studi dei cinque nipoti. Ma quanti sacrifici, quante privazioni e anche qualche umiliazione!

Il nostro Angelo, primo dei 15, fece l'apripista. Egli non dimenticò mai i sacrifici dei suoi familiari per farlo studiare e ciò contribuì ad accrescergli quell'attaccamento alla famiglia che era già forte in un animo sensibile come il suo.

Terminate, dunque, le scuole elementari al paese, entrò nel seminario diocesano. Angelo era di carattere mansueto, buono, caritatevole. Pur nella sua povertà trovava sempre il modo di dare qualcosa a qualche compagno più bisognoso di lui.

La chiamata alle missioni

Nel seminario l'attività missionaria era molto sentita, grazie all'animazione effettuata dai Comboniani.

A ventun anni, durante la teologia, maturò la sua vocazione missionaria. Possiamo ben immaginare la sorpresa dei genitori alla decisione del figlio perché - diciamolo chiaro - un figlio sacerdote a quel tempo poteva costituire una risorsa per la famiglia, specialmente per i vecchi genitori. Ma alla fine la loro fede ebbe ancora una volta il sopravvento e, in data 4 ottobre 1938, scrissero: "I sottoscritti genitori del chierico Angelo Messori dichiarano di lasciar partire per le missioni africane di Verona il loro figlio e chiedono benedizioni e aiuti speciali dal Signore".

In una lettera del 26 settembre 1938, così Angelo si esprime con i superiori di Verona: "Ho la gioia di poterle comunicare che io, chierico Angelo Messori, del Seminario Vescovile Urbano di Reggio Emilia ad Albinia, non ho più alcun impedimento che mi trattenga dall'entrare in noviziato. Le sono già noto per le notizie che certo avrà avute dal reverendo p. Valcavi. Per l'entrata in noviziato vorrei arrivare in tempo per assistere alla professione dei suoi diletti alunni Silvio Caselli e Taddei Tolmino ...". P. Antonio Vignato, sotto questa lettera dirottata al p. maestro di Venegono, aggiunse: "Gli risposi accettandolo. Deo gratias. E preghiamo che non venga la guerra".

Invece la seconda guerra mondiale ('39-'45) arrivò puntuale cogliendo Angelo proprio alle soglie del sacerdozio.

Il rettore del seminario, canonico Luigi Garimberti, accompagnò il suo alunno in noviziato con queste parole: "Il sottoscritto dichiara che il giovane Messori Angelo, alunno interno di detto seminario, ha sempre tenuto buona condotta religiosa e morale e dà serio affidamento di buona riuscita".

Noviziato difficile

Il passaggio dal seminario al noviziato causò qualche trauma nel giovane Angelo. Si sforzava di essere buono, regolare, di preghiera; ma poi il suo carattere piuttosto fiacco aveva il sopravvento per cui il giudizio del maestro, p. Antonio Todesco, non è dei più lusinghieri. "...Sembra si constati poca comprensione di quello che è spirito religioso pratico e poca generosità nell'apprenderlo. Solo da un po' di tempo fa veramente bene, sia riguardo alla preghiera come all'osservanza della Regola". Per la decisione dell'ammissione ai Voti il p. maestro lascia la responsabilità alla Consulta generale.

Una cosa che salvò sempre p. Angelo fu la consapevolezza chiaramente riconosciuta - e le sue lettere sono qui a testimoniarlo - dei suoi limiti. Questi limiti costituirono per lui una vera croce che si portò sulle spalle per tutta la vita. Contro questi difetti, che gli causarono incomprensioni e frequenti cambiamenti di comunità, lottò assiduamente, raggiungendo negli ultimi suoi anni completa vittoria, come le testimonianze dimostrano.

Il 25 marzo 1941 emise la prima professione. Poi si trasferì a Verona per completare gli studi teologici. Abbiamo la testimonianza di p. Elio Soriani: "Ricordo quando arrivò nello scolasticato di Verona. Era buono, impegnato, non era chiassoso. Non un tipo che richiamasse attenzione; sereno e gioioso, pronto nel dare aiuto. Ricordo un fatto piccolo ma molto significativo. Un giorno stavo scopando le scale di Casa Madre con uno dei miei soliti mal di testa. Egli si accorse che il lavoro e il rumore mi erano penosi.

'Lascia - mi disse - faccio io. Tu va' a riposarti'.

Quel suo gesto, fatto con estrema semplicità, mi è rimasto impresso nel cuore per tutta la vita".

Venne ordinato sacerdote nella città scaligera il 27 giugno 1943.

Insegnante

Dal 1943 al 1947 p. Angelo Messori fu insegnante nel seminario comboniano di Padova. Con la fine della guerra, intanto, si erano riaperte le vie dell'Africa, per cui dal settembre 1947 al 1949 fu insegnante a Khartum.

"L'ubbidienza - continua p. Soriani - ci ha messi su strade differenti. Tutti e due nel Sudan, ma lui a Khartum ed io a circa duemila chilometri più a sud, a Juba. Egli destinato al Comboni College, io tra i neri del Bahar el Gebel. A Khartum deve essersi comportato molto bene se, dopo circa dieci anni, passando per quella città mi resi conto che i confratelli lo ricordavano con molta simpatia per la sua serietà e metodicità. Anche gli alunni gli volevano bene, trovando in lui più che un professore un amico sincero".

Se si è comportato bene, non si è trovato altrettanto bene quanto al clima. A quei tempi Khartum era una città impossibile per i missionari dal fisico debole; non esisteva l'aria condizionata e i ventilatori erano solo nelle aule scolastiche. Dalla sabbia, che regnava dappertutto e che entrava da ogni fessura, pareva si sprigionasse un calore impossibile; prima di mezzanotte non si parlava neppure di prender sonno e da quell'ora in poi, per trovare un po' di ristoro, bisognava dormire in cortile o sul terrazzo. L'acqua era poca e non sempre pulita, per cui la dissenteria e l'ameba tormentavano spesso i missionari. P. Messori crollò in fretta.

Dal '49 al '50 fu trasferito al Cairo come addetto al ministero. Ma in realtà il suo compito era quello di apprendere la lingua araba. Ebbe anche la responsabilità come sorvegliante del "Circolo Piccoli", ma era scritto che avrebbe dovuto abbandonare l'Africa in fretta in quanto proprio al Cairo cominciò ad avere i primi sintomi dei disturbi che lo costrinsero a tornare in Italia.

Le note sul suo conto da parte di p. Bombieri, superiore al Cairo, non sono lusinghiere. Motivo di più per il Padre di ripetere il suo quotidiano: "Oggi comincio".

Dal '50 al '54 fu a San Tomìo come addetto al ministero e alle confessioni, con una piccola parentesi nel 1952 a Trento come p. spirituale dei seminaristi. Dopo un anno a Troia ('54-'55) come addetto al ministero, venne dirottato in Portogallo, a Viseu, dove rimase dal '55 al '57. Questo viaggio fu traumatico per il Padre. A Nizza non si sentì bene, allora scese dal treno e chiese ospitalità agli Oblats de la Vierge Marie, i quali molto caritatevolmente lo accolsero nella loro infermeria. Il medico non trovò niente di particolare, molto probabilmente si trattava di paura ad affrontare da solo un viaggio così lungo. Ciò denota la fragilità e la semplicità che hanno sempre accompagnato p. Messori. Scrivendo a p. Rizzi in questa circostanza gli disse: "Ho il cuore che mi batte troppo in fretta". Rizzi gli rispose: "Coraggio, Padre, finché il cuore batte vuol dire che siamo vivi". Incoraggiato da queste parole riprese il viaggio e giunse a destinazione. A Viseu cercò di imparare la lingua per potersi rendere utile nel ministero.

In Portogallo, dove a quel tempo il lavoro era molto e il cibo scarso e scadente, il Padre fu colpito da una grave forma di debolezza che lo privò notevolmente della vista, tanto che i superiori dovettero chiedere alla Sacra Congregazione di Propaganda Fide la dispensa dalla recita del breviario con l'obbligo di sostituirlo con l'intero rosario, e il privilegio di poter celebrare quotidianamente la santa messa della Madonna o dei defunti. Ricevette risposta affermativa per la "durata dell'infermità".

Un confratello che è vissuto con lui in Portogallo ha detto: "Non ha fatto niente di grande, ma ha reso tutto grande con la sua umiltà e obbedienza".

Su e giù

Due anni dopo fu trasferito a Napoli sempre nella speranza di riacquistare quella salute che gli sembrava sfuggisse di giorno in giorno. Ma anche l'esperienza napoletana non fu più lunga di un anno, per cui dal '58 al '59 venne dirottato a Milano sempre come addetto al ministero. Le nebbie del capoluogo lombardo lo costrinsero a chiedere un avvicinamento alla sua terra dove gli sembrava di trovarsi meglio. Così dal '59 al '64 lo troviamo a Bologna, e dal '64 al '66 a Barolo, in provincia di Asti, dove i Comboniani avevano aperto un seminario in un fatiscente castello.

Dal '66 al '71 fu a Venegono e qui si trovò a lavorare fianco a fianco con quel vulcano di iniziative e di attività che era p. Cuniberto Zeziola, superiore della casa e direttore del GIM. Dobbiamo dire che questo fu un periodo di particolare sofferenza per il Padre, perché era come costringere una tartaruga a stare al passo con una lepre.

Dal '71 al '73 p. Messori fu a Verona come addetto al ministero e come ospite del Centro Assistenza Malati. Anche se in questo periodo nessuno sospettava del suo male, egli già ne sentiva i sintomi. Tuttavia dal '73 all'84 poté dedicarsi al ministero e all'animazione missionaria a Pordenone, dove c'era il postulato dei fratelli e le scuole di falegnameria e di meccanica. Undici anni di permanenza nella stessa casa ci dicono che il Padre si trovò a suo agio.

La sua semplicità, il suo modo di fare senza pretese, quasi un inconscio complesso di inferiorità, lo rendevano più vicino e simpatico agli umili. Quanti lo hanno conosciuto, lo hanno anche amato e sono rimasti ammirati per la sua serenità; dote che sapeva trasmettere specialmente nel ministero della confessione. Il fatto di essere stato così poco in missione lo amareggiava. Un giorno confidò a un confratello: "Io, cosa ho fatto per le missioni? Quando cominciavo ad essere utile, mi sono ammalato... Ma ho pregato e offerto tutto e sempre per esse e per i confratelli".

La malattia

Fu proprio a Pordenone che si rivelò il male che da tempo covava nel suo corpo e che, molto probabilmente, gli causò incomprensione e anche qualche critica da parte dei confratelli.

Nel 1979 venne operato di polipo rettale. Al termine della convalescenza tornò a Pordenone, portandosi però sempre indosso quella stanchezza e quella incapacità di iniziative che furono per lui motivo di particolari sofferenze.

Dall'84 all'85 fu a Milano, in via Saldini, e dall'85 all'88 a Pesaro. Scrive fr. Gianni Smalzi: "Venne riscontrato sofferente di calcoli alla colecisti, nonché la presenza di vegetazioni irregolari, facilmente sanguinanti, di aspetto neoplastico. Nel dicembre dell'88 era stato ricoverato e operato con successo all'ospedale di Borgo Roma per adenocarcinoma del retto". L'operazione gli provocò la deviazione del retto, una cosa fastidiosissima che il Padre sopportò con una pazienze eroica. Questa limitazione non gli impedì di dedicarsi al ministero senza mai far pesare su alcuno la sua situazione di malato.

"Dopo la convalescenza nella comunità di Trento - prosegue fr. Smalzi - ritornò a Verona mettendosi a disposizione per tutti i servizi di apostolato. Per i suoi precedenti, veniva semestralmente controllato e, nel maggio del 1991, si riscontrarono due espansioni rotondeggianti nel polmone destro che indicavano metastasi diffuse localizzate anche alla regione mandibolare destra che gli procurarono atroci dolori alla testa. La successiva espansione della formazione polmonare lo portò a difficoltà di respirazione e conseguentemente la sua famiglia fu informata della gravità della situazione".

Vita religiosa

"Ricordando la sua vita religiosa - ha detto p. Elio Soriani nel discorso funebre - possiamo davvero dire che è stato un buon prete e un buon religioso. Viveva il sacrificio come avesse fatto un patto di vittima silenziosa con la metastasi che lo divorava e chissà quanto lo faceva soffrire. Eppure mai un lamento. Diceva: 'Mi fa male'. Così, e non una parola di più, mai un rifiuto se gli chiedevano di prestarsi per un ministero, neanche nelle ultime settimane di vita. Egli ci ha mostrato il volto buono, mite, incoraggiante del Signore.

Eppure p. Messori a volte aveva in sé un qualche cosa di strano che ci faceva rimanere perplessi e non ci trovava d'accordo con lui. Egli, per esempio, fumava; ma dopo alcune 'tiratine' deponeva la sigaretta per finirla in un altro momento. Ma la perplessità ed il rifiuto nostro venivano particolarmente dal fatto che, di tanto in tanto, andava a cercare i mozziconi di sigarette nelle cassette che alla stazione di Porta Nuova o di qualche piazza sono là perché i cittadini non sporchino per terra. Quando io me ne accorsi, gli parlai seriamente di igiene e di dignità e, se mai, perché non fare un atto di umiltà e chiedere al superiore del denaro per comperarsi le sigarette? Egli mi rispose: 'Non sono soldi nostri, quello è denaro per le missioni'.

Un'altra stranezza: smetteva i calzini solo quando erano completamente mangiati dall'uso. Era un'altra sua interpretazione della povertà. Ad una osservazione fattagli in proposito da p. Doneda, egli rispose: 'E chi se ne accorge? Il rotto è coperto dalla scarpa'". Non facciamo commenti a questi episodi.

Negli ultimi due anni che rimase a Verona ebbe l'incarico di celebrare quotidianamente la messa delle 7,30 in Santa Maria in Organo. Il parroco di quella chiesa, uomo di poche parole, ha detto dopo la morte del Padre: "P. Messori? Riassumerei la sua vita con due parole: è stato semplice e fedele. La sua celebrazione, pia, edificante, gradita ai fedeli, condita con brevi didascalie sempre azzeccate, entrava nei cuori e lasciava il segno. Per due anni abbondanti ha edificato i fedeli di questa parrocchia che ora ne sente la mancanza. Dato il suo carattere mite, discreto, servizievole, si era determinata una certa familiarità serena e piacevole".

E p. Bellotti, che lo avrebbe seguito a ruota nella casa del Padre, aggiunge: "Nonostante il tumore che lo faceva tanto soffrire era sempre sereno e si prestava nei servizi di ministero. Le suore comboniane erano contente di averlo come confessore. Le sue virtù principali sono state la pazienza e l'umiltà. Non l'ho mai visto impazientirsi con nessuno, né criticare alcuno. Aveva un grande amore alla sua famiglia e alcune volte all'anno passava due o tre giorni insieme ai suoi parenti".

Fino all'ultimo giorno

Nonostante il male proseguisse il suo corso inesorabile, p. Messori visse come un "sano" fino all'ultimo giorno. Un mese prima della sua morte andò a trovare i parenti per dare a tutti l'ultimo saluto.

Scrive la cognata Maria: "Venne nella mia casa dove c'era la camera riservata a lui. Fece radunare i sette fratelli, le cognate, i nipoti e i pronipoti e con i due fratelli sacerdoti don Luigi e don Giovanni (un altro fratello sacerdote è morto alcuni anni fa) e la sorella suora delle Ancelle della Carità di suor Maria Crocifissa Di Rosa fece una solenne concelebrazione. Tenne l'omelia seduto e parlò degli esempi che i suoi genitori avevano dato e dei sacrifici che avevano fatto per far studiare i quattro figli sacerdoti e la figlia suora. Raccomandò a tutti di vivere uniti, e disse che non era il portafoglio pieno che fa felice l'uomo. Alla fine della messa io - prosegue la cognata Maria - lo raggiunsi nella sua camera e gli dissi: 'Sai qual'è la tua malattia?'. Ed egli: 'So che ho un tumore. Sono pronto a morire anche adesso'. 'Bene - gli risposi - allora saprai anche che ti restano pochi giorni di vita'.

A questo punto il Padre fece chiamare il fratello don Luigi e gli disse: 'Tu sapevi che ho pochi giorni di vita e non me l'hai detto!'. L'altro rispose scoppiando a piangere. Il giorno dopo nel salone della nostra casa si rinnovò la concelebrazione durante la quale p. Angelo chiese che gli fosse amministrato l'olio degli infermi. Il fratello don Luigi compì quella commovente cerimonia. Alla fine p. Angelo disse: 'Signore, ti ringrazio'. E mentre noi tutti piangevamo egli aggiunse: 'Pregate, pregate, pregate'. E quindi: 'Voglio morire in Casa Madre a Verona perché quella è la mia casa'. Dopo tre giorni infatti fu riportato a Verona. Una sorella passò alcuni giorni con lui a Verona. Egli di tanto in tanto le diceva: 'Non perdere tempo, ma prega'".

Nonostante questa situazione il Padre reagì sempre con grande coraggio alle sue sofferenze e seguitò una vita e un'attività apostolica quasi normale.

P. Rovelli afferma: "Ormai il tumore si era diffuso in tutto il corpo. Cercava di ovviare alla grande sofferenza facendo lunghe passeggiate a piedi per le vie di Verona, fermandosi in tutte le chiese che incontrava. Un giorno, davanti alla chiesa di Santa Maria in Organo, fui fermato da un distinto signore che mi domandò se conoscevo il Padre che andava sempre a celebrare in quella chiesa. Dalla descrizione capii che si riferiva a p. Messori. Gli domandai se aveva qualche messaggio per lui. 'No, semplicemente una osservazione: da alcune settimane - mi disse - in ogni chiesa che io visito, vi trovo quel Padre assorto in preghiera. Deve essere un uomo di grande fede'".

Fino alla fine

Concelebrò con la comunità di Casa Madre anche alla mattina del suo penultimo giorno di vita. "La sera prima - scrive p. Soriani - siamo andati a trovarlo in camera verso le 22. Di solito ci accoglieva in piedi, quella sera era seduto sul letto. Gli doleva fortemente il collo, la nuca, tutta la testa. Parlava con voce cupa, cavernosa, impressionante. Poi si stese sul letto e noi, dopo alcuni minuti, ce ne siamo andati per non affaticarlo oltre. Poco più tardi raggiunse il refettorietto per prendere una tazza di caffelatte. 'Come ti senti' gli chiesi. 'Un po' meglio' rispose. Poi aggiunse: 'Sono contento, prego per i confratelli e per tutti; grazie di tutto anche a voi'".

In occasione del pellegrinaggio a Lourdes per sacerdoti malati chiese ed ottenne di parteciparvi. La devozione alla Madonna è stato un altro caposaldo della spiritualità del Padre. Cercava di far leggere a tutti il libro "La Madonna ai suoi fedeli sacerdoti". Nelle sue visite alle chiese cercava i mozziconi di candela e li rimetteva al loro posto riaccendendoli, in modo che si consumassero fino all'ultimo. Era il suo modo di onorare la Madonna senza gravare sulle finanze delle missioni. P. Elio Soriani conclude dicendo: "Ora lo immagino in paradiso ad accendere ceri nuovi per esprimere il suo amore alla Madonna".

Alla vigilia della sua partenza per Lourdes improvvisamente si aggravò e alle ore 0,10 del 21 luglio 1992 terminava serenamente la sua vita terrena. Al funerale tenuto in Casa Madre seguirono cerimonie religiose e tumulazione nel cimitero di Villa Bagno di Reggio Emilia, accanto alla tomba dei genitori e del fratello sacerdote.

Un suo nipote ha voluto il suo breviario come preziosa reliquia con l'impegno di recitarlo tutti i giorni. Che dal cielo p. Angelo Messori ottenga a tutti i missionari sofferenti la serenità nella malattia e la disponibilità a lavorare fino all'ultimo istante della vita.             p. Lorenzo Gaiga

Da Mccj Bulletin n. 177, gennaio 1993, pp. 57-62