"Viva Cristo Re! Reverendissimo Padre Generale, desiderando lavorare per la gloria di Dio e per la salvezza delle anime dove più urgente è il lavoro e minore il numero degli operai, il sottoscritto seminarista Giacomo Mosciatti, di Domenico e di Ciccolini Maria, nato a Matelica il 24 luglio 1926, dopo aver ottenuto la maturità classica presso il Reale Liceo di Fano, fa domanda di entrare nel vostro rispettabilissimo istituto per poi lavorare con tutte le sue energie nelle prime linee del regno di Cristo.
Fin dai primi anni della scuola elementare, con la lettura in famiglia della "Crociata Missionaria", ha incominciato a svilupparsi la sua vocazione missionaria. Al contatto col p. Tito Tempestini, durante gli anni di ginnasio, e con la lettura di riviste missionarie si è sempre più fortificata fino alla decisione definitiva.
Ora, terminato il terzo anno di liceo, con la piena approvazione del p. spirituale e del rettore del seminario regionale, avendo ottenuto il permesso anche della famiglia e dell'illustrissimo Vescovo diocesano, non desidera altro che di essere ammesso per prepararsi più direttamente all'apostolato missionario.
Frattanto, nella speranza di essere arruolato, chiede la santa benedizione e bacia la mano. Obb.mo Sem. Giacomo Mosciatti".
La lettera non porta data, come non porta data quella del suo vescovo che dice:
"Il seminarista Giacomo Mosciatti da tempo insiste nel seguire la vocazione missionaria che lo induce a lasciare la diocesi per entrare nell'Istituto delle missioni africane.
Concediamo l'autorizzazione a tale passaggio ed esprimiamo l'augurio di un fervido e fecondo apostolato per illuminare coloro che siedono ancora nelle tenebre e nell'ombra di morte del paganesimo. Aggiungiamo di cuore la benedizione. Mons. Livio Crescenzi, vescovo di Fabriano e Matelica".
I genitori, ottimi cristiani e missionari nel cuore (in casa si leggeva Crociata Missionaria), diedero ampio e gioioso consenso.
Aveva 20 anni, dunque, il chierico Giacomo Mosciatti quando, il 5 novembre 1946, lasciava il seminario di Fano per entrare in noviziato a Firenze. Come abbiamo sentito, aveva appena terminato la terza liceo.
Dobbiamo dire che il passaggio dalla vita del seminario a quella del noviziato costituì un piccolo trauma per il nostro seminarista.
Le piccole pratiche del noviziato, il silenzio, i ternari, le piccole penitenze... gli suonavano male.
Egli era portato all'attività esterna, come apostolato, e non dava eccessiva importanza a quelle minuzie di cui non vedeva l'importanza per una preparazione alla vita missionaria in Africa. Inoltre, trovandosi a vivere fianco a fianco con dei ragazzini che avevano appena terminato la quinta ginnasio, qualche volta si domandava dove fosse finito.
Un po' alla volta, però, comprese che la fedeltà alle piccole cose sulle quali tanto insisteva il p. maestro, costituiva un allenamento costante della volontà nella pratica della virtù.
"Vedi - gli ripeteva p. Patroni - devi capire che prima dell'attività esterna è necessario mettere dentro dei principi validi, capaci di sostenerti anche nelle difficoltà. La tua formazione deve fondarsi sulla fede e sullo spirito di preghiera, e l'esercizio nelle piccole cose prepara a fare bene le grandi cose".
Mosciatti era docile e ascoltava con attenzione e devozione quegli insegnamenti di un uomo che - lo si vedeva chiaro - desiderava solo il suo bene.
"Gioviale e allegro, si adatta facilmente al desiderio dei confratelli. Ha belle qualità e può fare un'ottima riuscita perché è generoso nel sacrificio e schietto con i superiori, anche se deve camminare molto per assorbire lo spirito religioso", scrisse p. Patroni.
E Mosciatti camminò bene se, verso la fine del noviziato, il p. maestro poté scrivere: "L'ho trovato sempre docile alle correzioni. E' ben fondato nelle virtù basilari della vita religiosa. E' pieno di buona volontà e animato da un grande desiderio di dedicarsi all'apostolato. E' giovane serio ed equilibrato che ha superato brillantemente gli esami di prima teologia. Intelligenza pronta e aperta".
Uno strumento utile
Nella domanda per i Voti e in tutte le altre domande per gli ordini sacri, ricorre sovente una frase: "Vorrei essere uno strumento utile nelle mani di Dio per salvare tante anime".
Questa espressione mette in risalto tutto l'anelito di quest'anima semplice, un po' idealista, e costantemente protesa al bene.
Emessa la professione a Firenze il 9 settembre 1948, passò a Venegono per completare la teologia.
Nella lettera di domanda per i Voti perpetui così si espresse: "Qualora non mi ritenessero sufficientemente adatto per la Congregazione, o non credessero opportuno ammettermi subito alla professione perpetua, trovandomi ora solo al secondo anno di professione religiosa, la prego vivamente di non volermi interdire o ritardare anche gli ordini sacri ai quali vivamente aspiro".
P. Medeghini, superiore a Venegono, aggiunse: "Compie bene i suoi doveri di pietà ed è regolare in tutto. Per conto mio può essere ammesso ai voti perpetui e all'ordinazione sacerdotale".
Il 22 settembre 1950 fece la professione perpetua e venne ordinato sacerdote a Milano il 19 maggio 1951.
Dalle date si può notare come Giacomo Mosciatti abbia fatto solo due anni di voti temporanei prima dei perpetui. Segno che era ben preparato.
Professore
Appena ordinato sacerdote, dovette frenare i suoi desideri apostolici africani per seguire l'obbedienza che lo inviò in Inghilterra come studente di inglese e insegnante ai giovani aspiranti missionari. Non era un lavoro facile, tuttavia p. Mosciatti lo svolse egregiamente.
Dopo quattro anni, nel 1954 fu inviato, sempre come professore, al Comboni College di Khartum. Vi rimase fino al 1982, 28 anni, quasi una vita.
Un periodo così lungo di insegnamento (nel frattempo il Padre si era laureato in matematica e scienze naturali) ci assicura che sapeva fare egregiamente il suo mestiere.
Aveva un buon rapporto con i ragazzi, era paziente, preciso nelle lezioni per cui i suoi alunni risultavano sempre i migliori agli esami.
Si interessò anche all'attività sportiva, sicuro che lo sport era una buona medicina contro tanti mali propri della gioventù.
P. Baroni, superiore del Comboni College scrisse nel 1955: "P. Mosciatti è un bravo padre, conosce bene la sua materia. E' un lavoratore che si presta in qualsiasi ufficio o lavoro. E' molto attivo e assai riservato. Gli alunni e la gente lo stimano. Ha rilevanti doti di intelligenza ed è attaccatissimo al suo dovere che esegue con scrupolo, esatto nell'osservanza delle regole non ha nessuna esigenza per se stesso. E' un uomo di intensa preghiera".
La sua bontà naturale, corroborata dalla grazia di Dio e dal continuo esercizio della virtù, fece di lui un uomo e un sacerdote esemplari.
Nei momenti liberi dalla scuola p. Mosciatti si dedicava al ministero nelle cappelle circostanti. Gli piaceva parlare di Dio con la gente. Era sempre stato il sogno della sua vita e la molla che lo spinse a lasciare il seminario diocesano per diventare missionario. Ora custodiva questo sogno per il momento - sarebbe pur arrivato - quando, esonerato dalla scuola, avrebbe dato tutto se stesso al ministero vero e proprio.
Contemporaneamente si occupava anche della costruzione del Centro Pastorale (era l'esecutore ufficiale) e teneva la relazione con i benefattori tedeschi, in particolare col vescovo di Colonia, a nome della diocesi.
A completa disposizione
Il momento del ministero arrivò nel 1982 quando fu assegnato alla parrocchia della Cattedrale. Gli piaceva accostare i genitori dei ragazzi in questa nuova veste di sacerdote, solo di sacerdote e non di professore. Era una cosa tutta diversa. E poi alle conoscenze di vecchia data se ne aggiunsero di nuove.
Anche se non era in prima linea, si sentiva totalmente missionario. I superiori gli affibbiarono un altro ufficio molto delicato: quello di coordinatore dei progetti della diocesi.
Ma Khartum, intanto, divenne teatro di avvenimenti importanti. Il più notevole fu quello dei rifugiati dal Sudan meridionale. Arrivavano a frotte, sempre più poveri, sempre più disperati, senza casa, senza lavoro, senza assistenza...
P. Mosciatti, coadiuvato da altri confratelli, si investì della parte e cominciò a battere cassa presso amici, parenti, vecchi compagni di seminario, organizzazioni benefiche italiane ed estere per poter soccorrere quei disperati.
Attraverso le sue mani passarono fiumi di denaro, tutti convogliati dove maggiormente urgeva il bisogno.
Consumato per gli altri
Racconta p. Pigarella, suo compagno di missione: "Me lo vedo ancora con un fascio di libri di matematica sotto il braccio attraversare i cortili per andare nelle aule delle classi superiori, piuttosto assorto - e forse distratto - da altri pensieri che non avevano niente a che fare con la matematica pura...!
Me lo vedo - e qualche volta me lo disse - a colloquio con i grandi della finanza che erano piombati a Khartum per discutere e vedere i progetti di sviluppo.
P. Mosciatti non ne 'mollava' uno. Li prendeva sulla sua sgangheratissima Fiat 600 e via nel polverone verso le periferie - veri formicai umani - a far visitare, vedere, riflettere su problemi umani che dovevano essere risolti.
La sua zona di periferia preferita era la zona sud di Khartum, dove c'era la famosa 'Hella Mayo' o villaggio di maggio. Mosciatti vi profuse la sua vita. Sorsero tante opere: ambulatorio, chiesa, scuole, e... sgorgò l'acqua da un grande pozzo, acqua che diventò vita in quel deserto.
Ma tutto questo quanto gli costò di fatica, di corse, di incartamenti, di noie senza fine, fino all'ultimo!
Ebbe varie emorragie e si voleva che andasse in Italia per le vacanza e per rimettersi in salute, ma non accettò mai. Fu poi costretto e non tornò più".
Sconforto
E fu proprio da quest'opera di solidarietà verso gli ultimi che al Padre derivarono le maggiori amarezze che gli procurarono un intenso sconforto.
Con le dimissioni di mons. Agostino Baroni (1981), vescovo di Khartum, le leve della diocesi erano passate nelle mani degli africani i quali amministravano con criteri nuovi, guardando ai bisogni di una Chiesa in espansione.
Il denaro che il Padre raccoglieva e che neppure toccava perché correva per vie superiori, qualche volta non andava ai poveri come i benefattori volevano, ma finivano in altre opere, pur meritevoli, tuttavia, secondo lui, non così urgenti.
Qualcuno di rimando gli diceva che la sua amministrazione era tabù, cioè non era condivisa dagli altri, che era fatta arbitrariamente, e da qui sorsero tante incomprensioni e amarezze. P. Sina, scrivendo di questa questione, disse: "P. Mosciatti è molto buono e ha avuto dei dispiaceri con la diocesi e con alcuni confratelli per il suo modo di amministrare, perché non è puntuale nelle registrazioni contabili".
P. Mosciatti lottò a lungo, cercò di far valere le sue ragioni che erano le ragioni dei poveri, e in questo logorio il suo cuore soffriva enormemente, finché, verso il 1989, pensò di ritirarsi in buon ordine nella sua Matelica dove, dai tempi del seminario, era titolare di un canonicato e, a questo titolo, aveva maturato una pensione INPS come sacerdote al servizio della diocesi.
E poi, bisogna dirlo, p. Mosciatti era molto attaccato alla sua terra, alla sua famiglia dove era ben accolto e stimato, per cui gli riusciva difficile lasciarle per immergersi in una realtà che gli era diventata estremamente pesante.
Suo fratello mons. Francesco, parroco della Cattedrale, nutriva per il fratello missionario una devozione tutta particolare e si dichiarava pronto ad aiutarlo in tutti i modi.
Fine improvvisa
Un copioso carteggio sottolinea il progressivo disfacimento della salute, specialmente del cuore più volte definito dai medici "ad alto rischio", del nostro caro Padre.
Egli non si impressionava più di tanto conforme com'era alla volontà del Signore. "Ho fatto quanto ho potuto per le missioni - disse un giorno - ora attendo serenamente la venuta del Signore che mi porterà con sé dove non ci saranno più lotte o tribolazioni. Sono pronto".
Il Signore arrivò improvvisamente il 25 agosto 1994. Il fratello sacerdote, dandone la notizia, disse che era stato colpito da infarto. Aveva 68 anni. E' sepolto a Matelica e lascia in tutti il ricordo di un missionario buono, zelante e totalmente dedito al ministero specie tra i più poveri e bisognosi. P. Lorenzo Gaiga
Da Mccj Bulletin n. 186, gennaio 1995, pp. 87-92