In Pace Christi

Pasqualone Umberto

Pasqualone Umberto
Data di nascita : 29/11/1921
Luogo di nascita : Prezza (L'Aquila)/I
Voti temporanei : 07/10/1941
Voti perpetui : 07/10/1946
Data ordinazione : 31/05/1947
Data decesso : 05/03/1997
Luogo decesso : Verona/I

La famiglia Pasqualone era composta da papà Salvatore, proprietario terriero e benestante, mamma Maria Pasquale, casalinga, e da tre sorelle e un unico fratello, il nostro Umberto.

Il figlio maschio, specialmente se unico, conta molto e, distaccarsi da lui, costituisce un trauma per la famiglia.

Dopo la quarta elementare, superata con buoni voti, il parroco di Prezza, amico dei missionari comboniani di Sulmona, fece al ragazzino la proposta di entrare in quel seminario per la quinta, le medie e il ginnasio.

"A me, però, dispiace lasciare la famiglia che mi ama tanto, tuttavia, se il Signore mi chiamasse di sicuro non gli direi di no come ha fatto quel giovane del Vangelo, che è stato proprio sciocco", rispose il piccolo

I Comboniani di Sulmona, ormai di famiglia a Prezza, parlarono con i genitori i quali dissero un tirato sì solo perché erano sicuri che un ragazzo così piccolo di fronte a una strada così lunga si sarebbe presto stancato e sarebbe tornato a casa a dirigere, un domani, l'azienda paterna. Tuttavia chiesero al missionario di permettere al loro Umberto di terminare le elementari al paese, così sarebbe maturato un po' di più.

Acconsentirono. Il parroco, che già in quel ragazzino vedeva un missionario, gli fu sempre vicino integrando le lezioni della scuola in modo da prepararlo bene agli esami di ammissione alla media.

Una nipote, riportando un ricordo della mamma (sorella di p. Pasqualone) dice che il ragazzino, da piccolo, si era specializzato nel modellare con la creta le statuine del presepio. Era un lavoro che gli piaceva e che eseguiva con competenza e spirito artistico. Anche in Africa il Padre metterà in atto questa sua arte per arricchire i presepi di missione.

Il 22 maggio 1931 un grave lutto colpì la famiglia Pasqualone. Il papà, ancora giovane e forte, morì in pochi giorni stroncato dalla polmonite. Per Umberto fu un dramma. In un suo libretto, dove ha registrato i fatti più salienti della sua vita, così commenta quella morte: "Quando andai a chiamare il parroco per gli ultimi sacramenti, mi gettai ai piedi dell'altare della Madonna e sfogai con essa il mio dolore. Certo, il Signore se lo prese per fini incomprensibili, ma per noi il dolore fu immenso. Forse la sua guarigione sarebbe stata di ostacolo alla mia vocazione, perché ero l'unico figlio maschio".

Dopo la quinta elementare Umberto era sempre del parere di partire per il seminario missionario di Sulmona. Di fatto vi entrò il 10 ottobre 1934, a 12 anni di età.

Una vocazione combattuta

In una sua lettera scritta da Venegono nel 1941, al termine dei due anni di noviziato, ricordando la sua prima partenza da casa scrisse: "Il passo che sto per fare (i Voti), lo faccio con la massima libertà, non essendo obbligato né dai superiori, né dal mio parroco, né da persone influenti, né da parenti. Anzi, questi ultimi hanno sempre contrariato la mia vocazione missionaria da quando hanno visto sorgere in me il primo germoglio, tanto che quando si trattò di entrare nella Scuola Apostolica di Sulmona, dovetti quasi fuggire col parroco non salutando che quelli che si mostrarono più accondiscendenti. Ciò mi procurò poi i rimproveri da parte del parroco stesso. Credo che i miei parenti si siano comportati così perché, essendo figlio unico maschio, desideravano che io restassi con la mamma.

La mamma può vivere bene anche senza il mio aiuto, e poi ho ancora tre sorelle".

Il parroco, al momento dell'entrata di Umberto nella scuola apostolica di Sulmona scrisse: "Il Pasqualone è sempre stato un bravo ragazzo, l'unico su cui possiamo bene sperare. Edificantissimo, obbedientissimo, messa, comunione, meditazione, visita al Santissimo, lettura spirituale e rosario tutti i giorni, confessione settimanale... Io confido che con la grazia del Signore sarà un santo missionario proprio secondo il cuore di Dio. E' stato l'unico che mi ha seguito in tutto il ministero parrocchiale, ad ogni ora. Nulla ho potuto mai rimproverargli. Ed io sono di quelli che non perdonano!".

Dopo i primi giorni Umberto subì una tremenda crisi di nostalgia, tanto che chiese di tornare a casa perché "si sentiva male". Il superiore gli fece coraggio, ma vedendo che il ragazzino non si riprendeva e piangeva sempre, gli disse: "Ora telefono al tuo paese perché vengano a prenderti".

"Fortunatamente al mio paese non c'era il telefono - scrisse Umberto nelle sue memorie - e improvvisamente il mio cielo divenne sereno e luminosa la mia vocazione".

"Pur avendo fatto un distacco che gli era costato molto - dice la nipote - fu sempre molto attaccato alla famiglia. Noi nipoti, e siamo tanti, siamo stati sposati tutti da lui. Era lo zio, ma ci dava tanti bei consigli da sacerdote per aiutarci a vivere bene e da buoni cristiani. E poi era sempre contento, allegro, ricco di battute umoristiche che era proprio un piacere stare con lui".

Dalle pagelle scolastiche rilasciate dalla Scuola Apostolica di Sulmona, vediamo che Umberto era il classico seminarista dai tre dieci in condotta, diligenza e religione, e anche per le altre materie i voti andavano da 7 in su.

Per la quarta e quinta ginnasio Umberto passò all'Istituto Comboni di Brescia dove giunse il 25 settembre 1937. "Nei due anni di Brescia ho ritrovato la pace e il fervore che avevo un po' persi a Sulmona", scrive.

Novizio che arranca

L'8 agosto 1939, il nostro giovane approdò a Venegono Superiore. Dalle prime note scritte da p. Antonio Todesco, maestro dei novizi, notiamo che il nostro giovanotto arrancava per l'acquisto delle virtù necessarie ad essere un bravo missionario.

"All'inizio era ancora bambino e un po' leggero, poi si mise con impegno e cominciò a lavorare con generosità e profitto. Procede con grande calma di spirito e con buona volontà. E' semplice, timido, buono e un po' chiuso".

Pasqualone scrisse sul suo diario: "Questo è l'anno da cui dipende tutta la mia vita. Se lo passerò bene, passerà bene anche tutta la vita; se invece lo passerò male, tutta la mia esistenza sarà un continuo martirio senza merito".

Dopo due anni di noviziato, nell'agosto del 1941, il p. maestro scrisse: "Mi sembra che la compressione aumenti e che lavori con un po' più di convinzione. Ha bisogno di essere scosso di tanto in tanto, perché sembra abbastanza superficiale e facile alla dissipazione. Ama abbastanza la preghiera. E' di generosità e di sacrificio anche se un po' fiacco. Credo che in scolasticato si manifesterà ancora di più. Attualmente la timidezza gli impedisce di buttarsi fuori appieno".

Il giorno che fu luce alla mia giovinezza

Il 7 ottobre 1941 Umberto emise i Voti temporanei e si trasferì a Verona per il liceo e la teologia ma, dal 1943 al 1945, dovette emigrare a Rebbio per causa della guerra che aveva fatto di Verona una città a rischio a causa dei bombardamenti, e perché la Casa Madre era parzialmente occupata dai tedeschi.

P. Capovilla, per l'esame dell'Ostiariato e del Lettorato, dà il seguente giudizio:

"Pietà buona, costumi illibati, capacità sufficiente, aiutata da tanta diligenza. Mostra volontà risoluta di diventare sacerdote nella nostra Congregazione.

Ritengo, insieme ai Padri insegnanti, che possa essere ammesso agli Ordini".

Come si vede, le "raccomandazioni" del maestro dei novizi sono superate, segno che Umberto era cresciuto spiritualmente e aveva fatto un buon cammino verso la perfezione religiosa.

Per l'ordinazione al Suddiaconato p. Capovilla confermò quanto aveva già detto e aggiunse: "Ha trascorso nel modo migliore i cinque anni di scolasticato mantenendo un'ottima condotta morale e religiosa. Di carattere docile, capacità discreta, diligente e di buon criterio. Salute buona.

Mi ha detto che conosce gli obblighi inerenti allo stato sacerdotale e che è risoluto ad osservarli, con la grazia di Dio, fino alla morte. Egli attesta pure che accede agli Ordini di sua spontanea e libera volontà, senza esservi spinto da alcun riguardo e da alcuna persona".

Nella domanda per essere ammesso agli ordini sacri, Umberto scrisse: "Chiedo di essere ammesso tra i fortunati ordinandi. Sarà il giorno più bello della mia vita, il giorno che fu luce alla mia giovinezza, il giorno tanto bramato e aspettato con fervida attesa nei miei anni di formazione". Davvero belle espressioni che illuminano il suo cammino non privo di difficoltà.

Concluse la teologia a Verona negli anni 1945-1947 e venne ordinato sacerdote a Verona il 31 maggio 1947 da mons. Girolamo Cardinale.

Tra i suoi a Sulmona

Dopo l'ordinazione p. Pasqualone venne destinato a Sulmona con il ruolo di insegnante. Come aveva pronosticato il padre maestro, col trascorrere degli anni la timidezza che aveva sempre caratterizzato la vita di Umberto, certamente ereditata dal modo di fare del suo parroco "che non perdonava mai", aveva lasciato il posto a una schietta allegria e giovialità che aveva reso il nostro novello sacerdote una persona gradevole, di compagnia, sempre pronto alla battuta allegra e intelligente, e di profondo equilibrio.

Il suo ruolo tra i ragazzi poteva essere quello giusto. Infatti a Sulmona, anche se vi rimase solo due anni, diede ottima prova di sé. Divenne l'amico dei ragazzi che educava col sorriso sulle labbra. Trovava il tempo per stare con loro, di giocare con loro, di andare a passeggio con loro. Riuscì a convincerli che essere insegnante voleva solo dire essere a loro disposizione per aiutarli a crescere nella scienza e nell'esperienza della vita.

"Tu fai una gran fatica a studiare - disse un giorno a uno che mal sopportava le ore di studio. - Ma guarda che faccio fatica anch'io a prepararmi la lezione e a correggere i tuoi compiti. Quanto sarebbe più bello partire per l'Africa e andare dove ho sognato da tutta la vita. Invece sto qui e mi sacrifico per te, perché tu possa diventare un bravo missionario".

L'altro capì la lezione e si mise di impegno con la consapevolezza che il Padre-professore gli voleva bene davvero. L'esperienza di Sulmona mise un'ipoteca sulla vita di p. Pasqualone: avrebbe fatto per tutta la vita l'insegnante.

Quando gli giunse il via per l'Africa, si trasferì a Verona in attesa dei documenti. "Il permesso mi arrivò dopo cinque mesi di attesa. Intanto mi dedico al ministero sacerdotale dando un aiuto nelle varie parrocchie".

Nel Sudan meridionale

Lunedì 21 marzo 1949 il Padre s'imbarcò a Napoli sul Grimani e partì alla volta dell'Africa. Partivano con lui anche p. Pozzati e alcune suore. Il 17 maggio era a Wau con l'incarico di vice parroco. In realtà doveva impratichirsi nella lingua per poter poi entrare nella scuola. Ma dobbiamo dire che anche come incaricato dell'apostolato tra la gente il Padre si trovò a suo agio. Gli piaceva intrattenersi con gli anziani e con i ragazzi dai quali imparava il modo di esprimersi.

Dopo aver passato otto mesi a Wau, fu inviato a Thiet per dare una mano a p. Gasparotto e p. Vittorino nella fondazione della missione. "Abitiamo in capanne e si mangia quello che c'è. Intanto faccio conoscenza con la tribù denka e ne studio la lingua", scrisse.

Passarono sei mesi e il Padre fu chiamato a Nyamlell per sostituire p. Cavallera. "Anche  qui sono coadiutore ed, in più, incaricato della scuola", annota il Padre.

Egli si impegnò a fondo pensando di rimanere in quella missione per lungo tempo. Ma anche qui, dopo che si era ben ambientato, gli arrivò l'ordine di emigrare.

"Ha buona volontà di mettersi dentro nel lavoro e di imparare la lingua. E' cordiale in comunità ed elemento di unione, come missionario è uomo di grande zelo e di altrettanto spirito di sacrificio", scrisse il suo superiore, p. Giovanni Gasparotto.

Quando aveva fatto amicizia con la gente e aveva cominciato a gustare l'ebbrezza dei safari, fu trasferito di nuovo.

"Ma insomma - protestò - al mio paese c'è un proverbio che dice: 'Sasso che rotola non fa muschio'. Non vorrei essere io questo sasso!". Cos'era successo? I superiori, già in pochi mesi di Africa, avevano notato le eccellenti doti di mente e di cuore del Padre. Uomo dalla parola facile - e altrettanto facilmente aveva imparato la lingua - faceva subito amicizia con la gente, specie con i giovani. Nel suo modo di esprimersi aveva quel pizzico di fantasia e quella facilità di approccio per cui si faceva subito benvolere.

E mons. Mason, vicario apostolico dal 1947, lo mandò come vicerettore e insegnante nel seminario del Bussere. Vi rimase dal 1951 al 1954, e poi per altri dieci anni, dal 1954 al 1964, con l'incarico di rettore. In quel periodo gli morì la mamma. "E' una grande prova che mi è addolcita dalla carità dei confratelli", scrisse. Poi aggiunse: "Il lavoro in seminario mi piace anche perché è un vero lavoro missionario. La Chiesa non si può dire fondata realmente senza un clero indigeno".

Difatti lavorò bene diventando un "fondatore della Chiesa sudanese". Dal seminario, ma più dal suo cuore, uscirono sacerdoti e vescovi. Il suo metodo educativo era quello dell'amicizia che lo portava a prevenire gli errori dei seminaristi. Però, al momento giusto, era anche esigente tanto che qualcuno lo accusò di essere "un po' duro con gli studenti". Altri, con maggior verità, dissero che non era duro, era uno che voleva fare le cose sul serio e non tollerava compromessi specie per quelli che si preparavano a diventare sacerdoti.

Durante le settimanali passeggiate con i seminaristi, restava sempre al loro fianco e parlava con loro dei problemi più svariati, che poi finivano sul loro futuro di sacerdoti in una Chiesa che stava nascendo e che doveva mettere radici sane e profonde.

Giustamente, durante l'omelia funebre, p. De Berti, suo compagno di messa, sottolineò come Pasqualone non solo fu maestro di scienza, ma soprattutto maestro di vita e di vita sacerdotale per tanti seminaristi attraverso la simpatica strada dell'amicizia.

Aveva un'arte speciale per convincere i genitori, quelli soprattutto che non volevano che il loro figlio diventasse sacerdote, a lasciare che il loro rampollo scegliesse la strada che il Signore gli aveva tracciato. Solo così, infatti, sarebbe stato felice e pienamente realizzato.

"Giugno 1961. Anch'io ho dovuto comparire davanti al giudice di Wau perché accusato di aver venduto zucchero ai seminaristi. Giudizio: una farsetta con condanna. Ciò mostra le cattive intenzioni dei nostri padroni arabi nei confronti dei missionari. Sperano di stancarci, ma noi terremo duro".

Con l'espulsione in massa di tutti i missionari dal Sudan meridionale (1964) si vide che la formazione data da p. Pasqualone ai seminaristi era veramente buona. Infatti, nella persecuzione che seguì, molti di essi si fecero veramente onore.

In Uganda

Dopo il Corso di aggiornamento a Roma (1964-65) e "previo un periodo di permanenza in Inghilterra per apprendere bene la lingua" p. Pasqualone partì per la missione. Andò in Uganda. All'inizio fu parroco ad Aliwang, nella diocesi di Lira e impostò subito bene il suo lavoro pastorale per il quale aveva propensione. Ma poi, grazie alla sua esperienza con i seminaristi sudanesi, esperienza positiva e apprezzata dai superiori, dovette assumere l'ufficio di insegnante nel seminario di Lacor (Gulu). Dal 1967 al 1968 vi coprì pure il ruolo di vicesuperiore e di economo. "Gran lavoratore - scrissero i superiori - ama insegnare e sa insegnare".

In Uganda il Padre poté fare anche una bella esperienza nel ministero diretto come superiore e parroco a Dokolo (Lira) dal 1968 al 1970. Diciamo che questi furono due anni esaltanti per il nostro Padre. Amava i safari e si intratteneva volentieri con la gente che cominciò subito ad amarlo, anche perché conosceva bene la loro lingua e ne percepiva le sfumature.

In parrocchia diede grande impulso al piccolo clero che fornì di divise nuove dai colori sgargianti che tanto piacevano agli africani. La sua fantasia e il suo gusto di uomo del Sud ebbero modo di sbizzarrirsi incontrando la simpatia del popolo.

I catecumenati fiorirono, i catechisti crebbero di numero e di qualità perché il Padre li voleva ben preparati. Tra i chierichetti adocchiò coloro che avevano la stoffa per entrare in seminario. Il seminario, cuore della diocesi e fonte da dove scaturiscono i sacerdoti, rimase sempre nella parte più intima del suo cuore.

In un documento in cui gli veniva chiesto quali attitudini credeva di avere, rispose: "Siccome sono sempre stato nei seminari ad insegnare, ormai mi sono abituato a quel lavoro. Però anche in parrocchia e nel ministero diretto con la gente mi sono trovato bene, anzi meglio".

La lunga stagione inglese

Nel 1970 p. Pasqualone venne destinato all'Inghilterra come insegnante nel seminario comboniano di Mirfield. Vi rimase per 10 anni. Anche con i ragazzi inglesi il Padre riuscì ad impostare bene il suo lavoro.

Ma in Inghilterra non si accontentò della cattedra scolastica, volle andare nelle parrocchie per la predicazione di Giornate Missionarie e per dare una mano nel ministero. Quegli impegni gli consentirono di creare una vasta cerchia di amici. Non era difficile per p. Pasqualone fare subito amicizia perché aveva il gusto del parlar facile e cordiale con una sottile vena di umorismo che piaceva tanto agli inglesi.

Durante la settimana, nei momenti liberi dalla scuola, si trasformava in "fratello ad omnia, attento e capace". Se vedeva qualche cosa che aveva bisogno di riparazione, egli interveniva prontamente.

Si poteva stare sicuri che dove c'era padre Pasqualone non mancavano mai vetri alle finestre, né queste consentivano spifferi di aria, e le lampadine elettriche erano sempre e tutte funzionanti. Ormai aveva dimestichezza con la falegnameria quanto con la scuola. Diceva che il lavoro manuale gli serviva da relax.

Aveva il gusto dell'ordine e delle cose ben fatte, anche se ciò gli costava qualche sacrificio. Ad uno che gli chiese che cosa stesse facendo mentre imbiancava una parete che aveva appena aggiustata dalle numerose crepe che si erano formate, rispose: "Faccio il Fratello".

Ormai anche l'Inghilterra risentiva della crisi delle vocazioni per cui il Padre, ad un certo punto, si trovò disoccupato. "Dove sono i nostri bei seminari pieni di tanti bravi ragazzi desiderosi di consacrarsi alle missioni sulle orme di Comboni?". Una nuova epoca stava iniziando, quella delle grandi case... vuote. I superiori approfittarono per cambiarlo di sede. C'era la legge della rotazione e: "Dieci anni nella stessa casa sono troppi", gli dissero. Il Padre obbedì senza fiatare, ma commentò: "Sembra sempre che la casa bruci, e poi quando si arriva nella nuova destinazione ti dicono: 'Cosa sei venuto a fare?'. Non è un bel sistema, questo".

Sempre con la serenità che lo aveva distinto per tutta la vita, fece i fagotti, mise da parte i suoi cari libri scolastici con la percezione che non gli sarebbero più serviti, ma che lui continuava ad amare perché errano stati muti testimoni di tante sue fatiche per prepararsi bene le lezioni, ed emigrò ad Elm Park dove resterà dal 1980 al 1983 con l'incarico di viceparroco.

Onorificenza americana

Per il 25° di sacerdozio (1972) andò negli Stati Uniti a trovare i suoi parenti, tra i quali una sorella.

Si rese così amabile e convincente nel parlare di missioni e di Africa che un senatore del Massachusetts ha chiesto che fosse messo nella lista dei cittadini onorari della città di Quinsi, dando a lui congratulazioni e auguri per un buon lavoro missionario.

Ecco il testo dell'onorificenza:

"Il Senato del Massachusetts estende congratulazioni al rev.do P. Umberto Pasqualone FSCJ in riconoscimento del suo giubileo d'argento nel campo missionario ed essendo missionario dei padri di Verona, per 22 anni in Africa, e per la sua dedizione ed amore per l'umanità. Il Senato del Massachusetts estende i migliori auguri di un continuo successo. E la registrazione di queste risoluzioni deve entrare nel registro del Senato". Seguono le firme del presidente del Senato, del Segretario e del senatore che richiese l'onorificenza.

Per la sua famiglia il Padre fu sempre considerato il Patriarca, l'uomo di fiducia, il consigliere, il sacerdote. La nipote Marisa Minicucci, per la circostanza, scrisse alcuni versi che sottolineano questi aspetti:

"Più bello splende quest'oggi il sole

ma il labbro mio non ha parole

per dire a te che sei l'eletto

la fiamma pura del nostro affetto.

Sì, noi ti amiamo con tutto il cuore

perché assomigli di più al Signore.

Sei sacerdote, ministro di Dio

ognuno ti acclama con cuore pio.

Dalla tua mano che è benedetta

il segno santo ognuno aspetta.

Il segno santo che dà il Signore

invochi e ottieni celeste amore".

Curioso malinteso

In una lettera del 25 maggio 1981 scrisse a p. Calvia, superiore Generale: "L'altro ieri sono stato all'ordinazione di p. Paul Felix a Londra. Con mia sorpresa e stupore ho saputo che sono nella lista di coloro che devono lasciare la Provincia Inglese per andare a Khartum... Ho cambiato casa da appena nove mesi ed ora si parla di un altro cambiamento...

Non è che mi dispiaccia, solo che avrei voluto saperlo io, per primo. Questo fatto mi ha rovinato la festa. E' possibile che tanti, che non c'entrano affatto, sappiano le cose a mio riguardo ed io che sono l'interessato sia l'ultimo a saperle? Cosa stranissima, ma purtroppo capita spesso. Con me non c'è mai stato un dialogo, ma sempre il fatto compiuto e... santa obbedienza. Mi hanno impedito di qualificarmi e studiare lingue e poi, senza nessuna qualifica, mi hanno fatto passare quasi tutta la vita tra i banchi della scuola".

Il p. Generale si scusò dicendo che, con la faccenda del dialogo, le cose escono dalle stanze quando dovrebbero restare dentro. Poi aggiunge che da Khartum era stato richiesto, inoltre aveva anche il carisma per fare il superiore...

"Non credo che a sessant'anni io sia il desideratus gentium al Collegio Comboni - rispose sorridendo p. Pasqualone. - Per di più nessuno da Khartum mi ha scritto una riga. Non credo, inoltre, di avere il carisma di superiore visto che fino adesso nessun confratello mi ha mai dato un voto neanche per diventare consigliere... Io sono venuto in Inghilterra mandato da p. Agostoni, e credo di aver obbedito con spirito di fede. E così adesso aspetto l'obbedienza, dai superiori però". Uomo veramente ammirabile il nostro Pasqualone!

La cosa finì lì e il Padre rimase al suo posto a combattere per conservare le posizioni che la Congregazione aveva faticosamente conquistate in Inghilterra.

"Sembra che p. Troy voglia dare indietro questa parrocchia al Vescovo. Io non so con quali benefici per la provincia che bisognerebbe espandere di più, non ridurla ai minimi termini fossilizzandoci in tre o quattro case. Anche qui si potrebbe fare un centro per studiare inglese o per reclutare vocazioni e intensificare l'animazione missionaria", scrisse il 9 settembre 1981. Il vecchio leone non mollava.

Dal 1983 all'88 fu ad Ardrossan come promotore vocazionale. Quella delle vocazioni era una passione che aveva nel sangue e che coltivava nel cuore fin dagli albori del suo sacerdozio. Gli pareva impossibile che non ci fossero più ragazzi disposti a farsi missionari, per cui tentò di mettersi alla loro ricerca. Rimase deluso: i tempi erano davvero cambiati o c'era nell'aria qualche virus fino allora sconosciuto.

Dal 1988 al 1994 fu a Leeds impegnato nell'animazione missionaria generale. "Chissà - diceva - che parlando di missioni, rivivendo con la gente i miei anni giovanili nel cuore dell'Africa, qualcuno non si decida a partire!".

Salita al Calvario

L'ora della passione stava per scoccare anche per p. Pasqualone. Nel 1992, infatti, cominciò ad accusare dei vuoti di memoria. All'inizio non ci fece caso perché, ad una certa età, la cosa entra nella norma, ma poi cominciò a preoccuparsi e, interpellato il medico, gli venne diagnosticata la "dementia precoce". Il Padre vedeva diminuire le sue facoltà mentali fino ad essere prigioniero della nebbia che avvolgeva il suo cervello.

Negli ultimi mesi del 1993 fu trasferito a Sunningdale dove poteva essere maggiormente assistito. Ma il male camminava per cui, già nel 1994 il Padre aveva bisogno di aiuto per alzarsi dal letto, lavarsi, vestirsi, prendere le medicine. Soffriva di pressione alta e di qualche attacco di angina.

L'8 febbraio 1995 fu accompagnato a Verona da p. Felix e venne accolto al Centro Assistenza Ammalati.

Dopo qualche giorno venne ricoverato in ospedale per ulteriori accertamenti e il suo male venne diagnosticato come "morbo di Alzeimer". L'atrofia corticale si diffondeva sempre di più e, purtroppo, non esistevano, e non esistono, medicine in grado di arrestarla.

Negli spazi di lucidità, sempre più rari, il Padre manifestava il suo carattere allegro, ottimista e portato a sdrammatizzare anche la sua personale situazione.

"Il suo tramonto - scrive fr. Zabeo - è stato un Calvario caratterizzato da un lento e inesorabile consumo corporeo, ma anche da molta serenità d'animo. Nella malattia rivelò quello che realmente era stato: una persona mansueta, umile e pia.

In questa situazione ha trascorso l'ultimo periodo della sua vita. Si è spento il 4 marzo alle ore 8.20 e i funerali si sono svolti il giorno 7 nella cappella di Casa Madre e poi è stato sepolto nel cimitero monumentale di Verona al n° 52, sezione Giardini".

Al funerale è stato presente anche p. Paul Felix il quale ha sottolineato la presenza di 27 anni in Inghilterra del Padre, il suo ruolo di insegnante e la passione di predicare, nelle domeniche, le giornate missionarie o di andare ad aiutare i parroci dei quali era diventato grande amico. Non era un grande predicatore, ma esprimeva con convinzione e semplicità i sentimenti che venivano dal cuore e che erano maturati nella sua fede profonda di cristiano, di sacerdote e di missionario.

"Come p. Polato aveva una grande amore alla musica, e suonava molto bene il pianoforte. Fu un grande schoc per lui quando trovò il suo amico p. Polato morto improvvisamente. Fu proprio lui a vederlo per primo.

Sempre gentile, sempre col sorriso e dal volto giovanile, ma uomo di grande responsabilità. Pensava sempre e parlava spesso dell'Africa, dei più poveri che portava nel cuore e voleva sempre aiutare. Non si poteva davvero dire che era solo sacerdote, è stato sempre ,dovunque e con chiunque un missionario.

Ci faceva ridere con i suoi commenti sulla politica, anche sulla Congregazione, ma sempre benevoli. I bambini piccoli si trovavano bene con lui. Piccolo e robusto com'era, sembrava proprio un Babbo Natale e lui stava al ruolo”.

P. Umberto Pasqualone ci lascia l'esempio di un uomo che ha sempre fatto con gioia la volontà del Signore, anche quando questa si realizza nella malattia. Ha, inoltre, amato le vocazioni tanto da offrire le sue sofferenze per il loro incremento e per la loro buona qualità. Fino agli ultimi giorni ha pregato per le missioni, in particolare per quelle del Sudan che ha sempre amato con una certa predilezione.

Che dal cielo ottenga alla Congregazione, e in particolare alla Provincia Inglese, ancora tanti e buoni missionari. 

P. Lorenzo Gaiga, mccj

Da Mccj Bulletin n. 197, ottobre 1997, pp. 84-92

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The Pasqualone family was made up of Salvatore, a well-off landowner, his wife Maria (Pasquale), three girls and one boy, our Umberto.

A son, especially if the only one, is very important, and his departure can lead to a family trauma. But when he passed his fourth year of elementary school with high marks, the PP of Prezza, a friend of the Combonis at Sulmona, suggested to the lad that he might enter their seminary for his final year of primary school and up to the Fifth Form of secondary.

"I would be sad to leave the family, because they love me so much," answered Umberto. "But if he Lord called me I would not say no like the young man in the Gospel: he was really silly."

The fathers of Sulmona were well-known in Prezza, and talked to his parents. They gave a very reluctant consent, possibly thinking that such a young boy faced with such a long road, would eventually tire and return home. Still, they asked to have him at home for his last year of primary school, and this was agreed. The Parish Priest, who already saw a missionary in the boy, kept his eye on him and helped him prepare for his secondary entrance exam.

A tragedy struck the family on 22 May 1931: his father died after a short attack of pneumonia. It was a big shock for Umberto. But he writes in his journal: "When I went to call the priest for the sacraments, I went to kneel at the Lady altar and pour out all my anxiety. True, we cannot know the ways of the Lord, but our sorrow was immense. Maybe if he had recovered, it would have been an obstacle to my vocation, since I was the only son."

At the end of primary school he still wanted to go to the Missionary Seminary in Sulmona; and he eventually entered on 10 October 1934, at the age of 12.

Not an easy vocation

Recalling the events in a letter from Venegono in 1941, at the end of the Novitiate, he writes: "The step I am about to take (Vows) is taken in full freedom, with no pressure from superiors, or my parish priest, or people with influence over me, or my relatives. Indeed, these last have always opposed my missionary vocation ever since the first signs appeared. When I entered Sulmona I practically ran away with the Parish Priest, saying goodbye only to the least hostile. Even the PP rebuked me about this! I think the behaviour of the relatives is due to the fact that I am an only son, and they wanted me to stay with my mother. But she can manage very well without me, and I do have three sisters."

However, having entered Sulmona with a fine recommendation from the Parish Priest, Umberto had an early bout of severe homesickness. He even asked to return home, because he felt ill. The superior tried to "buck him up", but finally told him to phone home, so that someone could come to fetch him. "Fortunately," Umberto reminisced later, "there was no phone in the village at the time - and suddenly my sky became serene, and my vocation luminous!"

His niece points out that, although he had left home despite what it cost, he remained very attached to the family. "There are a lot of us nieces and nephews, and he married us all. He was uncle, but a priest too, and encouraged us to live good Christian lives. And he was always content, full of quips; a pleasure to be with".

For his last two years of middle school, Umberto went to the Comboni Institute in Brescia, arriving on 25 September 1937. He wrote later: "In Brescia, I recovered all the peace and fervour that had weakened a bit in Sulmona".

Novitiate: a tough climb

On 8 August 1939 he turned up at Venegono Superiore. The notes of Fr. Antonio Todesco, Novice Master, show that this stage was not easy. "At first he was still a bit of a child, but then he got down to hard and generous effort, and with success. He is making progress, with serenity of spirit and a lot of good will. He is simple, good, a bit timid and a bit retiring." Pasqualone wrote in his journal: "This is the year on which my whole life depends. If I get through it well, I will get through my whole life well; if badly, my whole existence will be a martyrdom, but without merit".

In August 1941 the Novice Master was able to write: "Understanding growing, and he works with greater conviction. He has to be shaken now and then, because he seems rather superficial and easily distracted. He likes prayer; he is generous and self-sacrificing, but a bit weak. I think he will make a better show in the Scholasticate; his shyness here holds him back somewhat".

The day that was light to my youth

On 7 October 1941 Umberto made his first Vows. He was sent to Verona for humanities and Theology, and spent from 1943 to 1945 as a refugee in Rebbio, since the war had made Verona too dangerous.

Fr. Capovilla, in the enquiry for Minor Orders, wrote: "Piety good, behaviour unblemished, sufficient capacity, aided by great diligence. He is determined to become a priest in out Congregation. I, and the fathers on the staff, think that he can be admitted to Orders."

As the Subdiaconate approached, Fr. Capovilla confirmed the judgement, adding that the five years of scholasticate had been passed very well, with outstanding moral and religious conduct. "He is docile, sufficiently able, diligent, with good sense. His health is good. He assures me that he understands the obligations of the priesthood and is resolved to observe them, with God's grace, until death. He also states that his decision is free and spontaneous."

In his own application, Umberto wrote: "I asked to be included among the fortunate candidates for ordination. It will be the most wonderful day of my life, the day that is light to my youth, the day I have longed for throughout my years of formation."

He returned to Verona for the last years of Theology (1945-1947), and was ordained there on 31 May 1947 by Bishop Girolamo Cardinale.

At home in Sulmona

After his ordination Fr. Pasqualone was appointed to Sulmona as teacher. His timidity was gone, and he was now good humoured and open, good company, ready with quips and witty remarks, and a man of fine common sense and intelligence. As his niece said, someone it was nice to be with. And he did very well with the boys in Sulmona.

"You find it very hard to study," he said to one who was showing how much he hated the hours of study; "but it is hard work for me to prepare my lessons and to correct your homework. It would be a lot more pleasant to go off to Africa, as I have always dreamed. Instead I am stuck here to sacrifice myself for you, sot that you can become a good missionary!" The lad understood, and got down to some hard work. He could see that the Father-teacher was quite sincere. But Sulmona also put a mark on Fr. Pasqualone: he was involved in teaching for the rest of his life.

When he was appointed to Africa, he went to Verona to get his documents ready. "The permit took five months to come. In the meantime I helped out with priestly ministry in various parishes."

In Southern Sudan

On Monday 21 March 1949, Fr. Pasqualone set sail for Africa from Naples on board the Grimani. Fr. Pozzati and some Sisters were with him. By 17 May he was in Wau as curate in the parish, though mainly studying the language. He would be teaching, but he loved pastoral work among the people too.

After eight months at Wau he was assigned to Thiet to give a hand to Frs. Gasparotto and Vittorino in starting up the mission. "We live in a hut and eat what comes," he wrote. "And I am getting to know the Dinka and their language."

After a further six months he was moved to Nyamlel to replace Fr. Cavallera. "I am a curate too, and also school supervisor", he noted.

Fr. Gasparotto, the Superior, was pleased with his progress: "He is willing, eager to learn the language and get into the work. He is warm in community, and is a uniting element. As a missionary he is a man of great zeal, and with a spirit of sacrifice."

He thought he would now settle in for a long stay. But when he had got to know the people and the joys of the safaris among them, he was moved on once again! "There is a saying," he protested, "that goes: `A rolling stone gathers no moss'. I do not want to be such a stone!" What had happened was that his open and friendly ways, his wit and humour, and the speed at which he had learned the language and made contact with the people made him seem ideal for the Junior seminary at Bussere! Bishop Mason, who had been Vicar Apostolic since 1947, wanted him as Vice-Rector. And he was there for three years in that post, then a further 10 years (until 1964) as Rector.

During that period his mother died. "It is a great blow, softened by the kindness of my confreres," he wrote. And he added: "I really like this work in the seminary, because it is a real missionary task. The Church cannot be considered founded until their is a local clergy".

Indeed, he did his work so well that he can be called one of the "founders of the Sudanese Church". The priests and prelates that came from the seminary also came, in some way, from his heart. His methods of discipline and teaching were accompanied by a sincere love for the seminarians, so he was able to get the best out of many, without being "soft" with them.

He had an art with parents, especially those who did not want to see their son go off to become a priest. He would persuade them to let their offspring choose the road that it seemed the Lord was indicating.

But storm clouds were brewing. "June 1961: I had to go before the magistrate too, accused of selling sugar to the seminarians. Result: the farce goes on. The ill intentions of our Arab masters are clear: they want to wear us down, but we are going to stand firm!"

The mass expulsion of missionaries in 1964 put the formation methods of Fr. Pasqualone to the test: and many of his former seminarians bore themselves very well indeed in the persecution that followed.

In Uganda

After doing the Updating Course in Rome followed by a period in England to brush up on the language, Fr. Pasqualone left for Uganda. He started off in pastoral work in Aliwang in Lira diocese, but his past soon caught up with him, and the superiors moved him to Lacor Seminary (Gulu) to teach. For 1967 and 1968 he was also vice superior and bursar. "A great worker," was the comment of the superiors. "He likes to teach, and he teaches well".

But he also managed to get in some more direct pastoral work as superior and PP at Dokolo (Lira) from 1968 to 1970. In some respects, they may have been the best two years of his life. He loved doing the rounds of the chapels and visiting the people in their villages. He learned the language well, so was at ease as he talked to people. With his seminary background he worked hard to build up and train a good group of altar boys, and gave them brightly coloured cassocks, which they loved. All in all, he was able to give his many qualities full expression.

He also ensured that catechists received better training, so they increased in number, as did the catechumens. And he never forgot to look out for vocations among his altar boys. Once, replying to a question about his attitudes, he wrote: "Since I have always been teaching in seminaries, I can say I am accustomed to that work. But I was happy - indeed, happier - in the direct ministry of a parish, among the people."

The long haul in England

In 1970 Fr. Pasqualone was assigned to the London Province as teacher in our Junior Seminary at Mirfield. He stayed there for ten years.

However, he was not simply "a teacher". He willingly took on supplies and ministry in local parishes, as well as his share of Mission Appeals. And he made a good number of friends through these activities. Since he enjoyed meeting people and was ready to talk, he soon broke down reserves, and his subtle humour also found a ready response.

At Mirfield he exercised another of his qualities, that has not been mentioned before: he was a born handyman. During his free hours he would often be found wandering round the house, looking for something that "needed to be fixed". One might say that wherever Fr. Pasqualone lived, the community could be sure that the windows all had their full complement of glass, and did not let in draughts; that all light bulbs worked; that taps did not drip; that doors opened and closed smoothly, and without losing their handles. He used to say that his work helped him to relax. But he liked to see everything in order and done properly, so it cost him a lot when others were careless and, indirectly made him do extra work unnecessarily.

After all those years he was showing signs of tiredness, and the superiors decided to change him. Times were changing too: the flow of vocations was slowing drastically, and the situation was moving towards the age of the big empty houses! Besides, ten years in one place is a long time, and the "Law of Rotation" was applied, though not without drawing a wry comment: "It sounds as though the other house is on fire, and then when you get there, they ask you `What have you come to do here?' I don't like this system!"

However, with the calmness that had always been characteristic he packed, and put aside most of his school books, which something told him he would not be needing again - though they would have been silent reminders of the years of preparing lessons and teaching. He moved to the parish at Elm Park, where he was curate from 1980 to 1983.

American honour

For his Silver Jubilee (1972) he went to the United States to visit his sister and other relatives. He made such an impression on people with his manner and his talks on Africa that a Senator from Massachusetts asked for him to be made an honorary citizen of Quinsey, with congratulations and best wishes for his missionary work. The text reads:

humanity. The Senate of Massachusetts extends its best wishes for his continuing success. This resolution shall be included in the Senate register.» There follow the signatures of the President and Secretary and of the Senator who moved the resolution.

In the family, Fr. Umberto was always regarded as a Patriarch, counsellor, priest. His niece Marisa Minicucci wrote a poem for his Jubilee expressing these sentiments:

but my lips have no words

To say you are our chosen one,

the pure flame of our love.

Yes, we love you with all our hearts

because you seem more like Our Lord.

You are a priest, minister of God

everyone acclaims with devout heart.

From you hand which is blessed

each one expects the holy sign:

may the holy sign, that gives us the Lord

invoke and obtain for us Heavenly love.»

Strange misunderstanding

On 25 May 1981 he wrote to Fr. Calvia, the Superior General: "The other day I was at Fr. Paul Felix's ordination in London. To my amazement I heard that I am on the list of those who are leaving the London Province, and that I am going to Khartoum... I changed community only nine months ago, and another change is being mentioned already... Not that I am unhappy, but I would have liked to be the first to hear about it. It ruined my day. Is it possible that so many people who have nothing to do with it know my personal affairs, while I, who am the one concerned, am the last to know them? It's very strange, but it happens often. There has never been dialogue, always the decision and - holy obedience. I was not allowed to obtain qualifications or study languages but, without qualification, I have been made to spend almost my whole life in classrooms."

Fr. General expressed his regret that the dialogue process often made things public that were supposed to remain private for a while longer. He added that the request had come from Khartoum, and that he had the charism of a superior...

"I don't think that at the age of 60 I am the desideratus gentium at Comboni College" (one can see the smile!). "For one thing, nobody from Khartoum has written a line. And besides, I do not think I have the charism of a superior, because up to now not a single confrere has voted for me even to be a councillor... I was sent to England by Fr. Agostoni, and I think I obeyed in a spirit of faith. So now I am waiting for the order to come - from the superiors, though!" Quite a character, our Pasqualone!

The matter ended there, and Pasky remained in England, trying to keep the Province going with his contribution. He was posted to Ardrossan in Scotland in 1983 and remained until 1988, doing vocation work, and especially missionary animation among the local people. He always felt amazed at the lack of vocations: it seemed impossible that boys would not feel the same passion he had carried in his heart for so many years. So he made the best efforts he could, only to be disappointed. It seemed indeed that times had changed, or that there was a strange, formerly unknown, virus in the air.

From 1988 to 1994 he was in the house a Horsforth (Leeds) for missionary animation. "Maybe," he would say with hope, "as I talk about the missions, reliving my early missionary years in the heart of Africa, somebody will decide to go too!"

Way of the Cross

Fr. Pasqualone's passion came during those years. In 1992 he began to have blanks of memory. At first he attributed it to old age, and paid little attention. But then he began to worry that it was too bad to be normal and saw a doctor. He was told he had "dementia precox": his mental faculties were decaying rapidly.

Towards the end of 1993 he was transferred to Sunningdale, where he could get a bit more assistance. But he deteriorated rapidly, and in 1994 he already needed to be reminded or called to the usual daily actions: getting up, dressing, showering, going down to eat, taking his medicine. He also developed high blood pressure, and had attacks of angina. On 8 February 1995 Fr. Paul Felix accompanied him to Verona, where he entered the Centre for Sick Confreres. After a few days he was taken for more tests, and the diagnosis was Alzheimer's Disease.

During his lucid periods, which became increasingly rare, his normal cheerful and optimistic character appeared. "His decline was a slow Calvary," writes Bro. Zabeo, "with the characteristic weakening and wasting, but a lot of serenity too. In his illness he showed what he had always been: a mild, humble and pious man. He died on 4 March at 8.20 a.m. The Requiem Mass was celebrated in the Mother House chapel on the 7th, and he was buried in the cemetery in Verona, in the Giardini section."

Fr. Paul Felix spoke at the funeral, underlining all the aspects of Fr. Pasqualone's 27 years in the London Province. Like Fr. Polato, he had always loved music, and played the piano well. He had been with Fr. Polato in Ardrossan when the latter had died suddenly, and he had been the first to find him.

"Always kind, with a ready, youthful smile, yet with a great sense of responsibility. He thought and talked about Africa frequently - of those most in need, that he kept in his heart. It cannot be said that he was "a priest", because he was always, and with everybody, a missionary.

He would make us smile with his comments on politics, and even about the Institute; they were never harsh. He got on well with children: he looked a bit like Father Christmas, and did not mind."

Fr. Umberto Pasqualone leaves us the example of one who found joy in doing what the Lord wanted, even when it meant to put up with illness. He also teaches us love of our vocation. He offered his suffering for more vocations, and prayed for the missions right up to the end - especially for those in Sudan, which he never forgot. May his intercession, especially for vocations - and in the London Province - continue in heaven.