Quando i medici gli dissero che aveva un tumore - egli stesso aveva voluto che gli fosse detta la verità - prese la penna in mano e cominciò a scrivere una breve storia della sua vita della quale fece tre fotocopie: “Una copia para el archivo provincial del México; una copia al p. Pietro Ravasio para el archivo general; una copia al p. Lorenzo Gaiga perché questo scritto sia utilizzato convenientemente al momento opportuno”. Il manoscritto porta la data: Verona, 20.07.95.
“Terzo di 9 fratelli, ma in realtà di almeno 14 alcuni dei quali morti in tenerissima età. Da bambino finii su un nido di vespe che mi lasciarono vivo per miracolo... la mia casa era costellata di immaginette missionarie, lasciate da mio zio p. Giuseppe...”.
Fara Vicentina, dove p. Pietro è nato nel 1928, è un piccolo paese rurale al nord della pianura veneta, non lungi dal paese natale del papa S. Pio X. Quattro sorelle di p. Pietro diventarono suore.
Da piccolo dovette subire tre operazioni e, per un periodo, fu costretto a muoversi con le stampelle. La sua guarigione, frutto di tante preghiere, venne attribuita a Santa Teresina del Bambino Gesù. Frequentò le scuole dai Giuseppini e sentiva il desiderio di diventare uno di loro, ma uno zio, senza neanche interpellarlo, lo mandò nel seminario diocesano. Se voleva diventar prete, quella era la strada!
Durante una celebrazione in cattedrale, ebbe la sorpresa di vedere suor Bakita con le sue suore. I seminaristi la guardarono a lungo perché non avevano mai visto un viso nero. Lei guardava loro e sorrideva.
La guerra si fece sentire con le sue conseguenze di paura, di fame e di fughe. Anche Pietro dovette sfollare per il pericolo dei bombardamenti.
Una vocazione sofferta
Il 12 agosto 1947, da Breganze, Pierino scriveva al superiore dei comboniani:
“Reverendissimo Padre, sono passati molti mesi da quando volevo scrivervi. Sono un seminarista vicentino, frequento il liceo. Per conto mio sarei entrato tra i missionari ancora molti anni fa, però il dubbio di precipitare le cose, di non averci pensato abbastanza, l’invito insistente del p. spirituale che mi dice di fare il missionario qui in diocesi, e per ultimo una buona dose di paura dello zio arciprete e dei familiari che hanno fatto per me grandi spese, mi hanno sempre trattenuto...
I familiari sospettano già da tempo. L’anno scorso durante le vacanze, quando è partito Natale Basso, è mancato un filo che venissi anch’io. Io vorrei essere missionario, lo desidero e lo chiedo al Signore, considero ciò come il più grande dono del cielo. Cosa mi occorre ancora? Mi occorre il coraggio di aprirmi con lo zio e col papà, col padre spirituale e col mio arciprete... Sono stato promosso. Di salute non c’è male, sebbene non sia un colosso. Posso entrare subito o devo terminare il liceo? Per ora basta. Farò la prossima volta altre confidenze. Intanto faccia una crociata di preghiere per un povero seminarista che non si decide a fare la volontà di Dio. Per ora silenzio con tutti.” In noviziato potrò essere ancora milite dell’Immacolata?”, scriveva il 29 agosto 1947.
Poco dopo, il 12 settembre 1947, sempre da Breganze, scrisse: “Siamo alle decisioni. Il medico mi ha detto che sono sano e che le malattie passate e superate sono un collaudo della mia salute. Ha detto che posso andare in Africa quando voglio. Sento, però, anche adesso uno stato di indecisione che stento a superare. Il papà si è lamentato con me perché l’ho tenuto all’oscuro delle mie aspirazioni. Il vicedirettore del seminario è rimasto addolorato perché, oltre a Spagnolo e me, un altro di seconda liceo vuole andare missionario (anche lui milite dell’Immacolata).
Una difficoltà: ho cinque sorelle minori e siamo senza mamma dal 1944. Il papà dice che dovrei rimanere qui per fare per loro un po’ da mamma. Ma io penso che alla fine della vita il Signore potrebbe dirmi che alle sorelle avrebbe pensato lui e a me avrebbe chiesto conto delle anime dei neri.
Con un debito da pagare
Ho pensato che forse dovrò morire giovane in missione, e ho avuto paura, ho sentito il peso di dover sacrificare così la mia giovinezza. Poi ho pensato al cielo, al premio che il Signore mi prepara, ho pensato che anche qui posso morire giovane e che alcuni veterani della missione sono veramente ‘vetusti’, che la cosa più bella è fare la volontà di Dio, che l’Immacolata è con me. Ho pensato anche che noi militi dovremmo fondare una città dell’Immacolata nel cuore dell’Africa. Sogni? Fantasie? Non è così facile asserirlo perché sta il fatto che anche i neri saranno salvi per Maria, e che tutto il mondo deve essere preda dell’Immacolata, come diceva p. Massimiliano Kolbe, e questo nel più breve tempo possibile.
Ho uno zio paterno missionario. Che dirà quando saprà che anch’io ho fatto il suo stesso gioco? Anch’egli è uscito dal seminario in seconda liceo. Mi perdoni la ‘galligrafia’ e la conversazione senza ‘vis’”.
Quando parlò con lo zio arciprete, Pierino non fu trattato male, ma invitato a fare una seria visita medica. Infatti era andato a casa 20 giorni prima del termine delle scuole, senza fare gli esami, per via di un forte esaurimento.
Nella domanda di ammissione al noviziato scrisse: “Io desidero diventare sacerdote e missionario ma, più di questo, desidero fare la volontà di Dio e dei superiori che egli mi darà”.
Alla fine di settembre del 1947 Pietro Gasparotto entrava nel noviziato di Venegono Superiore. La lettera del rettore del seminario, che portava con sé, diceva:
“Gasparotto Pietro ha fatto la seconda liceale. Ha una bella e pronta intelligenza. Molta diligenza nello studio e nella pratica della disciplina. Mostra carattere serio, riflessivo, equilibrato. E’ schietto e di volontà risoluta. Mostra segni evidenti di vocazione sacerdotale. Ha avuto quest’anno disturbi alla laringe e al naso. Lo ritengo guarito. Distinti saluti”.
Firenze, Roma, Gozzano
Nel 1948 il noviziato di Venegono passò a Gozzano. Gasparotto vi fu dirottato in modo che potesse completare gli studi (terza liceo) presso il seminario di Fiesole. Suo p. maestro fu p. Stefano Patroni.
Scrive mons. Giordani, che fu suo maestro a Venegono Superiore: “Era attaccato alla vocazione. Lo ebbi novizio per alcuni mesi. Il p. Generale mi aveva avvisato di mandarlo a Firenze nell’altro noviziato per meglio approfittare dello studio teologico. Lo chiamai dicendogli che preparasse la valigia. Con quei suoi occhi grandi mi guardò con sorpresa. ‘Mi mandano via?’, chiese. Quando gli manifestai che doveva andare a Firenze, fece un salto di gioia e, senza neanche dire : ‘Sia lodato Gesù Cristo’, sparì”.
Pietro emise la prima professione il 9 settembre 1949. I superiori, intuendo che era studente di eccellenti doti, lo inviarono a Roma per specializzarsi in teologia e in filosofia.
“Dagli anni della teologia - scrive mons. Olindo Spagnolo - p. Pietro è stato un’anima bella, trasparente, pulita, gioiosa e a volte sofferente nella preoccupazione di modellare il suo carattere, a volte impetuoso, su quello del Maestro mite e umile di cuore. Nei momenti di sofferenza interiore lo vedevo preoccupato, silenzioso e con il volto che esprimeva una serietà soave e dolce, frutto di una pace interiore straordinaria. E’ stato sempre un caro e buon amico. Non mi ha fatto meraviglia quando mi ha mandato un suo libro sull’amicizia. Come sapeva apprezzarla e corrispondervi con fedeltà gioiosa! Nelle difficoltà della vita dello scolasticato, il suo discorso partiva sempre dalla Parola di Dio, dal Vangelo e poi concludeva con entusiasmo: ‘E allora avanti, Piero; il Signore mi vuole più semplice, più umile, più santo!’. Ripresi i contatti con lui quando cominciò a mandarmi i suoi libri di spiritualità e su Comboni. Ogni volta si rinnovavano gli anni di Roma, della nostra amicizia e del nostro entusiasmo per le missioni”.
P. Pietro venne ordinato sacerdote nella chiesa di San Marcello Papa, il 4 aprile 1953, Sabato santo. Conclusi brillantemente gli studi con la laurea in teologia presso la Pontificia Università Urbaniana, fu destinato all’insegnamento. Per ben 8 anni fu professore dei novizi nel noviziato di Gozzano, Novara.
Scrive fr. Massignani: “Il mio primo incontro con lui è avvenuto in noviziato nel 1953. P. Pietro era incaricato di insegnare catechismo ai novizi fratelli. Ricordo come le sue parole ci aiutavano a comprendere meglio le verità della fede, gli insegnamenti della Chiesa e del Papa”. Anche chi scrive è stato suo alunno dal 1953 al 1955 in noviziato a Gozzano. Non posso dimenticare la sua allegria, le sue battute intelligenti e graziose e, soprattutto, la chiarezza della sua esposizione per cui era impossibile non seguire e non capire le sue lezioni che preparava con scrupolo e precisione concentrando la materia in schemi chiari e facili da ritenere. Insomma, era un professore che sapeva ciò che insegnava”.
P. Gasparotto è stato l’uomo della Parola di Dio resa accessibile sia agli studenti come alla povera gente tra la quale amava recarsi per il ministero domenicale. Alla scienza esimia, che lo mise nel rango dei grandi professori, univa una grande concretezza pratica. Si dedicava con passione alla predicazione di Giornate.
Come sacerdote e religioso era esemplare per la sua regolarità, per lo spirito di preghiera, per il fervore che lo animava. Anche per questo i superiori lo lasciarono per così lungo tempo in noviziato.
Spagna e Messico
Per due anni (1960-1962) insegnò nel liceo di Carraia (Lucca) e per altri cinque (1962-1967) in Spagna (Corella e Moncada). Anche qui, come ovunque dove è stato, si è dedicato all’animazione missionaria predicando nelle parrocchie, contattando i sacerdoti, incontrando tanti giovani.
Quando era a Carraia nel 1960 allestì, nell’allora liceo, una stanza con la targhetta “Archivio Comboniano”. In uno scaffale metallico erano custoditi i pochi documenti “comboniani” allora conosciuti. In cordialissima collaborazione con un altro innamorato di scritti comboniani, p. Luciano Franceschini, si lanciò all’avventurosa scoperta scrivendo centinaia di lettere ad archivi di istituti, diocesi, redazioni di riviste e giornali di ogni parte d’Europa. Non passava settimana che a Carraia non si festeggiasse l’arrivo di risposte con documenti originali o in fotocopia del Fondatore.
Nel 1967 gli giunse il via per la missione. Non l’Africa, ma il Messico. Fu a Ciudad Constituciòn, in parrocchia, per apprendere la lingua dal 1967 al 1968, quindi nel postulandato di Città del Messico, come insegnante, dal 1968 al 1977. Non solo insegnò ai filosofi del seminario comboniano di Xochimilco, ma anche nel seminario maggiore dell’archidiocesi.
La scienza non gli ha mai dato alla testa. Quando scendeva dalla cattedra era l’uomo più semplice e più alla mano che si potesse immaginare. In comunità si prestava per i lavori umili che occorrevano.. Ma sapeva parlare anche con i vescovi, i cardinali, i governatori. E non gli mancavano gli argomenti.
In Congo
Nel 1977 occorreva un professore per il seminario interregionale di Kisangani, in Congo, che iniziava la sua attività. I superiori pensarono a p. Pietro. Ma avrebbe dovuto approfondire una nuova lingua: il francese che, per la verità, conosceva abbastanza bene. Scrivendo a p. Romeo Ballan, provinciale del Congo, disse: “Come puoi immaginare, alla notizia della mia destinazione africana sono diventato euforico e un po’ esaltato, anche se capisco che bisogna mettere i piedi per terra... farò un salto a Parigi per rinfrescare il francese nella Senna”.
L’impostazione del lavoro in Congo non fu indolore. Si trattava di mettere d’accordo tanti vescovi... Tuttavia, con tanta pazienza e con il suo bel modo di fare, riuscì a sistemare ogni cosa. Spezzò una lancia in favore della conservazione del titolo, per i Comboniani, di Figli del Sacro Cuore: “Un titolo che ci è invidiato e che ha fondamenti cristologici non indifferenti e comboniani, specie quanto al trafitto”, scrisse.
Nel suo periodo africano p. Pietro lavorò bene e impostò il nuovo seminario su basi solide. Fu particolarmente vicino ai sacerdoti africani che spesso avevano bisogno di chi li capisse, li aiutasse, li sostenesse. Fece un bene immenso in questo settore.
Di nuovo in Messico
In Messico c’era ancora bisogno di lui. L’episcopato messicano voleva fondare un’Università Pontificia in modo che gli alunni potessero acquisire i gradi accademici senza doversi recare a Roma. Ma occorrevano professori altamente qualificati per una buona partenza di una simile opera. L’opzione dei vescovi cadde su p. Pietro, e lo chiesero con insistenza ai superiori. Non ci fu bisogno di lunghi discorsi anche se l’Africa affascinava il nostro missionario e appagava i suoi sogni infantili.
Ed egli, prontamente, nel 1982 lasciò il Congo, per salire ancora sulla cattedra in Messico. Questa volta dovette insegnare anche all’Università Pontificia Messicana, della quale fu uno dei fondatori. P. Venanzio Milani, allora provinciale in Congo, gli scrisse: “Lasci un vuoto qui, ma sappiamo che diventerai presenza viva altrove”. La partenza dall’Africa costò non poco a p. Pietro. P. Salvatore Calvia, superiore generale, gli diede le motivazioni profonde di questo cambiamento: “La tua presenza in Messico è preziosissima perché il lavoro di formazione si fa sempre più difficile ed è necessario avere là delle persone sempre più capaci e dedicate, con esperienza di missione”.
“Non merito tanta fiducia - rispose il Padre - tuttavia cerco di fare mio il motto di San Francesco di Sales: Niente chiedere, niente rifiutare. Ai primi di agosto partirò per il Messico in modo da essere pronto per la scuola ai primi di settembre”.
“L’esperienza vissuta nel Congo - scrive fr. Massignani - permise a p. Pietro di raccontare alla gente i costumi, e le tradizioni degli africani. La buona voce, lo sguardo penetrante, i gesti ben misurati aiutavano a comprendere tante cose della religione, della dottrina della Chiesa, della Parola di Dio”. Scrive p. Sergio Pendin:
“A imitazione del divino Maestro, p. Pietro insegnava ‘come chi ha autorità’. Autorità morale che gli derivava da una straordinaria competenza, frutto di metodica e scrupolosa preparazione costantemente aggiornata; poi da una esemplare coerenza di vita, frutto di autentica santità, dando a tutti un luminoso esempio di totale e gioiosa dedizione alla sua vocazione. Una santità, quella di p. Pietro, che risultò essere anche simpatica, perché caratterizzata da una buona dose di autentico umorismo cristiano”.
Un giorno p. Pietro mi disse: “Ho fatto il proposito di non addormentarmi mai alla sera se prima non ho letto 50 pagine di un libro. Cinquanta pagine, né una di più, né una di meno. E finora ho sempre mantenuto il proposito. Così mi tengo aggiornato”. Non leggeva solo argomenti di missione, di teologia o di filosofia, ma anche grandi romanzi di letteratura moderna. “Questi - affermava - riflettono la mentalità del nostro tempo, l’andamento della nostra società. Un sacerdote deve tenersi aggiornato anche su questo se vuole essere al corrente della situazione e non perdere il treno”.
Scrive mons. Giordani: “Anni fa, trovandomi all’università teologica di Messico, un professore, parlando di p. Gasparotto mi assicurava:’ E’ il miglior professore che abbiamo’. Già ammalato, partecipò a un nostro raduno in La Paz. Ci colpì la sua chiarezza nell’esporre il suo pensiero. Ci colpì anche il suo zelo nel venire ad aiutare i nostri missionari più lontani e bisognosi”.
Scrittore e campione di Giornate Missionarie
“P. Pietro - prosegue p. Pendin - non si limitò esclusivamente all’apostolato dell’insegnamento: ogni domenica era sempre il primo e il più disponibile per l’animazione missionaria, visitando innumerevoli parrocchie d’Italia, Spagna, Messico.
La sua animazione missionaria acquistò maggior concretezza e forza di persuasione dall’esperienza dei cinque anni trascorsi in Africa, nel seminario interdiocesano di Kisangani. Il tempo che gli rimaneva libero dallo studio e dall’insegnamento, p. Pietro lo dedicò con ammirevole e contagioso entusiasmo all’assistenza del movimento dei Cursillos de Cristiandad.
Sono innumerevoli gli amici Cursillistas che lo ricordano come vero maestro e illuminato direttore spirituale. Pensando proprio a loro, p. Pietro scrisse quattro libri di meditazione semplice sopra il tema del ‘Fundamental cristiano’. Altri cinque libri pubblicò su quella che fu la sua specializzazione professionale: la filosofia antica e medioevale, privilegiando e sottolineando sempre il suo tema preferito: l’Amicizia cristiana. L’ultimo libro sulla metafisica di Aristotele fu stampato pochi mesi prima della sua edificante morte. Scrisse anche due libri sulla storia delle missioni e un terzo, sullo stesso argomento, era in stato avanzato di elaborazione.
All’interno della congregazione comboniana, p. Pietro fu uno dei più qualificati specialisti sulla vita e scritti del Fondatore. La sua entusiasta ricerca e divulgazione dei documenti comboniani è stata importantissima per la realizzazione dell’Archivio comboniano, del quale fu uno dei primi collaboratori: realizzazione provvidenziale che ha permesso una migliore conoscenza della vita e dell’opera di mons. Daniele Comboni e che moltissimo contribuì al successo della causa di canonizzazione del Fondatore.
Nel libretto Riflessioni Missionarie c’è un capitolo significativo sulla morte del beato Daniele Comboni. Affronta con coraggio le cause vere della morte del Fondatore, anche rischiando di fare il contropelo a qualcuno.
Uno dei più felici comboniani che, domenica 17 marzo 1996 poté assistere alla beatificazione per televisione, fu certamente p. Pietro Gasparotto. Durante lo stesso anno fu stampato in Italia il suo capolavoro editoriale: “Alla scuola del beato Daniele Comboni”. Capolavoro che, come tutte le opere comboniane, nacque ai piedi della croce. In questo libro p. Pietro ebbe il coraggio di scrivere due capitoli a dir poco provocatori. Uno sui difetti e l’altro sulle tentazioni del beato Comboni, rintracciate in archivi, biblioteche, raccolte private”.
“Insieme a p. Pendin e a fr. Bartolucci e altri comboniani - scrive fr. Massignani - ogni tanto si andava a passeggio sulle montagne vicino a Xochimilco. P. Pietro era di buona compagnia. Sapeva rendere la conversazione interessante e divertiva con le sue barzellette”.
La sua spiritualità
P. Enzo Canonici, suo compagno in Messico, così riassume la spiritualità di p. Gasparotto:
“E’ stato l’uomo della vita comunitaria: allegro, sempre faceto e pronto con le sue battute intelligenti e graziose, l’uomo che si disfaceva per il bene della comunità.
E’ stato il professore coscienzioso nel preparare e dare le sue lezioni, il professore vivace ed ameno (anche se con uno spagnolo italianizzato), il professore esigente ma anche molto comprensivo con i suoi alunni. Quanti sacerdoti messicani sono stati suoi alunni ed hanno conosciuto i Comboniani per mezzo suo!
E’ stato l’uomo della Parola di Dio, resa accessibile, vivace, facile, sia per il modo di presentarla come per i gesti e quegli ‘ojos saltones’ con cui l’accompagnava.
E’ stato l’uomo che sapeva meditare e che scriveva ciò che annunciava: da qui i suoi numerosi libri.
E’ stato il sacerdote missionario profondamente innamorato ed identificato con la sua vocazione sacerdotale e missionaria... Anche se le condizioni in cui si trovava in questo ultimo anno facevano ormai prevedere la fine sempre più vicina, ciò non toglie che la sua partenza per la Casa del Padre abbia lasciato un vuoto tra noi, soprattutto nella provincia messicana e nel cuore di chi gli è stato più vicino ed aveva stretto con lui un’amicizia tanto bella e fraterna”.
Mons. Pietro Parolin, per alcuni anni segretario della delegazione Apostolica (ora Nunziatura) di Città del Messico, scrive: “Il tempo in cui ci siamo frequentati a Città del Messico, mi ha permesso di conoscere l’umile grandezza di p. Pietro, di affezionarmi a lui e di godere della sua fraterna amicizia e del suo illuminato e zelante ministero sacerdotale... Per me p. Pietro è stato un inestimabile regalo che la vostra Congregazione ha fatto alla Chiesa... E’ una grande grazia incontrare persone simili nel nostro pellegrinaggio terreno”.
La malattia
P. Gasparotto scrisse il volume “Alla scuola del beato Daniele Comboni” quando la malattia lo aveva già colpito e lo stava così drasticamente limitando nelle sue attività. Fu subito consapevole del suo male e lo accettò con edificante conformità alla volontà di Dio anche se non risparmiò nulla per frenare il più possibile i suoi devastanti effetti. “Un giorno di più di vita, è un dono di Dio”, ripeteva.
Scrive mons. Olindo Spagnolo: “Due anni fa, sapendo che si trovava all’ospedale di Verona, andai a trovarlo con mio fratello sacerdote. L’incontro è stato bello... Mi raccontò della sua malattia con distacco impressionante... sembrava che non gli interessasse. Ma alla fine, stanco, abbassò la voce, si fece serio e mi disse alcune cose stupende, dalle quali traspariva la bontà del suo grande cuore di missionario... P. Pietro era un santo perché viveva la prova della malattia con una forza straordinaria e con una pazienza indescrivibile. Quando lasciai il suo letto, mi sentivo molto arricchito spiritualmente. Certamente ha arricchito anche coloro che lo avvicinavano”.
Dichiarato incurabile dai medici, di fronte all’alternativa di morire in Italia o in Messico, chiese con insistenza di ritornare in Messico. Fu proprio durante il volo in aereo che un’embolia, causata da metastasi irreversibile, lo lasciò semiparalizzato.
“Il 2 gennaio 1998 - scrive fr. Massignani - è toccato a me accogliere p. Pietro appena arrivato all’aeroporto e ricoverarlo d’urgenza all’ospedale dove anni prima era stato operato di tumore. Generalmente, quando gli ammalati sono in sala di rianimazione, non possono essere assistiti né visitati. Un buon medico mi ha permesso di restare vicino al Padre. Piangeva, era triste, si aspettava di morire da un momento all’altro. Aveva freddo e mi chiese una coperta. ‘Se non muoio d’infarto, morirò di polmonite’, mi disse col suo solito umorismo anche in tanto dolore. Gli procurai una coperta. Mi ringraziò e mi chiese di avvisare il p. Provinciale affinché gli amministrasse gli ultimi sacramenti che ricevette con molta devozione.
Dopo 10 giorni passò alla casa per anziani ‘Las Margaritas’. Ogni giorno assisteva alla santa messa e vi prendeva parte come poteva. Molte persone lo visitavano e gli portavano regali. Pregavano con lui e per lui”.
“Padre, se è possibile passi, però...”
“Durante i primi mesi - prosegue fr. Massignani - non è stato facile per p. Pietro accettare questa realtà. Era tornato in Messico per morirvi, ma non pensava che ciò avvenisse così presto e in quel modo. Si illudeva di poter ancora insegnare e fare dell’apostolato. Non era nei suoi piani finire paralizzato su una sedia a rotelle. Ma ormai era proprio quella sedia la sua cattedra dalla quale doveva dare la sua ultima lezione da sacerdote, religioso, missionario, apostolo con la preghiera e la penitenza, milite dell’Immacolata. Solo il Signore sa quanto bene ha fatto da quell’altare.
Chi andava a visitarlo lo trovava con il rosario tra le mani. Amava molto la Madonna. Mi ricordo che quando rientrava in Italia mi chiedeva dei rosari presi al santuario di Guadalupe per regalarli agli amici. Negli ultimi giorni, quando gli costava tanta fatica parlare, dopo i saluti e qualche parola, preferiva recitare alcune Avemaria.
Nei primi mesi della sua malattia, riuscì con molta fatica a scrivere un libretto sullo Spirito Santo, in sintonia col Papa che stava preparando l’umanità al terzo millennio. I suoi libri andavano a ruba e facevano tanto bene. Davvero per me è stata una grazia restargli vicino in questo periodo così importante della sua vita.”
Il definitivo incontro col Padre è avvenuto all’alba della domenica 24 gennaio 1999, proprio quando tutti i cattolici della capitale e di tutta la nazione esultavano di incontenibile gioia per la quarta visita in Messico del papa Giovanni Paolo II.
I missionari comboniani e la numerosa famiglia dei loro amici, ringraziarono Dio e la Madonna di Guadalupe per l’inestimabile regalo che hanno fatto alla Congregazione e alla Chiesa messicana e africana nella persona dell’indimenticabile p. Pietro. P. Lorenzo Gaiga
Da Mccj Bulletin n. 203, luglio 1999, pp. 120-128