In Pace Christi

Cosner Giorgio

Cosner Giorgio
Data di nascita : 24/05/1923
Luogo di nascita : Mezzano di Primiero/TN/Italia
Voti temporanei : 07/10/1941
Voti perpetui : 07/10/1946
Data ordinazione : 31/05/1947
Data decesso : 03/04/2001
Luogo decesso : Milano/Italia

Figlio di Giovanni, contadino che aveva della terra in proprio, Giorgio era il primo di cinque fratelli e due sorelle. Una di queste si fece suora nella Congregazione delle Pastorelle. La famiglia ha annoverato tra i parenti altri religiosi. Ricordiamo P. Gianfranco Bettega, attualmente missionario comboniano in Brasile, cugino della mamma di P. Giorgio, che si chiamava Bettega Maria, e una zia di entrambi, Maddalena Bettega, orsolina.

Dopo otto giorni dalla nascita, la mamma portò il piccolo Giorgio in chiesa e lo affidò alla Madonna, come si soleva fare nelle buone famiglie trentine. Il piccolo trascorse la sua infanzia principalmente con i nonni materni, prestando piccoli servizi nella loro attività di contadini. Era di carattere mite e di temperamento timido.

Iniziò le scuole elementari nel 1929 con il maestro Zortea, un educatore che aiutava i suoi alunni a guardare al mondo missionario. La visita al paese di Mons. Rodolfo Orler fece scattare nel piccolo Giorgio il desiderio di darsi alle missioni. A 11 anni lasciò il paese e andò nel seminario comboniano di Muralta per iniziare gli studi che lo avrebbero portato al sacerdozio. I genitori erano contenti della scelta del figlio, specialmente la madre.

Giorgio proseguì i suoi studi normalmente. Dopo le medie andò a Brescia per il ginnasio e, l’8 agosto 1939, entrò nel noviziato, prima a Venegono e poi a Firenze. “Cominciò subito a lavorare con impegno ricavando molto buon profitto. Ama la preghiera e il lavoro. Timido assai, quasi pauroso. Buono, sincero, generoso”, scrisse P. Stefano Patroni, maestro dei novizi. Al termine dei due anni di noviziato, aggiunse: “Esatto nell’osservanza, ama molto la vita interiore. Si lascia dirigere come un bambino. Ottimo ingegno. Per il suo fervore costante dà buona speranza di riuscita”.

Emise la professione il 7 ottobre 1941. Trascorse il liceo a Verona e la teologia a Rebbio dove lo scolasticato si era trasferito, essendo la città scaligera nel costante pericolo di bombardamenti e la Casa Madre occupata dai tedeschi.

Prima dell’ordinazione sacerdotale, che ebbe luogo il 31 maggio 1947, P. Capovilla tracciò il seguente identikit di Giorgio: “Ha sempre tenuto buona condotta morale e religiosa. Niente da eccepire riguardo ai suoi costumi. Di pietà sentita. Carattere timido e docile. Su di esso influisce la salute piuttosto scossa per un po’ di esaurimento. Certamente, finiti gli studi, si riprenderà. Assai diligente nelle sue cose, criterio buono. È consapevole delle responsabilità che si assume con il sacerdozio ed è fermamente risoluto, con la grazia di Dio, di osservarle per tutta la vita. Attesta pure che accede agli Ordini liberamente, senza esservi costretto e neppure spinto da persone o da riguardi. Ritengo, insieme ai suoi insegnanti, che possa essere un degno sacerdote e un fervente missionario”. Dopo l’ordinazione fu trattenuto per un anno a Trento come addetto al ministero nella rettoria della Santissima Trinità. Di tanto in tanto si prestava per l’assistenza dei giovani seminaristi durante le loro ore di studio. Chi scrive lo ricorda mentre passeggiava avanti e indietro nello studio, sempre disponibile a dare una spiegazione a chi gliela chiedesse. A quei giovinetti diede l’impressione di un padre buono, mite, servizievole, di cui ci si poteva fidare.

Dal 1949 al 1950 fu economo locale a Verona applicandosi con diligenza alla contabilità, anche se non era il suo forte. Ai conti preferiva la predicazione di giornate missionarie e il contatto con i parroci.

In Brasile via Portogallo

Nel 1950 partì per il Portogallo allo scopo di apprendere la lingua in vista della missione del Mozambico aperta da qualche anno. Prestò la sua opera come insegnante nel seminario comboniano di Viseu che era in fase di allestimento. Si trovò subito a suo agio, tanto che la gente lo ha sempre ricordato per la sua bontà e mitezza. Non ha fatto solo l’insegnante, ma anche il questuante perché la povertà in Portogallo, a quel tempo, era grande e l’Italia, appena uscita dalla guerra non era in grado di abbondare nei mezzi. Alle volte i missionari pativano anche la fame.

In quegli anni P. Rino Carlesi aveva aperto le prime missioni in Brasile dove si era recato in cerca di aiuti per l’erigendo seminario di Viseu. Nel 1952 anche P. Giorgio Cosner fu uno dei primi a recarsi in quelle terre.

Nei Bollettini dell’Istituto del tempo sono narrati, con note toccanti, i momenti della partenza dei missionari per la nuova avventura brasiliana. Sono pagine di storia del nostro Istituto che, a leggerle a tanti anni di distanza, commuovono… “Resa pubblica la notizia dell’opera comboniana in Brasile, i candidati, con a capo P. Diego Parodi, si prepararono per la nuova impresa. Il Superiore Generale in persona, P. Antonio Todesco, consegnò loro il crocifisso. Era la mattina dell’8 maggio 1952. I fortunati prescelti erano P. Diego Parodi, P. Giorgio Cosner, P. Cirillo Gasperetti, P. Mario Vian, Fr. Sebastiano Todesco e Fr. Eugenio Franceschini.

P. Angelo La Salandra, sempre esuberante quanto a idee, consegnò ai partenti una bella lampada affinché la portassero nel nuovo mondo quale segno della fede che si accingevano a diffondere in quel continente…”.

Nella missione di Loreto

P. Giorgio stesso, in una lettera, traccia le tappe di quei suoi primi anni di vita missionaria: fu nella missione di Loreto, poi a Balsas, quindi a Riachão, nel Brasile Nord, come addetto al ministero. Fatto parroco di Loreto, dopo un qualche anno fu trasferito. “Sente troppo la responsabilità – scrisse il provinciale - e perciò si stanca troppo. A Balsas, come segretario del vescovo, farà molto bene”. Da questa nota di P. Domenico Seri, balza all’evidenza una caratteristica di P. Giorgio: la sua ripugnanza per gli incarichi importanti. Egli si sentiva missionario “umile”, di prima linea, tra i poveri e i semplici. Lì si trovava a suo agio.

Il Bollettino dell’Istituto, con dovizia di particolari, racconta la storia delle prime missioni brasiliane…

“I padri entrano a Loreto, fondata insieme a Balsas, il 27 luglio 1952. I tre pionieri sono P. Mario Vian, P. Giorgio Cosner e Fr. Sebastiano Todesco. Trovano ottima accoglienza dalla popolazione che li aspettava: spari di mortaretti, discorsi, poesie ed un buon pasto offerto da una delle principali famiglie… Ma la cuccagna dura poco.

Il giorno dopo, infatti, comincia la prosa nel sertão brasiliano. La chiesa è abbastanza ampia, ma presenta falle da tutte le parti. Manca il campanile e le navate vengono placidamente staccandosi dal centro, avviandosi ciascuna per suo conto. La casa è grande, puro stile brasiliano boschivo, non adatta per europei. La maggior parte dei locali manca di finestre e gli ambienti sono intercomunicanti per cui ci si disturba a vicenda ad ogni movimento. È coperta di tegole, ma si vede il cielo in molte parti. Quando piove non v’è angolo dove si possa essere al riparo. Guai lasciare scritti sui tavoli, potresti trovare degli scarabocchi. Le tegole sono malfatte e di materiale di scarto, inoltre gli uccellacci che vi camminano sopra le rompono e le spostano.

Quando finalmente Fr. Todesco mette in funzione la cucina (dopo che la trattoria del paese ci ha alleggerito la borsa per il pranzo) si trova spesso senza ingredienti: carne, olio, verdura… Supplisce il riso. Il torrente, a mezzo chilometro dalla casa, offre solo acqua nerastra. Il fiume Balsas è a tre chilometri…”.

Le avventure vere cominciarono quando i missionari, in groppa al mulo, andarono a visitare le abitazioni sparse nel sertão. Disagi di ogni genere, carapatos (simili a zecche) che pungono producendo prurito e infezioni: “Il bosco ne è invaso. Te le trovi per terra, sull’erba e nei cespugli. Passando sul mulo corrono all’assalto dell’animale e di chi lo cavalca. Bisogna staccarle dalla pelle a viva forza, ricevendone in eredità bubboncini che bruciano per un paio di settimane”. Da un punto di vista spirituale c’era l’indifferenza della gente ai problemi religiosi, specialmente quanto all’osservanza di certe norme morali. Eppure quella popolazione è naturalmente buona e cordiale. Sono quasi tutti battezzati e cattolici, almeno di nome. Come istruzione l’80 per cento è analfabeta….”. Insomma il lavoro era immenso e duro. P. Giorgio ce la mise tutta per fare breccia in quelle anime e, dobbiamo dirlo, fece molto bene. “Si impegna anche oltre le sue forze – scrisse il provinciale – se non si modera, non ce la farà”. Era una facile profezia.

Direttore spirituale e segretario del vescovo

Quando il seminario di Balsas, sotto la spinta del primo vescovo Mons. Diego Parodi, cominciò a prendere fisionomia, P. Giorgio venne incaricato della direzione spirituale dei seminaristi, però si prestava anche per l’insegnamento dato che il personale era piuttosto scarso. Intanto venne costruito un altro seminario a Ibiraçu, nel Brasile Sud. I superiori scelsero P. Giorgio come padre spirituale visto che a Balsas aveva dato buona prova di sé.

Quindi fu eletto procuratore provinciale di Balsas con sede, però, a Rio de Janeiro. Contemporaneamente fece da cappellano in un grande collegio tenuto da suore. Vi rimase due anni scarsi, dal 1967 al 1968. In una sua relazione scrisse: “Come tipo di lavoro mi sono trovato bene con le religiose, sia perché non sono tanti i sacerdoti che le curano, sia per il bene spirituale che si può ricavare da quelle anime e anche per se stessi”. Terminato il suo tirocinio a Rio, fu per due anni parroco a Paraibano (1971-1973) durante i quali celebrò il suo 25° di ordinazione sacerdotale. Scrisse al Superiore Generale che gli aveva mandato dei libri in regalo: “Qui la ricorrenza del nostro 25° è stata sentita anche dalla gente che, credo, ne abbia ricavato una maggior stima e un maggior amore al sacerdote. Speriamo che le feste organizzate da questa buona gente e soprattutto le preghiere che hanno preceduto l’avvenimento, siano fermento di nuove vocazioni”. Quello delle vocazioni è stato un punto forte nel ministero del nostro padre.

Intanto venne aperta la procura del Brasile Nord a São Luis, sede del provinciale. P. Giorgio vi fu chiamato per continuare l’ufficio di procuratore. Vi rimase un anno.

Nella sua famiglia, intanto, si susseguivano le difficoltà, per non dire le disgrazie, che coinvolgevano la salute dei fratelli. P. Giorgio chiese di poterli visitare e di rimanere un poco con loro e con i genitori per confortarli. Tre fratelli morirono in poco tempo ed un altro era colpito da cancro. Fu un colpo soprattutto per i vecchi genitori.

“Vai – gli rispose P. Florio Chizzali, provinciale – e fermati per tutto il tempo che ritieni necessario. Poi torna a São Luis perché la tua presenza qui si è mostrata indispensabile. So che ti vogliono anche in Italia per la cosiddetta rotazione, ma per il momento abbiamo bisogno qui perché hai fatto un buon lavoro”.

Andò in Italia a fare il buon samaritano. Nel frattempo a São Luis dovettero mettere un altro a fare il procuratore. Quando P. Giorgio tornò, venne inviato a Mangabeiras ad occupare un posto rimasto vuoto. Un po’ a malavoglia, dovette adattarsi a fare il parroco. Lavorò indefessamente per tre anni, fino alla fine del 1978.

Economo e animatore a Brescia

I superiori, da Roma, sollecitavano il suo rimpatrio per un servizio alla provincia italiana. La lettera di P. Agostoni dice: “Vorrei chiederti almeno un anno di servizio alla provincia italiana, pur appartenendo ancora alla Regione del Brasile Nord. È una necessità che si è creata improvvisamente. Spero che P. Florio Chizzali questa volta non dica di no. Ti saluto caramente e ti ringrazio del bel lavoro che hai fatto in Brasile”.

Così, nel 1979, si concluse il primo periodo brasiliano di P. Giorgio. Gli fu affidato l’incarico di economo e di animatore missionario nella comunità di Brescia, ma fu anche per un breve periodo a Thiene. Contemporaneamente dovette curare la salute che aveva urgente bisogno di un ripasso. Infatti, in Brasile era stato colpito da un serio attacco di tifo. Si trovava in un villaggio sperduto nel sertão. Caricato sopra un’amaca da alcuni volonterosi venne portato al primo centro abitato dove, a bordo di un camion, raggiunse l’ospedale. Non morì solo perché non era ancora scoccata la sua ora.

Inoltre in Brasile aveva subito l’asportazione di un rene e ciò gli causò delle limitazioni nel lavoro e nel cibo, anche se, appena si sentì bene, continuò come prima.

Passare dalle distese brasiliane alla città di Brescia non fu facile per il nostro padre. Tuttavia cominciò a prendere contatto con i parroci per organizzare giornate missionarie e incontri. Parlava della sua esperienza missionaria, della Chiesa del Brasile che camminava spedita basandosi sulle comunità di base che operavano tanto bene nel territorio, sulla realtà dei poveri e degli impoveriti dall’azione dei latifondisti e delle multinazionali che espropriavano i contadini costringendoli ad emigrare verso le favelas ai bordi delle grandi città.

I suoi discorsi facevano breccia ed erano ascoltati con interesse. Tuttavia egli si sentiva un po’ come il classico pulcino nella stoppa.

Ultima tappa brasiliana

La saudade (nostalgia) per il Brasile tornò ben presto a battere al suo cuore. A dire la verità, stando almeno alle sue lettere di questo periodo, si sentiva come un pesce fuor d’acqua in Italia. Troppe novità, troppe innovazioni, anche nelle case comboniane. I tempi, infatti, stavano cambiando velocemente.

Perciò chiese ai superiori il favore di ripartire al più presto, dato che, anche come salute, si sentiva ormai bene. In luglio del 1981 ricevette la destinazione per il Brasile. Fu mandato a São Domingos do Azeitão, una parrocchia fondata nel 1965. Il territorio a lui affidato si stendeva per 10.000 Kmq (come il Trentino) con 15.000 cattolici su una popolazione di 50.000 anime. P. Giorgio ebbe l’incarico di parroco. Sappiamo che questo ufficio non era tagliato per lui che, fondamentalmente, era rimasto il ragazzo timido e sempre insicuro nel prendere le decisioni che spettano a un parroco. Tuttavia si fece violenza e si buttò nel lavoro anima e corpo. La pagò cara: tre anni dopo, nel 1984, era a Verona in cura. Andò un po’ di tempo nella chiesa di San Tomio come confessore, quindi, nel 1985, passò a Limone sul Garda, all’ombra della casa natale del Fondatore a rifarsi lo spirito e il fisico.

Una caratteristica di questo periodo sono le lettere che scrisse ai confratelli del Brasile, tenendosi aggiornato sull’andamento delle parrocchie affidate ai Comboniani e sulle varie iniziative che portavano avanti, segno che il suo cuore batteva ancora da quella parte.

“Mi ricordo ogni giorno del Brasile, dei confratelli e della buona gente. Mi spiace che la loro squadra di calcio abbia perso. Poveretti, il pallone è una delle poche soddisfazioni che hanno anche i poveri e i semplici” (Limone, giugno 1986). Bella questa annotazione che indica tanto amore alla sua gente.

“Pensavo di tradurre in brasiliano la biografia di P. Sirigatti che è una magnifica figura di missionario, ma da più parti mi sono sentito gettare acqua fredda sul fuoco. Non ho chiesto e non voglio sapere il perché. Mi spiace che le testimonianze di chi ha dato la vita per la missione, per i poveri e per il Signore, vada nel dimenticatoio. Come cambiano i tempi!” (Limone, ottobre 1986).

Ritorno alla giovinezza

“Carissimo P. Giorgio – gli scrisse il Superiore Generale P. Glenday nell’aprile del 1990 – ti chiedo di andare in Portogallo dove c’è bisogno di un confratello di una certa età e di una certa esperienza che prenda il posto di P. Selis che è rientrato per salute. La provincia portoghese ha sempre desiderato avere confratelli di altre nazioni per mantenere l’internazionalità e per aiutare i giovani a conservare lo stile della Congregazione. Il Portogallo ha dato ottimi missionari per la missione. Il tuo contributo di esperienza e di saggezza è molto apprezzato”.

P. Giorgio partì immediatamente. Quel ritorno in Portogallo era come un tuffo negli anni giovanili, quelli delle sue prime esperienze missionarie. Si era tenuto in contatto con alcuni amici (ha sempre coltivato l’amicizia con le persone) e ora poteva ritrovarli anche se erano passati tanti anni.

In Portogallo esercitò il suo ministero sacerdotale come confessore e padre spirituale nel seminario di Viseu. Inoltre si prestava per il ministero nelle vicine parrocchie. Era una festa ogni volta che incontrava qualche sacerdote che aveva conosciuto all’inizio del suo ministero portoghese. Molti, andò a trovarli nei vari cimiteri…

Trascorse anni sereni, sempre con la speranza di poter tornare in Brasile. Nel 1994, infatti, mandando gli auguri al Superiore Generale, disse: “Io sto bene, sono contento e faccio del mio meglio per il Regno di Dio qui a Viseu. Le rinnovo, però, la mia domanda di poter tornare in missione prima che diventi troppo tardi. I settanta sono già passati…”.

“Grazie della tua disponibilità frutto dello Spirito che lavora in te, però ti prego di restare al tuo posto dove fai tanto bene dispensando gioia e serenità”, gli rispose il Superiore Generale.

Nel 1990 P. Giorgio dovette tornare in Italia. Un melanoma maligno che si era esteso al fegato, ai polmoni e ad altri organi era ormai inarrestabile. Andò a Milano al Centro P. Ambrosoli. Restò ancorato alla provincia del Brasile fino all’anno 2000. Poi dovette chinare la testa e accettare ciò che Comboni aveva detto a proposito del missionario: “La vita del missionario, che ha rotto in modo assoluto e perentorio tutte le relazioni col mondo e con tutte le cose più care secondo natura, deve essere una vita tutta di spirito e di fedeltà a Dio” (Scritti 2489). Trascorse gli ultimi mesi di vita nella sofferenza e nella serenità dell’infermeria, intensificando la preghiera e offrendo ogni giorno la sua vita al Signore.

Un sacerdote dalla spiritualità elevata

P. Giorgio era un sacerdote dalla spiritualità molto elevata. Basterebbe spulciare alcune delle sue lettere, specialmente quelle scritte ultimamente, da ammalato, per rendersene conto. In questi scritti si nota il cammino di P. Giorgio verso la sua identificazione con Cristo e Cristo crocifisso, specialmente quando il tumore aveva cominciato ad aggredirlo in modo devastante.

“Non mi sono mai sentito così missionario come al presente che sono chiamato a completare la passione di Cristo”. “Soffrire per Cristo, con Cristo e in Cristo fino alla fine, realizza il mio essere missionario”. “Siamo vicini alla Pasqua del 2000. Mi auguro che sia per me e per te veramente santa e che entrambi, quest’anno, possiamo veramente santificarci”.

Faceva della sua croce la sua messa: “Soffro spiritualmente, come potete comprendere: sono stato 10 anni a Viseu. Patire è come morire, ma faccio della mia croce la mia messa e ancora una volta ripeto: fiat, e tutto sia per l’avvento del Regno di Dio e della Vergine Santissima”. “Cerco sempre di compiere la volontà divina con serenità e spirito missionario”.

“Coraggio, carissimo, non perdiamo il coraggio di soffrire e di vivere da autentici missionari uniti a Cristo e a Comboni, per la gloria e il Regno di Dio”.

Col passare dei giorni e delle settimane, mentre il suo male si aggravava, P. Giorgio operava la sua trasfigurazione in Cristo. “Per quanto dipende da noi, con l’aiuto di Gesù, dei Santi e anche degli amici e dei parenti saliamo fino al culmine della perfezione, della contemplazione, dell’unione con Dio. La Vergine Maria ci tiene per mano e ci guida sulla difficile via del Calvario”.

“A Como, il 7 novembre 1999 è stata aperta la causa di canonizzazione di P. Ambrosoli. Deo gratias! Questo è un incentivo per noi a correre con gran buona volontà verso la santità che Dio vuole da noi. Senza la santità, tutto il resto è paglia”.

Considerando i giovani attorno al papa durante il Giubileo del 2000, scriveva: “Ci hanno dato lezione di fede, di fraternità, di generosità e di amore. Che magnifico spettacolo quei due milioni di giovani di tutte le razze e di tutti i continenti, stretti attorno al vicario di Cristo. Che il frutto benefico di questo giorno continui nella loro vita!”.

Scrivendo ad un confratello ammalato, disse: “Come vorrei venire lì, nella tua stanzetta e parlare, chiacchierare, pregare, ricordare, scambiare idee e forza… Non potendo farlo, vengo spiritualmente attraverso la preghiera, il dolore, la fraternità. Anch’io sono nella morsa della malattia e della sofferenza, ma la trovo così utile”.

“Come mi sento? Sereno e fiducioso, cercando di pronunciare ogni giorno il mio sì. Lancio a voi il mio SOS. Vi chiedo di pregare per me affinché, come dice San Giovanni Calabria, aumenti in me questa scientia crucis, sapienza che viene dalla croce e che ci rende simili al divin Crocifisso”. “Penso alle mie montagne del Trentino che mi indicano l’azzurro del cielo e, al di sopra di quello, il supremo artista creatore di tante meraviglie”.

“Quasi me ne andavo all’eternità ma, grazie alle trasfusioni di sangue e di plasma, sono ancora qui sereno ed abbandonato in Dio”. “Di tanto in tanto ripeto: in manus tuas Domine commendo spiritum, et futurum, meum. Questo affidamento dà amore e tanta pace”.

La pace completa per P. Giorgio Cosner giunse con sorella morte il 3 aprile 2001, verso le 10 di mattina. Al funerale, P. Tarcisio Agostoni, suo compagno di noviziato e di scolasticato disse con parole convinte e convincenti che P. Giorgio era un uomo di preghiera, di sacrificio. Aggiunse che era così buono che non avrebbe fatto del male “neanche a una mosca”. Poi parlò del confratello come seme fecondo, di qualità, che non si è mai messo in mostra nella vita, eppure ha fatto germogliare attorno a sé tanto bene perché vedeva l’uomo, specie il povero, nella sua integrità e nei suoi bisogni. Quindi fece un paragone che ci sembrò perfino ardito: “P. Giorgio è stato come Gesù Eucaristia che non fa rumore, ma nutre, diffonde amore e pace”.

Anche P. Primo Silvestri che fu con lui a Thiene e in Brasile, diede la sua testimonianza sottolineando la purezza di anima e la delicatezza di coscienza del confratello “che rasentava perfino lo scrupolo”. Citando l’episodio degli apostoli che discutevano per avere i primi posti nel Regno di Dio, portò l’esempio di Gesù che prese un bambino e affermò che se non si diventava come lui, non si poteva neanche entrare nel Regno. Altro che primi posti! “P. Giorgio fu quel bambino”, sottolineò P. Primo. Poi parlò della sua disponibilità a prestarsi per le confessioni e per la direzione spirituale delle anime che volevano vivere maggiormente impegnate nelle vie di Dio, della sua carità per cui non si è mai permesso di esprimere un giudizio negativo nei confronti degli altri, sempre pronto a scusare e a perdonare. Sottolineò la sua disponibilità per i poveri. “P. Giorgio fu un testimone dell’amore e Dio ha sparso i suoi doni a tanti poveri per mezzo di lui”.

Dopo i solenni funerali a Milano, P. Giorgio fu portato al suo paese dove riposa accanto ai suoi cari. (P. Lorenzo Gaiga, mccj)

Da Mccj Bulletin n. 212, ottobre 2001, pp. 101-109