P. Antonio Piacentini è morto all’ospedale Niguarda di Milano il giorno della solennità dell’Immacolata. Aveva 87 anni, essendo nato a Trescore Cremasco, Cremona, il 5 agosto 1915. La sua morte non è avvenuta in una data casuale, per lui che aveva tanto diffuso la devozione alla Madre di Dio tra il popolo, e che con la Madonna aveva combattuto l’errore che i protestanti, le sette e i massoni volevano diffondere tra la gente della Bassa California. Alla Madonna, ha dedicato il suo Movimento dei Piccoli Fratelli e delle Piccole Sorelle. Il funerale, celebrato il 12 dicembre, ha coinciso con la festa della Madonna di Guadalupe.
Diciamo anche che, con la sua morte, sta quasi scomparendo il primo gruppo di Comboniani (6 padri e 3 Fratelli ) che nel lontano 1948 arrivarono nella missione della Bassa California. Ecco i loro nomi: P. Pietro Vignato, morto nel 1957; Fr. Gino Garzotti, morto nel 1968; P. Elio Sassella, morto nel 1970; P. Amedeo Ziller, morto nel 1979; P. Bruno Adami morto nel 1986; Fr. Francesco Di Domenico morto nel 1996; P. Luigi Ruggera morto nel 1999; P. Antonio Piacentini morto nel 2002.
Rimane Fr. Arsenio Ferrari che con i suoi 81 anni , continua a lavorare in Bassa California, nella missione di Bahía Asunción.
P. Piacentini giunse a La Paz il 24 luglio 1948, dopo una prima ambientazione nel vicariato di Tijuana per imparare la lingua. Rimase a La Paz come cappellano fino a novembre 1949, quando lo sostituì P. Gino Sterza ed egli fu destinato a riaprire la missione di La Purísima, insieme al Fr. Arsenio Ferrari.
Segnato dalla sofferenza
Antonio perse la mamma, Maria Marchesetti, all’età di tre anni. Papà Battista, allora, lo affidò al nonno Tommaso. A 13 anni il piccolo Antonio, mostrando segni evidenti di chiamata al sacerdozio, entrò nel seminario diocesano di Crema. Verso la quinta ginnasio sentì nel cuore la chiamata alla vita missionaria e, nel 1933, passò al noviziato dei Comboniani a Venegono Superiore. Il rettore, Mons. Pietro Marazzi, lo accompagnò con la seguente lettera: “D’accordo con Sua Eccellenza Mons. Marcello Mimmi, vescovo di Crema, rispondo alle informazioni circa il seminarista Antonio Piacentini. È un giovane di buona condotta morale e religiosa. Non è di forte ingegno, però si difende. È un po’ chiuso di carattere. Ha superato gli esami di quinta ginnasio ed è regolarmente iscritto alla prima liceo. Mi assicura di aver tutto l’appoggio del padre spirituale… 30 giugno 1933”.
Nella sua lettera di presentazione, Antonio confessò di aver ripetuto la seconda ginnasio e di essere riuscito male agli esami di geometria e di storia romana. “Come vede, padre, non sono tra il numero di quelli che si chiamano bravi, ma in coscienza l’assicuro che ce l’ho sempre messa tutta”.
Tra i documenti si trova anche il consenso della famiglia: “Sebbene sentiamo forte il dolore per la separazione dell’amato figlio, pure per dovere di coscienza diamo spontaneamente il nostro consenso…”. La lettera è firmata da Piacentini Battista e da Maddalena Marchesetti, la sorella della mamma defunta.
P. Piacentini, a proposito del noviziato, scrisse: “Il noviziato di Venegono ha lasciato un’impressione indelebile nella mia vita e mi ha fatto amare profondamente le idee e lo spirito dei grandi santi. Il sacerdozio e la missione mi hanno spinto a darmi senza limiti ai fratelli a volte con spirito irrequieto”.
Emise i primi voti il 7 ottobre 1935. Passò quindi a Verona per il liceo e la teologia. Venne ordinato sacerdote il 29 giugno 1940 da Mons. Girolamo Cardinale, un anno prima della scadenza canonica per via della guerra che era cominciata proprio quell’anno.
P. Agostino Capovilla scrisse di Antonio: “Capacità mediocre, salute buona, pietà distinta, soggetto senza pretese, buona volontà. Ha, però, un carattere più duro di quanto lasci supporre il suo facile sorriso”.
Pensando di non essere degno di essere ammesso ai voti perpetui, alla notizia della sua accettazione, scoppiò in un inno di gioia e scrisse al Superiore Generale: “La mia gioia è troppo grande. I doni sono più belli quanto più inaspettati. L’amatissima Congregazione mi accetta per sempre tra le sue braccia. Io l’abbraccio con tutto l’affetto. Se potesse lei entrare nel mio cuore vi troverebbe una fiamma accesissima d’amore per la Congregazione. Io voglio essere per sempre, perpetuamente, Figlio del Sacro Cuore… Mi pare che la valle che mi separa dal monte santo sia colma e già sorrido nel felice possesso di un bene che non mi sarà tolto mai. Rendo grazie al Sacro Cuore per le sue misericordie e a lei della benigna adesione alla mia domanda. Verona 27 maggio 1940”.
Dopo i primi anni di ministero in Italia, in particolare nel piccolo seminario comboniano di Crema (1942-1943), passò a Roma in Via San Pancrazio come addetto al ministero in una parrocchia (1943-1946) e a Bologna per lo studio dell’inglese (1946-1947). Nel 1948 partì per il Messico dove resterà per 34 anni.
Riapertura di La Purísima
P. Piacentini e Fr. Ferrari partirono da La Paz il lunedì 14 novembre e, facendo brevi soste per celebrare la Messa dove si radunava un po’ di gente, arrivarono a La Purísima la sera del 20 novembre. Era domenica. Cercarono la “casa del padre” (canonica). Era una stanza di 4 x 4 m. con tre porte e nessuna finestra. Dovettero chiedere in prestito due brande per passare la notte.
Fungeva da chiesa un salone dove non c’erano né banchi né sedie. L’altare era una tavola. Con una cassetta di legno improvvisarono il tabernacolo. Una grossa tela faceva da cortina all’unica finestra e, dietro il telone, come in un ripostiglio, erano ammucchiati fiori di plastica e vecchie immagini.
Nella prima pagina del Diario della Missione P. Piacentini lasciò scritto: “Se il Padrone del mondo non disdegna tanta povertà, possiamo bene anche noi accomodarci alla meglio in una povera stanza”.
Nel luglio 1951 l’arcivescovo del Messico affidava all’Istituto la vicaria di Tepepan vicina a Xochimilco e P. Pietro Vignato fu nominato vicario. Qualche mese dopo, a novembre, arrivava a Tepepan anche P. Piacentini per espletare presso il Governo le pratiche migratorie che richiedevano molto tempo ed erano necessarie per assicurare la residenza dei missionari in Bassa California.
Durante la sua permanenza a Tepepan, P. Piacentini conobbe la signora Josefina Galván vedova Meléndez, grande benefattrice, che volle destinare tutto il suo patrimonio alla costruzione del Noviziato Comboniano a Xochimilco.
Dopo essere stato iniziatore, per un certo tempo (1955-1960), P. Piacentini fu superiore della scuola apostolica per aspiranti Fratelli a Città del Messico (Colonia Moctezuma). A settembre del 1960 passò con gli aspiranti a San Francisco del Rincón, Messico, sempre come iniziatore e superiore. Nel 1961 tornò al lavoro pastorale in Bassa California. Lavorò successivamente a San Ignácio (1961-1970), a Guerrero Negro, alla Costa e a Todos Santos (1971-1976). Nel 1974 toccò a lui far esumare i resti di P. Luigi Corsini per inumarli nell’antica chiesa di Todos Santos.
L’opera dei Piccoli Fratelli
A Todos Santos P. Piacentini diede il primo avvio all’Opera dei Pequeños Hermanos de María, un’Opera che si è estesa tanto e che ha avuto già l’approvazione pontificia.
“Ho capito – scrisse – che Cristo è il centro della vita cristiana. Cristo e il suo vangelo devono illuminare il cammino di ogni uomo, e chi si dedica a Cristo deve mettere il vangelo nelle mani di ogni uomo”.
“Per noi che conoscevamo P. Piacentini – scrive P. Domenico Zugliani – l’espandersi di questa opera é una cosa difficile da spiegare. Tutti pensavamo che se c’era una persona umanamente non adatta per fondare un’opera del genere, era proprio lui. E invece...”.
Oggi il Movimento conta 21.000 membri di cui 150 consacrati a vita ed è presente in 16 nazioni: Messico, Costarica, Guatemala, Colombia, El Salvador, Ecuador, Argentina, Uruguay, Nicaragua, Macao, Filippine, Hong Kong, India, Corea, Australia e Italia.
Il Movimento ebbe inizio da un’esperienza mistica (se così possiamo chiamarla) che coinvolse P. Piacentini e che fu riscontrata anche da altre persone tanto che la stampa del tempo ne parlò. Tentando di riassumerla in poche parole, diciamo che, durante un viaggio in pick-up, P. Piacentini e Mons. Giovanni Giordani furono investiti da un globo di luce visibile all’esterno e che trasformò interiormente P. Piacentini. Erano con loro quattro ragazze che videro il fenomeno e poi ne parlarono.
Da tempo P. Piacentini si preoccupava di frenare la propaganda massonica e di certe sette protestanti andando di casa in casa per scongiurare i cristiani a non lasciarsi abbindolare dai nemici della Chiesa cattolica, nella sua semplicità, appendeva delle piccole immagini della Madonna di Guadalupe sulle porte delle case dei cristiani con la scritta: “Noi siamo cattolici, apostolici romani”. Dopo quella singolare esperienza, capì che per porre un argine all’errore bisognava diventare apostoli della parola di Dio mediante la diffusione del messaggio evangelico. Come san Paolo si ritirò in solitudine per pregare e meditare.
P. Piacentini ha raccontato questa esperienza ad un confratello il quale l’ha trascritta fedelmente. Mons. Giordani, interpellato sulla faccenda, si limitò a rispondere: “Sono cose misteriose” e non volle dire di più. Tuttavia diede il permesso a P. Piacentini di iniziare il suo Movimento.
Per verificare la sua intuizione, nel 1971 P. Piacentini andò a Roma per frequentare un corso di aggiornamento sul modo di trasmettere il vangelo al mondo d’oggi. L’intuizione profetica avuta in Bassa California si consolidò ed egli, nello stesso anno, diede inizio al Movimento dei Piccoli Fratelli di Maria, formato da laici consacrati.
Il Movimento è laicale. La data ufficiale di inizio è il 2 luglio 1971, una data che vuole comunicare la gioiosa avventura del vangelo, dando a tutti una grande speranza. Come modello da imitare pone Maria, la prima che meditò la parola di Dio e diede sempre una risposta affermativa.
L’Opera è nata nella parrocchia di Todos Santos (Bassa California) con un gruppo di cinque ragazze, un giovane e cinque signore, ed è stata approvata dal prefetto apostolico, Mons. Giovanni Giordani. Il 2 luglio 1991, “ventesimo anniversario della nascita del Movimento dei Piccoli Fratelli di Maria”, ha avuto il riconoscimento ufficiale del Pontificio Consiglio per i Laici.
Il Movimento è formato da tre categorie di credenti, con diversi gradi di coinvolgimento. Entrano nella terza categoria coloro che decidono di seguire Cristo per tutta la vita, secondo la via dell’umiltà, della semplicità, del servizio, scegliendo sempre l’ultimo posto come ha insegnato il Maestro. I membri di questa categoria dedicano la vita al servizio del vangelo, vivendo in comunità e adoperandosi per la formazione dei gruppi di cristiani.
In prospettiva, P. Piacentini vedeva il vangelo diffondersi, mediante gli umili membri del Movimento, in Cina, in Asia, in Africa, in Australia e in Oceania. Insomma, non vi erano limiti per il suo grande cuore.
L’uomo dell’obbedienza
Nella vita di P. Piacentini possiamo distinguere cinque momenti importanti per la sua spiritualità.
Il primo va ricercato nella sua famiglia profondamente cristiana e nella prima formazione ricevuta in parrocchia e nel seminario diocesano. Una vita ispirata alla semplicità e all’austerità. Quando il Superiore Generale gli chiese di scrivere qualcosa sul suo Movimento, P. Piacentini, sforzandosi di vincere la sua ritrosia, scrisse: “Io mi sento missionario fin dal seno di mia madre che non ho conosciuto”. Con queste parole voleva sottolineare il ruolo fondamentale della famiglia nella sua scelta vocazionale sacerdotale e missionaria.
Il secondo momento coincide con il suo primo impatto con la missione. P. Piacentini ha rifuggito da ogni protagonismo, non ha mai fatto opere eclatanti, ed è stato un servitore fedele, umile e silenzioso. Eppure, col suo stile semplice, quasi dimesso, ha iniziato tante missioni e tante opere. Fu lui a fondare le case di Moctezuma, Tepepan, S. Francisco del Rincón e Sahuayo. Fu lui ad iniziare il bollettino di informazione ai benefattori che, col tempo, sarebbe diventato la rivista Esquila Misional. Ognuna di queste opere ha la sua storia, una storia segnata da interventi speciali della Provvidenza.
Il terzo momento risale al 1971, quando P. Piacentini iniziò il Movimento dei Piccoli Fratelli e delle Piccole Sorelle di Maria. Abbiamo già parlato dell’esperienza mistica; da quel momento la sua vita è stata in funzione di quanto aveva capito: vivere il vangelo mettendolo in pratica ogni giorno nelle più svariate situazioni della vita, attuandolo nella povertà, nella preghiera, nella testimonianza e mettendolo nelle mani della gente. Questa è stata proprio la sua passione: essere un seminatore della Buona Novella tra i poveri della Bassa California e del mondo. Inutile dire che anche l’inizio di questo Movimento ha trovato seri ostacoli da parte dei superiori che, tra l’altro, non vedevano in P. Piacentini la grinta e il carisma del fondatore.
P. Piacentini descrive questa esperienza come una forza, un calore, un sole, una luce che lo penetra e lo trasforma e gli infonde una forza straordinaria anche nell’accettare la sofferenza che un’eventuale scelta da parte di Dio per un’opera particolare può comportare.
Una scelta traumatica
Quel momento arrivò nel 1982 quando i superiori, vedendo che ormai il Movimento si diffondeva, chiesero a P. Piacentini di fare una scelta coraggiosa: o uscire dall’Istituto per dedicarsi a ciò che il Signore gli mostrava o rimanere nell’Istituto accettando l’obbedienza della rotazione, cioè lasciare la provincia del Messico per andare dove i superiori lo avrebbero destinato.
“Il Movimento, pur nato per opera di un Comboniano, non è un movimento comboniano; né la provincia messicana né la Congregazione intendono assumerne la responsabilità… Pare anzi che il Movimento debba essere completamente indipendente dai Comboniani e debba essere affidato alla gerarchia e al clero locale”, gli scrisse il Superiore Generale. Fu un momento molto doloroso per P. Piacentini, anche perché non si trovava una comunità che volesse accoglierlo. P. Piacentini, infatti, non poteva essere disponibile a certi impegni comunitari, doveva viaggiare per visitare i gruppi del Movimento, doveva disporre di denaro… Sì, la vita del Movimento è costata sangue a P. Piacentini, ma la sofferenza era dei confratelli e dei superiori che non riuscivano a discernere se il Movimento fosse opera di Dio o frutto della fantasia di P. Piacentini.
“In pratica - afferma P. Rafael González Ponce, allora provinciale del Messico - si voleva vedere se il Movimento dipendeva solamente da P. Piacentini o era opera dello Spirito Santo. Altri due confratelli in quel periodo, anch’essi fondatori di altre opere di Chiesa, avevano lasciato l’Istituto. P. Piacentini, invece, pur nella croce, disse: “Io obbedisco. Resto nell’Istituto e vado dove i superiori vogliono mandarmi. Se la mia opera viene da Dio, andrà avanti lo stesso, anzi meglio anche senza di me”.
Di fatto, la ricerca della volontà di Dio fu lunga e difficile e occupò una fitta corrispondenza tra P. Piacentini e i suoi superiori. Tuttavia, la sua arma vincente fu l’obbedienza, nella consapevolezza che l’opera era di Dio e lui valeva poco.
Così, lasciando il Messico e la Bassa California, culla del suo Movimento, andò in Spagna, a San Sebastián (1982-1984), poi a Santiago de Compostela (1984-1985), quindi in Ecuador, a San Lorenzo (1985-1989) sempre come addetto al ministero… Ma più P. Piacentini veniva sradicato da un posto, più il Movimento affondava le sue radici e buttava nuovi germogli.
Trapianto in Asia
Nella “notte della luce” durante la quale P. Piacentini ebbe quell’esperienza mistica - 22 ottobre 1968 - vide anche una casa in Asia nella quale – sempre nella visione - visse un’esperienza di morte. Mentre P. Piacentini si trovava a Santiago de Compostela, in Spagna, ebbe un’altra intuizione profetica che costituisce il quarto momento della sua spiritualità. Nella sua semplicità comprese che doveva andare in Asia. L’Asia, dove abita la maggioranza dell’umanità col numero più ridotto di cristiani, costituiva la sfida più grande della Chiesa.
Ma i superiori, dopo averlo ascoltato, lo dirottarono in Ecuador. P. Piacentini obbedì, sicuro che se la sua intuizione era volontà di Dio, Dio avrebbe trovato il modo di portarla ad esecuzione. Intanto un minuscolo gruppo di Piccoli Fratelli si portò a Manila, nelle Filippine. E quando i primi Comboniani arrivarono nelle Filippine nel 1988, con grande sorpresa trovarono alcuni membri del Movimento dei Piccoli Fratelli di Maria. Solo nel 1990 P. Piacentini poté visitarli e fermarsi con loro per un paio d’anni, fino al 1992.
P. Mario Marchetti, infatti, oltre a facilitargli il permesso di entrata, gli scrisse: “Da parte della nostra comunità faremo del nostro meglio per accoglierti bene tra noi… Certamente tu sarai libero di programmare quanto riguarda le tue visite ai Piccoli Fratelli”.
Dice ancora P. Rafael González Ponce: “P. Piacentini girava e alle volte non si sapeva dove fosse: era in India, in Corea, ad Hong. Kong, a Macao…. Allora gli scrissi: ‘Almeno telefonami di tanto in tanto per farmi sapere dove sei’. Insomma, P. Piacentini passò gli ultimi anni della vita viaggiando per visitare i diversi gruppi del Movimento”. Durante l’ultimo viaggio a Hong Kong fu colpito da infarto e rimase in fin di vita, ma poi, miracolosamente, si riprese. Allora il provinciale del Messico chiese al provinciale d’Italia (P. Venanzio Milani) di non permettere a P. Piacentini di viaggiare da solo, data l’età e gli acciacchi. Per lui, accettare questo è stata una grande sofferenza, ma ha obbedito anche questa volta. E non è più uscito dall’Italia.
Silenzio e preghiera
Nel 1993 P. Piacentini rientrò definitivamente in Italia. Rimase per tre anni nella comunità dei missionari anziani a Rebbio di Como e, dal 1996, passò al centro ammalati “Padre Ambrosoli” di Milano, amorevolmente assistito da alcune giovani ragazze del suo Movimento che prestano servizio in casa. Trascorreva i suoi giorni nella preghiera e nell’abbandono al Signore. La sua opera, ben strutturata e con i responsabili attivi, andava avanti autonomamente e si diffondeva.
Il quinto momento della vita di P. Piacentini è appunto quello della malattia, del silenzio, della preghiera, qui in Italia, lasciando tutto nelle mani di Dio e dei responsabili del Movimento.
I punti fondamentali del suo Movimento sono i seguenti:
Leggere, meditare, assaporare ogni giorno il Libro del Maestro.
Imitare Gesù, cercare ogni giorno di mettere in pratica quel brano del vangelo che abbiamo ascoltato.
Vivere la povertà, perché non si può servire Gesù senza amare e senza esperimentare la sua povertà.
Preghiera prolungata e profonda ogni giorno.
Apostolato: mettere il vangelo nelle mani dei nostri confratelli missionari e portarlo a tutte le persone che conosciamo. Così siamo missionari come Cristo che è missionario del Padre.
Cose semplici, ma fondamentali, essenziali per una vita cristiana.
Un messaggio di Dio per tutti noi
Una rappresentante del Movimento, alla fine della Messa funebre, ha detto: “In questo momento, a nome di tutti i membri delle nostre comunità sparse nel mondo sentiamo il dovere di esprimere alcuni pensieri di testimonianza su P. Piacentini. Noi sorelle della comunità di Milano siamo vissute sei anni accanto al nostro padre fondatore. In questo periodo siamo state testimoni di tutti i suoi esempi evangelici. La sua povertà, la sua vita di contemplazione, la sua semplicità ci sono state di stimolo e di ispirazione.
Noi crediamo di essere i frutti delle sofferenze che egli portò pazientemente per amore del vangelo. Noi speriamo che la grazia di Dio ci accompagni sempre nella vita di obbedienza e attenzione nel fare la volontà del Padre.
Noi ricordiamo le sue parole edificanti: essere forti, generosi e fedeli. Ricordiamo anche il suo ultimo messaggio per Natale: c’è soltanto una vita e noi la doniamo a colui che ci ha amati donando la sua vita per noi. P. Piacentini, infatti, ha vissuto pienamente per Cristo. Egli ha terminato la sua corsa e adesso è portato dagli angeli nel seno del Padre. Avendo dedicato la sua opera a Maria, la Madre di Dio, ci pare molto significativo che P. Piacentini sia partito per il cielo proprio nel giorno dell’Immacolata concezione e sia sepolto oggi 12 dicembre, festa della Madonna di Guadalupe a lui particolarmente cara per avere iniziato la sua opera in Messico
Il suo amore, la sua generosità e la sua premura verso tutti i fratelli e sorelle dedicati al vangelo rimarrà sempre tra noi.
Noi crediamo che il buon Dio l’ha chiamato per premiarlo del servizio che svolse con amore e fedeltà per l’estensione del suo Regno.
Caro P. Piacentini, sono ormai passati 34 anni da quando sentivi bruciare nel tuo cuore le parole del vangelo. Da allora non ti sei risparmiato sacrifici affinché questo fuoco bruciasse in altri cuori. E così, sotto la spinta del fuoco dello Spirito, è nato il nostro Movimento al quale apparteniamo con gioia. Tu sai bene, caro padre, che questo fuoco arde oggi in ben 16 nazioni del mondo intero portando luce e calore a chi ancora non conosce la Parola di Dio. Tu sai che anche in questo preciso momento, mentre noi stiamo celebrando l’eucaristia in questa chiesa, molti altri tuoi figli in diverse nazioni sono uniti a noi per lodare il Padre ringraziandolo per la tua vita e per il bene che hai seminato. Fisicamente non sei più con noi, ma siamo sicuri della tua presenza che ci accompagna con preghiere di intercessione davanti al Padre affinché tutti i chiamati all’opera da te iniziata seguano il tuo esempio di amore e di fedeltà al vangelo.
Noi, le Piccole Sorelle di Maria della comunità di Milano, anche a nome delle sorelle responsabili del Movimento e di tutti i suoi membri, vogliamo ringraziare tutti i presenti e quanti ci sono stati vicini in questo momento, e anche delle numerose condoglianze che ci sono arrivate. Un grazie particolare ai Missionari Comboniani per la loro premura verso P. Piacentini, loro confratello. Un grazie anche a tutto il personale del Centro Ambrosoli per le loro attenzioni e i loro servizi. Sia lodato Gesù Cristo”.
Sono seguite poi altre testimonianze.
Dopo i solenni funerali nella chiesa della Madonna di Fatima a Milano, la salma è stata portata a Sergnano (Cremona) dove attualmente abitano i suoi fratelli.
P. Antonio Piacentini è un esempio classico di come Dio operi attraverso i piccoli, gli umili, quelli che, da un punto di vista umano, non contano. Ci ha inoltre dimostrato come l’obbedienza sia una virtù vincente anche quando sembra che tutto remi contro.
Non ci resta che chiedere a P. Piacentini che ci faccia partecipi del suo spirito di preghiera, della sua fede e del suo amore, anzi, della sua passione per il vangelo e per la parola di Dio, l’unica parola che salva. (P. Lorenzo Gaiga, mccj)
Appendice
La singolare esperienza di P. Piacentini
Da marzo a maggio 1990 P. Antonio Piacentini è stato a Gozzano, Novara, dove era superiore P. Lorenzo Gaiga. Durante un lungo colloquio confidenziale, P. Piacentini raccontò a P. Gaiga la sua singolare esperienza che è all’origine del Movimento dei Piccoli Fratelli e delle Piccole Sorelle di Maria. La stesura del racconto è stata lunga e difficile. Comunque P. Piacentini ha avuto modo di leggerla, rileggerla e correggerla fino a trovarla soddisfacente. Ora la pubblichiamo lasciando a ciascuno libertà di giudizio.
Realtà e profezia nella “notte delle luci”
P. Antonio Piacentini era parroco a Guerrero Negro (Bassa California messicana) e, tra le altre attività inerenti al suo ministero, curava in modo particolare la Legio Mariae, quando successe un fatto che potrebbe essere considerato “strano” se non avesse dato una svolta decisiva alla sua vita e non si fosse rivelato, due anni dopo, di contenuto profetico.
Era la domenica 20 ottobre 1968. Mons. Giovanni Giordani, Prefetto Apostolico di La Paz, arrivò a Guerrero Negro per partecipare al congresso della Legio Mariae. Tutto andò bene. Il giorno dopo, lunedì 21, ci furono le cresime in un clima di allegra festività.
Il martedì 22, dopo la prima colazione, Mons. Giordani espresse il desiderio di fare una visita alla colonia agricola del Vizcaíno, iniziata dal governo, dove c’era una cappella di legno. Per andare in quel luogo, che dista da Guerrero Negro cinque ore di auto (allora si misurava la distanza in ore, non in chilometri), con una strada appena tracciata nel deserto, bisognava partire presto. Tuttavia, anche se tardi, partirono con l’auto della missione, una Chevrolet priva di doppia trazione. Insieme a Mons. Giordani e a P. Piacentini salirono anche quattro ragazze appartenenti alla Legio Mariae. Esse, dalle parte del Vizcaíno, avevano dei parenti.
Invece di puntare verso il Vizcaíno percorrendo la strada normale, ad un certo punto Mons. Giordani volle prendere una strada secondaria, più breve, ma più rischiosa per il pericolo di insabbiarsi. Infatti, verso mezzogiorno, l’auto si insabbiò. Non solo, ma il serbatoio, sfregando sulla sabbia, si bucò facendo uscire la benzina con un getto continuo, con un evidente pericolo di incendio.
Dopo svariate manovre per estrarre l’automobile dalla sabbia, P. Piacentini riuscì a tamponare il foro con del sapone e ad avvolgere il serbatoio con una fascia di stoffa. Quindi, servendosi delle lamine che si mettono sotto le ruote in questi casi, si riuscì a far andare avanti l’auto. Le ragazze, in tutte queste operazioni, diedero un aiuto determinante.
Come Dio volle, verso le cinque del pomeriggio arrivarono al Rancho San José. Mangiarono e si riposarono un po’. Mons. Giordani voleva tornare indietro, ma ormai il Vizcaíno era abbastanza vicino e lì ci si poteva rifornire anche di benzina.
Giunti al Vizcaíno, celebrarono la Messa nella cappella di legno, si rifornirono di benzina e si accinsero a tornare. Ormai, però, era buio; quindi imboccarono la strada più lunga, ma più sicura. Era la strada tracciata dalla Petroleos Mexicanos.
P. Piacentini era al volante. Ed ecco che, verso le 10 di notte, improvvisamente, davanti all’auto, all'altezza di 20 metri da terra, un po’ a sinistra, apparve un globo luminoso di luce che non abbagliava. Le sue dimensioni erano di circa mezzo metro di diametro. Le ragazze si lasciarono andare ad esclamazioni di meraviglia. “Cosa sarà?”, pensava P. Piacentini. Mons. Giordani guardava e taceva. Poco dopo, il globo entrò come all’interno dell'auto e avvolse di luce bianca il guidatore. Contemporaneamente P. Piacentini sentì dentro di sé una gioia intima mai provata. La luce, intanto, avvolse l’auto e la portò di peso fuori strada, dalla parte sinistra. Le ragazze cominciarono a dire: “Padre, sei uscito di strada!”. Esse, che avevano visto il globo, non vedevano la luce che avvolgeva P. Piacentini.
P. Piacentini, dal suo posto di guida, gettò uno sguardo alla strada che aveva appena lasciato, piena di sabbia. La nuova strada sulla quale ora viaggiava (che in realtà non esiste) era nuova, bella, liscia, migliore dell’asfalto. Davanti c’erano dei segni di ruote nuove appena passate. Un po’ sbalordito per quanto stava succedendo pensò: “Di qua sono già passate due o tre auto con ruote nuove”. Le ragazze stavano zitte, non trovando una spiegazione a quel fenomeno.
P. Piacentini, favorito dalla bella strada, premeva sull’acceleratore facendo entrare nell’auto, che aveva i finestrini abbassati, l’aria fresca della notte. La gioia e la contentezza nel suo animo perduravano per cui pensò: “Se mi portano, io vado”.
Dopo questa considerazione ecco a destra apparire un monte illuminato (in realtà non ci sono monti da quelle parti). Era un monte roccioso, senza alberi. Tutti guardavano meravigliati. “Come mai c’è questo monte illuminato senza piante?”, dicevano le ragazze tra di loro. “Lo vedi anche tu?”, commentò un’altra. Poco dopo il monte scomparve. (“Vidi questo monte - dice P. Piacentini – nell’Wadi Feiran - dove c’è il monte sul quale Mosè pregava perché gli Israeliti vincessero contro gli Amaleciti - in Terrasanta, nel mio pellegrinaggio del maggio 1970. Mi sono fermato un mese, da solo, prima di andare al corso a Roma”).
Poi nell’animo di P. Piacentini subentrò un sottile senso di paura. Contemporaneamente, però, davanti ai fari dell’auto apparvero altre luci, come fari di macchina (ma non c’erano macchine) che non abbagliavano e che gli davano un senso di sicurezza e di serenità. Queste luci apparvero e disparvero due o tre volte e pareva che venissero verso l’auto da dietro le dune.
Un poco più avanti la strada cominciò a salire e poi di nuovo a scendere passando attraverso un bosco (che non esiste in realtà) dove degli uomini sembravano voler tagliare gli alberi.
“Ma dove vado?”, si chiese P. Piacentini. Ingranò la seconda e procedette adagio. Ed ecco la terribile sensazione di paura aumentare enormemente. Quasi che gli uomini tra le piante del bosco fossero dei nemici in agguato pronti a colpirlo. Anche le ragazze provavano la stessa sensazione e lo rimproveravano perché‚ in un punto così pericoloso procedesse tanto adagio. L’angoscia divenne terrore.
A sinistra, intanto, apparve un’altra strada. Mons. Giordani e le ragazze seguivano tutti quegli avvenimenti in silenzio.
P. Piacentini proseguì la strada diritta, oltrepassò il bosco e, con esso, passò anche la paura. E si ritrovò sulla strada che pareva normale, con sabbia e buche. Tutti stavano zitti. Poi la strada girò verso sinistra.
“Andiamo verso il rancho chiamato El Datil (Il Dattero)”, pensò P. Piacentini. Difatti poco dopo apparve quello che essi credevano El Datil, che in realtà era costituito da una povera baracca di legno a un solo piano. Quello che vedevano era tutto illuminato con lampadine come fosse un paese. “Saranno comitive di americani che si sono radunati”, pensò P. Piacentini. Quando già si stavano avvicinando al rancho scomparvero le luci. Avvicinandosi ulteriormente, si resero conto che la casa era a due piani (in realtà El Datil ne aveva uno). Dalla porta, dalla finestra soprastante e dalle fessure tra le assi usciva luce. Ma non si vedeva nessuno e non c’era una spiegazione per tutta quella luce insolita in un posto così abbandonato e a quell’ora.
“Questo non è El Datil”, pensò P. Piacentini. Tutti riflettevano in silenzio. Una ragazza, Emanuela, aggiunse, dopo un po’: “Padre, provo una strana sensazione come se in quella casa ci sia un morto. È una scena macabra”. P. Piacentini fermò la macchina tenendola, però, in moto; anche lui aveva la stessa sensazione e voleva scendere a vedere. Dietro la casa apparvero delle luci come se fossero lampadine tascabili portate da gente che veniva verso la casa e quindi verso l’auto. A P. Piacentini infondevano paura. “Non scendere, - disse Mons. Giordani - aspetta un po’”. Poi, dalla terra al cielo e dal cielo alla terra iniziò un bellissimo gioco di luci multicolori come fuochi d’artificio. Una cosa meravigliosa, stupenda. “Scendo a vedere”, disse P. Piacentini a Mons. Giordani. “Andiamo via!”, insisté costui. Allora ripresero la strada. “Se questo è El Datil - pensò P. Piacentini - qui vicino la strada dovrebbe essere come una scalinata a causa delle piogge torrenziali che, di tanto in tanto, scrosciano con violenza”. Non trovò questo tratto scosceso che pur esisteva su quella strada. C’era, invece, un largo spazio dove le auto potevano girare per tornare indietro, con segni di ruote.
Procedendo, videro sulla sinistra una bottiglia rovesciata e piantata su di un bastoncino, segno che si era sulla strada comune. (In Messico, chi beve percorrendo una strada, alle volte infila la bottiglia in un bastoncino lungo la pista). La strada procedeva normale. Mons. Giordani pregava come se fosse agitato. “Cosa c’è, monsignore?”, gli chiese P. Piacentini. “Sto facendo la Via Crucis”. “Forse quella sofferenza - pensò P. Piacentini - gli derivava dal fatto che Mons. Giordani aveva delle forti contraddizioni in seno alla prefettura apostolica”. Anni dopo, infatti, verrà rimosso dal suo incarico. La macchina procedette per circa un’ora.
A sinistra, doveva esserci il rancho San Román dove abitava lo zio di due ragazze. Lo videro infatti e, consolandosi, dissero: “Saremo presto a Guerrero Negro”. Dopo mezz’ora arrivarono a Guerrero Negro. Era circa l’una del giorno 23. P. Piacentini portò le ragazze a casa loro. Esse cominciarono a raccontare i fatti e le forti emozioni di quella notte. Il giorno dopo tutti sapevano ciò che era accaduto durante quello strano viaggio.
All’1.30 del 23 ottobre anche P. Piacentini era a letto e dormì un sonno tranquillissimo. Al mattino seguente, si svegliò sereno e fresco. Mons. Giordani, senza fare nessun commento, tornò a la Paz.
Nel suo ufficio, seduto di fronte alla scrivania, P. Piacentini tirò fuori dal cassetto il vangelo e lo aprì per la meditazione. Quella mattina sentì dentro di sé tutta la luce e la forza del vangelo, e sentì che era cambiato dentro, come ci fosse stata in lui una conversione. Capì che lo Spirito di Dio lo aveva afferrato e gli faceva capire con evidenza la parola di Dio, con una penetrazione e profondità tutta particolare e mai esperimentata nella sua vita di sacerdote.
Da quel momento si sentì come trasformato. Non aveva neanche più bisogno di aprire il vangelo per sentirselo dentro. E lo gustava. La sua gioia andò alle stelle e, per esprimerla, sentì voglia di gridare. Per poter dar sfogo alle emozioni che sentiva dentro, senza suscitare curiosità o meraviglia da parte degli altri, si fece costruire una casetta sulle dune sopra il collegio (che poi servirà per l’inserviente che aiutava le suore) e lì si ritirò per poter gridare “indisturbato” e “indisturbante” ciò che il suo cuore voleva esprimere al Signore senza che nessuno potesse sentirlo.
Andava là tutti i giorni e vi rimaneva ore intere pregando, gridando e gesticolando, tanta era l’emozione che sentiva dentro. Una vita nuova era cominciata per lui. Un giorno una suora gli chiese che cosa andava a fare in quella casetta. Egli non rispose. Al Signore, invece, chiedeva: “Cosa hai fatto, Signore? Cosa vuol dire questa cosa? Cosa vuoi da me?”. La spiegazione arrivò due anni dopo.
P. Piacentini non parlò con Mons. Giordani di quella “notte delle luci”. Mons. Giordani, però, gli disse una volta: “Penso che quella strada abbandonata voglia dire che la Chiesa deve cambiare la sua rotta ed andare verso sinistra”. “Sì”, gli rispose P. Piacentini. “Cosa vuoi dire? Cosa hai fatto? Che significato hanno queste cose?...”, erano le domande che P. Piacentini rivolgeva con sempre maggior frequenza al Signore, poiché avvertiva che quella notte non era accaduta per caso.
Quasi due anni dopo, il 2 luglio 1971, P. Antonio Piacentini diede vita al Movimento dei Piccoli Fratelli di Maria accogliendo i primi nove (sette ragazze, una donna sposata e un giovane) per i primi “Giorni di Luce”.
Spiegazione della “profezia” della “notte delle luci” data da P. Piacentini
Il Signore è potente e buono con le sue creature. Dimostrò il suo potere nell’apparire in un globo luminoso e poi in un’ondata di luce che avvolse l’automobile e la trasportò in una strada nuova, cioè in un nuovo cammino per la Chiesa.
La strada vecchia (la Chiesa prima del Concilio Vaticano II) alle volte non lasciava correre sulla via della Luce, cioè di Dio, essendo intrappolata nei grovigli umani.
Lo Spirito di Dio rinfresca, rinvigorisce chi si lascia travolgere da esso per una strada nuova, anche se siamo nel buio della notte. “Se mi porti, io vado, mio Dio”.
Il monte illuminato e roccioso, senza alberi né vegetazione, è simbolo del cristiano che si spoglia dello spirito del mondo e nella semplicità e povertà sta sul monte dell’orazione, nella luce di Dio, con il vangelo in mano, per vincere i nemici, come Mosè che pregava sul monte per vincere gli Amaleciti.
Possono venire dei dubbi rispetto alle certezze del cammino che porta alla santità e al bene per gli altri. Per questo Dio fa vedere la sua luce, animando a continuare con fiducia (la luce dietro le dune).
Ci possono essere avversari che ostacolano le nostre certezze (l’opera di certi teologi). Il cammino può andare in basso, quindi insabbiarsi, dando la possibilità ai nemici di colpirti. Infatti dietro gli alberi protettori aspettavano i nemici per un’imboscata. Il timore si fece immenso poi, superati i nemici, passò anche il timore. Impronte di ruote nuove... rappresentano l’opera di Dio che va avanti nonostante gli intralci degli uomini.
Le due strade, quella normale e quella bella, straordinaria, indicano le due vie della Chiesa: quella prima del Concilio (strada vecchia e sabbiosa) e quella nuova postconciliare.
Il luogo dove le auto ritornano, significa che i segni, che gli avevano indicato ciò che sarebbe accaduto, per quella notte delle luci, erano finiti.
La strada vecchia con buche e sabbia è il tempo della riflessione, della normalità e della possibilità di cambiare per andare su una strada migliore. È il momento della riflessione per rettificare la propria vita.
El Datil, col senso di morte, indica che P. Piacentini morirà in una casa a due piani, quella che intende acquistare in India, che è appunto a due piani. La nostra casa non è per sempre qui. Inoltre Dio ci trasforma (El Datil) e ci prepara per la casa futura nella luce e nella gioia eterna.
Seconda singolare esperienza
2 luglio 1970, durante una vacanza a Lanzada, paese di Mons. Giordani, P. Piacentini, una sera dopo cena va vicino alla cappellina dedicata alla Madonna Ausiliatrice per passeggiare e recitare il rosario.
Vede una lucetta che brilla per terra. Pensa che sia un uccello che riflette qualche luce, poi un vetro tanto che quasi quasi vorrebbe tirare un sasso. Ma si trattiene pensando che sia un angelo di Dio.
Subito dopo vede un globo di luce con una colomba dentro. La colomba non muoveva le ali. Questo globo va verso il boschetto di larici e di pini e vi penetra dentro lasciando una scia luminosa e grandiosa. La direzione andava da dietro la cappella verso il bosco fino alla strada che, serpeggiando, va in alto.
Il globo continua ad andare avanti illuminando tutto il bosco. E lì la luce termina. P. Piacentini ha paura ed entra nella cappellina: timore di fronte al soprannaturale.
Il giorno dopo, P. Piacentini chiede ad un ragazzo che sta pascolando le mucche se in quel luogo ci siano uccelli speciali. L’interpellato dice di no. Allora ritorna sul posto della sera prima (erano circa le dieci del mattino) e vede il bosco trasformato in una foresta di tronchi, senza rami e senza foglie, trasformati come in braci ardenti. Il messaggio è chiaro: bisogna spogliarsi da tutti gli orpelli per lasciarsi incendiare, ardere, dall’amore di Dio.
Dichiaro che questo testo corrisponde a ciò che P. Antonio Piacentini ha raccontato con notevole sforzo e fatica.
P. Lorenzo Gaiga, mccj
Fr. Antonio Piacentini’s death marks nearly the end of the first group of Comboni Missionaries (6 priests and 3 brothers) who arrived in Baja California in the by now distant 1948. The only surviving member of that group is Bro. Arsenio Ferrari who, at 81, still works in Baja California, in the mission of Bahía Asunción.
Fr. Antonio was born in Trescore Cremasco in 1915. At the age of 13 he entered the diocesan seminary in Crema. At the end of his secondary education he entered the noviciate in Venegono where, after the required two years, he took his first vows (1935). On 29 June 1940 he was ordained priest in Verona. He spent his first years in ministry, first in Crema, doing mission promotion for two years, then for three years at San Pancrazio in Rome, as parish priest, and finally in Bologna for one year. On 1 January 1948 he was assigned to the province of Mexico where he worked for the next uninterrupted 34 years, up to 1982.
Fr. Domenico Zugliani has this to say about him.
“Fr. Antonio arrived in La Paz on 24 July 1948. After a period of preparation in the Vicariate of Tijuana, to learn Spanish, he went to La Paz as chaplain until November 1949, when he was substituted by Fr. Gino Sterza. Fr. Antonio was sent to reopen the mission of La Purísima together with Bro. Ferrari. They left La Paz on Monday, 14 November, and, on the way, they stopped briefly in many places, wherever a few people would gather, to celebrate Mass. They reached La Purísima on Sunday 20 November. They looked for the rectory and found a 4 x 4 metres room that had three doors, but no windows. They had to borrow two cots for the night.
“A hall without benches or chairs served as a church and a table as an altar. A wooden box was turned into a tabernacle. A length of cloth was used as a curtain for the single window in the room and, behind the curtain, functioning almost as a closet, there were piles of plastic flowers and old holy cards. On the first page of his mission diary Fr. Antonio wrote: ‘If the Lord of the universe has not minded our great poverty, we too as well should not mind the poverty of this room.’
“In July 1951 the archbishop of Mexico City entrusted to the Comboni Institute the Vicariate of Tepepan, near Xochimilco, and Fr. Pietro Vignato was nominated vicar. A few months later, in November, Fr. Antonio arrived at Tepepan, charged with the job of keeping contacts with the government and of handling the immigration papers. These papers required a lot of time, but were necessary to obtain the residence permits of the missionaries in Baja California. During his stay at Tepepan, Fr. Antonio met Mrs. Josefina Galván, widow of Mr. Meléndez and a very great benefactor of the Comboni Missionaries, who gave her entire patrimony for the building of the Comboni noviciate in Xochimilco.
“For a while Fr. Antonio was also rector of the minor seminary for aspirants to the Brotherhood in Moctezuma. In September 1960 he moved with the aspirants to San Francisco del Rincón. In 1963 he returned to pastoral work in Baja California. He subsequently worked in San Ignacio, Guerrero Negro, Costa and Todos Santos.
“During a renewal course in Rome that dealt with the topic of how to preach the Gospel to the world, Fr. Antonio had a prophetic intuition and, on 2 July 1971, he founded the “Movement of the Little Brothers and of the Little Sisters of Mary.” It is a group of consecrated lay people which, twenty years later (2 July 1991), was eventually approved by the Holy See. “For those who knew Fr. Antonio, the development of this Movement is hard to explain. Everybody thought that, if ever there was a person who, humanly speaking, was not made for the foundation of such a Movement, he was the one. Instead… It means that God was really working through him.”
Today the Movement has about 20 thousand members, 150 of them consecrated for life, and spread over 16 countries. Fr. Antonio had to suffer much for this Movement, but in everything he chose to follow the path of obedience. From 1982 to 1985 he was in Spain where he worked in mission promotion. From 1985 to 1989 he was assigned to the parish of San Lorenzo in Ecuador. Then he was in Manila, Philippines, for two years (1990-1992). Having been assigned to Italy at the beginning of 1993, he did ministry in Rebbio.
Fr. Antonio spent the last years of his life travelling around to visit the various cells of the Movement he had founded. In 1996, on a trip to Hong Kong, he suffered a stroke that brought him to the edge of death, but he miraculously recovered. From then on, he stayed at the C.A.A. in Milan.
On the feast of the Immaculate Conception, 8 December 2002, he died in the nearby hospital of Niguarda.
Da Mccj Bulletin n.218 suppl. In Memoriam, aprile 2003, pp. 114-132