In Pace Christi

Mandelli Natale

Mandelli Natale
Data di nascita : 25/12/1938
Luogo di nascita : Verano Brianza/MI/I
Voti temporanei : 09/09/1957
Voti perpetui : 09/09/1963
Data ordinazione : 28/06/1964
Data decesso : 20/12/2001
Luogo decesso : Bangui/RCA

Martedì 18 dicembre P. Natale era andato a Bangui per fare delle spese. Alla sera era già nella sua casa di Mbata. Si sentiva particolarmente stanco; cosa del tutto normale dato che la giornata era stata molto calda e il viaggio di andata e ritorno era stato faticoso. Andò a riposare un po’ prima del solito. La mattina seguente si alzò perché doveva celebrare la messa delle 6.00 in parrocchia, ma alle 5.30 ebbe la prima crisi con forti dolori al petto. In mattinata venne trasportato con l’ambulanza all’ospedale di Bangui. Con lui viaggiava anche un medico.

Nel pomeriggio la sua situazione era stazionaria, anzi pareva ci fosse un leggero miglioramento. Al primo controllo dei sanitari, sembrò che il cuore non fosse coinvolto, per cui si decise di procedere ad esami più approfonditi. La notte cominciò bene, ma verso le 23.00 aumentarono le difficoltà respiratorie. Dopo una serie di cure, P. Natale prese sonno… per non risvegliarsi più. La morte è sopraggiunta alle 2.00 del mattino del 20 dicembre. Cinque giorni dopo avrebbe compiuto 63 anni, essendo nato il giorno di Natale del 1938.

L’infanzia di P. Natale fu segnata da un’ombra di tristezza. A tre anni di età, infatti, rimase orfano della mamma, deceduta mentre dava alla luce una bambina che non sopravvisse. La mamma si chiamava Maria Motta, accudiva la casa, i figli e, nei momenti liberi, andava a lavorare nei campi. Il papà, Modesto, era mediatore di bestiame. Entrambi erano molto religiosi. La mamma era anche catechista nell’oratorio parrocchiale. In quell’ambiente crebbe la famiglia e i sette figli. La primogenita, Angela, divenne suora delle Ancelle della Carità di Brescia, assumendo il nome di Maria in ricordo della mamma. Due zie, sorelle del papà, erano suore di Don Bosco. Una cugina, Sr. Rosangela Motta, è Suora Comboniana. Come si vede, in famiglia la fede e la religiosità erano profondamente sentite e intensamente vissute. Anche il paese vibrava di fervore missionario: basti ricordare che a tutt’oggi sono 13 i “veranesi” in terra di missione di cui sei Comboniani, tra padri e suore.

“Fin da piccolo – dice la sorella Clementina che ha fatto da mamma al fratellino – Natale cominciò a frequentare la parrocchia e l’oratorio. Divenne ben presto chierichetto, distinguendosi per bontà e generosità. Era sempre pronto a fare la pace con i compagni e a perdonare chi lo aveva offeso. Come carattere era piuttosto riservato, ma molto critico nell’abbigliamento: voleva che i suoi vestiti fossero sempre puliti e in ordine. Una sera, di nascosto, andò con i fratelli a trovare la mamma al cimitero. Per entrare, poiché il cancello era già chiuso, lo scavalcò strappandosi i calzoni. Appena ritornato a casa, si cambiò subito e nascose quelli rotti”.

Verso il sacerdozio

L’oratorio di Verano era spesso meta di missionari che facevano animazione missionaria aiutandosi anche con la proiezione di filmine sull’Africa, sulla vita dei missionari. Natale si lasciò ben presto conquistare dall’idea di farsi missionario. Quando ne parlò al papà, questi gli disse di sì, anche se lo invitò a  riflettere bene al passo che stava per fare.

“Se vi sono riusciti tanti altri, perché non dovrei riuscirci anch’io?” rispose. Così, a dieci anni lasciò la famiglia e il paese ed entrò nel seminario minore comboniano di Crema. Il papà andava spesso a trovarlo perché aveva paura che il figlio soffrisse di nostalgia. Tornava a casa contento perché lo trovava sempre allegro e felice della sua vocazione. Anche nella scuola riusciva bene. Per la quarta e la quinta ginnasio passò a Brescia e, da qui, il 24 settembre 1955, andò a Gozzano, in provincia di Novara, per il noviziato.

“La sua attività spirituale – scrisse P. Pietro Rossi, suo padre maestro – è calma, normale, equilibrata. È convinto di quanto fa. Come carattere è molto sereno, modesto e tranquillo. Dà molto affidamento per diventare un buon missionario”.

Prima di lasciare il seminario per entrare in noviziato andò per qualche settimana al paese per le vacanze. Erano con lui altri due aspiranti missionari, Alessandro Preda ed Enrico Redaelli. Il parroco, Don Augusto Pontiggia, scrisse: “I tre giovani furono di molto buon esempio al paese. Assidui e puntuali alle pratiche di pietà sia al mattino che al pomeriggio, passavano la giornata all’oratorio dando una mano all’assistente, però non hanno mai frequentato il cinema, neanche quello parrocchiale. Danno le migliori garanzie di una buona riuscita”.

Natale emise i primi voti il 9 settembre 1957, quindi passò a Verona per terminare il liceo. Qui ebbe due superiori: P. Gino Albrigo e poi P. Andrea De Maldè. Entrambi giudicarono molto positivamente l’alunno Natale che trovarono “ottimo soggetto, maturo, intelligente, animato da buone convinzioni, molto deciso nella sua scelta missionaria, anche se dovrà imparare ad essere più aperto, superando l’eccessiva riservatezza”.

Dal 1960 al 1964 fu a Venegono Superiore, Varese, per la teologia. In realtà, con altri compagni frequentò per le lezioni la Pontificia Facoltà nel seminario diocesano di Venegono Inferiore acquistando, il 6 giugno 1962, il baccellierato.

Fu ordinato a Verona il 28 giugno 1964 nella chiesa del Cuore Immacolato di Maria (tempio votivo, presso la stazione di Porta Nuova). Ordinante fu il Card. Gregorio Pietro Agagianian. Il motivo dell’ordinazione a Verona con il Prefetto di Propaganda Fide ordinante, dipese dal fatto che proprio in quell’anno c’era stata la grande espulsione dei missionari dal Sudan Meridionale e il martirio di quattro comboniani in Congo. Verona, dove i Comboniani hanno la loro Casa Madre, era stata ferita. L’ordinazione dei 52 nuovi sacerdoti doveva essere un gesto di conforto e di incoraggiamento.

Formatore

La maturità di cui aveva dato prova fu subito apprezzata dai superiori che lo mandarono, come vicerettore, nel seminario di Crema. P. Natale si trovò bene con i ragazzi che gli ricordavano la sua infanzia. Li faceva giocare, pregare, studiare, organizzava per loro belle passeggiate e allestiva teatri e commedie in modo che imparassero ad affrontare il pubblico divertendosi. Soprattutto sapeva dialogare con loro ed ascoltarli nelle loro difficoltà. Fu un vero maestro e pedagogo nonostante la sua giovane età. Scrivendo alla sorella, Sr. Maria, disse:

“La mia vita qui è tutta scuola e seminaristi tutto il giorno e di notte non ho tempo di fare il sonnambulo: dormo come un ghiro. Ma c’è anche il ministero: confessioni nel Santuario a non finire. Non sai quanto stanchino le confessioni, ma danno anche tanta consolazione quando vedi di aver reso felice un fratello per averlo liberato dal peccato. Passerò un Natale felice se avrò confessato bene… A te auguro un buon lavoro, sempre sorridente. Il sorriso deve essere la tua predica tra le corsie dell’ospedale. Ti assicuro che questo tipo di predica è più efficace di quella che facciamo noi dal pulpito”.

Dopo tre anni, nel 1967, venne mandato come insegnante nel noviziato di Gozzano. In quel periodo il noviziato stava attraversando un periodo difficile. Fin dal 1965 i giovani che entravano, in genere provenienti dal liceo di Carraia, erano completamente diversi dai loro compagni di qualche anno prima. Presentavano esigenze nuove e una marcata reazione a tutto ciò che era tradizionale e strutturale.

“Tuttavia – scrive uno di essi – devo ammettere che furono anni di serenità, di gioia, di creatività. Sentivamo il cambiamento portato dal Concilio e del boom economico, ma sentivamo ancora di più il Sessantotto che si stava avvicinando e lo vivevamo in una maniera alquanto spasmodica”. La vera crisi era “di autorità”, nel senso che le direttive che venivano dall’alto erano contrastanti: chi insisteva per la tradizione (Superiore Generale) e chi auspicava maggior apertura e modernità (superiore provinciale). I giovani ne approfittavano per tirare acqua al proprio mulino e… fare ciò che volevano. Il padre maestro, non sapendo più cosa fare, fece le valige e se ne andò in un’altra casa (20 gennaio 1969) dichiarandosi disponibile per la missione. Poco dopo il noviziato venne chiuso e per quella sede cominciò un lento declino. Attualmente ha ripreso vigore grazie a un forte movimento di Laici Comboniani che fanno capo alla casa.

P. Natale ritornò a Crema rimanendovi fino al 1971. Da questa data fino al 1973 lo troviamo a Firenze come formatore dei postulanti studenti. Anche lui bombardava i superiori di richieste per partire per la missione… “Tante volte ho chiesto di partire, ma ho sempre ricevuto solo promesse e inviti alla disponibilità… Ma ormai non sono più giovanissimo e avrò da fare le mie per le lingue. Senza pretese, ma con grande speranza, chiedo di andare in Congo dove si parla francese e dove potrei prendere il posto di qualche martire. La mia opzione è per il lavoro pastorale, che non mi si cacci in qualche seminario o casa di formazione. Grazie (Firenze 9 dicembre 1971)”.

27 anni di missione

Il 10 aprile 1973 P. Salvatore Calvia, nuovo Superiore Generale, gli comunicò la sua prossima partenza per la Repubblica Centrafricana. La destinazione segna la data “dal 1° luglio 1973”.

“Avevo paura a volare. Ma cosa dire quando un membro dell’equipaggio ci spiegò come avremmo dovuto comportarci se fossimo caduti in mare? Quale la mia sorpresa quando, all’aeroporto di Fort-Lamy nel Ciad per uno scalo, ho visto esposti oggetti di artigianato africano fatti a Lumezzane, Brescia. Va’ tu a fidarti dell’originalità dell’arte africana!” (da una lettera alla sorella suora).

Dopo una breve permanenza a Kembe per lo studio della lingua Sango, fu assegnato come parroco a Zemio, all’est del Centrafrica, una parrocchia fondata nel 1951, ma affidata ai Comboniani proprio in quell’anno, per cui P. Natale fu il primo parroco. La parrocchia contava 15.000 abitanti, di cui i cattolici erano 2.300. Un terzo erano zande, molti dei quali profughi dal Sudan.

“Il paese è uno dei più poveri dell’Africa, la popolazione è pochissima, decimata in parte, cinquant’anni fa, dai lavori forzati imposti dai piantatori francesi (è veramente triste sentire raccontare la storia di quegli anni). La gente è, in massima parte, della tribù zande. All’inizio di questo secolo erano famosi guerrieri che facevano schiavi la gente di altre tribù e li vendevano agli arabi e agli europei. Ora però sono molto pacifici; vivono di caccia e coltivano i campi con metodi primitivi. Qualcuno ha regalato loro dei buoi per arare, ma… se li sono mangiati.

La parrocchia è grande come il Piemonte e la Lombardia messe insieme. Con la Land Rover percorro anche 1.200 chilometri su piste tutte buche, sassi e tronchi rovesciati dagli elefanti. Spesso ci sono ponticelli precari su corsi d’acqua. Non ti dico la situazione della schiena e del sottoschiena una volta arrivati a destinazione. Ma è il prezzo per visitare i pochi cristiani, cercare e formare dei catechisti e creare un po’ di interesse per il cristianesimo. L’80 per cento dei cristiani non è a posto con il matrimonio. Insomma, c’è da lavorare molto. La testimonianza del missionario più apprezzata non è quella del celibato e neanche di aver lasciato il proprio paese, ma quella costituita dal fatto che Padri, Fratelli e Suore, nonostante le diverse nazionalità, vivono in armonia e quell’altra di condividere con la gente ciò di cui si dispone” (alla sorella suora).

Problemi da affrontare

“La gente – scrisse alla sorella suora – non incontrando per tanti anni un sacerdote si è ormai orientata verso i protestanti battisti e la setta dei Nzapoti Zande (sincretismo di paganesimo e cristianesimo). Soprattutto mancano i catechisti che formino il perno delle comunità della foresta. E i pochi che ci sono, non sono preparati. Non parliamo del matrimonio: siamo ancora allo stadio vetero-testamentario. Il matrimonio come scelta libera tra due persone non esiste: è un contratto tra due famiglie. La donna è prestata alla famiglia del marito il quale paga questo bene che riceve e si tiene i figli che la moglie gli procrea. Ogni tanto il marito deve fare un dono alla famiglia della moglie per completarne il pagamento. E quando questo non avviene, sono questioni a non finire, finché i parenti vengono a riprendersi la donna…

Allo stesso modo è quasi impossibile far accettare che la morte è un fatto naturale che, prima o poi, capita a tutti. Per loro la morte è sempre causata da qualche spirito o da qualche nemico che ha gettato il malocchio. Da qui la ricerca assurda del responsabile. E non è raro il gesto di vendetta. Giorni fa discutevo con il sottoprefetto, un africano che ha studiato all’università, sulla storia, alla quale tutti credono, degli uomini caimano.

Erano stati trovati morti due uomini sulla riva del fiume. Colpevoli erano stati indicati due uomini che hanno la loro dimora sott’acqua e che, sempre viaggiando sott’acqua, verrebbero fino da Bangui (distante 1.000 chilometri) per uccidere la gente. È finita che hanno catturato una ventina di uomini e, a forza di botte, li hanno fatti confessare di essere uomini caimano, e poi li hanno spediti ai lavori forzati a Bangui. Il sottoprefetto, al quale mostravo la mia aperta incredulità sull’incidente, mi ha risposto nella maniera più convinta: ‘Voi europei queste cose non le capirete mai. Per noi sono evidenti’. Se a queste cose crede uno che ha fatto l’università, immagina la gente. La superstizione e certe credenze sono problemi concreti per noi missionari. Speriamo di saperli affrontare con la grazia di Dio.

Ora stiamo lavorando per formare catechisti e operatori pastorali che dovrebbero costituire il nucleo della Chiesa, ma non è un lavoro facile. Certo che qui non ci si consuma il braccio nel dare assoluzioni e comunioni”.

Parroco a Tokoyo

Dal 1979 al 1987 fu sempre come parroco, a Tokoyo, affidata ai Comboniani proprio nel 1979. Anche questa volta P. Natale ebbe la soddisfazione e la responsabilità di essere il primo Comboniano. La parrocchia contava 9.000 anime di cui 2.600 cattolici. Si trovava alla periferia di Bangassou. Qui P. Natale ebbe da fare anche con i malati di lebbra, non tanti, ma che avevano come punto di riferimento la parrocchia.

Lavorò bene, con entusiasmo, completando le opere parrocchiali, scavando dei pozzi perché la gente avesse acqua pulita da bere, aiutando tanti poveri. Soprattutto si dedicò alle visite ai villaggi. Insomma, era contento. Ma ecco che, nel 1981, in occasione del sondaggio per l’elezione del superiore provinciale, risultò in testa nella votazione. Si affrettò a scrivere al superiore provinciale: “Comunico che declino la mia candidatura a superiore provinciale per seri motivi personali. Ti prego di far conoscere la mia decisione ai confratelli e al Consiglio Generale, in modo da evitare di ripetere una seconda volta la votazione. Grazie di tutto”.

Credeva di essersela cavata, ma nel 1984 il segretario generale gli chiese di prendere il posto di un formatore di uno scolasticato perché il formatore in carica aveva idee che non collimavano con quelle dei superiori.

“Sinceramente non mi sento di fare il formatore in quello scolasticato. Ho sufficiente esperienza di me stesso per conoscere certi miei limiti che mi impediscono di accettare determinati incarichi di grave responsabilità. Se accettassi, sarei incosciente e impostore. E poi, quanto a idee riguardo la missione, io la penso esattamente come il formatore che volete sostituire. Lo conosco bene perché sono stato con lui e di lui ho grande stima”. P. Natale si salvò anche questa volta, ma per poco.

Nel frattempo, infatti, molti giovani centrafricani e ciadiani si sentivano chiamati alla vita missionaria e bussavano alla porta dei Comboniani. Venne aperto un postulato. Era il 1987.

P. Natale dovette accettare l’incarico della loro formazione nel postulato di Bimbo, a Bangui. E fu il primo. Contemporaneamente era anche economo, e questo voleva dire darsi da fare per assicurare il cibo quotidiano alla famiglia che si era notevolmente ingrandita.

“La difficoltà principale nella formazione dei seminaristi e delle suore africani consiste nelle diversità culturali e di abitudini tra i vari membri e di loro con noi: diversa visione della vita, diverse motivazioni vocazionali, concezione diversa del ruolo dell’uomo nella società… Ma promuovere questi carismi è necessario per il futuro della Chiesa locale. Il missionario lavora per andarsene e lasciare alle spalle una Chiesa che vive una propria vita autonoma. È questo per me il lavoro del missionario: far nascere e crescere delle comunità capaci di assumersi le proprie responsabilità, quindi autonome sul piano del personale (sacerdoti, religiosi, laici) ed economico (nella misura del possibile) e capaci a loro volta di dare della loro povertà” (alla sorella suora).

Rimase in quell’incarico fino al 1995. Da quella data, passò a Mbata come parroco.

Nel vortice della guerra

Un colpo militare nel 1981 diede il paese in mano ai militari. Non per questo fu ristabilita la pace. Le scaramucce si moltiplicavano e i morti, a centinaia, si ammucchiavano lungo le strade. Descrivendo la situazione, in un’intervista rilasciata al giornale “L’esagono”, nella pagina di Giussano-Verano, P. Natale descriveva la situazione di pericolo in cui vive la Chiesa in Centrafrica, la fuga dei giovani dalla campagna attratti dalle luci della città, i prezzi alle stelle. Poi venne a parlare della sua parrocchia, Mbata, un villaggio nella zona della foresta, dove abitano anche i pigmei. Con altri due sacerdoti locali seguiva altre due parrocchie, Mongoumba e Safa.

“Si tratta di un luogo dove si coltiva il caffè - disse - unico prodotto di esportazione, e dove lavorano due segherie. La popolazione è costituita soprattutto da contadini che, come abitudini, si oppongono ai pigmei, popolo di cacciatori e nomadi. Ciò comporta qualche difficoltà per la loro evangelizzazione… Il mio compito come sacerdote è soprattutto quello della formazione: dare assistenza per creare una Chiesa che sia famiglia attraverso le comunità di base”.

A Mbata P. Natale costruì una chiesa, una sala polivalente dove si svolgono le riunioni di formazione e una scuola, grazie anche al contributo della gente del luogo. Era anche preoccupato perché si distribuivano armi a gruppi etnici in lotta tra loro. “Ciò favorisce l’insicurezza e il banditismo. Hanno anche iniziato ad attaccare le missioni allo scopo di rubare. Siamo, però, difesi dai cristiani che sono molto attaccati alla Chiesa e alla missione. Recentemente le donne hanno sfilato gridando: ‘Smettete di ammazzarvi’. Questa è la situazione in cui viviamo, ma gran parte dell’Africa naviga nelle stesse acque… anche se questa è una magra consolazione”.

“In questi ultimi mesi – scrive P. Giovanni Zaffanelli, suo provinciale, – P. Natale stava preparandosi a lasciare la missione di Mbata per un nuovo servizio: la direzione di una scuola tecnico professionale sostenuta dalla Conferenza Episcopale Centrafricana. Questo nuovo progetto, però, tardava a mettersi in marcia e questo ovviamente creava incertezza nel suo cuore. Tuttavia viveva questa nuova situazione nel silenzio e nella fede. Un giorno scriveva: ‘Non so che cosa mi riservi il futuro, ma io credo sia giusto affidarsi alla volontà di Dio che dà il senso profondo alla nostra esistenza…’. In seguito scriveva ancora: ‘Sto vivendo una lezione di umiltà, ma non perdo la pace del cuore… Mi sforzo di affidarmi alla volontà di Dio, mettendo in lui tutta la mia fiducia”.

Il funerale ebbe luogo sabato 22 dicembre alle ore 9.00 con la presenza di Mons. Edouard Mathos, vescovo ausiliare di Bangui, di Mons. Rino Perin, vescovo di M’baïki, di quasi tutti i Comboniani della provincia del Centrafrica, di un grande numero di suore, di sacerdoti diocesani e di laici. La salma, per volere della sorella Clementina, è stata portata al paese natale. Gli altri fratelli erano del parere di lasciarlo in Africa, ritenendo che un missionario dovesse rimanere dove aveva lavorato per essere seme fecondo di evangelizzazione, ma la sorella s’impose giustificandosi: “Potrò così andare a pregare sulla sua tomba e portargli un fiore… Poiché quando veniva in vacanza era ospite in casa mia, ora mi rimangono tanti dolci ricordi. Natale, per me, più che un fratello, era un figlio carissimo”.

P. Natale ha servito la Chiesa centrafricana per 27 anni ed è stato un esempio di cristiano, di sacerdote e di missionario per la sua fede, la sua disponibilità e la sua discrezione.

Di lui restano ai confratelli la generosità, l’allegria e la completa dedizione agli africani che, da autentico figlio di Comboni, ha amato più di se stesso e per i quali ha dato la vita. (P. Lorenzo Gaiga, mccj)

 

Fr. Natale Mandelli. The funeral of Fr. Natale Mandelli was held on Saturday, 22 December, at 9.00 a.m. with the participation of the Auxiliary Bishop of Bangui, Mgr. Edouard Mathos, Bishop Rino Perin of M’baïki, almost all the Comboni Missionaries of the Central Africa province, a large number of Comboni Sisters, many priests and religious of the dioceses of Bangui and  M’baïki, and many lay people. Fr. Natale died of a heart attack in Bangui on Thursday morning, 20 December at the age of 63. The body was translated to Italy and buried in his hometown.

Fr. Natale was born in Verano Brianza, in the province of Milan, on 25 December 1938, the son of Modesto and Maria Motta. He began his missionary formation in the Comboni seminary of Crema. He was ordained priest on 28 June 1964. At first he was vice-rector at the seminary of Crema, then he was stationed at Gozzano and Florence. He was formator of the postulants from 1971 to 1974.

In January 1974 he reached the Central Africa Republic. After a few months spent studying the language in the mission of Kembe, he was assigned to the Catholic mission of Zemio, in the Eastern part of the country, in the diocese of Bangassou. There he remained for five years. In 1979 he moved to the mission of Tokoyo, still in the diocese of Bangassou. At that time many young men from the Central Africa Republic  and from Tchad were beginning to feel the call to the missionary life and were knocking at the door of the Comboni Missionaries. The superiors asked Fr. Natale to be the first formator and guide in the Comboni postulancy of Bimbo, at Bangui. In 1994 he left formation to return to pastoral activities in the parish of St. Peter, in Mbata, diocese of M’baïki. There he remained till his death.

During the last months of 2001 Fr. Natale was preparing to leave Mbata for a new assignment: to run a technical school, sponsored by the Central Africa Republic’s Bishops Conference. This new project, however, was slow in getting into gear and it caused some wavering in Fr. Natale’s hope to get the project started soon.

Fr. Natale put up with this situation in silence and with great trust in the Lord. One day he wrote: “I don’t know what the future holds for me, but I believe it is right to trust in God’s will who gives the deepest meaning to our existence…”. Later he wrote: “I am learning humility, but I am not losing my peace of  heart… I try to surrender to God’s will, placing all my trust in him…(Fr. Giovanni Zaffanelli)”.

Da Mccj Bulletin n.216 suppl. In Memoriam, ottobre 2001, pp. 24-34