In Pace Christi

Losi Giovanni

Losi Giovanni
Date de naissance : 29/11/1838
Lieu de naissance : Caselle Landi MI/I
Date du décès : 27/12/1882
Lieu du décès : El Obeid/SD

È tra i più noti Missionari del Comboni. Non s'intende fare qui un esame critico delle controversie in cui fu invischiato specialmente da parte del Carcereri, e di cui ha trattato con competenza Grancelli nei suoi due volumi, ma solo di far conoscere l'uomo con le sue virtù e difetti, partendo dai dati dello Stato Personale.

«Giovanni Losi, nato 29 novembre 1838 a Caselle Landi (provincia di Milano, diocesi di Lodi), proveniente da Piacenza (la sua famiglia si era trasferita a Roncaglia in diocesi e provincia di Piacenza), entrato nell'Istituto di Verona il 1° luglio 1872, partito pel Cairo il 20 settembre 1872. Ha studiato nel seminario di Piacenza. Fu curato per 5 anni in questa diocesi (a Momeliano di Gazzola, Piacenza). Stette nel seminario vescovile di Verona dal 17 gennaio 1871 fino all'ingresso nell'Istituto. Moriva a El Obeid, assediata dal Mahdi, di scorbuto e dissenteria il 27 dicembre 1882» (SPV, 3).

«R. D. Giovanni Losi fu superiore generale della missione, piacentino, arrivato in Cairo il 26 settembre 1872, partito per l'interno il 7 ottobre 1873, morto ad El Obeid il 27 dicembre 1882 a 46 anni. Fu superiore a El Obeid e Gebel Nuba, e dopo la morte di Mons. Comboni fu dalla S. C. di Propaganda Fide nominato, pro interim, superiore generale del Vicariato Apostolico dell'Africa Centrale» (SPC, pp. 11-12).

Mons. Pietro Dorigotti, rettore del seminario vescovile di Verona, scri­veva al Comboni nell'aprile 1871: «Parmi un buon acquisto sotto ogni riguardo quello del buon d. Giov. Losi, che è qui da quasi 4 mesi» (A/20/20).

E il Comboni stesso, presentandolo a Propaganda per avere la pagella di missionario apostolico scrive: «D. Giovanni Losi, professore di teologia dogmatica e morale, dimorante nel Vicariato dal 1872, ed ora superiore della missione di Gebel Nuba» (Roma, l0 settembre 1879: (A/17/18/120). Non consta che avesse ottenuto gradi per qualificarlo all'insegnamento della teologia, ma forse la dichiarazione voleva soltanto segnalare il fatto che egli impartiva allora tale insegnamento.

Don Losi, che restava in Cairo, così riferiva a Don Squaranti le impressioni suscitate in lui dal discorso pronunciato dal Comboni alla partenza dal Cairo della prima carovana da lui guidata verso il Sudan in data 27 gennaio 1873: «[Dopo la funzione di partenza], Mons. Comboni risalì sulla predella e improvvisò un discorso di circostanza con tanto calore, zelo e sublimità di concetti che commosse più volte alle lacrime tutta l'adunanza. Aveva, si può dire, tutta l'anima sulle labbra e tutto lo zelo espresso in volto. A dir vero io non lo aveva sentito giammai parlare con tanto entusiasmo e zelo per la salute della sua infelice Nigrizia; mai ci aveva spronato con tanto calore a secondarlo nella santa impresa che la chiesa santa si è degnata affidargli. Il suo parlare così concitato e infuocato da tanto zelo sembrava al tutto un'arringa da capitano alla vigilia di una grande battaglia. Vorrei avere il suo ingegno, il suo zelo per poterne scrivere a V. S. i sublimi e generosi concetti» (A/27/19/15).

Come si è detto, anche Don Losi partì per il Sudan il 7 ottobre 1873, e fu inviato nel Kordofan, dove rimase, tra El Obeid e Delen, fino alla sua morte, eccetto dal marzo al settembre 1877 che passò a Khartoum, e in quel periodo ricopiò, con la sua caratteristica calligrafia, il registro dei defunti di Khartoum dall'inizio, dal 1842 al 1877.

Prima di esporre brevemente le principali sue lagnanze contro il Comboni, è meglio leggere la seguente lettera di Don Gennaro Martini. Avendo saputo della querela contro il provicario, egli scrisse da El Obeid il 19 dicembre 1875: «Mi fece profonda impressione perché vi è implicato a quanto dicesi anche d. Giovanni, che è sacerdote sì pio, umile coscienzioso. Monsignore lo credo innocente in tutto e fuori questione, perché egli stesso l'assicurò e basta... Allo stesso modo di tanti altri pettegolezzi non so trovare il bandolo, né mi curo di cercar­lo; penso ai miei affari, procuro di fare il mio dovere nelle cose a cui vengo chiamato. Perciò dissi di essere contentissimo dell'amministrazione e del governo di Monsignore, e perciò sottoscrissi quell'attestato perché convinto non aver mai, dacché faccio parte della missione, ricevuto da Monsignore che benefizi ed incoraggiamenti a lavorare per la salvezza delle anime» (A/l/10/24).

Ecco il tono con cui d. Losi denuncia le carenze del Comboni, il 25 maggio 1876, a d. Squaranti da El Obeid, quando il Comboni, detto da lui "il personaggio", era a Roma: «Ognun conosce il cuore del personaggio, ognuno sa il carattere irriflessivo, che quindi gli ordini spirituali e temporali sono dati ordinariamente all'improvviso, e mantenuti per decoro: impedendo ciò un sistema di amministrazione regolare, spirituale e temporale; è facile immaginare che le cose saranno sempre al fondo, i debiti in sistema, e gli istituti sregolati, o almeno in agitazione continua. Si potrebbero aggiungere altre cose, ma per V. S. non è necessario, conoscendo ella le persone meglio di me». E continua poco sotto: «... il Signore vuole che soffriamo dello sregolamento, e se permetterà anche la rovina, sia fatta la sua volontà. Una volta che la cosa è stata innanzi ai superiori... cessi qualunque responsabilità, ancorché le cose camminino per la china di prima. Noi siamo venuti qua per profitto dell'anima nostra e altrui se è possibile: quindi tanto fa per noi soffrire internamente o esternamente. Con monsignore siamo sempre in carteggio, benché schiettamente gli abbia in persona disap­provata l'amministrazione: dimostra ancora di aver confidenza in me, ecc. Se venisse anche, io non ho niente a temere: tutt'al più mi potrà mettere in piano, ma questo è ciò che vagheggio per avere un po' di requie e curare un poco l'anima mia così distratta e tiepida. Bramo solo di vedere le cose camminare almeno discretamente» (A/27/19/15).

Se può sorprendere il suo completo abbandono su quelle che egli crede disposizioni della Provvidenza, non fa meno meraviglia la sicumera con cui lancia le sue accuse. Tanto più che ben diversa è la voce di chi, a conoscenza della situazione, era in grado di pronunciare un giudizio più autorevole. Ecco quanto il Card. di Canossa scriveva a propaganda il 6 maggio 1876:

«Mi duole il dirlo, ma è un fatto di cui ho in mano le prove; il Carce­reri, giovandosi della bonarietà dei due preti missionari Rolleri e Losi (di corto ingegno, sebbene assai buoni), ha fatto scrutare malignamente la vita del Comboni, di qualche di lui difetto, leggero (e chi non ne ha?) hanno fabbricato crimini, vi ha aggiunto nere e pure calunnie, ne ha formata una requisitoria odiosa… ha tirato tutte le fila, con una in­gratitudine indegna pur di un laico nonché di un religioso, che dee tendere alla perfezione, per rovesciare il Comboni, per togliergli la mis­sione e per esserne fatto vescovo e capo lui, al che aspira colla più profonda umiltà. Tanto è ciò vero che il Losi mi scrive aver letto una lettera fra Crociferi, in cui si parla di ciò ‘esplicitamente’, e che in un giornale tedesco, in cui si è poco fa stampata una relazione del Carce­reri circa Berber, è detto in fine: Ora che la Missione è interamente affidata ad un ordine religioso, quali sono i Camilliani, è a sperare che prospererà viemmaggiormente ecc. » (A/13/61/81).

Don Losi da parte sua aveva scritto a Propaganda da El Obeid, il 27 gennaio 1876, accusando Comboni, o il suo segretario Don Paolo Rossi, di aver violato il segreto epistolare, e di aver distrutto una lettera personale, e questo su deposizione di P. Carcereri (A/l/I0/34), mentre ciò fu sempre negato dal Comboni e dal Rossi, come del resto confer­mano anche le date delle lettere incriminate (A/27/15; A/27/16/5/6).

Giova anche ricordare, tanto per dare a ciascuno il suo, che Don Losi, nonostante la sua severità nel giudicare il vicario apostolico, racco­mandò caldamente i due chierici napoletani perché potessero ricevere l'ordinazione anche se poi si dimostrarono tutt'altro che fedeli. Si vede che anche Losi poté essersi illuso, o ingannato, da chi seppe nascon­dere abilmente le proprie mire interessate (A/17/14/121).

E veniamo all'accusa di cattiva amministrazione, specialmente in campo economico, dopo la deprecata morte di Don Antonio Squaranti.

Scriveva Mons. Comboni a Sembianti da Khartum il 12 febbraio 1881: «La è poi grossa quella del santo matto di d. Losi (lo sopporto, e ne avessi cento! perché ad una testa piccola e leggera congiunge uno zelo apostolico ed una pietà veramente da Santo, ed una abnegazione pari a quella di d. Bonomi), che scrisse da Gabel Nuba in data del 21 ottobre 1880 all'Emo card. di Canossa (che ebbe la bontà di mostrarmela, e l'ho qui sul tavolo), queste precise testuali parole: “Disceso da Gabel Nuba a Kordofan per le solite provviste, non trovai un soldo etc. I sacerdoti di El Obeid mi accertano che Mons. Comboni da tre anni non ha mandato nemmeno una piastra, esistere presso il procuratore un debito enorme, tirare innanzi ancor essi stentando, o accettando commissioni etc.” Questa solenne menzogna e calunnia di d. Losi è smentita dalle stesse lettere di d. Losi scritte a Khartum a d. Luigi, in cui lo ringrazia dei denari e provvigioni ricevute per mio ordine etc. Io poi di queste nulla dissi a d. Bortolo, che finora mi fa da amministratore (ed è bravo, coscienzioso, ma meno tirato di d. Bonomi), al quale ho detto di cavare dai registri di Khartum, di Kordofan e di Gabel Nuba, tutte le spese fatte per queste missioni dal 21 ottobre 1877 al 21 ottobre 1880 (che sono i tre anni di d. Losi), ed a quest'ora solo per El Obeid e Gebel Nuba sortirono molte migliaia di talleri. Di più d. Bortolo ha in mano un telegramma del settembre passato spedito dal superiore del Kordofan, in cui lo ringrazia d'aver ricevuto 700 talleri, poi i migliaia di talleri da me spediti a Kordofan, etc. etc.

Siccome d. Losi ha scritto più volte contro di me a Roma, è certo che avrà scritto anche questo; ma a me nulla importa. Dopo tutto ciò, soggettandomi anche alle sue menzognere calunnie e detrazioni, vorrei averne ben cento dei d. Losi in missione, perché ha tante altre virtù apostoliche per la nostra ardua missione». E continua a lungo di questo passo (A/15/108 e 111,114 e A/16/5/23-25; del 5 e 19 marzo 1881).

E da Khartoum il 2 marzo 1881 a p. Sembianti: «Il nostro d. Losi crede che l'Europa, che caccia preti e frati dai conventi, si voglia occupare dei negrieri e rubatori di schiavi di Gabel Nuba» (A/15/116). Il 1° maggio 1881 da Malbes aggiungeva: «Tuttavia il santo d. Losi (??) che da cinque anni e mezzo non m'ha mai veduto, ha sempre sparlato di me e al cospetto delle nostre suore (così dissero esse) e dei negozianti, anche i più ladri e birbanti (qual è il nostro procuratore, eletto dal p. Carcereri), che per grazia di Dio ora se ne va in Egitto; e d. Leone di Nuba che trovai qui e stette con noi 20 giorni, ha confessato ai nostri che ha trovato me Vicario Ap. tutto affatto diverso da quello che gli aveva dipinto d. Losi, il quale voleva che il capo della missione fosse d. Rolleri, come più prudente e capace; e d. Leone disse che non dobbiamo badare e tenere per veri i giudizi su Nuba di d. Losi, che sono falsi e contrari a verità etc. etc. Eppure d. Losi, quanto ad abnegazione è cosa rara. Egli non ha bisogno di nulla, non di letto, non di vestito, non di cibo; e non pertanto per un'anima egli si priva di tutto, e dice di voler morire in Africa. È vero che fa spropositi da cavallo per man­canza di testa e criterio: più volte, per maritare un ragazzo, fece cri­stiana una giovane meretrice, e due giorni dopo ambedue si lasciarono e tornarono musulmani; e questo è successo a lui nel 1875, dopo che io gli aveva formalmente proibito di fare quel matrimonio. Egli è onesto e casto; eppure mi assicura Suor Teresina (l'ha veduto essa) che è ca­pace di stare un'ora con una giovane di venti anni perfettamente ignuda e più grande di lui per contrattare la compera di quattro uova o d'una gallina... Di più d. Losi ha detto che scriverà sempre alla Pro­paganda e al Card. di Verona contro di me ogni volta che lo crederà in coscienza. Che lo faccia pure: io gli perdono di cuore. Invece profitto delle sue belle qualità pel bene della missione» (A/15/119).

Nella sua relazione da El Obeid, 8 maggio 1881, Comboni scrive: «Il nostro d. Giovanni Losi, che ha per massima di sistemare col matrimonio cristiano le nostre ragazze convertite, propose ripetutamente a Bianca Lemùna (una albina) di sposarsi con un giovane bianco, che egli trovò a Sangiokai tornando da Nuba, e l'assicurò che ne sarebbe contenta. Ma tutto fu inutile; ella dichiarò che non penserà mai ad uno sposo ter­reno, ma che essa vivrà sempre con le suore, e sarà per tutta la vita serva delle suore che hanno rinunziato per sempre al matrimonio ter­reno. Bianca Lemùna si è scelto per suo sposo Gesù; in Gesù ella ha trovato unicamente il suo bene, la sua pace, le sue delizie, la sua vita. Essa è la più fervorosa ed edificante creatura che possediamo in questa missione cattolica del Kordofan; essa forse è il fiore più fulgido ed olezzante che questa nascente vigna del Signore di Sabaoth abbia giam­mai prodotto» (A/16/8/67).

E il 24 giugno da Delen allo stesso: «…ma non posso prender riposo; ed un po' di conforto ho nel vedere il mio caro d. Losi, che prega e trovo in chiesa alle tre, alle 5 dopo mezzanotte, e che, quantunque testardo, ma... è un santo e vero missionario, zelo per le anime, fece un diziona­rio (cominciò con d. Luigi) e mi supplicò a lasciare qui d. Luigi come superiore per dare sviluppo e slancio alla missione, e mi assicurò che nei tre anni che rimase qui con lui, ci rimase edificato della sua deli­catezza e condotta» (A/15/124 e 127).

Comboni a P. Sembianti, El Obeid, 13 luglio 1881: «Cosa ammirabile! D. Losi non vive che per Dio e per le anime; ha uno zelo per guadagnare anime che intenerisce; è sempre fresco e giovane quando si tratta di fare orazione, parlare con Dio, adorare il Sacramento, e star le notti intere inginocchiato in chiesa. Gli ho ordinato di tenere il Sacramento (è una bella chiesa, grande, che ho dedicato a S. Giuseppe), perché finora non avevano olio; egli trovava le sue delizie davanti all'altare, ed io (che dormo poco o nulla) gli ho fatto la spia, e ad eccezione di una o due ore di sonno, egli era tutta la notte (e il giorno) in chiesa. L'ufficio romano lo dice solo, e sempre in ginocchio, e si vede un'ilarità nel suo volto in chiesa che innamora; io gli parlai di Gesù, di ciò che ho veduto, dei prodigi da me visti in tante anime di grande orazione e carità, ed egli era beato. Non sente i bisogni del corpo, né di mangiare, né di bere: per lui è lo stesso il cibo orrendo dei neri e un buon piatto di maccheroni; non mangia mai carne o di rado, quando c'è ministra, latte e legumi; se anche avesse febbre forte e fosse in punto di morte, egli mai desiste dal digiunare il venerdì, e mai in quel giorno, anche quando non v'è altro, berrebbe brodo di carne. Dormiva sempre in terra; ma dietro reiterate mie minacce d'anni fa, dorme sul nudo angareb o al più su una semplice stuoia, che sempre però cede anche ad un moretto quando ne ha bisogno; avendolo visitato così sdraiato vestito mentre aveva una febbre da cavallo, lo pregai in visceribus Christi di ricevere un mio cuscino, perché non ha nulla, né vuol nulla sotto la testa, che allora era più bassa dei piedi: adoperai le minacce e l'ordine in virtù di santa obbedienza; ma sorridente e battendo i denti dalle febbre mi rispose che queste cose sono inutili, e che noi siamo missionari etc. Però alla mattina, febbre o non febbre, dice il primo la messa ed è sempre pronto a pregare; quanto ama l'orazione! Vuole scrivere a mio padre, che ama assai, perché andarono a Verona insieme a pregare. D. Losi ha il fervore del più perfetto cenobita quando fa il noviziato, e basta parlare di Dio, del Cuore di Gesù, dei Santi, di Gesuiti, di pregare, che egli è sempre giovane e lieto. Ha fatto un dizionario di 3.000 e più vocaboli nubani, ed ora con d. Luigi ricopia questo lavoro per poi mandarmelo, perché a comodo dei missionari voglio stamparlo. Quando poi gli ordinai di comperare ragazzi e ragazze ammalati e che si dispera della guarigione (e si hanno talvolta per due, tre o cinque talleri l'una) egli gioì, molto più che lo autorizzai anche a spendere centinaia di talleri, che io avrei tutto pagato. D. Losi è capace di stare a tu per tu con donne perfetta­mente nude, anche una sola, e starvi come lei starebbe davanti a un suo allievo, per un'ora e due, per eccitarla a farsi cristiana, vestirsi, e non fare peccati. E vi sta con la massima indifferenza, come il P. Vi­gnola riceve lei nel salone in confidenziale colloquio.

Scusi che mi dimenticai una cosa di d. Losi sull' ama nesciri et pro nihilo reputari, e che voglio citarle. D. Losi, così virtuoso e santo, ed ammirabile, come le dissi, ricevette da d. Bortolo (che sempre ha messo la zizzania) la notizia da lui data a me, che in ciò sono stato proprio de Communi Confessorum non Pontificum, che d. Fraccaro scrisse a sua Eminenza a Verona non essere vero quanto scrisse d. Losi, che, cioè io da tre anni non ho mandato nemmeno una piastra, cioè dal 21 ottobre 1877 al 21 ottobre 1880, e che di ciò fu assicurato dai missionari di El Obeid (ho speso in questi tre anni per Kordofan e Nuba circa 5.000 Na­poleoni d'oro). Quindi trovai d. Losi turbato assai; egli non parlò con me, ma si sfogò in lamenti con d. Vincenzo Marzano. Io allora andai là per quietarlo; ed il povero d. Losi era desolatissimo, perché mi diceva:

Quei di El Obeid mi hanno detto veramente che tre anni io non mandai una piastra; ed avendo ciò negato d. Fraccaro; in una lettera a sua Eminenza, mi diceva d. Losi, io così vengo a perder il credito presso sua Em.za, e così più non mi crederà. Figlio mio, io gli dissi, e se anche perdi il credito, perché non esser contento, e così metter in pratica l’ama nesciri et pro nihilo reputari? - No, mi rispondeva, me l'hanno detto ed io mi devo giustificare presso S. Em.za, e gli devo scrivere che io ho detto la verità etc. e in questo turbamento rimase più di una settimana, e fece e rifece la lettera a sua Em.za, e la assogettò al mio giudizio. Ed io gli dissi: Figlio mio, o quelli di EI Obeid te l'hanno detto, oppure no; se te l'hanno detto, ed essi credono di no, scrivi a S. E. che tu sei persuaso che te l'hanno detto, ma che conosci d'aver scritto una cosa non vera a mio carico, perché in questi tre anni tu sei vissuto ed hai mangiato solo pel denaro che io ho man­dato. O non te l'hanno detto, e allora domanda perdono a S. E. di es­sere stato troppo facile a scrivere una cosa che tu ora sai che non è vera, e umiliati etc. Ma tutto fu inutile, egli vuole scrivere a S. E. che quelli di El Obeid gli avevano detto cose con certezza e che egli di ciò è sicuro etc. etc. Allora io conclusi: Figlio mio, scrivi ciò che vuoi a sua Eminenza contro di me; scrivi anche a Roma alla Propaganda e al Papa che io sono una canaglia degno del capestro etc. Ma io ti perdo­nerò sempre, ti vorrò sempre bene: basta che tu resti sempre in mis­sione e mi converta e mi salvi i miei cari Nubani, e tu sarai sempre mio caro figlio, e ti benedirò fino alla morte. Allora egli rispose: Per questo non dubiti, io morirò nella Nigrizia e dove lei mi destinerà a lavorare pei Negri. Allora lo abbracciai e gli dissi: Moriamur pro Nigritia!

Ora, mio caro padre, io sono confuso e non capisco un'acca. Come spiega questo fenomeno, cioè questa debolezza di amar proprio in quel d. Losi, che è sì pio, sì devoto, sì mortificato, sì grande sprezzatore del mondo e delle proprie comodità, che ama tanto Dio, si sacrifica per la sua gloria, e quando sta unito a Dio nell'orazione non sente, né le febbri, né le debolezze del corpo, né la fame, né la sete etc? Mio caro padre, l'Emo Barnabò mi diceva: Finché mangiamo e... siamo sempre de­boli e uomini, quando non avremo più bocca per mangiare, allora saremo liberi dalle miserie. Ad ogni modo, viva d. Losi! È una delle mie gioie. A Delen battezzai 8 adulti: il libro dei battezzati oltrepassa i 70. Ma pensi che non si sa ancora la lingua. Il lavoro è quando si saprà la lingua etc. Qui san molti da battezzare, ma va piano».

E conclude: «Passai con d. Losi giorni felici (a Delen); è testardo come d. Bortolo, ma conosce di non avere capacità di reggere. Ma come mis­sionario all'opera vale un perù, ed è il soggetto migliore che abbiamo. Sono tutti d'opinione che se stesse 10 giorni solo con d. Bortolo, si rompono subito» (A/15/127 e 128 del 16.7 1881).

Finalmente il 30 agosto da Nuba: «D. Losi andava sangue, e fu sulle ul­time; ora sta meglio, e va col bastone» (A/15/133).

Sul carattere, e sul tipo di santità ch'egli perseguiva, getta luce questa lettera di p. Ohrwalder al Comboni da El Obeid il 21 settembre 1881:

«Quando fummo nel deserto per sotterrare don Antonio Dubale, venne Allagiabo da Malbes con una lettera per la madre, ove suor Concetta di­ceva che sr. Maria Colpo stava poco bene. La madre me lo disse, e non so, aveva timore che succedesse un'altra catastrofe. La madre, nella sua solita energia, disse: Io vado ancor oggi. Eran già le 5 di sera: sola, dico, non la lascio andare. Don Losi voleva andare a Malbes sabato per la messa della domenica, così la madre andò da lui, che diceva l'ufficio in chiesa, e gli disse che suor Maria stava male etc. - Ah, quando avrò finito l'ufficio, parleremo. Sa, Monsignore, per conto di don Losi si crepa sicuro senza sacramenti; non so che principi abbia in testa quell'uomo così pio, che gli fanno qualche volta dimenticare cose che domanda la carità. Dopo una mezz'ora venne fuori dalla chiesa nella camera della farmacia, dove io e la madre preparavamo alcune medicine. Dunque, padre, disse la madre, io mi sento un peso per quelle suore di Malbes: io vado oggi colà. - Ma la notte e la strada è mal sicura (questi giorni sono stati ammazzati diversi sulla via di Malbes, non essendoci più soldati colà) disse nella sua flemma veramente da inglese. Bene, dissi io interrompendolo, vado io colla madre» (A/20/44/4).

E in una sua al Comboni, sr. Teresa Grigolini scriveva da Khartoum il 30 giugno 1879: «D. Losi credo che sia sempre il medesimo testone» (A/31 22/1). Però nel dicembre 1881 essa scriveva a p. Sembianti: «Ho inteso come il Rev. p. Giovanni Losi fu creato, dalla Propaganda, Superiore Generale di tutta la missione. Credo che la Propaganda non poteva far meglio di quello che fece. Si tratta che è uno dei più vecchi missionari, che ha esperienza e molto zelo delle anime» (A/31/24/12), dove però si può forse scorgere un po' di distacco tra la decisione di Roma e il parere suo o di altri missionari.

Don Losi però aveva scritto a p. Sembianti da El Obeid il 15 ottobre 1881, proponendo don Rolleri come successore del Comboni (A/27 /17 /3). Richiesto poi dallo stesso Sembianti di qualche informazione sul defunto vicario apostolico, Losi rispondeva il 28 dicembre 1881 da El Obeid: «Nel suo poscritto mi domanda materia per la storia del povero Mons. Com­boni: per quanto mi lambicchi il cervello non trovo di che compiacerla, vuoi perché l'illustre defunto stette per lo più in Europa e qui non mi trovai con lui che per breve tempo, vuoi perché si sa che per quanto sia stato un prodigio da Dio mandato per risuscitare e fornire questa missione, non fu poi eguale nel reggerla: quindi credo sia meglio per l'onore del defunto fermarsi alla prima parte» (A/27/15/5; Grancelli M. V). Possiamo esser grati a Losi per il suo pur parziale tributo all'opera del Comboni, ma fa meraviglia, che essendo stato cinque anni senza vederlo, si sia permesso ugualmente di scrivere al Canossa da Delen il 7 Febbraio 1880, mentre il Comboni era ancora in Italia:

«Fu per di Lei opera, ricordiamo, che sia stato eletto il povero d. Squaranti ad amministratore della Missione con tanta soddisfazione anche del nostro mons. vescovo Comboni. Dalla morte del povero d. Antonio (Squaranti) sentimmo più nulla; e supponiamo di certo che V. E. può altrettanto oggi, anzi di più, se lo crede bene pel migliore sviluppo della missione, facendo eleggere un vicario generale, e riserbando al nostro Monsignore le funzioni episcopali e l'immenso carteggio che ha con tutta l'Europa» (A/27/10/2).

Sr. Amalia Andreis poi scriveva a p. Sembianti, il 7 novembre 1881 da Delen: «Se nell'ultima mia le feci conoscere quel po' di rincrescimento che sentimmo per la partenza del p. Losi, le devo pur dire in questa che il Signore ci ricambiò molto meglio. Il nostro buon p. Superiore, benché si trovi circondato da molte occupazioni, pure è sempre pronto con carità a prestarci tutti quelli aiuti e conforti di cui possiamo aver bisogno, specialmente quando ci troviamo indisposte; e così coi due confratelli... Lui poi si trova pure indisposto, ma la sua carità non lo fa mancare. Che il Signore conservi a lungo quest'anima zelante e pia, pel bene della missione e a conforto di coloro che si troveranno sotto la sua direzione» (A/31/10/1). Si tratta di Don Luigi Bonomi.

Raccogliamo ora gli ultimi tributi al Comboni e allo stesso Don Losi.

Il 17 gennaio 1882 Losi scriveva a Propaganda da El Obeid: «Il perso­nale della missione, benché dolente per la morte del capo e di altri compagni, non è però sconfortato: è troppo recente il luminoso esempio di fiducia che come in eredità Egli ci ha lasciato, avendo sotto i nostri occhi rialzata dal nulla questa missione e provvedutala di risorse ordi­narie e sufficienti. Ora ognuno è persuaso che assai meno difficilmente si potrà conservare e far progredire un'opera già tanto avviata» (A/17 /16/92).

Don Losi a Sembianti, El Obeid 11 maggio 1882: «Fu riferito a queste suore essersi scritto in Europa che esse se la facciano molto coi preti. A loro e a mio scarico debbo accertare V. P. che il riferito è affatto falso: che in realtà, nessuna suora viene mai nell'Istituto maschile all'infuori della Superiora qualche volta per necessità o altra suora da lei mandata. Parimenti che non c'è alcuna frequenza di sacerdoti o altri al loro istituto. V. P. sa già quanto il sottoscritto sia mal disposto a soffrire qualunque relazione non richiesta da necessità o evidente con­venienza» (A/27 /17 /13). Tali erano le disposizioni impartite dal Comboni.

Una indiretta ma preziosa testimonianza del Comboni, si trova in queste righe dirette da d. Losi a p. Sembianti da El Obeid il 15 giugno 1882:

«La sua del 29 è quasi tutta su Domenico Polinari, che è stato costì a Verona ed ora da un anno al Cairo... Io non posso, mi si dice, privare un membro della missione di quel diritto che il nostro fondatore ha più volte dichiarato, me audiente, di concedere, a chi avrà servito 10 anni la missione, cioè di scegliersi ad libitum la residenza nelle stazioni della missione» (A/27 /17 /16).

Una simile testimonianza sul fondatore è data anche da p. Bonomi a p. Sembianti nella sua del 7 novembre 1881 da Delen: «Il vicariato dell' Africa Centrale è affidato da Propaganda sapientemente all'Istituto di Verona, e quinci deve venire l'aiuto, il conforto ed il sostegno per continuare nell'opera da Mons. Comboni si può dire fondata e iniziata» (A/26/12/9) .

Nel frattempo si stava addensando sul Kordofan la bufera mahdista. Don Leone Hanriot aveva scritto da Khartum a Giulianelli in Cairo, 27 giugno 1882: «Quando lei riceverà questa mia, è possibile che tutto il personale di El Obeid sarà qui, eccetto don Losi che vuol rimanere per poter combinare l'affare di Nuba» (A/27/2/14). E il 30 giugno lo stesso, pure a Giulianelli, da Khartoum: «Ad El Obeid le cose vanno male. Non hanno più da mangiare che per una quindicina di giorni. Dapprima il gover­natore aveva promesso soldati e cammelli per far venire i nostri a Khartoum; poi fece dire al console Hansal che non poteva promettere soldati perché erano tutti necessari per reprimere la rivolta» (A/27/5/10).

Lo stesso don Losi aveva scritto a Giulianelli in Cairo, da El Obeid il 28 giugno 1882: «El Obeid assediata, mancano viveri e sicurezza. Se avre­mo scorte armate andremo tutti a Khartum, anche quelli di Delen, dei quali mancano notizie» (A/27/14/16). E il 15 luglio calcava le tinte scrivendo allo stesso: «Posizione insostenibile, comunicazioni interrotte. Fame. Non li lasciano partire perché mezza città li seguirebbe» (A/27 /14/18).

E il 6 luglio 1882 aveva scritto anche a p. Sembianti: «Non ci si lascia partire» (A/27 /17 /18).

In una raccolta di memorie su Sr. Fortunata Quascé, da fonti conservate dalle Pie Madri, si legge: «P. Giovanni Losi nell'ultima S. Messa cele­brata alla missione (di El Obeid, da dove doveva ritirarsi per restrin­gere la linea di difesa) aveva sciolto tutti dai loro voti religiosi. Le Suore obiettarono perché dovevano fare la rinnovazione biennale dei loro voti, ma il p. Losi rispose: "Mi sento ispirato così; siete tutte sciolte dai vostri voti; se volete rinnovarli giornalmente, fatelo"» (A/31/36/3).

Sr. Bettina Venturini nelle sue memorie scrive: «Intanto il p. Losi stava male dallo scorbuto, andava sempre peggiorando, oramai non c'era più speranza di guarigione... Sapeva bene che aveva pochi giorni di vita, era contento di morire, ma il dolore più grande che aveva era quello di lasciare noi in così tristi condizioni. Ci faceva coraggio e ci esortava a essere forti e di pregare molto, che colla preghiera diceva si ottiene tutto. Il giorno della sua morte, 27 dicembre, la mattina per tempo ci ha chiamati tutti, ha voluto essere vestito dei paramenti sacri, come se avesse da celebrare, e poi il p. Paolo Rosignoli ha celebrato la santa messa nel medesimo tugurio. Alla comunione del celebrante ha fatto la santa comunione lui e noi tutti quanti, perché più tardi non si poteva farla, per il motivo che non si poteva conservare il Santissimo per mancanza di un posto adatto. Dopo la santa messa ha ricevuto l'estrema unzione in piena cognizione. Un po' più tardi di nuovo ci ha voluti tutti quanti, ha domandato perdono, ci ha benedetti, e poi al padre che era presente disse: adesso è ora che mi raccomandi l'anima, e in piena cognizione, sulla nuda terra, spirò. Ha fatto la morte proprio dei Santi. Veramente era un'anima unita sempre al Signore, di molte penitenze e grandi mortificazioni. Si può più immaginarlo che descriverlo il dolore che è rimasto in tutti, mancandoci il superiore, e nelle condizioni tristi in cui ci lasciò... Ancora l'istesso giorno si è dato la sepoltura, due passi fuori della stanza che è morto» (A/32/19/3/7).

Si può aggiungere qui quanto scrisse p. Tappi: " I missionari che lavo­ravano in sua compagnia attestarono di non averlo mai visto adirato" (Cenno storico, 127).

P. Sembianti, saputo della morte di don Losi, scriveva al can. Mitter­rutzner il 7 aprile 1883: «Povero d. Losi! Tanto dato alla pietà e sempre pronto a patire per convertire anime» (A/43/12/30).

E al Canossa, il 12 maggio 1883 lo stesso Sembianti scriveva della "morte da santo di d. Losi" (A/38/46/1).

La notizia ufficiale della morte l'ebbero a Khartoum e poi a Verona dal Bonomi, che scriveva da Boga, presso El Obeid, dove era prigioniero dei Mahdisti che assediavano la città, il 25 dicembre 1882: «D. Losi è talmente ammalato da far temere di sé». E il 15 gennaio aggiungeva: «D. Losi cessò di vivere in Obeid il giorno 27 dicembre 1882 alle ore 11 pomeridiane circa» (A/32/1/1).

La documentazione riferita potrà sembrare eccessiva, ma era necessario documentare abbondantemente la virtù eroica del fondatore, di fronte ai suoi oppositori, che pur di singolare pietà e rigore di vita, erano di idee ristrette, e non sempre disponibili a "dilatare gli spazi della carità".

Merita però accennare anche a quanto scrisse p. Ohrwalder in Nigrizia 1893: «Qui mi pare bene riferire un fatto, tanto più degno di memoria, quanto più raramente accade. P. Losi comperò, essendo ancora in Cairo, un nero chiamato Said, e dovendo partire pel Sudan, prese anche seco questo piccino di appena sei anni. Sotto la cura paterna riuscì a meraviglia e specialmente di non ordinaria pietà. Dovunque p. Losi piantava la sua tenda, gli si trovava a lato anche il piccolo Said. Essendo sufficientemente cresciuto, p. Losi lo voleva sposare (si ricorderà la mania del Losi combinare matrimoni!), ma Said si rifiutò, dicendo di voler restare sempre col suo padre. Durante l'assedio di El Obeid, Said con la sua frequenza ai sacramenti, dava un esempio edifi­cante. P. Losi, colpito dallo scorbuto, si ridusse allo stato di un cadavere in putrefazione. Ma Said rimase immobile a lato del suo padre, e quando lo vide morire, si rattristò grandemente, e ne fu inconsolabi­le; cadde in profonda malinconia, nulla più curandosi di cibo. Ogni giorno si portava al sepolcro del suo diletto padre, per ivi piangere e pregare, finché un bel mattino si trovò il poveretto morto sul sepolcro del suo benefattore colle braccia stese, come se volesse per sempre tener abbracciato il suo padre. Tutti ne restarono commossi; si prese quel cadavere e lo si seppellì a lato del suo diletto padre e benefat­tore» (Nigrizia, 1893, 144-145).

Ai primi di agosto 1981 ci sono pervenuti in fotocopia, tramite la curia degli Scalabriniani in Roma, 13 lettere di Don Losi del 1878-82 a sacer­doti di Piacenza, che confermano quanto sopra riferito: il suo amore per la Nigrizia, il riscatto di schiavi, gli orrori delle razzie, le febbri della stagione delle piogge, lo studio della lingua nubana, la speranza di qualche vocazione missionaria della sua Piacenza, elogi per don Rolleri, il suo interesse nel combinare matrimoni. A questo proposito scrive te­stualmente il 5 gennaio 1882: «Ci è fuggito un moro per farsi soldato a cagione, si crede, della moglie testarda», confermando così quanto asse­rito dal Comboni. Nell'ultima sua del 20 luglio 1882 annuncia la decisione di ritirare tutti i missionari di Nuba ed El Obeid a Khartoum, dato l'im­perversare del periodo mahdista, ma insieme anche la impossibilità e pratica di effettuare questa "ritirata", per la mancata cooperazione del governo locale, e quindi la previsione di una prossima fine, e conclude il secondo poscritto della lettera con queste precise parole:

«Se non ci vediamo più in questo mondo, a rivederci tutti nell'altro. La posta ora ci ha recato un fuggi fuggi da tutto l'Egitto e di Khartum, anche della missione. Ma noi, ne’ Nuba, non potendoci muovere, se non ci finisce il clima, ci finirà più probabilmente la guerra. Sebbene tanto peccatore, non oso sperare tanto onore. Basta: volesse Iddio che non avendo fatto niente in vita, potessi almeno giovare alla Nigrizia colla morte. Ma pregate, per carità, perché spiritus quidem promptus est, caro autem infirma» (A/27/51).

È questa l'estrema testimonianza di un missionario che, nonostante i suoi limiti, era tanto apprezzato dal Comboni.

Da P. Leonzio Bano, Missionari del Comboni 3, p. 41-55