Fr. Domenico Polinari fu il primo laico entrato come "fratello" nell'Istituto del Comboni. Nato ad Azzago (Verona) il 16 aprile 1836, era entrato nel 1870, proveniente da Montorio, dove era parroco don Grego. Arrivò in Cairo in novembre 1870 e partì per il Sudan con p. Stanislao Carcereri, p. Giuseppe Franceschini e fr. Bertoli il 26 ottobre 1871 (SPV, 4bis; SPC, 3). Fu dunque uno dei pionieri della missione comboniana nel Sudan, e Comboni gli riconoscerà questo titolo di anzianità anche nei momenti più burrascosi della sua vita.
Fu lo stesso Carcereri a chiedere al Comboni fr. Polinari per la prima spedizione il 27 agosto 1871: "Domenico sarebbe necessario per intendersi di buon terreno e prepararlo, costruire capanne etc.
Ma avrebbe bisogno d'un muratore e d'un compagno simile a lui, che è galantuomo" (A/1/10:16/5). I due fratelli prescelti per la fondazione di El Obeid furono dunque Bertoli (che vi morì il 26 dicembre 1872) e Polinari. Nel 1875 Polinari partecipò alla fondazione della missione di Delen fra i Nuba (Annali, Vienna, A/12/13).
Ciò nonostante, Polinari resta una figura sconcertante.
Fu successivamente, e a varie riprese, addetto alle stazioni di El Obeid, Delen, Berber e Khartum. Il 10 gennaio 1876 era ad El Obeid e chiese sementi per il suo orto, in una lettera di don Losi allo Squaranti (A/27/19/12). Il 1 settembre 1877 don Bonomi scrive a Comboni da El Obeid: "Qui siamo nel carìf (stagione delle piogge), ma non abbiamo carìf, chè dal 20 giugno a tutt'oggi non ha piovuto ancora che qualche goccia in Obeid, mentre all'intorno la stagione va bene. Domenico in giardino seduto su una zolla secca di terra sembra Geremia che piange sulle rovine di Gerusalemme" (A/20/6/1). Ma poco dopo veniva trasferito a Khartoum, dove era morto fr. Augusto Wischnewski, 11 agosto 1877 (Def. 239), ed ebbe la responsabilità del grande orto della missione.
Il primo cenno l'abbiamo da d. Luigi Bonomi, che il 20 novembre 1880 scriveva al Comboni: "Domenico il grande è diventato affabile e malleabile come una pasta, e ci par fino impossibile a noi che lo conosciamo" (A/20/6/11). Si noti che Polinari (per distinguerlo da Donizzoni, detto Domenico il piccolo o Domenichino) era noto come Domenico il grande, o Domenicone. Ad ogni modo le parole del Bonomi manifestano una situazione di disagio ben nota. Ed è lo stesso Comboni, dopo aver informato Sembianti l'8 marzo 1881, che a Khartum restavano "Bescir, come catechista e commissioniere con Gabriele (Mariani) e Domenico giardiniere", che il 22 marzo informa lo stesso Sembianti: "Oggi ho deciso di lasciar partire per Cairo e l'Europa Domenico Polinari di Montorio, giardiniere di Khartum, ed il veterano dell'Africa Centrale dopo che è sotto la mia giurisdizione il Vicariato. Costui p infaticabile e lavorò per dieci, ed è a prova di bomba per i buoni costumi, pietà e missionario laico. Lo lascio partire perché altrimenti con tanta fatica temo che muoia. Egli ritornerà a Khartum in autunno. Siccome è di Montorio, e mel diede il parroco Grego, stia attento che questo prete non lo seduca a rimanere a casa. Credo che con tutte le arti non riuscirà, perché Domenico è solido ed è uomo, benché un poco stravagante nel lavoro, ma uomo di polso, etc. etc." (A/15/112; 115).
Si sarà notato che, nonostante la stravaganza, il Comboni stima e desidera il ritorno di Polinari. Però in una successiva da El Obeid, del 13 luglio 1881, chiarisce meglio la situazione:
"Prima di dire due parole di Nuba, mi viene in mente di toccarle di Domenico Polinari, che quantunque di religione e buoni costumi, e gran lavoratore, è matto, non vuole obbedire ai superiori locali, fa e lavora a suo modo con poco profitto della missione; ed ha fatto tribolare d. Luigi a Khartum, perché di suo capriccio licenziò dal giardino tutti i nostri neri cristiani, anche chi lavorava da vent'anni, prendendo invece musulmani e pagandoli bene colle rendite del giardino di cui non volle mai render conto a d. Luigi, porta alla nostra cucina il rifiuto delle produzioni, spende e spande pel giardino a suo capriccio, tagliò alberi colossali etc. etc. e poi era la spia del console che lo ascoltava e dava torto a d. Luigi etc. etc. Giunto io a Khartum, lo chiamai alla presenza di d. Bortolo e gli intimai o di obbedire in tutto al superiore locale, e non far spese senza il consenso del superiore, o di andarsene via. Egli disse di sì, ma finì per pregarmi e insistere per la centesima volta di mandarlo in Europa prima di prender la via del camposanto; e gli soggiunsi che se intendeva star soggetto ai superiori delle missioni ove sarebbe mandato, tornasse, altrimenti se ne stesse a Verona, o a Sestri, o al Cairo, o a casa sua. Io sarei di opinione che tornasse, perché lo faremo con la forza stare a dovere, perché è un gran lavoratore, e di provata e sicura moralità anche in mezzo alle donne perfettamente nude dei Nuba, nella speranza che, come succede a tutti, in Europa si spoetizzerà, perché egli in Africa sta meglio. Ma sr. Teresina sarebbe di parere che non tornasse più: continuerà a mantener l'inimicizia fra il console e d. Luigi, mi dice la suora. A tavola d. Luigi, che è lepidissimo, pigliava a gabbo il console austriaco per la sua terminologia italiana (è tedesco): scrisse per esempio a me: prego a vostra Monsignoria a mandarmi la tal cosa etc. Scrisse a D. Luigi: Vi prego di dare ospitalità a questi due poveri sudditi austriaci, ed elle farà una grande carestia (voleva dire carità) etc. Diceva il console: Tutto il mio cuore e la mia vita è per il mio pimpo (bimbo, poiché ha la concubina che con molti sforzi da me fatti e da d. Luigi non siamo riusciti a fargliela mandar via) etc. etc.
Ebbene, alla sera Domenico andava a contar tutto al console e intanto cresceva l'inimicizia, finché lo denunziai al Ministro di Vienna e alla Propaganda - con mio grave danno pecuniario e morale; in modo che (anche per ciò che scrisse a Roma l'Emo nostro vescovo) l'Emo Simeoni mi ordinò di provvedermi di un Vicario generale (tutte cose insinuate da d. Losi) e che d. Bonomi non sia più vicario generale. Ad ogni modo se verrà Domenico in Africa, lo metterò al suo posto" (A/15/127).
In agosto Polinari era già di ritorno al Cairo, perché il 9 agosto 1881 Giulianelli scriveva a Sembianti: "Ieri sera circa le ore 9 pom. giunsero qui i noti individui in ottima salute, dopo un felicissimo viaggio. Questa mattina ho parlato col sig. Domenico Polinari di restare qui con me, ma pare che non vi voglia stare, almeno volentieri, ma forse con altre ragioni che gli porterò, per essere che si determini a dire di sì" (A/26/34/19).
Infatti il 6 agosto 1881 mons. Comboni aveva telegrafato a Giulianelli: "Spero che Domenico Polinari accetterà di andare al Kordofan" (A/16/6/84). E il 16 dello stesso mese gli scriveva: "L'altro dì vi ho telegrafato di trattenere in Cairo Domenico Polinari, e che vi rimanda fino a mio ordine. In segreto vi dico che nessun superiore in Sudan lo vuole, perché fa a suo modo, non vuole dipendere da nessuno pel suo lavoro, e rovina le cose senza vantaggio della casa. Anche il console austriaco non ne vuol sapere, e così le suore che devono comprar fuori la verdura, quando c'è lui, mentre nel giardino va a male. Ora il giardino va meglio dopo la sua partenza. Adoperatelo (perché è gran lavoratore) a realizzare un giardino nelle nostre case, ed a lavorare in casa, riempire le buche fuori del recinto sulla strada, etc." (A/15/30).
E qualche giorno prima ne aveva scritto anche a p. Sembianti a Verona, il 13 agosto 1881: "Il console austriaco di Khartum restò stupito quando intese che tornava Domenico Polinari, che lo disturbò tanto, benché il console per altre cose sia contrario a d. Luigi per il suo fare duro etc. D'altro lato il superiore di Khartum, d. Bouchard, non lo vuole (ed ha mille ragioni, perché rovinò il giardino e non porta mai alla cucina i suoi prodotti etc., cacciò i cristiani e si prese musulmani, e spese e spandette etc.). Anche le suore di qui, e specialmente la Grigolini di Kordofan, son di parere di non farlo più venire, molto più che realmente ora, dopo la sua partenza, il giardino va meglio. Quindi io ho spedito un telegramma al Cairo a Giulianelli, ordinandogli di arrestare colà Domenico Polinari per quelli orti, e colmare intorno la terra il davanti delle case fra il muro e la strada; e ciò senza dir niente a Polinari che non lo vogliamo per il Sudan. Ma perché il console non m'ha detto prima tante ragioni, che ora dice? Egli si limitò a pregarmi di lasciar rimpatriare Domenico, perché era stanco. Ma Fiat! Tutti si aggiusterà col telegrafo, che è già partito, perché lo dettai stamane dal letto" (A/15/130).
Don Giulianelli a sua volta scriveva a p. Sembianti il 22 agosto 1881: "Il Polinari è disposto per la missione, ma non per il Cairo. Se non si lascia andare sopra, forse tornerà indietro. Quindi mi è convenuto fare un telegramma a Monsignore, per conoscere quello che vuole che si faccia, e se la risposta sarà negativa, tornerà indietro, perché qui non vi vuole stare. Ecco, un'altra spesa non piccola, e vi vuole pazienza" (A/26/34/20). Non faccia meraviglia che Giulianelli, come tutti gli amministratori, tenga presente la "spesa", anziché la "persona". Però il 26 dello stesso mese aggiungeva scrivendo al Sembianti: "Le assicuro che la partita dei secolari è una spina, quando non vi è vero spirito di abnegazione e di sacrificio... È una miseria". E continua: "P. S. Polinari non vuole stare in Cairo. Ho telegrafato a Monsignore. Mi ha risposto per telegrafo: "Polinari mandatelo nel Kordofan e Battista a Khartum per servizio giardino" (A/26/34/21 e 22).
Il 13 settembre 1881 Comboni scriveva a Sembianti: "Io non ebbi tempo di informa lei di Domenico Polinari. L'unico che sia favorevole a lui nell'Africa sono io, perché, benché matto, è di solidi costumi, gran lavoratore, e perché è il più vecchio delle nove case del Vicariato, cioè, quando il Vicariato fu affidata a me ed all'Istituto di Verona. Ma d. Bouchard, il console, i missionari, le suore (ed hanno mille ragioni) non vogliono nemmeno sentirlo nominare. Perché vuol portare a me l'amministrazione del giardino; suo dovere era di darla al superiore locale d. Luigi ed obbedire a lui. Invece vendeva fuori e niente in casa, e d. Luigi non vide mai un centesimo. Adesso invece, oltre al servizio della casa che è provveduta di tutto quel che c'è in giardino, ogni giorno si consegna al superiore uno ed anche due talleri di limoni, e quando vi sono gli altri frutti etc. entra più. Adesso oltre 400 talleri di datteri, vi sono da vendere l'okalib, le canne da zucchero, etc. e tutto entra in missione. Sotto Domenico Polinari la missione non vide mai un centesimo, e non volle render conto a nessuno. E adesso vuol portarmi l'amministrazione? E' matto! D. Giulianelli mi telegrafò da Cairo che non vuol restarvi Polinari: "O Sudan, o andrà via. Allora qui pregai d. Fraccaro a riceverlo in Kordofan, ed egli acconsentì; ed io telegrafai che a Khartum ho destinato Battista (soggetto però al moro Leonardo, capo del giardino, scacciato da Polinari senza nulla dire al superiore, mentre era in giardino da 22 anni), e a Kordofan Polinari. Non so ancora cosa abbia deciso Domenico in seguito al detto telegramma. Io solo, fra tutti, ho piacere che venga" (A/15/136).
Veramente più tardi si leverà in favore del Polinari anche la voce di don Losi da El Obeid, scrivendo a p. Sembianti il 15 giugno 1882 (quindi dopo la morte del Comboni e a crisi superata):
"Quello che V. P. ha sentito di Polinari, lo aveva già sentito io da qualche anno, essendo qui vicino ed avendo parlato con tanti testimoni della sua condotta a Khartum. Ma siccome in altra occasione lo avevo osservato io a Khartum per più mesi, e poi per più fummo insieme qui in El Obeid, ho potuto rivelare quello che è accidentale nella sua condotta... rimanendo in ogni caso l'onestà e galantomismo". Prosegue dicendo che a Khartum non era al suo posto e dando parte della colpa anche al Comboni (e non è l'unica volta!), ma proseguendo: "E se l'avessi ancora qui sarebbe una manna. E d. Luigi medesimo, che lo combatté all'occasione del Golfan, disse in pubblico che se ritornava Domenico egli avrebbe sparato i fucili per onore, perché ancor egli l'aveva veduto qui in Obeid prima di Khartum" (A/27/17/16).
Molto severo è invece il giudizio del Bouchard in una lettera al Sembianti del 17 settembre da Khartum, che non si cita, sia perché molto lunga, sia perché riflette il carattere autoritario dello scrivente, che a sua volta non lasciava in pace chi conviveva con lui. Ma intanto Polinari aveva lasciato la missione del Cairo, trovando lavoro fuori. Don Giulianelli ne scriveva a Sembianti il 14 ottobre 1881: "Domenico Polinari è venuto qui più di una volta, e non sta più colle Suore di S. Giuseppe, perché gli faceva male il puzzo dell'ospedale, ma si è accomodato col mezzo delle suore stesse, con altro padrone" (A/26/34/29).
Ma il 28 novembre 1881 Giulianelli scriveva a p. Sembianti a Verona: "Domenico Polinari è inclinato a ritornare in missione e forse a restare qui con me. Che si fà?" (A/26/34/37). Nel frattempo era morto mons. Comboni e don Bouchard era in viaggio da Khartum per recarsi a Roma. E don Giulianelli il 23 dicembre 1881 scriveva al Sembianti: "Io ho facoltà di accettare e rimandare soggetti, e non so ancora quello che farò per Domenico Polinari, che per intanto, per lavori di imbiancare, trovai occupato all'ospedale... Se potrò accettarlo, l'accetterò per mandarlo in Sudan, ove vi sarà un bisogno grande di secolari" (A/26/34/38). Finalmente il 13 febbraio 1882 Giulianelli scriveva a Sembianti: "Domenico Polinari è rientrato in missione, e l'ho accettato a queste condizioni: che ubbidisca al superiore - vada dove il superiore vuole - e faccia quello che il superiore gli dirà. É un buonissimo uomo, e da quando lasciò la missione, non ha avuto mai piede fermo, fino a che non è rientrato in missione. E così succede a tutti gli altri che escono di missione, ed è una cosa da notarsi molto" (A/26/34/45). E p. Sembianti di rincalzo il 25 febbraio 1882: "Va bene le condizioni poste a Polinari, ma che ci stia poi, e che non dica male della missione, almeno adesso che ha provato che fuori si sta peggio" (A/28/25/10).
Nell'estate del 1882 avvennero in Egitto i noti moti nazionalistici di Urabi pascià, e la conseguente repressione inglese, e tutti i membri della missione, sacerdoti, laici, suore e due more, partirono per Verona, restando al Cairo soltanto il chierico Pimazzoni, arrivatovi da poco da Khartum per salute, e che preferì non rientrare in Italia perché di leva. Tornata presto la calma in Egitto, e superato lo spavento dell'inondazione di settembre a Verona in cui anche Polinari fu di valido aiuto, don Giulianelli e fr. Polinari ritornarono al Cairo il 9 ottobre 1882.
Nel frattempo era avvenuta la nomina di mons. Sogaro, e si ottenne il suo consenso per inviare a Khartum due fratelli, Polinari e Donizzoni (anche lui rientrato al Cairo, dopo esserne stato dimesso per ordine del Comboni): nel Sudan sono rimasti con soli 4 secolari in tutto, "vorrebbero Domenico Polinari" (Giulianelli a Sembianti ancora il 7 marzo 1882: A/26/34/48). I due arrivarono a Khartum il 25 gennaio 1883 (A/27/3/10), ma vi trovarono già un clima di paura per la minaccia mahdista, che si era ormai estesa nell'ovest, devastando le missioni di Delen ed El Obeid, facendovi prigionieri missionari e suore. Il 20 novembre 1883 don Leone Hanriot scriveva da Khartum a Rolleri in Cairo: "Noi qui siamo pronti a tutto quello che il Signore disporrà. In caso che l'esercito fosse perduto e che il profeta venisse a prendere Khartum, spero che tutti avremmo la grazia di confessare la nostra fede. Le Suore sono fortissime. Credo che Domenicone e Santoni saranno fermi nella fede, e ancora probabilmente Domenichino. Però abbiamo bisogno di preghiere, perché in quei momenti terribili la grazia sola fa i confessori come i martiri" (A/27/4/4).
Mons. Sogaro, nella sua visita a Khartum dall'8 marzo al 13 maggio 1883, oltre le disposizioni richieste dalle circostanze, aveva lasciato anche direttive in caso di pericolo. Il 2 dicembre 1883 Sogaro scriveva a Sembianti dal Cairo: "Ieri alle 10 di notte arrivò un telegramma delle Suore che mi chiedevano le lasciassi a Khartum con fratello Polinari, stante che non poteano partire con tutte le morette, e loro non dava l'animo di abbandonarle. Questa mattina telegrafai: Partite tutti, resti se vuole Polinari solo".
E difatti Hanriot telegrafava il 9 dicembre 1883: "Martedì partiamo più 90 persone. Resta Polinari" (A/39/37/4). Partirono il 12 dicembre 1883, e attraverso il deserto e lungo il Nilo, a tappe, giunsero in Cairo in agosto 1884.
Fr. Polinari, unico rappresentante della missione rimasto a Khartum, e responsabile anche dell'economia, mandò i conti al Cairo, perché don Giulianelli nel bilancio consuntivo per il 1883 nota tra le entrate: "Da Domenico Polinari per ricavato della vendita di prodotti, ecc. P.T. 126.87" (A/47/6/4). E il console Hansal scriveva il 9 settembre 1884: "Sig. Domenico vende i datteri a proprio conto e lui spera più di due mila Taleri" (A/32/5/4/2). Ma la presenza a Khartum del Polinari doveva dimostrarsi valida per l'invio di soccorsi ai missionari prigionieri di El Obeid. Scriveva infatti mons. Sogaro al Canossa da Scellàl il 21 gennaio 1884:
"Coll'ultima posta da Khartum pervenne qui una lettera del fr. Domenico Polinari, restato colà espressamente a custodia delle cose della missione, in data 30 dicembre. Trascrivo dalla lettera sua accennata quanto segue: "E' arrivata Marietta di Kordofan, mandata da D. Bonomi; e fu arrestata e messa in Zaptia. Il sig. Console Austro-Ungarico la fece subito liberare: essa dice che tutti sono vivi; soltanto hanno bisogno di vitto e di vestito, e si trovano nell'estrema miseria; stanno chiusi entro a piccole capanne e non possono mai uscire essendo del continuo minacciati dagli arabi fino alle porte dei loro tuguri, e di essere ammazzati e le suore di essere fatte concubine se non si fanno musulmane. Marietta dice che gli arabi hanno distrutto la chiesa e tutte le case dei mercati come cosa immonda; e gli arredi sacri li presero tutti e colle pianete hanno fatto forniture pei cavalli, e i calici li adoperano per bevere e li vendono per un quarto di tallero l'uno... Ora stiamo cercando un arabo perché vada in Kordofan con Marietta per ispedire, se sarà possibile, moneta, vestiti ed altri oggetti che si trovano qui in missione. Quando Polinari scriveva queste cose il console A.U. di Khartum chiedeva a Cairo se avrebbe potuto consegnare alla sunnominata mora Marietta lire sterline 250; gli fu risposto telegraficamente di sì, ma essendo poi stato rotto il filo telegrafico, non sappiamo se il dispaccio gli sia pervenuto" (A/38/48/18). Quanto scritto a questo proposito su Marietta, illustra anche la parte avuta da fr. Polinari, e non occorre qui aggiungere altro. Il 28 febbraio 1884 poi mons. Sogaro scriveva a Propaganda:
"Ieri sera arrivò un telegramma del fr. Domenico Polinari lasciato, come è noto all'Em. V. dietro sua domanda e custodia delle cose nostre in Khartum, che diceva: "Stiamo bene, però la situazione politica si fa sempre peggiore. Oggi partono soldati contro i ribelli che sono a Kamlin". I prigionieri scrivono: "Si sappia che siamo in continuo pericolo di perdere la religione" (A/38/48/22).
Questo pericolo ormai incombeva anche sulla città di Khartum. Già il 18 dicembre 1883 Polinari aveva scritto a Verona: "Sarà nota già a lei l'ordine dato da Mons. Vicario di abbandonare Khartum, e ben potrà immaginarsi quanto dolore cagionò a tutti i nostri tale abbandono. Ma nessuno può averlo sentito più di me, che era presente alla partenza; tanto più che per trovarmi indisposto non poteva uscire di stanza, e perciò venivano a salutarmi ad uno ad uno e darmi l'ultimo addio piangendo dirottamente; le dico il vero, pareva un finimondo. Tutto il popolo era pure in costernazione per la partenza della missione". (Nigrizia, 1891, 45-48).
Nigrizia continua: "Crescendo ogni dì più il pericolo, che i ribelli assalissero Khartum, e anche Fr. Polinari avesse a restare loro prigioniero, come lo erano già i nostro di Nuba e del Kordofan, gli fu telegrafato dal Cairo di lasciare incontanente Khartum e mettersi in salvo a Scellal; ma non ascoltò, e sempre per la persuasione in cui stava di non correre pericolo alcuno. Difatti egli scriveva in data 29 gennaio 1884: "Ho ricevuto il telegramma di partire subito; tutti mi dicono che non vi è pericolo; io poi sto in guardia per non correre la sorte di quelli del Kordofan. Dunque, se non vi è pericolo, perché partire? Abbiamo perduto il molto, cerchiamo almeno di salvare il poco". Ma il poveretto non salvava nulla; neppure se stesso!
Khartum fu invasa dalle orde mahdiste il 26 gennaio 1885, che devastarono la città e fecero stragi. "E del nostro buon fratello Polinari che avvenne?" si chiede Nigrizia: "Visto il gravissimo pericolo, egli si nascose sotto un gran mucchio di paglia nel giardino, e fu miracolo che non sia stato scoperto dai mahdisti, i quali frugarono a più riprese colle loro lance in quella paglia pel sospetto appunto che vi potesse esser qualcuno nascosto. Al terzo giorno il Mahdi ordinò che si cessasse dal saccheggio e dalle stragi.
Alcuni greci, fatti prigionieri nel Kordofan, andarono allora alla missione per vedere se qualcuno era sopravvissuto a quell'eccidio. Camminavano nel giardino parlando nella loro lingua. Il Polinari li intese, e non avendo nulla a temere dai greci, fece capolino sotto la paglia. I greci lo invitarono ad uscire, dichiarandogli passato ogni pericolo, e così fece. Ma egli era prigioniero, e da quel giorno fu obbligato a lavorare il giardino per conto di uno dei capi della Mahdiya; poteva però vedersi e parlare con gli altri nostri prigionieri e non molto discosti dal giardino".
Il 28 giugno 1885 don Dichtl scriveva a Rolleri: "Un greco arrivato da Khartum informa che Domenico lo vide spesso e lavorava nel giardino della missione, ma per i darawish (dervisci). La casa della missione l'hanno distrutta, perché era dei kofàr (infedeli) (A/26/26/15).
Don Leone Hanriot, che come don Dichtl era stato mandato dal Sogaro "al fronte" per attingere notizie dei missionari prigionieri e tentare di liberarli, scriveva da Assuan a Sogaro il 28 ottobre 1886: "Dai profughi da Khartum apprendo ora che Domenico Polinari è stato messo in prigione da circa tre mesi per aver avuto dell'aceto in una damigiana. Fu accusato, per gelosia, di avere dell'acquavite, della bevanda fermentata. Nonostante le sue proteste non gli hanno creduto e l'hanno messo in prigione. Ma pensano che ora sia libero" (A/27/7/18). Questa è la versione pervenuta ai nostri dai greci evasi dal Sudan, e quindi di seconda mano.
Don Giuseppe Ohrwalder, nel suo libro "Dieci anni prigioniero del Mahdi" dà particolari appresi dalla bocca stessa del fratello: "Il giardiniere della missione, Domenico Polinari, che era rimasto a Khartum per sorvegliare la stazione, al primo rumore corse alla porta per vedere cosa succedesse, e quando l'aprì vide venirsi incontro una quantità di lance rivolte minacciosamente contro di lui. Chiuse in fretta e fuggì nel giardino, rifugiandosi in una capanna piena d'erba secca, e vi si nascose sotto. L'avevano seguito anche alcuni dei suoi operai, ma non vi si fermarono, cercando rifugio altrove. Invece furono subito trucidati, e dalla capanna sentiva i loro lamenti e il rumore dei colpi che tagliavano la testa. Egli rimase nel suo nascondiglio, benché mezzo soffocato dall'erba che gli impediva il respiro. Parecchie volte i mahdisti entrarono nella capanna e conficcarono profondamente le lance nel fieno. Verso mezzanotte, non potendone più per la sete, raggiunse la capanna presso la porta, inciampando su cadaveri sparsi qua e là, e chiese un po' d'acqua e di pane ad una donna, da cui apprese notizie del terribile massacro, tanto che il poveretto, sgomento, non poté più reggersi in piedi e si gettò su un giaciglio. Scoperto, ebbe salva la vita, consegnando il poco denaro che aveva con sé a quello che l'avevano catturato, e fu condotto dal loro capo, che gli chiese dove era il denaro della missione. Polinari rispose che la missione, partendo da Khartum, aveva portato seco ogni cosa, e non v'era più nulla. Fu creduto e rimandato a lavorare il giardino per conto del nuovo padrone.
Pochi giorni prima della caduta di Khartum, Polinari aveva nascosto nel giardino una certa somma, nota a uno sol, di cui il fratello si fidava, ma che invece lo tradì. Domenico fu fustigato e obbligato a rivelare dove era nascosto il denaro.
Gli capitò anche un'altra disgrazia, cui si è accennato sopra.
Quando Ohrwalder arrivò a Omdurman il 24 aprile 1886, trovò il Polinari in prigione, dove restò per sei mesi. Il capo ortolano si era reso colpevole di frode e fu licenziato dal padrone, che incaricò Polinari di perquisirlo, perché non portasse via oggetti già appartenenti alla missione. Il semplice Polinari, che fu sempre coscienzioso, e non avrebbe preso neanche un limone senza permesso, eseguì la perquisizione, e trovò parecchia roba. Il colpevole tacque, ma alla prima occasione si vendicò. Dopo un furto di polvere che si trovava ancora nel magazzino preso in affitto da Gordon, accusò il fratello, ma nulla si rinvenne. Allora lasciò l'accusa che Polinari fabbricava acquavite in una damigiana, in cui aveva messo dei datteri freschi per farli fermentare e caverne dell'aceto, e che fumava tabacco (era invece rigla, una verdura grassa, secca, che si mangia cotta nell'acqua). Colto in flagrante delitto, dovette mettersi in testa la damigiana e così, portando anche il supposto tabacco, recarsi ad Omdurman, accompagnato da una folla schiamazzante, condotto davanti al giudice. Questi, in genere benevolo verso i bianchi, voleva mandarlo libero, riconoscendo nell'accusa una calunnia; ma un membro influente della Mahdiya insistè per la condanna, e fu mandato alla famigerata prigione, il Saier, dove per sei mesi soffrì assai per la fame. Noi, scrive Ohrwalder, a misura del nostro avere, gli mandavano ogni giorno pane e datteri, ma seppimo poi che lo schiavo che doveva portarglieli non gli aveva mai consegnato nulla. Sarebbe morto di fame il poveretto, se alcuni prigionieri influenti non avessero condiviso con lui il loro cibo.
Uscito di prigione, ritornò al giardino di Khartum. Il 1 agosto, forse del 1889, tre dei prigionieri, sentendosi particolarmente abbandonati, scrissero una lettera supplichevole a mons. Sogaro, firmata per ultima da "Domenico giardiniere" (A/32/4). Ma l'anno successivo, ammalatosi gravemente, forse di tifo, fu portato a Omdurman e unitosi agli altri potè "confessarsi e dopo pochi giorni morì assistito dal padre (Ohrwalder) e da noi" (suore: sr. Bettina Venturini, diario; A/32/19/4/105). Era il 27 settembre 1890 (A/38/49/32).
P. Ohrwalder, il 25 febbraio 1888, aveva scritto da Omdurman al Cairo: "Vorrei qui dirvi se avete ridato la somma di 800 lire (sterline) circa, che Domenico depose al governo di Khartum nel tempo dell'assedio; avendo lui perduto il rispettivo documento, investigate, la copia deve trovarsi al governo di là" (A/32/6/7).
Questa lettera di p. Ohrwalder fu presa in considerazione e considerata documento valido (A/29/4/11). E difatti, sebbene con notevole ritardo, p. Angelo Colombaroli nel giugno 1892 annotava nel registro dei conti di Cairo: "Pagateci dal governo una quota pel denaro imprestato da Domenico, fratello della missione, a Gordon, imprestito che non ci fu interamente saldato dalla Commissione per gli Indennizzi del Sudan, epperò saldato dal governo giusto la promessa datace: Fr. 27.000 (ventisettemila)" (A/23/9/14).
La notizia della morte del fratello giunse in Cairo solamente verso la metà febbraio 1891. E Nigrizia aggiunge: "Sei anni adunque sostenne il Fr. Polinari la prigionia... Moriva vittima del suo attaccamento all'interesse della missione e il Signore ne lo avrà premiato; tuttavia preghiamo riposo all'anima sua" (1891, 48).
Da P. Bano Leonzio, Missionari del Comboni 3, p. 73-84