In Pace Christi

Zeziola Cuniberto

Zeziola Cuniberto
Date de naissance : 03/03/1923
Lieu de naissance : Angolo Terme BS/I
Premiers vœux : 09/09/1947
Vœux perpétuels : 10/03/1949
Date de l’ordination : 11/06/1949
Date du décès : 28/01/1984
Lieu du décès : Roma/I

Sabato 28 gennaio, alle ore 9,30, padre Cuniberto Zeziola salì con un po' di fatica i pochi gradini che immettono nella nostra casa generalizia. Appena in portineria disse: «Sono contento di essere arrivato a casa». Il Padre appariva spossato anche se si sforzava di mostrarsi il Zeziola di sempre: allegro, espansivo, vivace. Nella notte precedente, una telefonata di padre Nazareno Contran dal Togo, aveva annunciato l'imminente arrivo di padre Cuniberto dal Ghana, con preghiera di andarlo a prendere all'aeroporto di Fiumicino con la macchina perché non stava bene. Fratel Bastianelli fu puntuale all'appuntamento. Constatando le condizioni del confratello, che prima di salire in auto ebbe un momento di debolezza, invece di dirigersi a San Pancrazio, si diresse in Via Lilio dove la casa è munita di ascensore. Padre Zeziola sarebbe dovuto venire in Italia per le regolari vacanze in marzo, ma un dolore insistente al petto e allo stomaco che lo travagliava da tre mesi e che alle volte gli toglieva il fiato, lo costrinse ad anticipare la data. In Ghana si era fatto vedere dal medico. Questi non riscontrò niente di anormale per cui suggerì esami più accurati da farsi dove c'erano le attrezzature adeguate (in Ghana mancano). La suora infermiera di Roma ha subito provato la febbre e la pressione al Padre: tutto normale. «Solo io non sono normale» ha ribadito scherzosamente padre Zeziola. Comunque si decise che, prima di proseguire il viaggio per Verona, si facesse controllare dal medico di casa. Dopo il pranzo consumato in refettorio con i confratelli in un clima di allegria e di saluti conditi da notizie sulla missione, il Padre si ritirò in camera per riposare. Erano le ore 14. Alle 16, la suora infermiera picchiò alla porta per annunciare l'imminente visita del medico. Il Padre non rispose. Attese qualche minuto e poi picchiò di nuovo. Silenzio. Vedendo che l'uscio non era chiuso a chiave, entrò. Padre Zeziola era ancora vestito e stava coricato sul letto con la testa appoggiata al muro. La suora lo chiamò credendolo addormentato. Quindi lo prese per una mano che teneva abbandonata sulle ginocchia. Solo allora si rese conto che era morto. Il medico constatò che si era trattato di «collasso cardio-circolatorio da probabile infarto mio cardico acuto». Nell'agenda che era aperta sul tavolo, padre Zeziola aveva scritto qualche momento prima: «Sento la nostalgia del Togo e specie del Ghana lasciati così d’improvviso, ma proprio non potevo resistere più». Queste parole ci danno l'identikit spirituale di padre Cuniberto, un missionario autentico che ha cercato prima di tutto e soprattutto il Regno di Dio, senza badare alla salute e alla stessa vita che per questo Regno ha saputo perdere.

Entusiasmo contagioso

Padre Zeziola è molto conosciuto in congregazione perché è stato reclutatore a Crema di parecchi ragazzi che sono diventati bravi missionari. Poi è stato in Sudan, quindi a Verona, Venegono, Napoli e finalmente in Togo e in Ghana. Tutti sono d'accordo nell'ammettere che, sotto la ruvida scorza del bresciano, palpitava un cuore tenero capace di commuoversi fino alle lacrime di fronte alle situazioni penose dei confratelli e anche della gente. Una delle sue caratteristiche più appariscenti fu l'entusiasmo per la sua vocazione missionaria e la passione per 1'Africa. Entusiasmo e passione che risultavano contagiosi. Diceva un'anziana benefattrice di Verona: «lo non vorrei mai che padre Zeziola andasse via dall'ufficio Nigrizia perché è il Padre che ci vuole per noi, ma a piangere dalla voglia di ritornarci, mi sembra ingiusto pregare perché resti qui». In missione, dopo giornate piene di attività, passava buona parte della notte in preghiera o scrivendo ai benefattori e agli amici. Erano lettere lunghe, particolareggiate, quasi tutte personali, in cui i problemi della missione venivano a galla con una vivacità molto spesso drammatica. In questo, ma non solo in questo, era un perfetto discepolo di monsignor Comboni. E dopo le lettere arrivavano gli aiuti con i quali risolveva un sacco di problemi non solo della sua missione, ma anche delle altre dove c'erano confratelli che non avevano il carisma del «saper batter cassa». I benefattori davano volentieri a Zeziola, davano in abbondanza, perché sapeva chiedere e sapeva, soprattutto, dire grazie. Non mi pare fuori luogo affermare che, da padre Cuniberto, qualcuno deve imparare anche quest'ultima cosa. Pur maneggiando tanti soldi, era di una povertà personale che rasentava la miseria. Il furgoncino che usava era la favola dei confratelli. Eppure lui riusciva a farlo funzionare sempre. Portava vestiti di seconda mano, quelli che i benefattori mandavano per i poveri. Al posto della cintura adoperava uno spago. Era invece esigentissimo per la chiesa e per i paramenti sacri. Non era mai stanco di rifiniture e di ritocchi. Gli piaceva vedere i ragazzi vestiti bene, con calzoncini e camicie che egli stesso regalava loro come paga per qualche lavoretto (gli pareva che la carità sic et simpliciter fosse un gesto umiliante). Le cose migliori erano per gli ammalati e gli handicappati. Per essi procurava ciò che di meglio il mercato offriva quanto a sedie a rotelle, stampelle, ecc. Padre Eugenio Petrogalli, missionario in Togo, scrive: «L'ultima volta che lo vidi, dopo l'Epifania del '84, gli ricordai come nell'epifania del '51 mi conquistò alla vita missionaria. Parlammo anche di altri comboniani (oltre una ventina) che sono stati portati in seminario da lui. Era una conversazione che spesso facevamo nei momenti di maggiore quiete e intimità. Ogni volta era visibilmente commosso: sentiva il tempo passato da reclutatore (1949- 1954) come la sua più grande gloria». Parlando della missionarietà di padre Zeziola, Petrogalli continua: «Era un uomo completamente identificato con la vita missionaria. Tutti i suoi discorsi, attività, progetti, preoccupazioni, gioie e sofferenze (anche critiche, scontri e rabbie) tutto era incentrato nell'unico ideale: la vita missionaria. Encomiabile il suo sforzo per apprendere la lingua ewé - alla sua età! -. Anche dopo il corso ad Agou, mentre lavorava in cucina o nell'orto, o durante qualsiasi altra attività manuale, era in compagnia del suo registratore e ascoltava le lezioni per 7-8 ore al giorno. Ogni sera preparava le letture della messa in ewé: cosa che ha fatto immancabilmente per 10 anni.

La missione era la sua ragione di vivere

Padre Zeziola si portava dentro il suo male da tanti anni. «Una notte, sette anni fa - dice padre Petrogalli - padre Cuniberto è a letto e si sente morire. Con grande sforzo si alza e lentamente si avvicina alla porta, la apre e ritorna a letto. Il mattino seguente, tutto è ritornato normale. Raccontando l'accaduto ci spiega: ho fatto così per evitare la fatica di forzare la porta nel caso che fossi morto in letto». Tra le numerose testimonianze pervenuteci, non possiamo tralasciare quella del suo padre provinciale, Neno Contran. «È difficile delineare in breve la personalità di padre Zeziola. Disponeva di una carica tale che trascinava chi aderiva e si batteva nei confronti di chi gli faceva ostacolo. A volte anche con una violenza verbale che lasciava il segno. Ma si trattava di fiammate che rivelavano o volevano nascondere la sua estrema sensibilità: era infatti capace di commuoversi e di piangere con facilità. Intelligente, dotato d'una memoria felice, osservava la vita, gli uomini, gli avvenimenti, il lavoro pastorale con curiosità e penetrazione. Era dentro le cose, era sempre intento a fare qualcosa. Sembrava che nulla gli sfuggisse. Seguiva le vicende politiche del paese, si interessava ai poliomielitici, curava la formazione nei catecumeni, visitava le scuole, dava molte cose, specie in questi ultimi anni di grande penuria per il paese. Quattro anni fa aveva partecipato a un corso di aggiornamento in Inghilterra. Si era caricato di nuovi libri che leggeva e commentava e da cui traeva spunti per le sue prediche. Insegnava il catechismo con passione, sera per sera, in diversi villaggi. Soffriva per la mancanza di testi catechistici aggiornati e adatti all'età e alle esigenze dei suoi catecumeni. Aveva messo insieme un catechismo ciclostilato e stava curando con una commissione diocesana la ristampa e il rifacimento del Dzifomo, il grande libro di preghiere e di canti assai amato dai cristiani. Dio solo sa quanto ha studiato la lingua ewé. Era arrivato in queste regioni a 50 anni compiuti, cosciente di dover ricominciare. Aveva detto: «Sono come un bambino che balbetta». Era riuscito in breve tempo a parlarla e continuamente metteva a confronto ciò che sapeva con altre espressioni, per arricchirla raccogliendo anche le nuove pubblicazioni che uscivano dall'università di Accra. Utilizzava il cinema religioso proiettando brani biblici anche nelle comunità più lontane, con un'assiduità che si può misurare nella giusta misura solo se si è provato: benzina difficile da trovare, guasti al proiettore, pellicole che si rompono, traduzione del sonoro, zanzare, coprifuoco, ecc. La missione era la sua ragione di vivere e contagiava quanti l'avvicinavano. Era in relazione con centinaia di persone, scuole, collegi, cui scriveva fedelmente».

E se mi dicono che ho un cancro torno in Ghana a ringraziare il Signore

«Raccoglieva mezzi in quantità e dava generosamente - continua padre Neno -. Stava progettando una scuola tecnica a Sogakope per insegnare un mestiere ai molti giovani che non sanno cosa fare. Per sé conservava ben poco. Vestiva come uno straccione e spessissimo mangiava solo la polenta e l'intingolo che le donne vendono ai bordi della strada, davanti alla missione. Cibi sottratti alle mosche e ai tafani. Lui non ci badava. Si prestava al catechismo anche per i figli degli operai italiani che per anni hanno lavorato alla costruzione della diga sul fiume Volta. Ne riceveva degli aiuti materiali, ma lo faceva con tale entusiasmo che entusiasmava la gente. Negli ultimi anni aveva registrato dei momenti di stanchezza, soprattutto quando la malaria lo attaccava. Oggi, ripensando a frasi sentite, si capisce che «ci pensava» di essere vicino alla fine. Lo scorso mese di dicembre, mentre l'accompagnavo in auto a Lomé per delle spese, ad un certo punto aveva detto, a conclusione della lista di difficoltà che la gente incontrava in Ghana: «Chissà perché il Signore permette questo. Un giorno potremo finalmente vederlo e chiederglielo». A Sogakope, il 24 gennaio, parlando con padre Girau che vi si era recato per incontrarsi con dei giovani, disse accennando al male che avvertiva: «Forse è un cancro! Quando andrò in Italia mi farò visitare. E se mi dicono che è un cancro, torno in Ghana e al primo missionario che incontro gli dico: "Vieni in chiesa con me a ringraziare il Signore perché mi ha fatto così e il tempo del mio riposo è arrivato". Anche questo era un suo progetto che, come tanti altri, non ha potuto realizzare». Andando all'aeroporto con padre Contran disse: «Non attraverserò più questa frontiera». E poi: «Ho lavorato molto in questi anni, di più non avrei potuto fare. Sono contento perché sono riuscito a far fare in tutti i villaggi l'Anno Santo, con le celebrazioni penitenziali cui i cristiani hanno partecipato bene ... Mi dispiace per domenica prossima (29 gennaio); avevo in programma di dare il battesimo a un gruppo di catecumeni che avevo preparato da tempo, anche se dovevo fare tutti i giorni 50 chilometri per andarli a vedere». Erano i discorsi che padre Zeziola faceva sempre e che mostravano quali erano i suoi veri interessi: la missione, le anime, la Chiesa.

Per il buon esempio dei Fratelli

Padre Cuniberto Zeziola, nato ad Angolo Terme il 3 marzo 1923, ha frequentato il seminario diocesano di Brescia fino all'inizio del primo anno di teologia. Lo sbocciare della sua vocazione missionaria è attribuito dallo stesso Padre a un fatto davvero interessante e che lui stesso descrive in una lettera del 19 giugno 1945, indirizzata al padre maestro: « ... grandissimo fu l'influsso che esercitò su di me il buon esempio dei Rev.di Fratelli che furono ad Angolo per la costruzione di quella vostra casa». Il 6 settembre 1945 entrò nel noviziato di Venegono. I padri B. Rebuccini e Marengoni lo sottoposero agli esami di prima teologia, che non aveva fatto nel seminario diocesano «avendo, il figliolo, per accusata insistente indisposizione, passato in seminario solo una quindicina di giorni circa, dei quattro mesi e mezzo da quando il seminario è stato riaperto. Per questo non potrebbe essere ammesso agli esami, ma dovrebbe ripetere la prima teologia nell'anno scolastico 1945-46». Così il rettore del seminario. I due esaminatori diedero all'alunno 10 in tutte le materie. Dopo il primo anno di noviziato, padre Zeziola frequentò la 2a, 3a e 4a teologia nel seminario milanese di Venegono Inferiore. I primi Voti ebbero luogo il 9 settembre 1947. Venne ordinato sacerdote a Milano 1'11 giugno 1949. Il padre maestro, Antonio Todesco, annotava: 'Giovane di tante buone qualità; generoso, attivo e bene equilibrato. Di pietà seria e convinta, amante della sua vocazione e attaccato alla regola. Socievole e di buona soggezione. Sente molto l'apostolato, e il catechismo lo fa con profitto. Alle volte è un po’ duretto. Sincero". Il giudizio è davvero lusinghiero, tanto da sembrare esagerato se non fosse condiviso da altri negli anni successivi: "Un padre pieno di pietà e di zelo. Vera passione e capacità nel trattare con i ragazzi. D'un tratto affabile e d'un fare che attrae: costantemente allegro, è la nota fresca e gioiosa della comunità" (Padre Ceccarini 1950). "Perfetto religioso, attaccato alla congregazione, pieno di zelo. Molto spirito di dedizione. Obbediente " (Padre Pasquini 1952). In questo periodo padre Zeziola era promotore vocazionale a Crema. Incarico che esercitò dal 1949 al 1954.

Un vulcano in eruzione

Quanto all'allegria che padre Cuniberto sapeva diffondere intorno a sé, sarebbe interessante sfogliare i numerosi fogli e le ancor più numerose lettere che ha scritto. Cito qualche esempio preso a caso qua e la. Sul foglietto che la Segreteria generale distribuisce periodicamente perché ognuno scriva i luoghi e le date di permanenza, alla domanda: «case o stazioni ove si è dimorato», Zeziola mette un elenco di luoghi e poi aggiunge: «Stazioni, solo le ferroviarie finora». Non era ancora stato in missione. Nell'ultimo di questi fogli compilato dal Padre, alla domanda: «studi compiuti», egli risponde: «Quelli di qualsiasi povero cane che a quel tempo voleva diventare prete». È chiaro che la battuta vuole dare una puntatina contro quella specie di mania di certuni i quali, se non hanno «un pezzo di carta», si sentono male. Nel 1954 padre Cuniberto andò in Sudan: Den Zubeir (coadiutore) e Tonj (superiore) . Epoca dura, pionieristica ancora. Lotte contro il clima, i disagi e, alle volte, con le persone. Risale a quel periodo una frase di padre Cuniberto: «Ho capito che solamente Dio sa perdonare». L'espressione dà la temperatura della situazione. Poi il 1964 con l'espulsione in massa di tutti i missionari. Padre Zeziola si trovò a Verona come responsabile dell'ufficio Nigrizia, amministratore e diffusore delle riviste. Un vulcano in eruzione. Viaggi a non finire per contattare ragazzi nelle colonie e nelle scuole. In quel tempo il Piccolo Missionario cambiò volto passando da 48 pagine a 128 con una tiratura di 100.000 copie invece delle 45 .000 precedenti. Nel 1969 Zeziola scriveva al padre generale, Briani: «Volevo chiederle il favore di caldeggiare un po' il nostro Centro di attività perché possa essere davvero non solo un centro di RACCOLTA ma un vero centro di IRRADIAZIONE DELL'IDEA MISSIONARIA». Su questo Centro Zeziola aveva le idee ben precise e le sapeva portare avanti con convinzione ...

Il Signore mi ha dato sempre «4»

In quello stesso anno fu trasferito a Venegono come direttore del centro vocazionale. Per quattro anni. Poi a Napoli, «73-74»; un anno solo. Se qualcuno vuole dar corpo all'immagine evangelica del «vino nuovo in botti vecchie», pensi a padre Zeziola a Napoli dove il tempo e lo spazio hanno dimensioni diverse e non adatte a un «nordico» tipo Zeziola. Dal 1974 fu assegnato alla missione del Togo e Ghana. «Resterò qui fino a quando Dio vorrà. Sono contento di essere stato il primo missionario comboniano che sia venuto e restato in Ghana». I suoi propositi per la nuova missione si rivelarono ancora una volta «vulcanici », tanto che padre Agostoni (generale) gli scrive: «Vedo che ti sei messo al lavoro con tutto il tuo solito entusiasmo. Speriamo che un giorno non ti debba dire: "Troppa grazia S. Antonio". Vedo che hai detto al vescovo che è il tempo buono per chiedere nuovo personale per il Ghana. Piano, piano! Lo zelo dei comboniani è veramente fantastico, glorioso; ma nello stesso tempo anche pauroso». Dopo Abor sorse la missione di Sogakope... Con pochissimo personale, con scarsi mezzi, con problemi che si riversavano sulle sue spalle a valanga (pensiamo al dramma dei profughi dalla Nigeria) padre Zeziola lottò fino all'ultimo come il soldato di prima linea. E in prima linea morì. In una considerazione scritta sulla sua vita missionaria, dice: «Le maggiori date della mia vita finiscono con la cifra "4" . Spero, però, che il buon Dio, alla fine dei conti sia tanto buono da darmi almeno un "6". Fra l'altro ho il merito di aver fatto martiri diversi confratelli. Ora sono solo da quasi quattro anni e ho perso anche questo merito». Anche l'anno della sua morte finisce col «4», ma io preferisco fare un altro conto: giorno 28, cioè 2+8 uguale 10. Un «dieci» che il Signore gli ha riservato per tutta l'eternità, e che anche il suo vescovo, Francis Lodonu, di Keta-Ho, ha condiviso. Infatti, alla notizia della morte del Padre, ha fatto suonare tutte le campane della diocesi.        P. Lorenzo Gaiga

Da Mccj Bulletin n. 141, aprile 1984, pp. 78-83