In Pace Christi

Venturini Leone

Venturini Leone
Date de naissance : 06/04/1906
Lieu de naissance : Lizzanella di Rovereto TN/I
Premiers vœux : 01/11/1927
Vœux perpétuels : 07/10/1932
Date de l’ordination : 09/07/1933
Date du décès : 20/10/1993
Lieu du décès : Verona/I

Sul frontale della fabbrica del signor Angelo Venturini, papà di p. Leone, c'era la seguente scritta: "Fabbrica scope, sporte, paglia per sedie, stuoie ed altri generi di paglia, scurie, capezze, gavetta, sogàmi e bruschini d'ogni genere".

Nella fabbrica, oltre ai familiari, lavoravano anche alcuni dipendenti, mentre mamma Maria Alberti era super occupata per tirar su gli otto figli che il Signore le aveva concesso.

Periodicamente, il papà partiva con carro e cavallo e stava via anche per una settimana intera: andava a fornire i negozi vicini e lontani con i suoi prodotti, tutti di ottima qualità.

La vita cristiana in casa Venturini era vissuta come Dio comanda. Il primogenito era già partito per il seminario e prometteva di riuscire un fervorosissimo sacerdote.

Nel 1906 venne al mondo colui che i genitori, sbagliando in pieno, chiamarono Leone. Sì, perché se al mondo ci fu un Leone che non fu per niente leone, fu proprio p. Leone. Insomma, era un leone pecorella di Dio. Ma andiamo avanti.

Leone, dopo le scuole elementari al paese, frequentò il Collegio Vescovile di Verona, settore "scuola tecnica". Le note sono brillanti. Ci si potrà domandare: "Perché il ragazzino Leone Venturini, da Rovereto, finì a Verona? Perché i Venturini erano veronesi d'origine; si erano trasferiti a Rovereto, allora appartenente all'impero Austro Ungarico, per motivi di lavoro. "Con l'Austria si facevano buoni affari". Del resto anche il fratello seminarista studiava nel seminario di Verona.

Qualche anno dopo, a papà Angelo sembrò che quella scuola non fosse adatta a chi doveva inserirsi nella vita di una fabbrica, per cui Leone venne iscritto alla Scuola Complementare per Apprendisti di Rovereto come "praticante di negozio". Tra le materie c'erano anche: "Stile d'affari e prescrizioni industriali, calcolo industriale, tenuta libri paga...". Anche qui, accanto ai voti, tutti bellissimi, nel secondo anno appare la nota: promosso e premiato. Segno che Leone era un ragazzo che faceva sul serio.

Questo non è il tuo mestiere

Il "figlio dell'industriale", cioè Leone, per essere un uomo completo, dovette fare la sua gavetta come garzone in un negozio di stoffe. Era esatto fino allo scrupolo, gentile con i clienti, servizievole e disponibile con il padrone.

Ogni tanto, però, spariva dal banco (quando non c'era gente) e si ritirava nel retrobottega. Cosa faceva là, tutto solo? Il padrone voleva saperlo, per cui lo tenne d'occhio. Ed ecco che una volta lo sorprese mentre inginocchiato per terra con le mani giunte, pregava. Altre volte lo sorprese mentre scriveva dei bigliettini. "Avrà la morosetta", pensò il padrone e, incuriosito, volle sapere chi fosse e che cosa scriveva in quelle letterine così segrete. Messo alle strette e con quattro dita di rosso sul volto, il povero giovane dovette mostrare al padrone il corpo del reato.

Erano tutte letterine d'amore rivolte alla Madonna, brevi e ardenti invocazioni, preghiere inventate da lui. Il padrone lo guardò commosso e poi gli disse: "Leone, questo non è il tuo mestiere. Il tuo mestiere è fare il prete". "Lo penso da tanto tempo", rispose impacciato Leone.

Non solo, ma in casa entrava la stampa missionaria che tutti leggevano con interesse. Leone sognava spesso le cose che aveva letto, si immaginava di essere in Africa a spiegare il Vangelo ai moretti... e in questo provava un gusto da non credere.

Il 2 ottobre 1922 - Leone aveva 18 anni - il nostro bravo giovane entrò nel seminario comboniano di Brescia. Versò al superiore la somma di lire 500 e, cinque giorni dopo, visto che si trovava bene, vi aggiunse altre 100 lire. La sua corsa verso la missione era cominciata.

Un particolare: non poté esibire il regolare certificato di cresima "perché - scrisse il parroco - il registro dei cresimati andò smarrito durante la guerra. Sull'attestazione, però, dello stesso Venturini posso riferire che fu cresimato nell'anno 1913".

Rivedibile

Con i ragazzini molto più giovani di lui, cominciò a frequentare l'istituto Arici tenuto dai Gesuiti. Qui si rese conto che il nuovo genere di scuola era più ostico di quello precedente. Le note sul suo libretto scolastico sono, infatti, poco più che sufficienti.

Andò anche alla visita militare, ma fu fatto rivedibile per "idrocele cistico destro", "che sarebbe, spiega la nota, una leggera ernia che non richiede operazione".

A Brescia Leone fu esemplare. Si sentiva impegnato a dare buon esempio anche perché era il più grande della squadra e uno dei più vecchi. Qualche volta, anzi, dava una mano ai "prefetti" nell'assistenza dei compagni più piccoli.

Dopo la quarta ginnasio, saltando quindi la quinta, entrò in noviziato a Venegono Superiore. Era maestro p. Bertenghi. Questi accolse il giovane con quello spirito di paternità che gli era proprio scorgendo, nel nuovo venuto, la stoffa per un ottimo missionario.

"Ha molta buona volontà. Alto com'è, alle volte ha un portamento un po' goffo. E' timido, impacciato, sempliciotto, ma sincero, retto, aperto, generoso, di sacrificio e di preghiera".

Pur venendo da una famiglia benestante, batteva tutti quanto a povertà e spirito di servizio. Anche la salute, pur non essendo ottima, era soddisfacente. Durante il secondo anno di noviziato, frequentò la prima liceo. Insomma il novizio Leone dava tutte le garanzie di riuscire un ottimo missionario comboniano.

Con queste credenziali, il primo novembre 1927 emise la professione temporanea e passò a Verona per il liceo e per la teologia. Venne ordinato sacerdote a Verona da mons. Girolamo Cardinale il 7 ottobre 1932.

La lunga stagione ugandese

Nel dicembre del 1933, p. Leone Venturini era già in Uganda, dove avrebbe trascorso la maggior parte della sua lunga vita. Ecco le tappe del suo cammino missionario:

Angal (1933-1936), Kalongo (1936-1939), Kitgum (1939-1942), Angal (1942-1951), Pakwach (1951-1952), Pabo (1953-1954), Anaka (1954-1957), Kitgum (1957-1962), Morulem (1962-1963), Kitgum (1964-1973), Patongo (1973-1987) sempre come vice parroco. Ad Aber (1987-1989) fu addetto al ministero...

Leggendo questo scarno elenco balza agli occhi una cosa: p. Leone non è mai stato parroco, non è mai stato superiore. A detta dei superiori non aveva il carisma del comando, egli aveva - e in maniera sublime - quello dell'obbedienza, del servizio umile e sottomesso. Vediamo che in genere è rimasto in un posto tre anni. Se qualche volta è andato via prima, il motivo era perché quella missione veniva elevata a parrocchia, e allora il Padre chiedeva di andarsene, primo perché non si sentiva di assumere la responsabilità di parroco, secondo perché non voleva fare ombra al nuovo venuto.

Testimonianze

Prima di addentrarci sul modo di far missione di p. Leone, vediamo che cosa i superiori hanno detto di lui. Tra le tante testimonianze, ne prendiamo solo alcune tanto per non essere ripetitivi, quindi monotoni.

Scrive mons. Cesana nel 1950: "P. Venturini è un buon religioso e missionario zelante, molto laborioso e di sacrificio. Suoi difetti: incerto, timoroso, un po' scrupoloso e meticoloso. Non è fatto per dirigere grosse comunità. Salute ottima, sempre".

P. Bertinazzo: "E' davvero un bravo missionario. Prega tanto, fa molto bene alle anime, ha poca fiducia di sé e non si cura tanto dei lavori materiali".

P. Longino Urbani: "Ottimo religioso e missionario zelante. Gli scrupoli e la poca fiducia in se stesso lo rendono poco adatto alla direzione di missioni. E' fedele al suo dovere e assiduo al ministero missionario. I confratelli sono edificati per il suo zelo, pietà, spirito di sacrificio e carità. Gli esterni, anche le autorità, lo considerano un santo missionario, un grande apostolo". Queste affermazioni di autorevoli confratelli rendono inutile ogni commento.

Durante la guerra fu anch'egli prigioniero a Katigondo con gli altri missionari. "E' stato per me un tempo benedetto di maggior preghiera e di meditazione anche se il pensiero correva spesso ai cristiani rimasti soli", scrisse.

Missionario, come?

"Accenno solo ad alcune sue caratteristiche - scrive un confratello che si firma con le iniziali P. M. B. Fu nella missione di Kitgum quando era la sola 'stazione' tra gli acioli, ed ivi lasciò in ordine alcune cassette di legno piene di cartelle con il nome del capofamiglia, della moglie (o delle mogli) e rispettivi figli. Le note di tipo pastorale hanno il colorito tipico della vita di fede vissuta nei villaggi e nelle capanne. Mi auguro che nessuno butti via quel piccolo archivio.

P. Leone face parte anche del personale di Angal, dove arrotondò le parole nella lingua alur, insegnando il catechismo ai catecumeni e trascrivendo la ricezione dei sacramenti sulle cartelle, dove già imperava la grafia del più anziano p. Spazian.

Poi tornò ancora tra gli acioli per l'ultima parte della sua vita in Uganda.

P. Leone era il missionario della moto, del catechismo ai catecumeni, dei ticket nell'archivio. Soprattutto conosceva personalmente le persone di cui scriveva i nomi, e le ammaestrava indirizzandole sulle vie del Signore ogni volta che le vedeva.

L'ho visto inginocchiarsi fino a terra sul pavimento della cappella del Centro Malati di Verona. Toccò il pavimento a stento e poi non ce la fece più a rialzarsi con le sue forze. Quella fu l'ultima sua genuflessione perché poi fu messo sulla sedia a rotelle. La sua presenza in missione faceva bene ai confratelli: era un patriarca buono e saggio il cui esempio illuminava e dava forza".

Come ai vecchi tempi

P. Zanoner scrive: "Sono rimasto con lui due anni a Kitgum, dal 1967 al 1969. Era un Padre senza pretese di fare piani per nuove attività (c'era già chi pensava abbondantemente a questo). Egli era esclusivamente dedicato al ministero del catechismo in modo da preparare bene i catecumeni al battesimo.

Ogni mese era fuori nelle cappelle dove rimaneva per una quindicina di giorni senza tornare a casa, facendo catechismo, visitando le famiglie e soprattutto gli ammalati. Per gli altri quindici giorni rimaneva in missione a ordinare le schede che aveva compilate nei suoi safari.

Quando fu a Patongo proseguì con lo stesso stile, intensificando, però, le visite ai cristiani vicini alla missione e muovendosi in bicicletta.

Mi colpì la sua devozione alla Madonna. Acquistava medaglie e corone che poi distribuiva. Un giorno, a Verona, mi chiese di tradurgli in inglese una lettera da spedire ai vescovi d'Uganda per stimolarli a fare l'atto di consacrazione delle loro diocesi al Cuore Immacolato di Maria, seguendo l'esempio del Papa.

P. Leone fu un missionario 'dei vecchi tempi', di quelli, cioè, che andavano a piedi per aver tempo di fermarsi a parlare con la gente, di condividere preoccupazioni e speranze... Insomma un vero missionario".

Tra le zanzare di Pakwac

A circa un chilometro sopra la cittadina di Pakwac, era stata costruita una chiesetta, una scuola, un magazzino per i Jonam che si consideravano più acioli che alur. Poi c'era anche una casetta a tre stanze per il Padre che, scendendo da Angal (1000 metri sul mare) veniva a trascorrervi qualche settimana per assistere la gente. Da lì, poi, o con la bici o con il battello governativo Coringdon, si spingeva al nord o al sud a visitare una mezza dozzina di cappelle.

Scrive p. Giuseppe Calvi: "L'incarico era toccato a p. Leone Venturini che apparteneva alla comunità di Angal in quel periodo. Occorreva certamente tanto spirito di sacrificio, che al Padre non mancava, perché Pakwac, a 600 metri sul mare, è un posto caldissimo, umido, infestato da nuvole di zanzare che creavano un ronzio simile a quello di uno sciame di api attorno alla zanzariera entro cui bisognava rifugiarsi per mangiare e per dormire".

Eppure p. Leone diceva di trovarsi bene in quel luogo che gli ricordava i primi comboniani entrati in Uganda nel 1910. Pakwac, infatti, si trova a circa 2 chilometri da Omac, la prima missione comboniana in territorio ugandese, chiusa nel 1916 per la mosca tze-tze.

"La gente - prosegue p. Calvi - era dedita alla pesca, ma si dedicava anche alla coltivazione dei campi e della kassava, introdotta nella zona da p. Campi che l'aveva portata dal Congo. Il 'regno' di p. Leone non era triste solo per le zanzare e il caldo umido, ma anche per i costumi della gente debilitata dalla malaria. Non erano ancora scomparsi del tutto i sacrifici rituali umani. L'ultima vittima era stato uno dei nostri scolari nel 1950".

Bufali o mucche?

P. Leone andava e veniva da Angal con l'autobus e spesso anche con la bici, la stessa con cui poi si recava a visitare i cristiani. In tali occasioni si faceva accompagnare da alcuni portatori, generalmente appartenenti alle cappelle che andava a visitare. Un giorno gli capitò anche questa. Doveva fermarsi in una cappella sperduta nel bosco. Vi era andato come al solito con la vecchia bici e si era seduto ad attendere i portatori. Attese moltissimo. Quando arrivarono rivolse loro un pacato rimprovero per la loro lentezza. Essi si giustificarono dicendo che si erano imbattuti in un branco di bufali per cui si erano dovuti rifugiare sugli alberi finché le bestie non se ne erano andate.

"I bufali? - disse p. Leone. - Li ho visti anch'io ma li ho creduti mucche al pascolo per cui sono passato tranquillamente in mezzo a loro".

P. Leone era fisicamente ben piantato, ma aveva un carattere timido e, come i timidi, era capace di qualche impennata che però sbolliva immediatamente. Inoltre sapeva chiedere subito scusa anche se, più di una volta, aveva mille ragioni per arrabbiarsi.

Era impacciatissimo quando doveva parlare in presenza di confratelli, mentre era sciolto quando trattava con i catecumeni o con i cristiani. Quando arrivava in una missione, egli la consacrava subito alla Madonna".

Madonna povertà

Ma che dire della sua povertà? Non ha mai voluto sapere che cosa fossero le comodità. Un giorno passarono due illustri visitatori e constatarono come viveva il Padre. Arrivati a Gulu andarono diritti dal vescovo, mons. Cesana, per dire che p. Leone viveva in una condizione subumana.

mons. Cesana, sorridendo, disse ai due inglesi che lo spirito di povertà di quel missionario era così grande che, un giorno, chiese a lui, vescovo, se avesse un mestolo per la minestra.

"Pensate, un mestolo al vescovo è venuto a chiedere!".

P. Leone era di buon appetito, un appetito proporzionato alla sua gigantesca statura. Quando partiva per i safari, sapendo che dove arrivava il pranzo era problematico, si premuniva con una frittatina di 12 uova. Aveva poche esigenze, ma quelle riguardanti il "carburante" dovevano essere rispettate.

"Un giorno - prosegue p. Calvi - mandai a dire a p. Leone che ero in arrivo. Pensando che sarebbe venuto a prendermi, mi fermai a nord di Pakwac. Aspetta e aspetta, finalmente si fecero avanti due giovani che mi accompagnarono a casa col cavallo di San Francesco. Solo allora capii perché il Padre non si era mosso: il suo parco macchine era costituito da una vecchia Guzzi a carrello che non funzionava e dalla bici cui mancavano ambedue le pedivelle; erano rimasti solo i perni. La povertà del Padre era proprio francescana".

Imbarazzo periodico

"A cento metri dalla missione di Pakwac c'era il Rest-House governativo dove passavano la notte il commissario distrettuale e i suoi aiutanti quando erano di passaggio. P. Leone ne aveva quasi un sacro terrore, dato che gli ufficiali inglesi, sempre gentilissimi, si facevano un dovere di visitare la missione e il missionario. Questi, però, non conosceva l'inglese, per cui si sentiva sulle spine finché non se n'erano andati.

Rividi p. Leone dopo tanti anni - è sempre p. Calvi che racconta - di passaggio ad Angal, parte di un bel gruppo di Padri e Fratelli diretti ad Arua per gli Esercizi. Era l'ora di pranzo. P. Leone aveva già mangiato per cui si mise in disparte ad attendere gli altri. Mentri questi consumavano il pasto chiacchierando allegramente, egli si attaccò a un grappolo di banane, che avrebbe costituito la frutta per i commensali e così, quasi senza accorgersene, le fece sparire quasi tutte nel suo possente stomaco".

P. Calvi termina la sua testimonianza sul caro confratello dicendo: "Sono felice se ho contribuito con queste righe a onorare un missionario che ho sempre stimato".

Se non diventerete come bambini

P. Leone scriveva ai suoi circa una volta all'anno. In queste lettere, dopo qualche scarna notizia sulla salute, passava subito a pensieri e suggerimenti spirituali.

Nel 1938 esprime alla mamma tutta la sua gioia per l'ordinazione sacerdotale dei primi due sacerdoti usciti dalle missioni dei comboniani in Uganda. "Invito a pregare per essi, perché il Signore li aiuti ad essere santi".

Nel 1941, scrivendo dalla prigionia di Katigondo raccomanda ai nipotini di "essere buoni, obbedienti e di pregare per la pace. Quanto a noi, sia fatta la volontà di Dio".

"Siamo nel mese di maggio - scriveva nel 1987 - il mese consacrato a Maria, che ci spinge a pregarla con più fervore e fiducia offrendole anche numerosi fioretti. Non so se adesso se ne parla ancora, ma sono quei piccoli sacrifici che facciamo in suo onore e con i quali le mostriamo il nostro affetto".

"E' per noi che la Madonna ha partorito il divin Bambinello - scriveva in una lettera senza data. - Dobbiamo amarlo e offrirgli tanti piccoli sacrifici e preghiere".

Un nipote gli regalò una radiolina alla quale il Padre teneva tanto. In una delle solite ruberie in Uganda, i ladri gliela fecero sparire. Notificò la cosa al nipote e aggiunse: "Non procurarmene un'altra. Quella radiolina era per me motivo di preoccupazione perché avevo sempre paura che me la rubassero. Ora mi sento libero da questo pensiero, quindi io sto meglio e staranno certamente bene anche coloro che la useranno, quindi doppia felicità". Insomma, la spiritualità di p. Leone era quella della piccola via.

La sera

Nel 1989, il Padre aveva 83 anni, andò in Italia perché era bisognoso di cure, ma poi tornò ancora tra quella che considerava la sua gente. Nel 1991, ci fu il rientro definitivo.

Nel Centro Ammalati continuò la sua vita di "fervoroso novizio". Ogni tanto i suoi nipoti venivano a prelevarlo per portarlo a casa. Egli vi andava, ma era piuttosto restio a queste cose. "Io vengo solo a disturbare - diceva. - E poi la mia casa ormai è la Congregazione". Tuttavia ogni sera, prima di andare a letto, mandava una larga benedizione a tutti i suoi parenti vivi e defunti perché la Madonna li tenesse sotto la sua protezione. "Non state a fare viaggi inutili per venirmi a trovare. Io sono sempre presente in spirito e sono unito a voi nella preghiera", diceva.

A Verona accentuò, se così si può dire, la sua devozione alla Madonna. Sentendo pulsare da vicino il cuore della Congregazione, scrisse al p. generale di consacrarla al Cuore Immacolato di Maria, "seguendo in questo l'esempio del nostro fondatore Daniele Comboni che consacrò prima al Cuore di Gesù e poi a quello di Maria il Vicariato dell'Africa centrale affidato alle sue cure".

"Questa domanda è stata fatta nel 1989 e fu accolta bene dallo stesso p. generale che mi disse essere questo pure un suo desiderio. Ma quando? Tutto è finito nel silenzio".

Dopo due anni p. Leone tornò alla carica dicendo, tra l'altro: "Maria è la nostra potentissima madre. Abbiamo paura a mostrarci mariani? Ma è lei la prima missionaria! Il Papa, in ogni suo viaggio, la onora nei suoi santuari sparsi nei vari luoghi del mondo. Imitiamolo e cammineremo sempre sulla strada giusta".

Il p. generale lo ringraziò dichiarandosi confortato delle sue preghiere alla Madonna.

Mentre era a Verona gli morì un fratello. Il Padre non poté andare al funerale. "Io, però, ho seguito tutta la mesta cerimonia con la preghiera e ho offerto per lui la santa messa e il rosario".

Anche se i disturbi si moltiplicavano, egli assicurava: "Io sto anche troppo bene. Il Signore mi tratta con vera predilezione".

Nel Centro Ammalati p. Leone era elemento di serenità e di conforto per tutti. Sempre buono, sempre servizievole e disponibile, sapeva dire la parola di incoraggiamento a chi si trovava nella sofferenza. Alle parole faceva seguire il suo sorriso spontaneo che rispecchiava la sua anima limpida.

Come gli occhi della serva...

Un ictus cerebrale seguito da emiparesi sinistra costrinsero il Padre ad essere ospedalizzato d'urgenza al 4° piano del geriatrico di Negrar. Poi si aggiunsero anche crisi convulsive. Non si sa se il Padre soffrisse o no. E' sicuro che non si lamentava e passava gran parte del giorno formulando preghiere e giaculatorie.

Dopo una lunga degenza venne dimesso in condizioni generali soddisfacenti, ma il recupero restava problematico.

Si spense il 20 ottobre in seguito a complicazioni polmonari e renali. Dopo i funerali in Casa Madre, la salma è stata portata al suo paese, Lizzanella di Rovereto.

"P. Venturini - ha detto chi ha tenuto l'omelia funebre - ha sempre dato l'impressione di pace, è sempre vissuto come in un'attesa umile, in una disponibilità di servizio proprio come gli occhi della serva alle mani della sua padrona.

In missione passava ore e ore in chiesa. Anzi, la chiesa era il suo posto, quando non era in safari. La gente lo sapeva e andava per confessarsi, sicura che lo avrebbe trovato. Non aveva altri interessi, aveva il Signore.

Non si è mai permesso di criticare e di mormorare, eppure alle volte è vissuto in comunità dove i motivi di brontolare non mancavano... Gesù ne ha scelti 12 perché stessero con lui. Ecco, p. Leone è uno che ha vissuto questa spiritualità".

P. Roberto Cona, ricordando i tre anni di p. Leone trascorsi al Centro Malati, scrive: "Ricordo la tua veste bianca che ti sei portato dall'Uganda e che indossavi quando celebravi per il grande rispetto che avevi per l'Eucaristia, e che hai voluto ti fosse indossata quando ti avrebbero messo nella bara... Ricordo le tue parole che erano sempre sul Signore e sulla Madonna, anzi prima sulla Madonna perché, dicevi, Maria è colei che ci porta a Gesù, come fa con i poveri. E tu ti ritenevi povero davanti a Dio, ricco solo dei doni che vengono da Lui.

Fino all'ultimo istante della tua vita hai ripetuto tre nomi, anche quando eri in coma: Gesù, Maria, missione. Ti ho visto sorridente nella bara e so il perché, perché ti sono venute incontro schiere innumerevoli di anime che hai mandate avanti nella Casa del Padre.

Noi ora ci sentiamo più ricchi perché è rimasto tra noi il tuo esempio che ci stimola ad essere generosi e ad accettare giorno dopo giorno ciò che il Signore ci manda...".

Davvero p. Leone, che è stato definito il vice parroco degli acioli, ci lascia l'esempio di un'identità missionaria comboniana chiaramente vissuta e pienamente accettata. Che dal Cielo interceda per noi.      P. Lorenzo Gaiga, mccj

Da Mccj Bulletin n. 182, aprile 1994, pp. 74-79