In Pace Christi

Bartolucci Enrico

Bartolucci Enrico
Date de naissance : 14/03/1928
Lieu de naissance : Mercatello sul Metauro PS/I
Premiers vœux : 07/10/1946
Vœux perpétuels : 20/09/1951
Date de l’ordination : 07/06/1952
Date de consécration : 29/06/1973
Date du décès : 10/02/1995
Lieu du décès : Quito/EC

Enrico Bartolucci nacque il 14 marzo del 1928 a Mercatello sul Metauro (Pesaro). Modesta la famiglia: il papà era muratore; la stima che godeva e l'operosità che dimostrava gli permettevano di sostenere con dignità il peso di una numerosa famiglia, composta dalla sposa, da sei figli e dai nonni. Enrico fu battezzato una settimana più tardi.

Godette di un'infanzia normalmente felice, circondato dagli affetti della famiglia e da un ambiente agreste che sempre porterà nel suo cuore. Non gli mancò una precoce e solida formazione cristiana che lo porto alla Cresima (a sei anni) e alla Prima Comunione un anno dopo.

La vocazione missionaria

Durante le elementari dimostrò una chiara intelligenza, applicazione più che comune e una tenacità che lo predisponeva a prendere decisioni e a portarle avanti fino in fondo, ad ogni costo. Una di queste decisioni (di certo carica di conseguenze) fu quella di farsi missionario. Conosciuti i missionari di Comboni, manifestò la sua vocazione ed entrò nella Scuola Apostolica comboniana. Aveva undici anni.

Il periodo della formazione

Il suo curriculum formativo è lo stesso di altri centinaia di Comboniani. Dopo la Scuola Apostolica il Noviziato, e dopo il Noviziato lo Scolasticato. Una vita rettilinea e semplice, dedicata interamente alla formazione spirituale e allo studio. Niente evasioni, niente cose straordinarie. Fratel Bartolucci non andava in cerca di novità : era uno di quei scolastici (chiamati scherzosamente "becchi gialli") che rimanevano ligi alla vita notevolmente rutinaria. Niente sport, niente attività "extra muros", e nessuna di quelle attività o iniziative pratiche alle quali si dedicavano i più "scalmanati" o inclinati alle cose più concrete. Fratel Bartolucci era un appassionato dello studio e della cultura, nelle loro accettazioni più ampie: i suoi tempi liberi erano dedicati principalmente alla lettura (opere letterarie, o a fondo sociale, riviste di formazione e di attualità, qualche giornale di quelli "permessi" durante la formazione). Un po' idealista, un po' appassionato, molto sensibile, sapeva superare il suo carattere introverso e timido coinvolgendosi in sagge quanto appassionate discussioni sui temi più interessanti e candenti. Un tema di quei tempi del dopoguerra erano le questioni sociali, l'affermarsi della vita democratica, i personaggi e gli eventi di una politica democratica e cristiana, le sfide della modernità e del comunismo ... Furono queste le sue prime esperienze intellettuali e l'espressione delle sue interiori inclinazioni che lo muoveranno durante tutta la sua vita di uomo, di sacerdote e di vescovo.

Direttore delle Riviste

Con questi precedenti, uniti alla sua rettitudine, alla sua indubbia fedeltà alla vocazione e alla Congregazione (e arricchiti dalla sua conoscenza della lingua inglese e francese), appena arrivò al Sacerdozio (il 7 giugno del 1952) padre Bartolucci fu scelto per dirigere le due riviste della Congregazione, destinate, a quei tempi, a promuovere le vocazioni missionarie ed a tenere i contatti con i benefattori delle Missioni: Il Piccolo Missionario e Nigrizia.

Gli uffici delle due riviste (poco più che bollettini) erano situati in due o tre rustiche stanzette in una vecchia casetta affiancata alla mole di Casa Madre, denominata familiarmente "La Tea". Tutto era ridotto al limite minimo dell'essenziale: un paio di vecchie macchine da scrivere, due tavoli ed alcuni armadi e scaffali.

P. Bartolucci, con la brillante collaborazione di p. Raffaele Gagliardi, cominciò a concretizzare i suoi ideali per le cose grandi e belle. Con un lavoro da certosini (che si prolungava durante la notte), e senza l'aiuto di segretarie, bibliotecari e computers, le due riviste poco a poco assunsero una veste più brillante e affrontarono temi nuovi.

Più tardi, con l'arrivo del p. Alberto Doneda, si allungo il passo. P. Bartolucci poté dedicarsi in pieno a trasformare Nigrizia, a incrementare la cerchia dei collaboratori, a formare una biblioteca specializzata, a mantenere i contatti "ad alto livello" con altre riviste; mentre p. Doneda si dedicava al Piccolo Missionario e curava la redazione e impaginazione di Nigrizia. La rivista assunse un nuovo sottotitolo "Fatti e Problemi del Mondo Nero", e su questa linea, con formato nuovo e più pagine, entrò nel giro delle grandi riviste missionarie italiane e mondiali. I contenuti cominciarono a girare intorno ai "fatti e problemi" del mondo africano, in quegli anni assai tumultuoso ed interessante, per via del passaggio dal colonialismo all'indipendenza delle diverse nazioni.

P. Bartolucci viveva con entusiasmo questi eventi:

"Sono stato, in quegli anni Cinquanta e inizio dei Sessanta, un entusiasta e convinto sostenitore del processo d'indipendenza africana, pur soffrendo per il passaggio troppo brusco e traumatico. Ho vissuto alcuni momenti felici, quando sembrava possibile un'indipendenza con una certa dignità e speranza ... Ma appena arrivato in Burundi (nel 1963) ho cominciato a sentire le difficoltà...: la rivolta dei Simba nell'ex Congo Belga... " (Int. p., 173). E poi vennero le stragi nel Burundi del 1972, la questione del Biafra e decine di altre vicende tristi.

Probabilmente, questo contrasto tra ideali e realtà concrete, fu la prima di numerose simili esperienze per le quali gli tocco passare durante il resto della sua vita.

Oltre al suo lavoro di direttore, p. Bartolucci ebbe modo di ampliare la sua conoscenza e attiva presenza nel mondo missionario e africano partecipando a riunioni, congressi e incontri che caratterizzarono la rinascita dell'animazione missionaria in Europa. Ebbe come colleghi e amici tutti i grandi missionari e missiologi del momento, i fondatori di nuovi movimenti missionari assistenziali e di promozione umana; presto assistenza agli studenti africani in Europa; collaborò con giornali e riviste specializzate. In una parola, divenne una personalità riconosciuta e apprezzata a livello europeo.

Missionario in Burundi

Dopo nove anni di attività instancabile e fruttuosa, finalmente divenne realtà il suo sogno di essere missionario in Africa. Fu destinato alle fiorenti missioni del Burundi. Qui lavorò come parroco a Mabay. Gli costò molto imparare la lingua locale, ma superò la prova. Oltre il pesante lavoro parrocchiale (20.000 cristiani fervorosi sparsi per le colline) p. Bartolucci si distinse per le sue buone e amichevoli relazioni con un qualificato settore di laici cristiani ai quali diede piena fiducia inserendoli responsabilmente nell'attività pastorale (maestri, catechisti, intellettuali). Inoltre prese parte in una esperienza di Catecumenato (con caratteristiche postconciliari) che portò alla pubblicazione del Rituale per il Battesimo degli Adulti. Fu uno dei primi a propiziare esperienze di inculturazione nella liturgia, dando sfogo a una sua "passione" per il canto e la musica del mondo africano.

Segretariato delle Missioni

Questa breve esperienza di cinque anni potenziò ed illuminò il suo lavoro quando fu chiamato a Roma per dirigere il Segretariato delle Missioni Comboniane. All'inizio si trattava di un semplice lavoro organizzativo, ma, piano piano, P. Bartolucci lo rinnovò con la sua "impronta" di specialista delle missioni e di appassionato di tutte le orientazioni, nel campo missionario, che sorgevano dalla folata di spirito nuovo sollevata dal post-Concilio. Fu un periodo fertile per la sua attività di giornalista, pubblicista e scrittore missionario, in una città come Roma, crocevia di idee e di personalità, centro del mondo cristiano.

P. Bartolucci sentiva come non mai la sua vocazione "africana". Fu certamente la sorpresa della sua vita sentirsi chiamato dal Papa ad una missione in America Latina, come secondo vescovo di Esmeraldas. "L'Africa l'ho conservata nel cuore..." (Int p. 174).

Vescovo di Esmeraldas

Accettò il nuovo incarico, anche se con una buona dose di timore e stupore. Però non si tirò indietro e si consolò pensando che la sua sarebbe una vera impresa da missionario in prima linea:

"Quando in Italia si parla di America Latina, tutti pensano immediatamente ad un continente cristiano, evangelizzato da quattro o cinque secoli ... Non è così invece: ci sono in America Latina vastissime regioni, come appunto quella di Esmeraldas, che pur essendo abitate da gente in gran parte battezzata, hanno avuto il primo vescovo e la prima cattedrale solo venti o trent'anni fa. Nelle diocesi del Burundi, con meno del 50 per cento di battezzati, eravamo certo molte decine di anni più avanti che Esmeraldas per quanto riguarda l'istruzione religiosa e l'organizzazione della Chiesa" (Int. p. 173). Quasi alla fine della sua missione dirà:"A Esmeraldas ho passato degli anni belli ma anche duri. Ho dovuto morire per rinascere di nuovo, come capita ad ogni missionario" (Int. p. 174).

Lo aspettavano 22 anni "duri", e dovette "sentirsi morire" più di una volta. I primi dieci anni, in cui godette di una buona salute, furono forse i meno duri, in quanto, appena superati i primi disagi del clima, della lingua e dei rapporti umani, si gettò decisamente nei suoi impegni episcopali raccogliendo una messe di riconoscimenti, di rispetto e di affetto da parte di tutti. Gli piaceva lavorare a tavolino, ma anche visitare i posti più lontani del vicariato, conoscere la gente, parlare, scrivere, impegnarsi in nuove iniziative, promuovere l'organizzazione e la crescita della Chiesa, formare migliori agenti di pastorale. Lavoro che gli fù facilitato dalla omogeneità del suo clero, prevalentemente comboniano, dalle missionarie comboniane e da un ambiente sociale ancora tranquillo e maneggiabile.

Difficoltà e sofferenze

Nel secondo decennio aumentarono molto le difficoltà. Oltre che ad apparire i primi sintomi della sua malattia (la prima grave operazione fu nel 1985) si manifestarono altre difficoltà esterne. Anzitutto la diminuzione numerica dei Comboniani e delle Comboniane, con la "cessione" scaglionata di parrocchie e opere e la "rotazione" di molti missionari sui quali monsignore faceva affidamento. Inoltre precipitarono i fatti di Muisne che causarono conflitti con il Governo e la popolazione; poi ci furono le presunte "apparizioni" di Tachina, che crearono altri conflitti e problemi. Si complicò la situazione sociale e politica, con movimenti migratori dalle campagne alle città (con tutti i problemi delle invasioni di terreni e la creazione di "barrios" di miseria ed esasperazione). Anche la vita democratica della nazione si fece sempre più esacerbata per la crescita di partiti estremisti che provocarono lunghi periodi di instabilità e di lotte. Questo si accentò con il ritiro del Card. Muhoz Vega che era stato per molti anni un solido punto di riferimento e di equilibrio socio-politico.

Si aggravò anche la situazione sanitaria con l'apparizione di epidemie, come il paludismo del tipo "denghe", la oncocercosi ed il colera. Queste ed altre circostanze che resero sempre più difficile il maneggio della situazione pastorale e sociale (circostanze che in questo ambito non possiamo approfondire) furono certamente la grande croce di mons. Bartolucci nel secondo decennio. La sua "preoccupazione per la Chiesa, il suo desiderio di raggiungere certe mete e realizzare certi ideali che si era proposto, contrastavano con la mancanza di collaboratori e di mezzi per influire positivamente sul progresso spirituale e sociale della popolazione.

Ciò nonostante, continuò tenacemente (quasi accanitamente) l'attività di Mons. Bartolucci, come vescovo e pastore di Esmeraldas.

Un pastore di grande vedute

Tra le opere da lui decisamente volute e realizzate, possiamo indicare le più eminenti: fondazione delle religiose Missionarie Diocesane del Sacro Cuore; pubblicazione del Direttorio di Pastorale del Vicariato; stabilizzazione definitiva del Seminario Minore in Esmeraldas e del Maggiore in Quito; fondazione delle riviste "Apertura" (di tipo culturale-pastorale) e "Iglesia Joven" (come vincolo di unione tra i cristiani); la fondazione dell'Università Cattolica; la creazione di altri componenti culturali come la Biblioteca specializzata, la Libreria e Tipografia cattolica, il Museo Archeologico; la pubblicazione di un libro di Canti e Preghiere della Comunità e di Guide paraliturgiche per le comunità prive di sacerdote; la promozione di un servizio di assistenza sanitaria per le campagne. Come "pupilla dei suoi occhi" ricordiamo la creazione della emittente "Radio Antena Libre".

Costruire la Chiesa locale

A queste opere "sue" dobbiamo aggiungere una gran quantità di altre iniziative pastorali, educative e di promozione umana, realizzate come continuazione logica di processi già iniziati, o proposte e sostenute dalle nuove Congregazioni arrivate in Vicariato, dai parroci e dai diversi agenti di pastorale. Tra le principali opere di questo genere citiamo:erezione di nove parrocchie nuove, otto delle quali in città, nei "barrios" marginali; l'apertura di 13 asili infantili, di una quindicina di scuole elementari, medie e superiori, di tre scuole per corrispondenza o radiofoniche; l'Istituto Pedagogico per la formazione di maestri; l'Istituto, per Bambini Handicappati; il Villaggio dei Bambini; il Villaggio degli Anziani: due case per la protezione della ragazze bisognose; il Centro di Spiritualità "Santa Croce"; il Centro Vocazionale-giovanile Beato Juan Diego; il Monastero delle Suore Trappiste, ecc.

Mons. Bartolucci diede la sua approvazione e sostenne con entusiasmo una lunga serie di associazioni, movimenti o gruppo d'ogni tipo, generalmente operanti a livello parrocchiale: tra i molti citiamo: Le Comunità Neo-catecumenali, la Rinnovazione nello Spirito, la Legione di Maria, l'Associazione Lampade Viventi, le Comunità di Base, l'Infanzia Missionaria, i Focolarini, i Gruppi giovanili, biblici e di orazione, gli Scouts, i "rezanderos", i ministri dell'Eucaristia, l'Associazione dei Padri di Familia (APAFAE); il Movimento Pastorale Afro...

Pastorale di frontiera

Si interessò della Pastorale di Frontiera, della regolarizzazione di immigranti senza documenti e delle iscrizioni tardive al Registro Civile (anagrafe), dei problemi della distribuzione di terre, della protezione dei boschi e del rimboschimento, della raccolta di documentazione sulle culture afro e indie, della musica e del folclore locale e di cento altre cose.

Questa straordinaria operosità, e il fatto di dover sostenere e guidare "nella retta via" tutte queste realtà apostoliche e promozionali, non solo moralmente ma anche finanziariamente, gli creava molte preoccupazioni. Malgrado apprezzasse e approvasse tutto, ogni tanto "gli pareva di essere nel cuore di una valanga" irrefrenabile che continuava a crescere senza fermarsi mai. Ogni tanto, quando gli sembrava che qualcuno esagerasse o deviasse, allora accorreva a vigilare e a raddrizzare qualche eccesso di zelo.

Malgrado questo, ogni giorno lo attraeva qualcosa di nuovo, e non era capace di dire di no. Solo ogni tanto bonariamente si lamentava e diceva: "Ci sono tante belle cose che vorrei fare e non posso fare, ... ed altre che non vorrei fare e devo fare lo stesso". Vedeva solo il bene e non era capace di dire di no a nessuno. Questo, forse, era il suo limite.

La Chiesa cresceva

Durante 22 anni il Vicariato crebbe in tutte le dimensioni e si organizzò. Quando incomincio la ritirata delle forze comboniane, Monsignore dovette fare miracoli per attrarre al Vicariato forze nuove. E ci riuscì in gran parte.

Entrarono al Vicariato i Padri della Comunità Cavanis, i Salesiani, i Padri e Fratelli della Comunità Cottolengo, i Missionari della Fede, la Comunità ADSIS, la Associazione San Pablo, l'Associazione "Hogar de Nazaret", una dozzina di Congregazioni femminili e una lunga serie di missionari laici e volontari. In più, vari sacerdoti Fidei Donum di differenti diocesi.

Attualmente i sacerdoti nativi sono cinque, gli incardinati tre, le Missionarie Diocesane una dozzina. I seminaristi sono circa venti. Malgrado questa apparente "falange apostolica" il personale non ancora sufficiente per la situazione attuale e molto meno per le prospettive che si prevedono.

"Ho cercato tanto di chiamare altre forze, per non dare alla Chiesa locale la sola impronta dei comboniani... Questa pluralità di presenze può aver causato qualche piccolo scompiglio, ma è stata estremamente positiva, perché oggi abbiamo una grande ricchezza di iniziative e uno scambio che arricchisce tutti..." (Int. p. 178).

In queste due frasi si rivela l'impenitente ottimismo ed il tatto di Mons. Bartolucci.

"Quando sono arrivato ad Esmeraldas c'erano tre suore esmeraldegne; adesso sono una sessantina ... Tre o quattro sono missionarie in Africa! Quando gli abitanti di Esmeraldas hanno visto i primi sacerdoti e le prime suore nere erano stupiti ed esaltati ... E' difficile immaginare quale rivoluzione ciò rappresenta in una cittadina come Esmeraldas e in un popolo marginato come quello nero" (Int. p. 178).

Monsignore mette in evidenza il suo spirito missionario e il suo antico amore per l'Africa, anche se sottace una nota stonata: all'infuori delle Missionarie diocesane, nessuna delle altre suore esmeraldegne lavora in Esmeraldas. Sono "emigrate"...

Per un cristiano, un sacerdote e un vescovo della taglia di Mons. Bartolucci, l'ottimismo puro e una certa innocenza di fronte alla realtà concreta, sono espressioni di fede, di fiducia cieca nella Provvidenza e di certezza dell'avvento del Regno.

Un vero uomo di Dio

Monsignore era un uomo che si potrebbe definire "secondo il cuore di Dio". Unica era la sua "mansuetudine", e la sua "pace" imperturbabile. Non ricordo di averlo mai visto irritato o agitato. Un po' amareggiato, sì, un po' puntiglioso su certe cose che gli parevano importanti, sì. Ma sempre fondamentalmente sereno e condiscendente. Mai duro. Amava il dialogo e lo sosteneva, perfino quando era praticamente impossibile.

Tutto questo gli veniva dalla sua vita di preghiera e di meditazione. Per quanto lunghe fossero le sue giornate di viaggi e di lavoro, due o tre ore al giorno le dedicava alla preghiera. Pregava e cantava con un entusiasmo infantile, sempre fedele, sempre il primo. Il suo studio ed il suo dormitorio erano gremiti di mucchi di libri e riviste, tra cui primeggiavano i temi di meditazione, vita spirituale e mistica, vite di Santi e simili.

Le sue "Lettere Pastorali" e le sue "Lettere ai Sacerdoti e Seminaristi" (oltre una cinquantina) esprimono tutta la sua anima di Pastore e la sua ansia di essere santificatore del suo popolo e del suo clero. Ogni mattina ed ogni sera Radio Antena Libre faceva risuonare la sua voce attraverso tutto il Vicariato: parlava di Dio, della preghiera, dell'amore al prossimo, della Chiesa, con l'ispirazione e l'intensità di un vero uomo di Dio.

Per questa sua profonda spiritualità (vale la pena di ricordarlo) in seno alla Conferenza Episcopale Equatoriana gli venne affidata (dopo quella delle Missioni) la presidenza della Commissione Episcopale per la "Missione Santificatrice della Chiesa".

Fedelissimo ai ritiri mensili, alla sua confessione settimanale, alle pratiche religiose proprie della Congregazione Comboniana, si conservò "religioso" in tutti gli aspetti della vita. Si commentava che era più Comboniano di tutti i Comboniani del Vicariato, e più religioso di tutti i religiosi. Pur maneggiando centinaia di milioni, viveva come un povero, dipendendo in tutto dagli altri, senza mai avere in tasca un soldo e fare qualche spesa per se stesso. Anche la sua obbedienza "alla Chiesa" (a tutte le disposizioni e desideri della Santa Sede o della Conferenza Episcopale) era di una incredibile perfezione ed adesione, fino ai dettagli.

Parlano i testimoni

Negli ultimi anni, la durissima croce della sua malattia certamente ridusse qualche sua attività esteriore, come i viaggi e le visite pastorali, ma servi a raffinare la sua sete di preghiera, la sua pazienza, la sua vita interiore e la sua fiducia in Dio: in una parola, la sua santità.

Mi permetto di sintetizzare e di completare il ritratto di Mons. Bartolucci con la testimonianza di due missionari comboniani che, come me, hanno convissuto e lavorato a suo fianco per oltre trent'anni, in Italia, in Africa e in Esmeraldas: il p. Gianpaolo Pezzi e il p. Pino Mariani.

"Coloro che lo han conosciuto da vicino lo ricorderanno come un uomo di profonda fede, grande cultura e sincero amore per la gente, caratteristiche che marcarono la sua azione di sacerdote e vescovo. La sua fiducia nella gente (sacerdoti, religiosi e laici) era sincera e convinta ... La sofferenza spirituale accompagnò sempre la sua responsabilità di vescovo...

Era stimato internazionalmente per le sue opere ed articoli: buon oratore, era soprattutto un fecondo ed attrattivo scrittore. Apprezzato nella Chiesa in Ecuador, perché, senza essere estremista, era coraggioso nel difendere i Diritti Umani, nel promuovere le culture, nel servire ai poveri. Nel suo Vicariato era molto amato: la gente lo vedeva come pastore e padre, i suoi sacerdoti si sentivano compresi e sostenuti, le sue religiose si sentivano stimate ... Rispettava ed amava le autorità e gli uomini politici, cercando sempre e spesso ottenendo una positiva collaborazione per il bene della gente, anche se le sue relazioni con loro non furono sempre facili: nei suoi articoli e discorsi non risparmiava critiche alla corruzione e all'abbandono in cui viveva la provincia, e la sua sensibilità spirituale lo inclinava verso i più Doveri e diseredati ... Il (p. G. Pezzi).

"Il nostro vescovo morì come muoiono i santi. Nel momento in cui si abbandonò serenamente alla morte, rimasi contemplandolo, con le sue mani ancora strette nelle mie, convinto com'ero di stringere le mani di un santo nel momento in cui celebrava il suo incontro definitivo con Cristo risorto, nella casa del Padre" (p. P. Mariani).

Tre gravi operazioni addominali per estirpare i focolai del tumore lo condussero rapidamente alla morte. Morì in Quito, il 10 febbraio 1995. Le sue ultime parole furono dedicate ad esprimere il suo amore alla Madonna ed il suo amore per Esmeraldas.

Testamento spirituale

Nella sua lettera per il Natale del 1994 volle lasciare il suo testamento spirituale. In essa compendiò la sua esperienza di padre e pastore con queste parole: "Oso affermare che vi ho amato molto e che mi sono sentito molto amato da voi".

Però riuscì a scrivere una ulteriore lettera agli amici e benefattori: "Io me ne andrò, però Esmeraldas rimane. Di fatto, il cammino della Chiesa non finisce mai. Siamo noi che finiamo. Adesso sto lottando per la mia salute. E' una lotta dura. Solo Dio sa quando e come finirà... Io soltanto so che, in un modo o nell'altro, alla fine vincerà l'amore di Dio. Ed il mio incontro con l'amore di Dio si farà realtà attraverso un'obbedienza gioiosa, anche se dolorosa, alla sua volontà. Abbandoniamoci tranquilli nelle mani di Dio che sono buone e sicure...".

Le sue ultime parole pubblicate in "Iglesia Joven" sono quelle apparse nel primo numero del 1995: un articolo-lettera a tutti i sofferenti annunciando la "Giornata Mondiale dell'Ammalato", da celebrarsi l'undici febbraio. Ricordiamo che ai primi vespri di questa giornata avvenne la sua morte. Termina con queste parole: "Cari fratelli ammalati, l'undici febbraio è il nostro giorno. Chiederemo alla Vergine Maria che ci conceda la forza ed il coraggio per portare la nostra croce con generosità e con tanto amore. Ci abbandoniamo nelle mani di Dio che ci ama con un amore infinito e ci tiene preparato un posto nella sua Casa, nel Cielo. Là, finalmente, conosceremo e godremo l'amore eterno, la pace per sempre, la felicità che non terminerà mai".

L'ultimo saluto

Il suo corpo venne portato ad Esmeraldas il giorno undici febbraio ricevuto dalla gente con manifestazioni di grande dolore e di grande affetto. Tutta la gente che lo aveva conosciuto e stimato passò l'intera notte in veglia e in preghiera intorno al feretro, nella Cattedrale. Il giorno dopo si celebrò la Messa funebre con la presenza di trenta sacerdoti, sette vescovi e il Nunzio Apostolico in Ecuador. Mons. Bartolucci riposa nell'atrio della Cattedrale, a fianco di Mons. Angelo  Barbisotti: i due primi vescovi di Esmeraldas che, pur con uno stile diverso, si sono santificati ed hanno santificato questa piccola porzione del Regno di Dio sulla terra.      P. Alberto Doneda, mccj

Nota: Le citazioni Int. si riferiscono a una lunga intervista che padre Pietro Gheddo fece a Mons. Bartolucci nel 1990 e che si pubblicò in "Mondo e Missioni" del marzo dello stesso anno. E' molto significativa per comprendere molti aspetti meno noti ma assai profondi della personalità e del pensiero di Mons. Bartolucci. Sfortunatamente, data la lunghezza del testo, non è possibile utilizzarla di più.

Da Mccj Bulletin n. 188, luglio 1995, pp. 87-96

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Henry Bartolucci was born on 14th March 1928 at Mercatello-on-Metauro (Pesaro). The family was not well-off: his father was a bricklayer, but had a reputation for hard work, so was able to support the whole family - wife, six children and two of the grandparents - with some dignity. Henry was baptised a week after his birth.

His infancy was normal and happy, which is always a good start. He had the love of his family, and the rural surroundings which he never forgot. He also received a solid Catholic up-bringing, and was confirmed at the age of six, making his First Communion a year later.

Missionary vocation

During his primary education he showed a marked intelligence and uncommon application to his school-work, together with a determination that led him to take decisions and then follow them through, come what may.

One of these decisions (certainly loaded with consequences) was to become a missionary. When he met the Comboni Missionaries, his mind was made up immediately, and he entered their junior seminary, aged eleven.

Formation

The programme of the next few years followed that of hundreds of other Comboni Missionaries: after the "Apostolic School", as missionary junior seminaries were called, came the Novitiate, and after the Novitiate the Scholasticate. A straight-ahead, no-frills life, given completely to formation and studies. No place to be side-tracked, or time for anything out of the ordinary. Henry was the typical book-worm ("yellow beak" in Italian, a jocular but not wholly complimentary expression) who stuck to a life of routine. He was not very keen on sports or extra-mural activities - indeed, little attracted to concrete or practical occupations of any kind. He had a passion for study and culture, in the widest sense of the words: his free time was given to reading, from works of literature and social sciences, to religious and news magazines, and the newspapers that were "permitted" during the years of formation.

Partly idealistic, partly passionate and wholly sensitive, he overcame his tendency to be withdrawn and timid by engaging in deep, and often heated, discussions on the foremost and most controversial issues of the day. During those post-war years, among the main topics were social questions, growing democracy, the people and events of Christian Democrat politics, the challenges of modernism and of Communism.

These were all among his early experiences of debate and of self-expression, and demonstrated the interior inclinations that would guide him as a man, a priest and a bishop.

Editor

With this background and his strict honesty, his obvious love of his vocation and of the Institute (with the added advantage of knowing English and French), as soon as he was ordained - on 7th June 1952 - Fr Bartolucci was appointed director of the two magazines of the Institute, which at that time were mainly instruments for vocations promotion and for keeping in touch with benefactors: Il Piccolo Missionario and Nigrizia.

The editorial offices of the two magazines (then hardly more than newsletters) were in two plain little rooms in a small building next to the mass of the Mother House. Just the bare essentials: two typewriters, two tables, a few shelves and cupboards.

Fr Bartolucci, with the brilliant Fr Raffaele Gagliardi (who unfortunately died young) as assistant, began to put his ideas for something big and worthwhile into effect. It meant long hours of work, often late into the night, and without the secretaries, librarians and computers of today. Slowly the two magazines took on a new appearance and a wider field of topics.

Later, with the addition of Fr Alberto Doneda, the pace quickened. Fr Bartolucci was able to concentrate on Nigrizia, transforming the magazine, widening the field of contributors, keeping in touch with other editors. Fr Doneda took over Piccolo Missionario and the lay-out of Nigrizia. The magazine got a sub-title: "Facts and Problems of the World of Black People". With this, a new format and extra pages, it took its place among the important missionary magazines of Italy and of the world. They were tumultuous and thrilling times, with Africa moving out of colonialism and becoming a continent of independent nations.

Fr Bartolucci lived the times with excitement:

"I was an enthusiastic and convinced supporter of African independence in the late 50's and early 60's, even though the swift and often traumatic change-over caused much anxiety. There was a time of happiness, when it seemed that an independence filled with dignity and hope would be possible... Later, when I went to Burundi (1963), I began to see the problems... then came the Simba rebellion in the ex-Belgian Congo..." (I,173. Note: these quotations are taken from an interview given to Fr Piero Gheddo of "Mondo e Missioni" early in 1990, and published in that magazine in March of the same year. The numbers are page numbers). Later there were the massacres in Burundi and Biafra, and many other sad events. He would be acutely aware of the contrast between ideals and reality for the rest of his life.

As editor, Fr Bartolucci was able to widen his knowledge immensely, and to be actively present in matters touching the Missions and Africa, by his participation in many of the meetings and conferences that marked the new missionary awareness in Europe. A good number of missionaries and mission experts were friends and colleagues, as were founders of what are now known as Non-governmental Organisations for assistance and human development. He followed up African students in Europe, contributed to specialist magazines and books. He became well-known throughout Europe in his field.

First mission: Burundi

After nine years of tireless and productive work, his ever-present dream of being a missionary in Africa was fulfilled when he was posted to the flourishing missions of Burundi. He became Parish Priest of Mabay, once he had managed, with enormous effort, to get to grips with the language. Apart from the exhausting work of looking after 20,000 Catholics scattered across a hilly area, he paid particular attention to the "professional" lay people (teachers, catechists, intellectuals), involving them in pastoral activities. He also took part in a study of the Catechumenate (with post-Vatican II characteristics) that contributed to the publication of the Rite of Christian Initiation of Adults. He was one of the first to advocate experiments in the inculturation of Liturgy, giving free rein to his passion for African music and songs.

Missions Secretary

The short (five years) experience was very useful when he was called to Rome to head the Secretariat for Evangelization of the Comboni Missionaries. At first it was a matter of organisation, but developed, as Fr Bartolucci applied his own experiences and characteristics, with all the new directions being inspired by the Spirit in the post-Conciliar period. It was a very fruitful time for various activities as a journalist, publisher and missionary writer, in a city like Rome, a cross-roads of ideas and of personalities, the centre of the Christian world.

He felt his "African" vocation very powerfully during his time in Rome. So it was rather a shock when the Holy Father asked him to turn to Latin America, as the second Bishop of Esmeraldas. "I have always kept Africa in my heart" (Int,174).

Bishop of Esmeraldas, Ecuador

He accepted the new appointment, though not without "surprise and apprehension". He was encouraged by the thought that it was a front-line missionary undertaking.

"When we talk about Latin America in Europe, most people think of a continent that is largely Catholic, evangelised four or five centuries ago. But there are vast areas - Esmeraldas being one of them - inhabited by people who are mainly unbaptised. They got their first bishop less than 30 years ago. In Burundi, with less than 50% baptised, we were still far ahead of Esmeraldas as regards Church organisation and structures (I,173).

Towards the end of his mission, he would say:

"In Esmeraldas I spent my happiest and hardest years. I had to die and be born again, as happens to every missionary" (I,174).

The hard years were 22 altogether, and he had to "die" more than once. Maybe the first ten were easiest: his health was still good, and once he had overcome the difficulties of the language and the climate, he was able to throw himself into his pastoral work as Bishop, and won the recognition, respect and love of everyone. He liked to work at his desk, but also to visit every corner of his diocese, to get to know the people, talk to them, start off new initiatives, write, organise the development of the Church and the training of pastoral workers. The clergy and religious were all Comboni Missionaries, and there was peace - elements that helped a lot.

Obstacles and difficulties

During the second decade it became tougher. Besides the first signs of his illness (the first major operation dates from 1985), difficulties mounted. The number of missionaries decreased, with some of those he depended on most being "rotated" out of the diocese; parishes and other structures were "handed over". The political and social situation deteriorated. First the events of Muisne, which brought people and government into conflict; then the so-called "apparitions" at Tachina, which caused more conflict. Migration into urban areas increased, with land-grabbing and the appearance of slums (barrios) leading to anger and destitution. Extremist political parties sprang up, increasing the instability and the violence. It became worse when Cardinal Muños Vega retired; he had been a uniting force for many years.

Even the health situation worsened, with the increase of malarial fevers such as dengue, along with river-blindness and cholera. All these elements made the pastoral and social situation much less manageable (there is no room to go into details). Bishop Bartolucci suffered greatly, as he found himself without the personnel and means to handle the problems and remain on course to complete his aims and projects for the spiritual and social progress of the people.

A far-sighted Pastor

He stuck tenaciously to his work as Bishop and pastor of Esmeraldas. Among the undertakings he was most determined to carry out, we can mention the following:

The foundation of the Missionary Sisters of the Sacred Heart in the diocese; publication of a Pastoral Directory for the Diocese; putting the Minor Seminary in Esmeraldas and the Major Seminary in Quito on a firm footing; setting up the magazines Apertura (cultural-pastoral) and Iglesia Joven (a link between all the faithful); the founding of the Catholic University; the creation of other cultural structures such as the Library, the Bookshop and the Press, and the Archeological Museum; the printing of a book of prayers and hymns for community use, and of paraliturgical functions for communities to use where there were no priests; health care in rural areas. And, the "apple of his eye", the radio station, Radio Antena Libre.

Building up the local Church

To these `personal projects' we have to add a great number of pastoral, educational and development initiatives that were the logical result of all that he had set in motion, or were proposed or supported by the new missionary Institutes that came into the diocese, or by the clergy and the people. Let us mention some of the important ones:

Erection of new parishes, eight of which were in the new suburban barrios; 13 kindergartens, 15 or so schools at different levels, three correspondence/radio schools; the Paedagogical Institute to train teachers, the Institute for Handicapped Children, Boys' Town, Old People's Homes; two centres to care for girls at risk; the "Holy Cross" Centre for Spirituality, the Blessed Juan Diego Vocational Centre for Youth; the Monastery for Trappist Sisters.

Bishop Bartolucci gave his approval, and often his enthusiastic support, to countless associations, movements and groups of all kinds, that were active mainly at parish level. Among them: the Legion of Mary, Neo-Catechumenal Movement, Renewal in the Spirit, Small Christian Communities, Living Lamps Movement, Focolare Movement, Holy Childhood, youth, prayer and Bible groups, Scouts, Eucharistic Ministers, the Association of Heads of Families (APAFAE), the Afro Pastoral Movement.

He also took an interest in socio-pastoral care of immigrants, getting them documents and national registration (in the "Civil Register"); in land distribution and ecological problems; in the gathering of documentation on the cultures of the Afros and the Indios; in local music and customs, and much more.

This extraordinary amount of activity, and the need to guide and support most of these initiatives, both morally and financially, caused him endless head- aches. Even though he approved and appreciated everything, it seemed at times that he was caught in an avalanche that was well-nigh uncontrollable, and that grew all the time! At times, he had to chase after straying sheep and bring them back into line. In spite of this, he was never able to say no when something attracted him; maybe this was his drawback.

The Church grew

The Vicariate grew in size and organisation during his 22 years. One thing he had to do, both to introduce variety and to replace the Comboni Missionaries who were moved elsewhere, was to bring in new forces. To a great extent, he succeeded.

He obtained priests from the Cavanis Community and the Salesians; priests and brothers from Cottolengo, from several Spanish and Latin American Associations; Sisters from a dozen Congregations and a long series of Fidei Donum priests and lay volunteers.

At present there are five priests from the diocese itself, and three others incardinated, with a dozen Missionary Sisters and about 20 seminarians. While forming a good basis, they are insufficient for present needs, let alone future prospects.

"I tried to bring in different forces, so as not to give a single Comboni Missionary "imprint". The variety caused some confusion, but it has been very positive, because we have a wide range of initiatives and a sharing that enriches everyone" (I,178).

"When I reached Esmeraldas there were three local Sisters, and now there are about 60: two or three are missionaries in Africa! When the people in Esmeraldas saw the first black priest and nuns, they were amazed and overjoyed: it is hard to imagine what a revolution that was in a city like Esmeraldas and among the outcasts - which is what the black people were" (I,178).

These sentences illustrate both his optimism and his tact. He is happy for Africa, his old love, but does not mention that apart from the diocesan Missionary Sisters, none of the others work in the country: they all "migrated".

For a Catholic, a priest and a Bishop of the stature of Bp. Bartolucci, pure optimism and a certain innocence in the face of reality are expressions of faith, of blind trust in Providence and a certainty regarding the coming of the Kingdom.

A true man of God

He could be called "a man after the heart of God". His meekness and unshakeable "inner peace" were unique. I cannot remember ever seeing him angry or agitated. Saddened by some things, yes; strict about others that he considered important, yes; but basically serene and kind. Never hard. He liked to talk things through, and would keep trying even when it was practically no longer possible.

All this came from his life of prayer and meditation. No matter how long his days of work or travel were, he set aside two or three hours for prayer. He prayed and sang with enthusiasm, like a child; he was always faithful to "practices of piety". His study and bedroom were stacked with books, many of them on topics of meditation, spirituality, mysticism, lives of saints.

His Pastoral Letters and those to Priests and Seminarians (over 50) show him as a Pastor, anxious for the sanctification of his people and clergy. Every morning and evening he spoke on Radio Antena Libre: about God, prayer, love of one's neighbour, the Church - with the inspiration and the intensity of a true man of God.

It is worth mentioning that his deep spiritual life led him to be elected Chairman of the Commission "for the Sanctification of the Church" in the Episcopal Conference (as well as that of the Missions, obviously).

He was always faithful to the monthly day of Recollection, to his weekly Confession and to the devotions of the Comboni Missionaries. It was said of him that he was the most "Combonian" of all the missionaries, and more "religious" than all the religious. He handled vast sums, but always lived poorly, depending on others, without a penny in his pocket, never buying anything for himself. His obedience "to the Church" (the decisions of the Bishops' Conference as well as those of the Holy See) was complete, right down to small details.

Testimony

During his last year, the heavy burden of his illness cut down most of his activities, but sharpened his desire for prayer, his patience, his interior life, his trust in God - in a word, his holiness.

I want to summarise and complete the portrait of Bishop Bartolucci with the words of two Comboni Missionaries who, like me, lived and worked beside him for thirty years and more, in Italy, in Africa and in Esmeraldas.

"Those who knew him well will remember him as a man of deep faith, a wide culture and a sincere love for the people: characteristics that marked all his work as a priest and Bishop. His belief in the people (priests, religious and laity) was quite sincere and convinced... Spiritual pain always went with his episcopal responsibility...

He enjoyed international esteem for his work and his writings. He was much appreciated by the Church in Ecuador because, without becoming an extremist, he was courageous in the defence of Human Rights, in promoting cultures, in serving the poor. He was greatly loved in his Vicariate: the people looked on him as a father and pastor; the priests felt they were understood and supported, the Sisters knew they were valued... He respected and loved the authorities and political personages, always seeking a positive cooperation for the good of the people, even though dealing with them was not often easy: in his articles and addresses he was unsparing in his criticism of corruption and of the way the Province was neglected; his inclination was towards the poorest and the destitute..." (Fr Gianpaolo Pezzi).

"Our bishop died the way saints do. At the moment he gave himself up serenely to death I stayed there looking at him, his hands still grasped in mine, convinced that I was holding the hands of a saint at the instant that he celebrated his definitive encounter with the Risen Christ, in the House of the Father" (Fr. Pino Mariani).

Testament

Three major abdominal operations to try to remove the base of a tumour only succeeded in hastening his end. He died in Quito on 10th February 1995. His last words were an expression of love for Our Lady and for Esmeraldas.

In his Christmas letter of 1994, he left a spiritual testament, in which he summed up his years as father and pastor in these words:

"I feel I can say that I have loved you all very much, and that I have felt you loved me."

Later, he managed another letter to friends and benefactors: "I am going, but Esmeraldas will remain. Indeed, the Church always goes on. We are the ones that come to an end. Now I am fighting for my health, and it is a hard struggle. Only God knows how it will end... All I know is that, in one way or another, God's love will always win through. And my encounter with the love of God will be achieved through joyful obedience, even though filled with pain, to His will. Let us put ourselves trustfully and peacefully into His strong hands..."

His last published words were in Iglesia Joven - an article in the first issue of 1995 for the World Day for the Sick (11th February); he died at the first Vespers of that day:

"Dear suffering brothers and sisters, February 11th is our day. We will ask Our Lady to give us the strength and courage to carry our Cross, generously and with love. We place ourselves in God's hands: His love for us is infinite, and he has a place prepared for us in Heaven. There we will finally come to know and enjoy eternal love, everlasting peace, unending happiness."

Last farewell

His body was taken back to Esmeraldas on 11th February, with people turning out all along the road, and a huge manifestation of love and grief in the city.

The Cathedral was crowded the whole night as he lay in state. The following  day the Apostolic Nuncio, seven Bishops and about 30 priests concelebrated the Requiem Mass.

Now he lies at the Cathedral entrance, alongside Bishop Barbisotti: the first two Bishops of the Diocese who, each in his own way sanctified, and was sanctified by, this portion of God's vineyard.