In Pace Christi

Zadra Costante

Zadra Costante
Date de naissance : 18/01/1920
Lieu de naissance : Tres (TN)/I
Premiers vœux : 24/05/1949
Vœux perpétuels : 24/05/1955
Date du décès : 22/11/1998
Lieu du décès : Ango/RDC

Fratel Costante Zadra è nato a Tres (Trento) il 18 gennaio 1920, decimo di quindici figli di Giacomo e di Albina Gabardi. Famiglia religiosissima, lavoratori instancabili nel maso ereditato dagli antenati, gente semplice e concreta. Il nostro futuro missionario era un ragazzino piuttosto timido, obbediente e sempre premuroso di rendersi utile. Dopo i compiti e qualche gioco con i compagni, conduceva al pascolo le mucche.

"Durante quelle lunghe ore a contatto con la natura - dice una sorella - aveva tempo di leggere e di pregare. Gli piaceva tanto leggere, perché era curioso e voleva conoscere tante cose. Naturalmente fu chierichetto. Mai protagonista, però; egli eseguiva ciò che gli altri gli dicevano di fare".

Dopo le elementari al paese, Costante frequentò un corso di agraria a San Michele. I genitori sognavano per lui una bella azienda agricola. Costante aveva l'intelligenza per dirigerla. Dal 1940 (anno in cui morì il papà, seguito, l'anno dopo, dalla mamma) al 1945 Costante fece il servizio militare nel corpo degli alpini. Si era in piena guerra. Fu guardia di frontiera a San Candido, ma poi andò anche in Croazia che, dopo 1'8 settembre 1943, attraversò a piedi, in fuga, nascondendosi nei boschi, aiutato dalla gente e dimorando per tre mesi nelle famiglie della zona con le quali strinse vincoli di amicizia che conserverà fino alla morte. In un suo diario, ben scritto e divertente, dice che ha portato la pelle a casa grazie "alla speciale protezione della Madonna di Tersatt alla quale da bambino portavo fiori". Ma, una retata improvvisa di tedeschi, lo requisì per mandarlo a scavare camminamenti difensivi sul Monte Baldo nel corpo della Totd. Vita dura nelle baracche dove tanti giovani disperati, e anche padri di famiglia, erano costretti a un lavoro sfibrante, con poco cibo e tanto freddo. Scrive nel diario:

"L’ambiente licenzioso che vi era nelle baracche, le volgarità degli individui intristiti nei vizi, i più vili, i più abbietti potevano certo influire sul mio animo sensibile. Ma ecco come arrivò la salvezza. Era il 14 marzo 1945: i gas emanati dal tritolo mi avevano mandato in coma dentro la galleria che stavo scavando. Un giovane studente di medicina, riuscì a farmi rinvenire. Verlato Remigio è il suo nome. Fu la mia salvezza anche spirituale. Egli, ogni sera, dopo il lavoro, tirava fuori la corona del rosario e pregava a voce alta. Improvvisamente le bestemmie e i discorsacci cessavano e, un po' alla volta, la preghiera diventava corale".

La vocazione missionaria

Rientrato da quella terribile esperienza, pensò di impegnare la propria vita per qualcosa di più importante dei campi e delle coltivazioni di mele. A Tres non mancavano gli stimoli missionari. Tres era il paese di mons. Angelo Negri, vescovo missionario in Uganda. Costante ne rimase affascinato. A 26 anni, nel dicembre del 1946, dopo un lungo discernimento fatto insieme al suo parroco e col superiore dei Comboniani di Trento, lasciò la coltivazione di mele per dedicarsi all' Africa e agli africani come Fratello missionario. Prima di partire, sistemò bene nella valigia il suo cappello di alpino, con la piuma, che conservò sempre come una reliquia. Citiamo ancora dal diario: "Non è poi molto difficile abbandonare i propri beni; è difficilissimo, invece, abbandonare se stessi ... Non è gran che lasciare ciò che si ha, è molto, invece, lasciare ciò che si è ... ma quel non so che, che avveniva nel mio intimo, prima si fece sentire timido, languido, poi dolce invito, indi forte e pressante fino a prendere tutti i miei pensieri, i miei soliloqui, tutto il mio essere. Quante prove, però, quante rinunce ...Quel 5 dicembre 1946 fu per me il più meraviglioso mattino della mia vita ... Era ancora buio pesto, solo luminose stelle occhieggiavano festanti fra le folte chiome della pineta che dovevo attraversare per andare fino a Taio a prendere il tram. Ero felice, lo confesso; il distacco non mi fu penoso. Questa volta furono gli altri, i rimasti, a piangere ... Salda è la mano nel tirare la campanella dell'Istituto di Venegono Superiore. Sono le tre del pomeriggio. Fr. Pelucchi, giovane novizio, mi apre e mi dà il benvenuto". Fr. Zadra fece il primo anno di noviziato a Venegono Superiore e il secondo a Gozzano perché, proprio nel 1948, la sede traslocò da Venegono a Gozzano. Il giorno della partenza dei novizi da Venegono fu il 29 luglio. Fr. Costante, per la circostanza, scrisse una  lunga poesia intitolata: Addio. P. Giovanni Giordani, maestro dei novizi, lo trovò "umile, sensibile, riflessivo, amante del sacrificio, di sentita pietà, poco abile però nella sua posizione di capo campagnolo perché non sa ottenere un buon rendimento dalla manodopera che gli è affidata". Insomma, piuttosto di far fare, faceva. Anche il suo superiore in Africa, p. Augusto Pazzaglia, scriverà di lui: "Nel lavoro bisogna frenarlo perché faccia lavorare gli altri" . Emise la professione il 24 maggio 1949. "Gran Dio, vi ringrazio. Quanto vi devo per avermi chiamato al vostro servizio!".

Fr. Costante raccontava che durante il noviziato p. Vitti cercava di fargli imparare un po' di galateo. "Un giorno gli ho detto: caro Padre, guardi che ne va di mezzo la vocazione se insiste con queste cose". E si lasciò correre sul galateo.

Sudan via Roma

"29 settembre 1949: sono passati quattro mesi di vita religiosa. I miei due compagni - Radaelli e Salata - hanno già spiccato il volo per la terra sognata: l'Africa. A me viene annunciata la mia destinazione, che sarà provvisoria, come tutte le altre che seguiranno essendo noi pronti e sempre disposti a prendere le valigie in mano ad un semplice cenno dei superiori. Roma, la città eterna, sarà quindi la mia prima tappa. Non nascondo un po' di emozione".

Il 3 gennaio 1952 giunse anche per fr. Zadra il permesso di partire per la missione. S'imbarcò a Napoli a bordo dell'Enotria e arrivò il 7 febbraio a Juba nel Bahr el Gebel. Il 28 dello stesso mese raggiunse la missione alla quale era destinato: Kapoeta. "Vi giunsi nell' ora vespertina, portato da mons. Vescovo che andava da quelle parti in visita. Trovai due padri e tre suore. Entusiasmo, scoraggiamento, ripresa e superamento. Poi, piano piano, cominciò la vera vita di missione.

Una piena del fiume ci ha distrutto l'orto e trascinate via 300 palme già ben cresciute. Bisogna ricominciare daccapo ... Il demonio, intanto, mi disturba e mi ingaggia in una lotta tremenda. Mi rifugio sotto il manto della Madonna. Mi ha protetto tante volte anche nella vita militare ... Ricordati Madonna di Tersatt quando ti portavo fiori da bambino ... Quanti mesi sono passati e nulla di notevole ho marcato in questo diario. Però qualcosa c'è, e questo qualcosa è come una notte spirituale. Tutto mi dà fastidio, non che stia male di salute, ma sento un grande bisogno di pace e di tranquillità. Alle volte vorrei sparire, ritirarmi in qualche angolo romito a pregare, meditare. Sento il bisogno di solitudine, di silenzio ... Quante cose s'imparano tacendo! Il Signore mi parla nel silenzio e questo solo mi arreca tanta gioia ... Sento che il mio vero posto è quello di sentinella davanti al tabernacolo dove c'è Gesù. Ma in casa ci sono mille piccole cose da fare: basta l'occhio per vederle ... Non tralascio mai l'Ufficio del sacro Cuore e quello della Madonna. L'esame prima di pranzo è il mio quarto d'ora di paradiso in mezzo alle occupazioni del giorno .. . ".

Il primo battesimo

Nel 1954 fr. Costante dovette andare ad Isoke in riposo perché era stato preso da un forte esaurimento. Nel frattempo si dedicò alle costruzioni, poi passò a Cukudum dove poté amministrare il battesimo a una bambina morente. La chiamò Albina, coma la sua mamma. "Oh! Quale grazia grande e divina è la vocazione religiosa missionaria ... Ho salvato un'anima e ho predestinata la mia. Natale 1954. C'è un avvenimento unico nella storia della missione: viene ordinato sacerdote p. Lino Tiboi, un didinga. Una moltitudine di gente assiste alla cerimonia".

Il 24 maggio 1955 fr. Zadra emette i Voti perpetui: "Più che ogni altro giorno m'è parso oggi risplendere il sole. Sole di letizia, di gioia, d'esultanza di un cuore in festa . Benvenuto, dunque, questo giorno che mi lega con un nodo d'amore eterno al mio Signore".

"10 gennaio 1956. Con fr. Gelmini scaliamo la montagna Lamokidam. In quella solitudine e altezza si sorpassa la soglia del nostro piccolo mondo per penetrarne un altro, meraviglioso, infinito. Le montagne mi hanno sempre affascinato, fin fa fanciullo. Lassù, nel silenzio, nella luce, mi pareva di incontrare il Creatore .. . Il 16 aprile del 1956 inizia la costruzione della nuova chiesa. Non mi aspettavo che mi assegnassero a questo lavoro, primo per la mia indegnità: è una cosa grande costruire una casa al Signore; secondo, per la mia incompetenza; terzo, per la mancanza di materiali.

Dopo 115 giorni lavorativi le mura sono erette e il 22 ottobre è terminata la copertura e l'intonaco interno. È una chiesa a tre navate, unica in tutto il vicariato ... Verrà consacrata nel 1957. Ma sono cominciati momenti duri per il Sudan Al ritorno di un pellegrinaggio a Namugongo in Uganda con p. Rosato, veniamo a sapere che il governo ha nazionalizzato tutte le scuole di missione. Comincia la persecuzione".

Una giornata meravigliosa

Negli ultimi mesi del 1960 fr. Costante andò a Palotaka ad aiutare fr. Egidio Romanò (82 anni) che ampliava la chiesa. Qui ebbe dei fastidi con la polizia che ormai aveva preso di mira i missionari. Fr. Costante crollò del tutto per cui: "Alla fine dell'anno, col pianto in gola e con una stretta al cuore salii su un aereo che in poche ore mi portò a Roma. All'aeroporto chi mi accoglie? Ancora fr. Pelucchi che mi aveva aperto la porta del noviziato. Signore, tu sei buono e fai incontrare coloro che si amano". Verona (1960-62), Pordenone (1962-64) dove c'erano gli studenti fratelli che si specializzavano, Pellegrina (1964-65) come addetto alla campagna, Roma (1965- 67) come giardiniere della Curia sono le stazioni del cammino in Italia di fr. Zadra, sempre occupato in piccole cose, non appariscenti, ma tanto importanti per l'andamento sereno della comunità. Egli, sempre contento, sempre disponibile, col lavoro delle sue mani distribuisce qualche buona parola a chi è nella sofferenza o sta attraversando un periodo di difficoltà. Insomma, ha !'istinto della mamma. Tutti sono contenti di lui anche se non fa grandi cose. "1966. E così sono già 20 anni da quando lasciai la casa paterna per entrare in  Congregazione. Vent'anni di lavoro, di lotte, di sacrifici, ma con un centuplo di soddisfazioni, di conforti e di gioie insospettate per chi non sa cosa sia abitare nella casa del Signore ... Passai il Natale in una casa di ricovero per anziani. Mangiai con loro. Se dico che c'è da fare del bene in questi luoghi, ho detto poco o niente. Sotto le spoglie del vecchio dalla pelle di cartapecora, c'è un cuore desideroso di affetto, di vita. È stato per m e un Natale meraviglioso questo del 1966, e mi fece tornare all'Istituto con tante esperienze nuove e preziose". Con queste parole termina il diario, almeno quello che è arrivato nelle mani di chi scrive.

Sulle orme dei martiri

Nel dicembre del 1967 fr. Zadra ripartì nuovamente per l'Africa da Venezia con destinazione Congo. A quel tempo il Canale di Suez era impraticabile per cui dovette passare da Gibilterra  circumnavigando parte dell'Africa. Di questo viaggio c'è il racconto in due quaderni che sono in possesso della famiglia. Nell'immaginetta che distribuì per la partenza riprodusse il volto dei quattro confratelli uccisi nel 1964 (p. Remo Armani, P. Lorenzo Piazza, P. Evaristo Migotti, p. Antonio Zuccali) e, dietro, la scritta: "Partendo per la missione del Congo, dove questi quattro Padri hanno versato il loro sangue, fr. Costante Zadra si raccomanda alle tue preghiere e alla generosità, ricambiando con il suo ricordo costante. Novembre 1967". In una serie di lettere ai superiori, fr. Zadra

esprime la sua gioia e riconoscenza per aver ottenuto il via per la missione. "All'annuncio mi sono commosso come un bambino ... ".

Le tappe della sua missione congolese furono: Rungu (1967- 68), Ndedu (1968-70), Duru (1970-76), Bomokandi (1976-79), Gombari (1979-89), Duru 1989- 91), Rungu (1991-94), Kinshasa (1995-98), Ango (dal 30 setto 1998 alla morte). Questo ultimo passaggio rappresentava una delicatezza dei superiori che, conoscendo la sua precaria salute, lo avevano messo in una missione vicina al Centrafrica, quindi con una maggior possibilità di un pronto rientro in Italia. Il suo ufficio: addetto alla casa e visitatore delle famiglie specie dove c'erano anziani e malati. Scrive la sorella: "Le sue vacanze in Italia, a volte prolungate per motivi di salute, sono sempre state vissute nella gioia degli incontri con le sorelle e gli amici che aveva in tutte le parti d'Italia e in Croazia e Slovenia, dove era stato nascosto per tre mesi in varie famiglie che non dimenticò mai. Non mancò mai all'annuale festa degli alpini (quando era in Italia, naturalmente) e portò sempre con sé la nostalgia della terra africana".

Desiderio di contemplazione

Fratel Costante Zadra ha sempre coltivato un segreto desiderio di contemplazione. All'inizio degli anni Novanta, scrisse una paio di lettere ai superiori esprimendo questo suo sentimento, e chiedeva se il Capitolo della Congregazione avesse trattato il tema del "ramo contemplativo dei comboniani". Scrivendo poi al Provinciale d'Italia, allora p. Antonio Zagotto, diceva: "In cuor mio ho deciso, con l'aiuto dello Spirito Santo, di far parte di una comunità comboniana contemplativa. Vorrei finire l'ultima tappa della mia vita nella preghiera e nella contemplazione. E un'antica vocazione, questa mia, mai completamente assopita. Guardandomi in giro, non vedo grandi segni o indizi, qui in Italia, di un tale movimento, mentre ad Esmeraldas, in Ecuador, già esiste. lo sarei disposto ad andare anche in Ecuador ... ". Il p. Provinciale gli rispose che ogni comboniano, in qualsiasi comunità, e particolarmente in alcune come Verona, Arco e Rebbio, può vivere da vero contemplativo. Contemplativo e poeta, era fr. Costante. È interessante vedere un suo lavoretto intitolato "Mosaico della più bella stagione della vita", in cui paragona la vita alle stagioni dell'anno. Lo ha scritto a Kinshasa il 5 agosto 1996. " ... Viene l'autunno. Torrenti che scrosciano impetuosi dalle montagne ... Acqua furiosa come lo fu il sole estivo. È la stagione del disfacimento in cui l'uomo riscopre la sua atavica parentela col fango .. . Mi sono sempre sentito vicino all'autunno in ciascuno dei suoi tre volti: la contemplazione di settembre, l'offerta e il distacco d'ottobre, l'umiliazione di novembre ... ".

E poi la preghiera: "Fa', Signore, che io mi stacchi dal più alto ramo della mia vita, così, senza lamento, penetrato di te come dal sole. Fammi uguale a quelle foglie moribonde che vedo oggi tremare nel sole, sul ramo più alto dell'olmo. Tremano, sì, ma non di paura. È tanto limpido il sole settembrino, e dolce il distaccarsi dal ramo per ricongiungersi alla terra. S'accendono alla luce ultima i cuori pronti all'offerta, e l'agonia per le cose che passano ha la clemenza di una mite aurora. Morire, insomma, non significa cessare di vivere. Mi hai donato tu, Signore, questa lunga giornata e sono felice di viverla. C'è tanta luce, e il tramonto autunnale non potrà essere che sereno. Maranatha: vieni Signore Gesù ".

Sembra proprio che negli ultimi versi abbia descritto la morte che lo aspettava nel cuore dell'Africa che non ha voluto abbandonare, circondato dalla guerra e da infinite sofferenze.

Povero tra i poveri

Scrive fr. Antonio Piasini: "Con fr. Zadra avevo una certa amicizia e ci scrivevamo delle lettere un po' a modo nostro. Nel 1964, il 6 novembre, entravo a Pordenone per farmi comboniano. Ho chiara ancora la figura di fr. Zadra con la veste talare. Per divertirci, se la tirava su mostrando i "tacconi" che aveva sulle ginocchia dei calzoni, e danzava stile africano. Davvero era un fratello allegro e un po' strambo.

Purtroppo le sue lettere, che conservavo, se le è portate via la guerra. Quando le leggevo, mi dicevo: "Quando fr. Zadra morirà, queste sue testimonianze andrebbero proprio bene". Fr. Zadra è rimasto circa due mesi con noi ad Ango. Ha incominciato con la malaria e una specie di tosse forte per cui ha dovuto mettersi a letto. Inizialmente, per essere un po' tranquillo, dato che la missione rigurgitava di soldati, è andato in una capanna nel bosco. Ma, poco dopo, è dovuto ritornare a casa. Lo abbiamo portato con la bicicletta e abbiamo iniziato le cure con i poveri mezzi di cui disponevamo. Finalmente, dopo tante ricerche, siamo riusciti a trovare un medico che si era nascosto nel bosco. Frugando nelle nostre stanze è riuscito a trovare qualche medicina che avevamo nascosta per salvarla dal saccheggio che, qui in Congo, è diventato una moda. Il Fratello sembrò riprendersi grazie alle flebo e alle iniezioni. Noi della comunità, il p. Provinciale e anche p. Milani, da Roma, insistevamo perché Costante tornasse in Italia, ma lui rifiutava categoricamente. È da ammirare questa sua volontà di voler morire in Africa come i poveri e nella stessa loro situazione. Ogni tanto andavo a trovarlo ed egli mi guardava con i suoi occhi azzurri e mi diceva: 'Il Pietro Magalasi è un angelo; mi cura con grande pazienza e amore'. lo gli rispondo: 'È vero; p. Pietro è un angelo nero'. Poi mi chiese di cantare con lui e, insieme abbiamo intonato: 'Dolce sentire' e 'Il Signore è il mio pastore'. Cantava e moriva".

"… ma sono contento"

Scrive p. Neno Contran: "Fr. Costante passava le sue ore libere nella preghiera o leggendo libri impegnativi. Ultimamente, per esempio, in pochi giorni ha divorato Le testament d'un philosophe di J. Guitton e il libro di Acattoli Quand le Pape demande pardon. La lettura e la preghiera erano il suo modo di invecchiare e di trascorrere il tempo, conscio com'era che più di tanto non riusciva a fare. Nella sua saggezza aveva delle sentenze straordinarie: 'Bisogna accettare di essere una goccia nel mare, per diventare mare'. Se c'erano discussioni in famiglia, ammoniva: 'Le guerre puniche non sono finite?'. Aveva 47 anni quando, per prepararsi al Congo, si mise ad imparare il francese all'Alliance di Parigi. L’ultimo giorno di scuola l'insegnante non mancò di osservargli, di fronte agli altri studenti tutti molto giovani: 'Vai in Congo con quel francese lì?'. Fr. Zadra rispose: 'Meglio un asino in Congo che un dottore a Parigi'. 'In vita mia - diceva un giorno - sono stato molte volte provvisorio. In una comunità si creava improvvisamente un vuoto? Nessuno ci voleva andare? Io andavo senza pretendere dialoghi chiarificatori. Sono stato un tappabuchi, ma sono contento'. Quando qualche settimana prima di morire ha cominciato ad accusare sintomi più seri di quelli della solita malaria, i confratelli decisero di farlo rientrare in Italia via Rep. Centroafricana. L'operazione non andò in porto sia perché lui vi si opponeva con tutte le forze che gli restavano, sia perché anche il medico, ad un certo punto, sconsigliò il viaggio".

L'alpino di Dio

Per via del suo amore al corpo degli alpini, i confratelli lo chiamavano scherzosamente "l'alpino di Dio" ed egli sorrideva soddisfatto. E, come un alpino, egli voleva essere sempre pronto agli ordini del suo Comandante. P. Danzi ha riassunto le caratteristiche della sua spiritualità in tre punti: 1. Uomo della preghiera: in ogni missione dove si recava, una delle prime cose era la costruzione di un piccolo eremo (quattro frasche) dove, dopo pranzo, si ritirava per qualche ora in contemplazione. Quando aveva le mani libere, impugnava la corona del rosario, mentre le labbra bisbigliavano Avemarie. La gente lo conosceva come l'uomo di Dio, l'uomo della preghiera e aveva per lui un grande rispetto, proprio per questa sua caratteristica. 2. Uomo della carità: visitava i confratelli ammalati; alle cinque e mezzo del mattino era nella loro stanza con il caffè caldo, stava con loro e sapeva dire parole di conforto. Lo stesso con la gente, con gli anziani... Insomma, era  l'amico di tutti. Quando andai a dirgli che nella missione di Dungu fr. Cattaneo aveva fatto un infarto, lo trovai che scavava un pozzo a sette metri di profondità. 'Il p. provinciale ti chiede se puoi andare da fr. Cattaneo', gli dissi. Lasciò il piccone e la pala, risalì in fretta e partì immediatamente. 3. Uomo della gente: non stava rintanato in casa e non sfuggiva le persone anche se il suo istinto eremitico lo avrebbe portato a questo. Egli andava incontro alla gente, andava con la gente. Naturalmente i suoi preferiti erano i poveri, gli anziani, gli ammalati. All'inizio della malattia avrebbe potuto partire per l'Italia, ma fu proprio questo amore all' Africa e agli africani che lo trattenne per condividere la sorte e la morte di un popolo in fuga, saccheggiato, violentato, depredato dai soldati. Davvero tutti gli volevano un gran bene, e nessuno osò fargli del male. Le sue tre sorelle ancora viventi, e il fratello, che lo hanno sempre aiutato e assistito, possono davvero essere contente di lui perché è stato un vero, autentico missionario; insomma, un alpino generoso, ma alpino di Dio.

L'ultima messa

"Una mattina eravamo tutti in chiesa quando apparve fr. Zadra accompagnato da una suora africana e sorreggendosi col suo bastone - scrive fr. Pasini. - P. Pietro gli chiese perché avesse fatto ciò. 'Non eravamo d'accordo di trovarci per la messa, oggi?'. Lo riaccompagnammo in stanza. A Rungu, qualche anno fa, era bello sentirlo cantare i salmi a modo suo e, durante la predica del sacerdote, faceva i suoi commenti ad alta voce per cui non si sapeva chi ascoltare. Un giorno andai con lui al suo paese e, quando fummo in casa con le sorelle, ci mettemmo tutti a cantare le lodi del Signore ... Per me fr. Zadra è stato un vero missionario, a modo suo, un po' strambo se si vuole, ma un uomo di Dio, un mistico vorrei dire. Perché Dio, alle volte, si nasconde in scorze ruvide. Fr. Zadra ha voluto morire in Africa, come un vero soldato combattente che ha voluto cadere sul campo di battaglia. Sapeva bene che, essendo nella povertà estrema, senza mezzi, non ce l'avrebbe fatta. Ma lui ha voluto così per fare causa comune con i poveri. Da parte nostra abbiamo tentato di avere un piccolo aereo per trasportarlo, ma era impossibile a causa della guerra. Volevamo trasportarlo da Ango a Zemio, in Centrafrica, in auto, 200 chilometri, ma con quelle strade, sarebbe arrivato morto. Alle ore 14,30 di domenica 22

novembre, festa di Cristo Re, fr. Zadra ci lasciava per il cielo. La sua malattia è stata malaria, tachicardia e mancanza di medicine causa la guerra".

Per lui ha taciuto anche la guerra

Durante la notte è stato vegliato dalla gente in preghiera. Per fortuna in missione avevamo ancora qualche asse per fargli la bara. Alle 9 del mattino, messa da requiem e poi sepoltura vicino alla grotta della Madonna poco lontano dalla chiesa. Aveva sempre il rosario in mano anche negli ultimi giorni della sua vita. Fr. Ivan Cremonesi, dal suo nascondiglio nella foresta, ha detto via radio: "Ora fr. Zadra prega per noi". Fr. Zadra è morto nel mezzo della guerra con migliaia di soldati attorno. Interceda presso la Regina

della pace per la pace in Congo e nel mondo. Scrive p. Eliseo Tacchella: "Ai suoi funerali ad Ango c'era tanta gente e tutto si è svolto nella calma. Per lui ha taciuto anche la guerra". I suoi funerali hanno dimostrato quanto fosse amato dalla gente. E i confratelli sentiranno certamente il vuoto di un uomo così buono e cordiale. Una messa funebre, con massiccia partecipazione di popolo, è stata celebrata anche a Kinshasa, nella chiesa di Notre Dame d'Afrique che era solito frequentare".

Come Comboni

Nella breve lettera che p. Eliseo scrisse alle sorelle di fr. Zadra, troviamo alcuni elementi importanti della vita di questo nostro confratello: "So quale grande posto lui occupava nella vostra vita, quanto gli eravate vicine con la preghiera e con la carità. So anche quanto lui vi volesse bene. Voi sapete anche quanto lui volesse bene a me: eravamo grandi amici. Più di un confratello, quando parlavamo di lui, invece di chiamarlo per nome, diceva: 'il tuo amico' e questo mi faceva molto piacere. Nonostante la differenza di età e anche di idee, c'era un qualcosa di profondo che ci legava. Di lui posso dire che era un comboniano vero. Abbiamo passato insieme giorni duri a causa della situazione del paese, ma l'ho sempre visto sereno e si è sempre rifiutato di mettersi al riparo. Poteva anche adesso passare in Centrafrica per sfuggire all' ondata devastatrice dei soldati in fuga. Ha deciso di restare con i confratelli ad Ango e se ne è andato senza disturbare nessuno, cadendo sul campo di battaglia come un vero alpino. Ha amato l'Africa fino in fondo come un vero comboniano. Un confratello africano, p. Pietro Magalasi, lo ha assistito 24 ore su 24. Qui a Kinshasa, nella parrocchia dove lui andava alla domenica, la gente ci sta confidando ciò che lui faceva. Siamo rimasti meravigliati, ha lasciato tracce di amicizia e di fraternità dappertutto. Voi dovete essere fiere di lui, come lo siamo noi, perché è una vittima della situazione e un martire dell'amore all'Africa. Il suo corpo riposa in Africa: è ciò che voleva". Così un'altra figura di Fratello comboniano stile antico, tutto lavoro, preghiera e amore per l'Africa se ne è andato ed è diventato - come Comboni - terra africana, humus fecondo per futuri raccolti.    

P. Lorenzo Gaiga

Da Mccj Bulletin n. 203, luglio 1999, pp. 95-104

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Brother Costante Zadra was born at Tres (Trento) on 18 January 1920, tenth of fifteen children, to Giacomo and Albina Gabardi, very religious and hard working parents. Costante was a shy but obedient boy, always ready to be of service to someone. He liked leading the few heads of cattle to pasture, because then he could find time for reading.

Having completed the primary school at home, he was sent to San Michele for a course in agriculture, as his father was thinking of opening a farm.  From 1940 to 1945 he was in the army, and in the meantime his parents at home died. As a soldier was sent to Croazia, but after the 8 September 1943 he succeeded to escape, on foot, hiding in the woods, helped by the local people; but some time later he was recaptured by the Germans and sent on Mt. Baldo to dig trenches. He wrote in his diary:” Life was hard indeed in the barracks, with exhausting work, little food and biting cold.” His comrades were rough and corrupted people. One day, -he never forgot the date - 14 March 1945, while digging a tunnel, poisoned by the TNT gases he fell unconscious. A kind young man, a student in medicine, succeeded in bringing him back to his senses. They became close friends.

Following his missionary vocation

Back home from such an awful experience, he made up his mind to spend his life for a higher purpose than farming. Tres, his hometown, was the birthplace of Mgr. Negri, bishop of Gulu, in Uganda.

In December 1946, at 26 years of age, after a long discernment with the parish priest, he entered the Combonis to be a missionary brother. On this occasion he wrote in his diary:” It is not difficult to abandon one’s goods, it is much more difficult to abandon oneself. That day, 5 December 1946 was the happiest of my life, though others were in tears. But how many sufferings and trials I met later on. I entered the noviciate at Venegono, and I still recall that Bro. Pelucchi came to open the door for me.”

He did his first year of noviciate at Venegono, then moved to the new site at Gozzano. For the occasion of the departure, he wrote a short poem, called ‘Farewell’. His novice master was Fr. Giordani who had this to say:” a humble, thoughtful person, a hard working man but with no talent to be a leader.”

He took his vows with great joy on 24 May 1949

Sudan via Rome

On his profession day his dream was to leave for Africa straightway, instead he was told to go temporarily to Rome.  Four months later, seeing two of his friends who took their vows with him leave for Africa, started fearing of having missed his chance. Hence great was his joy when in January 1952 he boarded a ship on sail to Alexandria, and by the end of February he was already in Kapoeta, taking the chance of travelling with the bishop who was visiting that area. The two fathers and the three sisters warmly welcomed him.  The beginnings were rather disappointing, even the Nile seemed to be against him, as a flood carried everything he had planted in the orchard away.

He wrote in his diary:” I take refuge under your mantle, o Mary. Everything seems to be so hard to face; I would like to withdraw in a quiet place. The moments I spend in the chapel are the best moments of the day.”

His first Baptism

In 1954 Bro. Costante was forced to retire to Isoke for some rest as he had lost all energy. While there he helped supervising the construction of some buildings; then he moved to Cukudum. There one day he had the chance of administering the Baptism to a dying baby-girl, whom he called ‘Albina’ after his mother’s name. This made him feel a true missionary.  On Christmas Day, 1954, there was the ordination of Fr. Lino Tiboi, a Didinga. A large number of people came for the occasion.

Another joyful day was May 24 1955 when Bro. Zadra took his Perpetual Vows, as we read in his diary:” Today the sun shines in my heart brighter than ever.” He also took a day off to climb Mt. Lamokidam with Bro. Gelmini, a good chance to re-live some joys of his youth on his mountains. 

On 16 April 1956 he started the building of the new church with mixed feelings of knowing the job, and lack of materials. But by the end of October the building is up to the roof plus the inner plaster. A church with a nave and two aisles, unique in the whole vicariate.  The following year was consecrated.

But hard times for Sudan had started. Back from the pilgrimage to Namugongo, with Fr. Rosato, they got the news of the government take-over of all the schools.

A wonderful day  (????)

Towards the end of 1960 he went to Palotaka to give a hand to Bro Egidio Romanò (82 year old !) who was trying to enlarge the church, but the Police came up with a lot of problems, and poor brother broke down completely; he had to be sent back to Italy.

Here he started his tour through several houses: Verona (1960-62), Pordenone (1962-1964) with the student-brothers, Pellegrina (1964-65) in charge of the farm, Rome (1965-67) caring for the compound. Small jobs, yet so important to the smooth running of a community. He did all these with a smile and often with a joke especially to confreres whom he knew they were suffering; everybody liked him.  In 1966 he could summarise all he did in these words:” 20 years ago I left my home to join the Institute: I see these 20 years as a time of struggle, sufferings, but also a time of great satisfaction.”

In the footsteps of Martyrs

In December 1967 he was on the move once again, but this time he was going to Congo. As he journeyed along by ship he kept a record of the daily events filling up two exercise books.

In the little card he passed around on his departure, he had printed on it the photos of the four Comboni fathers who had shed their blood in Congo in 1964, with the words: “As I leave for the missions where these fathers have shed their blood, I ask for your prayers and a generous help, and I will be keeping you constantly in my prayers”.

In the 12 years he spent in Congo, he toured most of our missions: Rungu (1967-68), Ndedu (1968-70), Duru (1970-76), Bomokandi (1976-79), Gombari (1979-89), Duru 1989-91), Rungu (1991-94), Kinshasa (1995-98), Ango (30 Sept. 1998 up to his death, 22 Nov. 1998 ). He was placed in this last mission in view of his weak health, giving him a better chance in case he had to be taken urgently to Italy.

His sister writes:” He always spent his holidays very joyfully visiting his sisters and friends, he had in several places in Italy and also those he met during the war in Croatia. He never missed the annual gathering of the “Alpini”, if he happened to be in Italy.

A contemplative monk?

Bro. Zadra has always cherished a longing for contemplation. On this point he even wrote two letters expressing his desire and enquiring whether the institute was considering this venture. He wrote to Fr. Zagotto, Provincial of the Italian province, in these words:” It has always been my strong desire, with the help of the Holy Spirit, to spend my last days in contemplation. I hear that someone in Ecuador has started something of the kind… I am ready to go there”. Fr. Zagotto replied stating that every Comboni missionary, particularly in places like Verona, Arco, Rebbio, can live a contemplative life!..”

Bro. Costante was a contemplative and a poet. It’s interesting to read what he wrote about life. He compared our life to the four seasons: A mosaic of the best season of my life.” He wrote this in Kanshasa on August 5th, 1996:

            “Autumn is around the corner, torrents are rushing down the mountains, waters as violent as the sun in summer. This is the time of decay, when man rediscovers his old origin from clay.

            I feel so much like this autumn season with its three stages: the ecstasy of September, the oblation and detachment of October, and the humiliation of November….”

Then there comes his prayer:

            “Lord, detach me like a leaf from the highest branch of my life,

            yes, without any regret, fully permeated by you like the sun.

            Make me like those dying leaves

            I see trembling in the sun, on the highest branch of the elm,

            Trembling, yes, but not for fear.

            It’s so clear the sun in September,

            And so sweet to detach oneself from the branch and

            Be reunited to the earth.

            And resplendent at the last beam of light

Are the hearts ready for the offering,

            And the agony of the passing things

            Is as sweet as the morning dawn.

            Dying in fact is not ceasing to live.

            Lord, you made me a gift of this long day

            Happy I am of having lived through it.

            Light is shining so bright,

            The autumn sunset will be nothing but serene.

            Maran-atha, come Lord Jesus!

These last words describe the death he was going through in the heart of Africa, which he did not want to abandon, surrounded by war and an infinite suffering.

Poor among the poor

Bro. Antonio Piasini writes: “With Bro. Costante we were close friends, we used to write to each other, in our own style. On November 6, 1964, I entered Pordenone to be a Comboni brother. I still have him in front of my eyes, in his cassock, which he would pull up and show me his patched trousers, and then he would start an African dance; indeed a cheerful and a bit queer brothers.

I was treasuring his letters, and reading them now and then, but later I lost them all in one of the many looting…

Bro. Zadra was with us at Ango for over two months. He had an attack of malaria and a strong cough, which forced him to bed. At first, to avoid the confusion brought about by the presence of many soldiers in the mission, he hid himself in a hut outside the compound, but soon returned home.

After a long search we managed to find a doctor who was hiding in the bush; he visited him, and we even got some medicine, which had survived the looting.  He seemed to recover some strength. All of us and Fr. Milani in Rome were insisting that he returned to Italy, but he kept on refusing. He preferred to die in Africa with his poor people. On our side, we tried to call a small plane to come and collect him away, but because it was not possible because of the war. Then we tried to take him by car to Zemio, in Central Africa, but it would have been a futile attempt. How to cove r200 km. by car on those impossible roads with such a sick man? Later he got too sick to be moved anywhere. Often I was going to see him. He was telling me_ “ Fr. Peter Magalasi is an Angel! He takes great care of me with patience and love”. I added, “Yes, he is your black Angel!” Then he asked me to sing with him: “Dolce sentire’ and ‘The Lord is my Shepherd’. He was singing and he was dying…”. At 2:30 p.m., on 22 November 1998, feast of Christ the King, Bro. Costante went to meet his Commander-King.

Even the guns were silent at his death

People kept vigil the whole night in prayer. Fortunately, in spite of the heavy looting, a few pieces of timber were still available so that a coffin was quickly made. At 9 am a Requiem mass was celebrated, then he was buried next to the grotto of Our Lady, not far from the church, with the rosary beads around his fingers, as he had it for so many times when he was alive.Bro. Ivan Cremonesi, from his hiding place in the bush, could send this message by radio: “Bro. Zadra, pray for us”. Bro. Zadra died among so many soldiers in a chaotic situation of war. May he intercede the Queen of Peace for us, for the whole Congo and the world”.

…but I am glad.

Fr. Neno Contran writes: “Bro. Costante was spending long hours in prayer or reading some learned books. Recently he read in few days: Le testament d’un philosophe by J. Guitton; another by Acattoli: Quand le Pape demande pardon. Reading and praying was his way of passing time, aware that he could not do much. In his wisdom he had some astonishing sentences: “One has to be satisfied to be a drop in the ocean, to become part of the ocean.” If he heard us in a heated discussion, he would say,: “Are the old Punic wars not over yet?” He was already 47, when he started learning French to come to Congo at the Alliance School in Paris. On the last school day the teacher, in front of all the most, much younger than he, said: “ How do you dare to go to Congo with your broken French?” Bro. Zadra replied: “ Better be a donkey in Congo than a doctor in Paris.”

In my life, he said more than once, I was often asked to improvise. Any place to fill in? Nobody ready to go?  I went… and I was glad to do so, though often I could not perform all they expected from me.”

An Alpino of God

Knowing how he loved the ‘Alpini’ his confreres used to call him ‘l’alpino di Dio’; he felt so proud. And as a ‘Alpino’ he always wanted to be ready at any order of his Commander.

Fr. Danzi describes the characteristics of his spirituality in three points

1. A man of prayer: anywhere he went, one of the first things he used to do was to erect a small hiding place – a few poles with some grass as a roof – where he would retire after lunch for some hours in meditation. When he was not at work, he would take out his beads and whisper the Ave Maria. People had a high esteem of him, seeing in him a true man of prayer.

2. A man of charity. Whenever a confrere was sick, he would bring him coffee very early in the morning, sit down and be of comfort to him. He would also visit sick or old people around. He was the friend of everybody.  When I went to tell that Bro. Cattaneo had a heart attack in his mission at Dungu, I found him digging a well and he was down a 7 metre deep hole. He got out immediately, and leaving the pick and spade there he left immediately for Dungu.

3. A man of the People. He was not hiding himself in the house, nor running away from people, though he was tempted to do so. He was going to the people, giving his preference to the old and the sick.  If he refused to come back to Italy was just because he wanted to share the sufferings of his people, who had been beaten, looted, and insulted by so many soldiers.

Yet they did not do any evil to him, all respected him.

His three sisters - still alive in Italy together with his brother who have always tried to help him - can feel proud of him: indeed he has always been a genuine ‘alpino’ of God, a true missionary wherever he went.

The last Mass

Bro. Piasini adds: “One morning, as we were all in church, Bro. Zadra arrived accompanied by an African Sister, and leaning on a stick. Fr. Peter seeing him coming, knowing how sick he was asked him. ”Why have you come?” “Did we not agree to meet today for our Mass?” We led him back to his room, but that was his last mass.

All of us recall when he was at Rungu, how nice it was to hear singing the psalms in his own tune, and making personal comments during the homily, in a loud voice, at times leaving the preacher wondering who was really preaching.

I recall – Bro. Piasini continues – how one day we went together to his own village, as we got into the house he began, and we all joined in, singing the praises of the Lord! Indeed he was s true missionary, in his own queer way and unusual style, but at times God hides himself behind people with rough skin like his”.

Fr. Eliseo Tacchella writes, “At his funeral there were so many people, yet things went so smoothly; even the guns were silent.” A clear sign of how many people loved him. His confreres will be missing him.A Requiem Mass was also celebrated in Kinshasa in the church of Our Lady of Africa, where he was often go to pray.