In Pace Christi

Lonfernini Bruno

Lonfernini Bruno
Date de naissance : 29/09/1924
Lieu de naissance : Rimini/I
Premiers vœux : 07/10/1943
Vœux perpétuels : 24/09/1948
Date de l’ordination : 11/06/1949
Date du décès : 04/10/1999
Lieu du décès : Milano/I

Padre Bruno Lonfernini è nato in una famiglia profondamente cristiana. Basti pensare che il Signore, dei cinque fratelli, ne ha chiamati tre alla sua sequela: don Luigi, p. Bruno e la suora comboniana Maria Pia. Il papà, Serafino, faceva il calzolaio e la mamma Enrica Ghigi era casalinga.

Bruno, il terzo della squadra, mostrò fin da ragazzo una chiara propensione alla vita missionaria. Il suo parroco, infatti, insisteva perché entrasse nel seminario diocesano dove c’era già il fratello Luigi, ma il piccolo batteva i piedi e diceva:

“No, no, io voglio farmi missionario, voglio andare in Africa”. E così, a 12 anni, dopo le elementari, entrò nel seminario comboniano di Riccione dove era superiore p. Pietro Ribero.

Per la terza media, anno scolastico 1938-39, Bruno passò a Brescia come è chiaramente precisato dai registri conservati nell’archivio dell’Istituto Comboni. Così pure per la quarta e quinta ginnasio. I voti scolastici erano buoni e le scarne note sulla condotta, sulla pietà e sul profitto, ottime.

Dal marzo del 1941, quindi ancor prima che terminasse l’anno scolastico di quinta ginnasio, il nostro giovane era tornato in famiglia per motivi di salute: un principio di pleurite, frequenti perdite di sangue dal naso e un po’ di esaurimento. Teniamo presente che, con l’inizio della guerra, erano cominciate le restrizioni alimentari. E i giovani seminaristi che si trovavano nella fase dello sviluppo, ne risentivano.

Siccome qualcuno gli aveva detto che “la buona salute è un segno di vocazione missionaria”, egli, constatando che la sua non era tale, si domandava se veramente fosse chiamato alla missione o se la sua fosse solo una pia illusione. Questo pensiero lo preoccupò non poco.

Il Signore mi vuole missionario

Ed ecco che quella “prolungata vacanza in famiglia” gli era servita anche per esaminare con calma e consapevolezza l’autenticità della chiamata del Signore. Lo afferma egli stesso nella domanda di ammissione al noviziato, scritta al p. Generale in data 21 luglio 1941: “Quanto alla mia vocazione, ho capito che il Signore mi vuole missionario”. Sì, da ragazzo maturo qual era, Bruno certe domande se le era poste prima di iniziare il noviziato. Questa sua affermazione era suffragata “dal consenso del p. Spirituale e da quello del p. Superiore”.

Pur avendo interrotto l’anno scolastico, in settembre 1941 entrò nel noviziato di Firenze dove emise la professione il 7 ottobre 1943. Padre maestro era Stefano Patroni, un formatore di sicura identità religiosa e di lunga esperienza missionaria.

“E’ un terreno che si lascia coltivare - scrisse costui. - Fin da principio Bruno si è messo con impegno; talora, però, va soggetto allo scoraggiamento. Ama l’osservanza delle regole e la pratica delle cose spirituali. E un tipo molto sensibile e un po’ sentimentale per cui non gli mancheranno le sofferenze nella vita.

Nella sua spiritualità ha sviluppato una tenera devozione alla Madonna. E’ molto attaccato alla vocazione. Quanto a salute ha registrato un buon miglioramento: rari i mal di testa e il sangue dal naso. Credo che sarà un ottimo missionario”.

Dal 1943 al 1945, fu a Rebbio per il liceo (a Verona c’era il pericolo dei bombardamenti) e dal 1945 al 1949 andò nel seminario diocesano di Verona per la teologia. Venne ordinato sacerdote nella città scaligera l’11 giugno 1949.

Dopo l’ordinazione venne inviato in Inghilterra, a Sunningdale, per imparare la lingua in preparazione alla missione del Sudan dove i superiori intendevano inviarlo. P. Renato Bresciani, superiore provinciale, scrisse di lui: “Religioso buono, sacerdote zelante con la stoffa di un ottimo missionario. La sua esuberanza rende serena la comunità dove si trova. L’esperienza di missione rivelerà in lui capacità e attitudini eccellenti”.

In Sudan meridionale

Nel luglio del 1950 p. Lonfernini partì per la missione. Fu destinato a Isoke come vice parroco. Vi rimase fino al 1955, data in cui divenne superiore della missione di Talì.

Mentre era ad Isoke, fu nominato anche padre spirituale dei seminaristi di Okaru, facendosi apprezzare per le sue qualità di direttore di quei giovani, futuri sacerdoti della Chiesa sudanese. Lavorò fianco a fianco con p. Stefano Patroni, suo padre maestro a Firenze, che era diventato superiore della Circoscrizione del Bahr el Gebel. Furono anni fortunati e felici per p. Bruno perché poteva attingere a piene mani dall’esperienza del confratello e arricchirsi spiritualmente dalla sua abundantia cordis.

P. Bruno si portava dentro un sottofondo di timidezza che, in certe circostanze, lo rendeva indeciso, quasi impacciato. Ecco, allora, p. Patroni col suo consiglio, con la sua parola rassicurante ad appianargli la strada, ad aiutarlo a superare le piccole o grandi difficoltà soprattutto inerenti al suo mistero di direttore spirituale di futuri sacerdoti.

In Sudan p. Lonfernini poté dare sfogo al suo zelo missionario. Si trovava a suo agio quando poteva visitare i villaggi, intrattenersi con la gente, gli anziani e i ragazzi, preparare folti gruppi di catecumeni al battesimo. “A Talì - afferma p. Xillo - p. Bruno lavorò così bene nell’ambito della scuola che, ad un certo punto, i protestanti dovettero chiudere la loro per mancanza di alunni. Erano andati tutti in quella cattolica”.

Già in Sudan p. Lonfernini cominciò a interessarsi sugli usi e costumi della gente, a interrogare gli anziani per saperne sempre di più in modo da non sentirsi un estraneo tra il popolo che doveva evangelizzare e ad esaminare la situazione della realtà locale. Citiamo solo alcuni articoli che scrisse per Nigrizia nei primi anni Sessanta: “Muore un villaggio” (maggio 1960); “Addio, lebbrosi” (luglio 1960); “Liberaci dal male: vita di Missione” (febbraio 1963); “Il delitto di essere misericordiosi” (aprile 1963). In Etiopia svilupperà molto di più questa sua esigenza di conoscere usi, costumi, persone, avvenimenti.

Fu provvidenziale la presenza in Sudan di grandi missionari ai quali p. Bruno si ispirò. Con il già ricordato p. Patroni, ricordiamo anche Mons. Sisto Mazzoldi, instancabile evangelizzatore, p. Augusto Pazzaglia e p. Stefano Santandrea, pure loro presi dall’ansia della ricerca antropologica.

La sua esperienza sudanese venne interrotta nel 1958 dalle autorità musulmane che lo espulsero dal Sudan, divenuto indipendente due anni prima. Il motivo di questo drastico provvedimento: perché fu sorpreso a distribuire medicine agli ammalati. “Inoltre - afferma p. Xillo - p. Lonfernini, nei momenti di abbondanza accumulava il grano che poi distribuiva gratuitamente alla gente nei periodi di carestia. Ciò andava contro gli interessi dei mercanti che, sulla fame dei poveri, facevano buoni affari”.

Formatore a Brescia

Giunto in Italia, p. Bruno fu inviato come superiore della comunità comboniana di Brescia e responsabile del seminario. Vi rimase fino al 1964 animando i futuri missionari con vivacità e infondendo in loro la sua passione missionaria.

Era appena incominciato il Concilio Vaticano II e p. Bruno fece di tutto perché i seminaristi, nei limiti delle loro possibilità, fossero aggiornati sul cammino che la Chiesa stava intraprendendo sotto il soffio dello Spirito.

Non solo ma, aperto ai nuovi tempi, cercò di introdurre quegli elementi di modernità che, tuttavia, non si opponevano alla sana tradizione. P. Corrado Masini, che fu suo alunno in quegli anni, rilascia la seguente testimonianza:

“Più che superiore, p. Bruno era nostro amico, nostro compagno, perfino nel gioco. Stava volentieri con noi e a noi questo faceva piacere. Ci accoglieva in stanza per qualche colloquio e si preoccupava di metterci subito a nostro agio condividendo le difficoltà che potevamo incontrare nella scuola e nella vita di comunità. Rideva volentieri e diceva: ‘Ti capisco, sai, perché sono passato anch’io per questa strada, proprio qui a Brescia’.

Voleva che avessimo cibo abbondante e buono per essere sani e forti. La sua esperienza missionaria era il termine di confronto per risolvere tanti piccoli e grandi problemi. ‘Non lamentarti dei compagni, in missione ti puoi trovare da solo con qualcuno un po’ antipatico, e dovrai starci per anni, quindi comincia ad abituarti fin da adesso ad accettare gli altri’. Se qualche volta qualcuno arricciava il naso davanti a qualche piatto, diceva: ‘In Africa ti può capitare anche di peggio. Anzi, ti capiterà senz’altro di peggio. E’ meglio che ti abitui fin da adesso’.

Nelle periodiche conferenze che teneva ai seminaristi, ci insegnava come dovevamo comportarci con le persone, come essere educati, ma insisteva tanto anche sulla necessità della preghiera e sulla devozione alla Madonna. ‘Un missionario che ama la Madonna - diceva - sarà certamente un bravo missionario’. Noi lo ascoltavamo con piacere e i suoi insegnamenti ci restavano impressi perché erano documentati da piacevoli esempi. Sì, devo dire che fu un bravo formatore. Anche quel suo desiderio di tornare in Africa, che manifestava continuamente, ci faceva capire che essere missionari era una bella cosa”.

35 anni di Etiopia

P. Lonfernini visse i sei anni d’Italia con l’ansia e la speranza di poter tornare in Sudan meridionale. Nel 1964, invece, anche tutti gli altri missionari e suore di quella regione furono espulsi per cui, se si voleva tornare in missione, bisognava approdare su altri lidi.

P. Bruno ricevette il via per l’Etiopia. Partì con entusiasmo. L’entusiasmo fu una caratteristica che lo accompagnò per tutta la vita. Si fermò un paio d’anni ad Awasa dove imparò la lingua e fece da vice parroco inserendosi anima e corpo nel ministero in quell’ambiente molto diverso rispetto a quello sudanese, se non altro per la presenza dei copti.

Nel 1966, con p. Emilio Ceccarini e p. Bruno Maccani, è stato l’iniziatore delle missioni tra i Sidamo, a Tullo. Come tutti gli inizi, non furono facili ma i missionari lavorarono bene, d’accordo, penetrando profondamente nel cuore della gente. Un doloroso incidente rischiò di compromettere gli inizi di questa missione. Ne parla p. Bruno in una lettera del febbraio 1967:

“Le scrivo da Tullo dopo una sciagura che poteva segnare la fine di questa missione. Andando ad Awasa a prendere gli operai, una donna che si era già scansata al suono del clacson, quando fu a qualche metro dal camion, cambiò improvvisamente rotta tentando di attraversare la strada. L’impatto fu inevitabile. Inutile la frenata e la sterzata verso il bosco; dopo qualche ora spirava per collasso cardiaco all’ospedale di Awasa. I testimoni raccontarono alla polizia l’accaduto. Naturalmente fu inevitabile l’arresto di due giorni finché le cose non furono chiarite. Non posso descrivere quei due giorni: fu una processione continua di ragazzi di Tullo, di giovani, di uomini che diedero uno spettacolo di attaccamento indescrivibile tanto da far esclamare ad un poliziotto, quando me ne andai: ‘la religione cattolica è proprio quella vera’.

A Tullo le donne, che tante volte erano venute a chiedermi la medicina per i loro piccoli, non finivano di piangere, e tutti mi vollero esprimere il loro affetto in mille modi. Sicché questa disgrazia, che tanto mi ha amareggiato e che poteva essere tragica per noi e per la missione, si è rivelata l’occasione per dimostrare l’attaccamento della gente al messaggio che cerchiamo di portare”.

Praticamente p. Lonfernini rimase a Tullo per 10 anni, dal 1966 al 1976 coprendo la carica di superiore e di parroco.

La missione della contestazione

Nel frattempo, però, cominciò a curare una località che distava una novantina di chilometri dalla missione, dove c’era una scuoletta. Il villaggio si chiamava Teticcia. P. Bruno capì che tra quella gente, la messe sarebbe stata abbondante, ma c’era una difficoltà: si trovava tra la tribù dei Gugi e i missionari non avevano in programma aperture tra di loro.

Il p. Provinciale di allora e i membri del Consiglio non vedevano di buon occhio l’azione di p. Bruno tra i Gugi perché, a lungo andare, avrebbe richiesto altro personale, che non c’era, bisognava imparare una nuova lingua, nuovi usi e costumi. Solo il Vescovo, mons. Armido Gasparini, era favorevole. P. Bruno si trovò tra l’incudine e il martello, tuttavia credette bene seguire l’impulso dello Spirito che sentiva in sé e si stabilì definitivamente a Teticcia.

“Teticcia è tra i Gugi. Quindi la scelta di p. Lonfernini venne a scombinare i piani degli altri missionari che operavano tra i Sidamo - confermò p. Masini.- Per cui rimase da solo per lunghi periodi, senza neanche avere la cooperazione delle suore. Egli puntò molto sui malati e sui lebbrosi, assai numerosi sul territorio. L’esercizio della carità e della medicina, che praticava con abilità, gli attirava la gente. Tuttavia visse questo periodo di solitudine con molta serenità. Infatti, quando andavo a trovarlo era sempre contento e pieno di iniziative.

La fondazione della missione di Teticcia, che pur trovò delle forti opposizioni, si rivelò alla fine un’intuizione profetica perché significò la conquista a Cristo di un altro popolo, quello dei Gugi. Ma è inevitabile: le opere di Dio portano il segno della croce. Oggi i Comboniani hanno tre missioni tra i Gugi e un folto numero di cristiani”.

Come san Francesco Saverio

“P. Bruno - afferma p. Valdameri - era un uomo portato ad andare sempre al di là, sempre oltre. Era come San Paolo che bruciava dal desiderio di evangelizzare e di portare a tutti, specie ai più lontani, il messaggio e la novità di Cristo. E lo faceva con entusiasmo, con slancio. Mi piace anche immaginarlo come san Francesco Saverio che, dall’isola di Sancino, allungava gli occhi sull’immensa Cina.

Si è sempre distinto per il suo carattere ardente, anzi focoso. Viveva l’ansia per la missione, per divulgare la Parola di Dio. Inoltre con la gente era generoso. Quando andava al mercato, il povero mercato della zona, pagava la merce e non voleva neppure il resto. Per lui quel giro al mercato era un’occasione per incontrare le persone e per aiutarle senza sembrare di far loro la carità. Sì, era proprio così.

La gente di Teticcia rispondeva con entusiasmo alle sue cure. Il Padre rimase sette anni da solo soprattutto perché la rivoluzione limitava gli spostamenti di personale altrimenti lui si recava ogni mese a fare un po’ di giorni di vita comunitaria a Tullo, come p. Tarcisio Agostoni, superiore Generale, gli aveva saggiamente e fraternamente indicato. Furono anni entusiasmanti per il nostro missionario, ma anche difficili, duri, di solitudine, con il dubbio di essere incompreso, quasi emarginato. E ciò costava, a lui che aveva tanto bisogno di comunicare con gli altri.

Come aveva dimostrato grande interesse nel conoscere i costumi dei Sidamo, altrettanto fece per i Gugi. Frutto delle sue ricerche furono due libri su questi popoli.

Dalle sue lettere possiamo vedere la fatica che ha fatto a far accettare la pubblicazione di questi libri da parte dell’EMI. Qualche studioso (o che si riteneva tale) diceva che non erano ben fatti. Sì, forse erano carenti perché p. Bruno era missionario più che etnologo, ma erano pieni di elementi validi e importanti per conoscere quei popoli. Ebbe il pieno appoggio del superiore Generale, p. Salvatore Calvia che gli scrisse: “Il libro che stai preparando verrà finanziato dalla Direzione Generale. Ci pare che incoraggiare questi studi entri in pieno nelle scelte del Capitolo. Penso che i soldi spesi per far conoscere i nostri campi di lavoro siano soldi ben spesi”. Questi libri, comunque, sono i frutti appariscenti di una più vasta ricerca che si estendeva sia alle grammatiche come agli appunti per le catechesi.

Su un terzo libro intitolato “Nelle vecchie e nuove vigne del Signore” manifesta il suo animo missionario raccontando le sue esperienze in Sudan e in Etiopia. Chi volesse documentare la vita del Padre con tanti racconti e ricordi di missione, non ha che da prendere tra le mani questo libro.

Dopo alcuni anni nella missione di Killenso (1981-1987) in cui fu parroco e superiore, passò a Fullasa (1987-1991) con lo stesso incarico.

Dal 1991 tornò alla sua primitiva missione di Tullo, primo e ultimo amore dei suoi 35 anni di Etiopia, dove la malattia lo sorprese.

Ultimamente non aveva più la forza dei primi tempi, ma animava alcuni catecumenati. Inoltre si era dato alla pastorale degli anziani che visitava andandoli a trovare nei loro villaggi.

La sua spiritualità

Nella sua esistenza, p. Bruno ha vissuto quanto Gesù ha detto a proposito dell’amore: “Chi ama rimane nella vita ed è beato”. Anche nei momenti difficili della rivoluzione, sia quella sudanese come quella etiopica, p. Bruno non ha mai perso la sua serenità, la sua giovialità, la gioia dell’incontro con la gente.

“La vita di p. Bruno – ha detto il suo superiore provinciale – è diventato un dono al Signore e ai fratelli, vissuta in pienezza, in consapevolezza, superando le immancabili sofferenze che l’hanno rimarcata. Ha accolto e accettato anche la malattia con serenità, senza lamentarsi, quasi come un ultimo dono che gli veniva dalle mani del Padre al quale, nei suoi 75 anni di vita e 43 di missione si era sempre abbandonato”.

Il 29 giugno 1999 aveva celebrato il suo 50° di sacerdozio. Il superiore provinciale gli offrì la possibilità di tornare in patria per quella festosa ricorrenza. P. Bruno ha preferito trascorrerla con la sua gente.

Tra i tanti gesti che ricordiamo c’è l’offerta che il popolo Sidamo gli ha fatto prima di quella messa di cinquantesimo. Le mamme gli portarono un grandissimo cesto di cibo sidamo, come segno della convivialità che lui aveva fatto con loro, e della condivisione delle loro sofferenze.

Gli uomini gli offrirono un grande mantello. Il mantello dell’anziano, del saggio, è proprio di colui che ha ancora qualcosa da dire e da dare.

I giovani hanno organizzato un teatro nel quale imitavano i modi di fare del Padre, ma, soprattutto, ciò che avevano visto in lui: il desiderio di predicare, di annunciare la parola di Dio opportune et importune proprio come dice San Paolo. Insomma quei giovani avevano capito l’ansia dell’annuncio della Parola che il Padre traduceva in svariate espressioni.

Nell’omelia della messa funebre, p. Masini, ha sottolineato i seguenti punti:

L’amore che lo ha preso da giovane, lo ha condotto sulle strade del Sudan e dell’Etiopia in un crescendo fino alla piena maturità. In questo fu un fedele discepolo del beato Comboni.

La caratteristica che lo ha sempre accompagnato è stato l’entusiasmo e il desiderio di fare sempre di più, di arrivare a tutti. L’altra caratteristica è stata la condivisione dell’ascolto: imparare la lingua, studiare la cultura. Da qui sono usciti i suoi libri.

La sua preferenza erano i più poveri, i lebbrosi, gli anziani. Nella cultura della zona, la cura degli anziani e dei malati è sicura garanzia di riuscita anche negli altri strati della popolazione.

E’ caduto sulla breccia

Il 23 settembre il Padre fu colpito da una piccola paresi facciale durante la cena nella missione di Tullo dove si trovava. Pareva una cosa transitoria tanto che, alla domenica mattina, sentendosi bene, è andato con una suora in una cappella dove ha confessato un bel gruppo di persone. Poi, quando doveva iniziare la messa, ha avuto un momento di smarrimento.

Il p. Provinciale, immediatamente avvisato, si è recato immediatamente a Tullo. Vi giunse alla sera quando p. Bruno era già a letto ma, come seppe della presenza del superiore, si alzò e gli andò incontro salutandolo cordialmente. Il giorno dopo partirono per l’ospedale di Bosciullo dove gli fecero degli esami a livello cardiaco. Ma il medico disse che dovevano essere approfonditi altrove.

Il 28 settembre in Etiopia si celebra la grande festa della Croce. Il p. provinciale e p. Bruno celebrarono a Tullo e, ancora una volta, il Padre ebbe qualche momento di confusione mentale.

Alle tre del pomeriggio erano ad Addis Abeba. Qui lo stato confusionale persisteva, anzi si accentuava, tanto che non riconosceva i confratelli. Il giorno dopo fu visitato dal cardiologo il quale disse che, come cuore, era normale. Si limitò a ordinargli un’aspirina al giorno. A questo punto il provinciale prese il primo aereo e lo portò in Italia.

Il viaggio fu abbastanza buono. Il Padre, infatti, alternava momenti di smarrimento a lunghi tratti di normalità. Giunti a Milano Malpensa, il dottor Tomasoni andò a prenderlo e lo portò direttamente all’ospedale Niguarda. All’esame della TAC gli scoprirono dei piccoli ictus precedenti che, però, aveva superati. Messo in cura intensiva, il Padre si riprese abbastanza bene. Parlava, salutava, capiva e conosceva.

Alle due di notte del 4 ottobre, spirò per un collasso cardiocircolatorio. Dopo i funerali a Milano, la salma è stata portata al suo paese. P. Bruno Lonfernini può essere definito il missionario entusiasta, l’uomo del dialogo con la gente e colui che ha saputo coinvolgere tante persone, in particolare il fratello don Luigi, nella sua opera missionaria. Certamente dal cielo avrà uno sguardo di predilezione per il Sudan e per l’Etiopia. E sappiamo che in questo momento ne hanno bisogno: e l’uno e l’altra.     P. Lorenzo Gaiga

Da Mccj Bulletin n. 205, gennaio 2000, pp. 113-120