In Pace Christi

Locatelli Eligio

Locatelli Eligio
Date de naissance : 24/08/1911
Lieu de naissance : Corna Imagna (BG)/I
Premiers vœux : 09/09/1947
Vœux perpétuels : 09/09/1950
Date du décès : 10/01/2001
Lieu du décès : Milano/I

Terzo di dieci fratelli, Eligio ha frequentato le elementari al paese. A 9 anni, interrotta la scuola, seguì papà Antonio come carbonaio sugli Appennini. Vita dura, sempre in mezzo ai boschi, spesso al freddo e col cibo “alla buona”. “Eppure eravamo contenti - scrive Eligio. - Iniziavamo e terminavamo la giornata con le preghiere e, anche durante il giorno, ci ricordavamo del Signore e della Madonna perché ci proteggessero dai pericoli”. Col papà, il piccolo Eligio portava il carbone ricavato dalla combustione dei tronchi fino al mercato di Genova, ricavando un discreto guadagno. La famiglia, infatti, era molto povera. Mamma Maria Locatelli gestiva la casa accudendo i figli e lavorando nel magro pezzetto di terra che possedevano.

A 13 anni Eligio confidò ai genitori che avrebbe fatto più volentieri il muratore, mestiere al quale si sentiva portato, piuttosto che il carbonaio. Al suo paese trovò lavoro in una piccola ditta. Andò anche a Bergamo dove lavorò nella costruzione dell’ospedale. Quindi, sempre come muratore, insieme ad un fratello, andò in Francia dove fu impiegato nei lavori della linea Maginot. Imparò il francese e frequentò dei corsi per corrispondenza di edilizia. In Francia c’era una zia, sorella del papà. “Studiavo lingua, calcolo e disegno fino all’una del mattino, poi un po’ di riposo, quindi via al lavoro in bicicletta. Mi alzavo presto per poter ascoltare la santa messa in una chiesetta lungo la strada. Dovetti prendere la tessera del sindacato comunista e salutare i compagni alzando il pugno. Subito ebbi una crisi, io, membro di Azione Cattolica e della San Vincenzo. Il padre scalabriniano col quale mi confidai, mi disse: ‘Non aver paura, tu lo fai per il pane, il Signore guarda il tuo cuore’. E così divenni amico di tutti quei comunistoni che, però, erano molto rispettosi e non bestemmiavano, a differenza degli italiani”.

Alla zia Eligio manifestò più volte il desiderio di studiare per diventare sacerdote. Questo desiderio che portava nel cuore lo aiutò a vivere intensamente la sua vita spirituale con la frequenza ai sacramenti e alla santa messa, a costo anche di notevoli sacrifici.

Vista la sua abilità, l’ingegnere capo lo mando in Algeria a costruire cisterne alte anche 40 metri per l’acqua. Solo dopo quattro anni poté tornare a visitare la famiglia.

Quando è scoppiata la guerra è stato chiamato sotto le armi. Ha combattuto come alpino sul Carso e in Albania. Ha avuto anche una licenza premio per aver salvato dei compagni che erano caduti in un crepaccio, e lui riuscì a raggiungerli fornendo le corde per liberarli da quella scomoda posizione. Quella licenza-premio, entrava nei piani della Provvidenza. Infatti, mentre era a casa ci fu l’armistizio dell’8 settembre 1943 e come molti, invece di tornare al proprio reparto che ormai si era sciolto, Eligio fece la vita da fuggiasco dormendo nei boschi per non essere ripreso dai fascisti o dai tedeschi che avevano invaso l’Italia. Nel frattempo si dedicava a piccoli lavori, come preparare zoccoli per i nipoti, oppure occupava il suo tempo nella lettura, specialmente delle riviste missionarie.

Una predica da dietro l’armadio

La vita di fuggiasco non gli impedì di essere presente, pur nascosto dietro ad un armadio del coro con la protezione del parroco, a una predica tenuta al suo paese da P. Cesana. Fu come la scintilla che accese in lui la vocazione missionaria. Parlò di questo suo desiderio al padre missionario, il quale, però, lo dissuase perché aveva già 34 anni.

Intanto la guerra finì ed Eligio, incoraggiato dal suo parroco, andò a Venegono dove c’era il noviziato dei Comboniani. P. Antonio Todesco, maestro dei novizi, lo ascoltò con molta attenzione e gli disse che, nonostante il massimo dell’età consentita per l’accettazione di un candidato alla vita missionaria fosse di 28 anni, viste le circostanze della guerra, avrebbe appoggiato la sua domanda. Infatti fu accolto.

“Da molti anni sento il desiderio di essere missionario - scrisse il 14 giugno 1945 - ma ho dovuto rimandare per esigenze di famiglia e poi per contingenze di guerra (quattro anni di servizio militare). Il mio mestiere è muratore cementista. Conosco abbastanza bene il disegno. Fui in Francia per 12 anni lavorando nella stessa ditta nella quale sono molto stimato. Per quattro anni ho avuto una squadra di operai alle mie dipendenze...”.

Il suo parroco, in data 3 luglio 1945, ha testimoniato: “In parrocchia Eligio è di grande esempio e da tutti è stimato ed apprezzato. Sono certo della sua buona riuscita, dato che sa adattarsi a tutto e sa fare un po’ di tutto. L’Istituto fa un bell’acquisto. Il Cuore di Gesù compia intera l’opera sua e ne faccia un fratello missionario secondo il suo divin Cuore”. Queste parole si dimostreranno una profezia. Il 23 luglio 1945 Eligio entrò a Venegono Superiore per iniziare il noviziato.

Scrive Fr. Aldo Benetti: “Fr. Eligio è stato mio Angelo custode a Venegono. Ricordo ancora il suo tono basso di voce, il suo modo modesto e umile di procedere, tenendo sempre gli occhi bassi come in un continuo raccoglimento. Io avevo 19 anni, quindi mi consideravo un ragazzo nei suoi confronti, e devo dire che non passava giorno che non attingessi da lui qualche buon esempio”.

Il P. Maestro annotò: “Anziano in età, mostra la comprensione e la serietà di un uomo maturo e responsabile. Procede con convinzione e generosità. Si mostra attaccato alla vocazione e all’Istituto. Laborioso e di sacrificio. Pietà buona, sottomesso e sempre disponibile”.

Dopo due anni di cammino spirituale, il Maestro scrisse: “Si è notato in lui il costante desiderio di fare sempre meglio. E’ un fratello cordiale e di compagnia. Sa incoraggiare e dire la parola buona al momento opportuno, anche se non manca di energia nel suo comportamento. E’ di ingegno; molto capace in qualsiasi genere di lavoro anche se è molto esperto quanto a edilizia. Sarà certamente un Fratello che farà tanto bene”.

Conviene obbedire

Fr. Eligio Locatelli emise i primi Voti il 9 settembre 1947. Nel frattempo i Comboniani acquistarono la casa di Gozzano, Novara, come nuova sede del noviziato, cedendo Venegono agli studenti di teologia. P. Todesco venne eletto superiore generale della Congregazione e P. Giordani prese il suo posto.

La casa di Gozzano, lasciata dai Gesuiti, era in uno stato deplorevole per cui bisognava metterci subito le mani. Fr. Eligio vi fu mandato per i lavori più urgenti. Scrive Fr. Benetti: “Dopo i Voti venne a Gozzano. Io pure vi ero stato trasferito, anche se ero ancora postulante. Era superiore P. Egidio Ramponi, bella figura, allegro e sereno che salvò tanti dalla malinconia assorbita a Venegono. La cosa più urgente da fare a Gozzano era quella di demolire del tutto un muraglione del vecchio castello che minacciava di franare verso la valle. Si lavorò a lungo, con molta fatica perché la posizione era scomoda. Ad un certo punto P. Ramponi disse: ‘Via tutti; ho un brutto presentimento!’. Fr. Locatelli voleva tardare, ma il Padre gli impose: ‘Fratello, avete appena emesso i Voti, obbedite subito’. Cinque minuti dopo, mentre eravamo in cappella per il rosario, si udì il fragore di un improvviso crollo. Il muro era improvvisamente franato travolgendo ogni cosa. Senza bisogno di commenti, abbiamo capito l’importanza dell’obbedienza”.

In Portogallo

Per prepararsi bene alla missione del Mozambico, che l’Istituto aveva accettata nel 1946, i Comboniani dovevano recarsi in Portogallo per imparare la lingua e per reclutare, o formare, vocazioni. Nel 1947 P. Giovanni Cotta acquistò un terreno a Viseu per la costruzione di un seminario missionario. Nello stesso anno tre confratelli (P. La Salandra, P. Imoli e P. Carlesi) andarono in Portogallo e trovarono posto in tre parrocchie “tanto per imparare la lingua e cominciare a intrecciare conoscenze”. Nel 1948 Fr. Eligio Locatelli insieme ad altri Fratelli cominciò i lavori del seminario. Prima uno provvisorio adattando una vecchia casa, poi quello nuovo, grande e moderno, capace di 140 allievi.

Fr. Eligio fu incaricato della direzione dei lavori. E se la cavò bene se solo dopo pochi mesi riuscì ad adattare la casa per accogliere i confratelli che intanto continuavano ad arrivare dall’Italia, e la dozzina di ragazzi che iniziavano le scuole medie.

“Ho imparato molte cose dai portoghesi - scrisse - anche perché lavorano con pazienza e non cominciano mai la giornata senza farsi il segno della croce e recitare una preghiera”. Quelli del Portogallo furono anni intensi e di notevoli sacrifici perché mancavano tante cose indispensabili e, molto spesso, scarseggiava anche il cibo. Il Portogallo era povero e l’Italia usciva dalla guerra che l’aveva dissanguata. Eppure le opere andarono avanti portando il segno della benedizione di Dio e quella della Madonna che, dalla vicina Fatima, vegliava su quel cenacolo di futuri apostoli.

Quando P. Todesco, da Generale, passò dal Portogallo e vide i progetti del seminario (quello provvisorio) preparati proprio da Fr. Eligio, si congratulò con lui, lo incoraggiò a procedere e gli ricordò il loro primo incontro a Venegono.

“Chi avrebbe detto, allora, che proprio la vostra avanzata età trascorsa nel lavoro edilizio rispondeva ad un preciso disegno della Provvidenza?”. Sempre cordiale e buono con i confratelli e con gli operai, Fr. Eligio portò avanti il suo lavoro con serietà e responsabilità.

Il nuovo seminario, a tre piani, con ampia cappella aperta al pubblico, fu progettato dall’ing. Valli di Verona e iniziato nel 1950. Crebbe a prezzo di enormi sacrifici. Basterebbe leggere qualche riga del diario del tempo: “I lavori del seminario languono nuovamente. I missionari e i ragazzi pregano San Giuseppe con continue novene per ottenere aiuti”.

Fr. Eligio diede il meglio di sé, ed ecco che: “L’anno mariano 1954, recò un duplice dono ai seminaristi: il completamento del seminario (che sarà inaugurato solennemente l’11 dicembre 1955), e il lascito da parte di un generoso capitano in pensione di una sua casa in località Faleiro, a 60 chilometri da Viseu, in un’amena località attraversata da uno dei principali fiumi del Paese, il Vouga. Il nostro abile Fr. Eligio l’ha adattata ad accogliere i seminaristi che, a gruppi di 25, trascorrono parte delle loro vacanze estive con la possibilità di fare delle belle nuotate tutti i giorni”.

Costruttore in Brasile

Fr. Eligio aveva completata la sua opera. Poteva fare la valigia e partire per un’altra meta. Egli, logicamente, sognava la missione in prima linea. Così racconta il suo colloquio col superiore generale: “Entro da P. Todesco e mi dice:

‘Va bene, va tutto bene, fratello. Come premio per il tuo lavoro, ti mando in Brasile’.

‘Come, non mi manda in Africa?’. Il Generale sorrise. Eligio capì:

‘Va bene, Padre, ho sempre desiderato andare in Africa. Mi sono fatto comboniano per andare in Africa, e adesso lei mi manda in Brasile. Per me va bene così’”. Il Generale sorrise un’altra volta e alzò la mano sul Fratello per impartirgli la benedizione.

La presenza dei Comboniani in Brasile è un’altra storia meravigliosa nella vita dell’Istituto. Torniamo in Portogallo, quando “non si sapeva in quale acqua trarsi per andare avanti con i lavori del seminario”. Ed ecco che una mattina dopo la santa messa, il superiore, P. Giorgio Ferrero, disse:

“Sono stato continuamente disturbato da un pensiero, durante questa santa messa”.

“Era buono o cattivo?”, commentò uno sorridendo.

“Buono, buono, ma non doveva importunarmi durante la celebrazione eucaristica. Ecco tutto”.

“Non pensi che si tratti di un’ispirazione divina?”, rispose serio P. Angelo La Salandra.

“Pensate un po’! Mi veniva continuamente il pensiero di mandare qualcuno in Brasile per tendere la mano ai ricchi ex emigrati della diocesi di Viseu. Mi assicurano che molti di loro hanno fatto fortuna. Chissà! Se presentassimo le necessità del loro seminario missionario in patria, forse si sentirebbero di aprire la borsa”.

“E’ di sicuro un’ispirazione da parte di Dio”, tagliò corto P. Rino Carlesi.

“Dato che sei così sicuro, andrai tu a fare un giretto da quelle parti. Ora chiediamo il permesso ai superiori di Verona”.

Verona confermò l’origine divina di quell’idea e il Padre partì pieno di speranza e con l’agenda zeppa di indirizzi. Si era nel marzo del 1951.

Tornò dopo un anno e mezzo con un buon gruzzolo che permise la ripresa dei lavori del seminario. Ma in Brasile, il simpatico missionario, trovò anche un’altra cosa: tanti poveri, ma tanti! Con i poveri c’era una Chiesa che era ancor più bisognosa di chi portasse il messaggio evangelico. P. Carlesi ne fu affascinato e, il pensiero fisso, ormai, l’aveva lui: tornare da quella gente il più presto possibile.

Nel 1956 Fr. Eligio s’imbarcò per il Brasile. Lo attendevano tante opere da costruire ex novo senza contare quelle antiche, ormai fatiscenti, da restaurare, perché l’opera comboniana in Brasile era in notevole espansione. Per dovere di cronaca riportiamo solo la lunga litania delle tappe del nostro Fratello, senza soffermarci sui lavori eseguiti e sulle circostanze, spesso contrassegnate dalla Provvidenza, che sono registrate sui diari di ogni missione:

Ibiraçu 1956-1964 (costruzione del seminario con P. Bartesaghi); Jeronimo Monteiro 1965-1967; San José do Rio Preto 1967-1968 (costruzione del noviziato con P. Dell’Oro); Campo Eré 1968-1969; Jeronimo Monteiro 1969-1970; Campo Eré 1970-1974; Cacoal 1974-1978; Tangar da Serra 1978-1982; Salvador-Sussuarana 1982-1984. Qui, costruendo la chiesa, ebbe una caduta nella quale si ruppe alcune costole, ma poi si riprese abbastanza bene. Con quest’ultima data possiamo dire che l’attività edilizia, e quasi sempre come responsabile dei lavori, di Fr. Eligio venne a cessare. Il Fratello, infatti, aveva già sulle spalle la bella età di 73 anni, anni trascorsi sempre in zone disagiate dal clima piuttosto pesante.

Chi ha lavorato con lui testimonia l’affabilità, la disponibilità e la capacità di dialogo di Eligio con i suoi collaboratori. Non solo, ma ha saputo formare schiere di giovani locali che da lui hanno appreso l’arte delle costruzioni, contribuendo in maniera determinante a quella parte della missione che si chiama promozione umana.

Fr. Eligio, però, è stato anche un evangelizzatore, perché approfittava delle mille occasioni che la giornata gli offriva per dire una buona parola, per dare un suggerimento o un consiglio. Ad un certo punto i suoi operai gli aprivano il cuore per manifestargli i problemi delle loro famiglie. Il nostro Fratello, con quel suo buon senso cristiano che lo ha sempre caratterizzato, sapeva dare la risposta giusta, frutto dell’esperienza e della preghiera che sottolineava le fasi della sua laboriosa giornata.

Scrive P. Enrico Galimberti: “Qui in Brasile le costruzioni parlano per lui: i vari seminari tirati su con tanta perizia e sacrifici (e poi venduti), le innumerevoli chiese, le case e le scuole… Aveva un occhio particolare per adattare le costruzioni al clima e alla cultura del luogo, inserendosi, in questo, nella tradizione dei nostri migliori fratelli. E’ ancora ricordata la sua cordialità, la sua capacità di fare amicizia, di adattarsi ai piccoli, agli ultimi. E’ stato un uomo che sembrava fatto apposta per la cultura di questa gente. Sì, direi che ha realizzato perfettamente quella che si dice inculturazione o incarnazione nella mentalità di un popolo, rispettandone sempre le tradizioni e i ritmi, senza quella fretta o quella precipitazione che distingue noi europei e che, spesso, compromette tanti valori importanti”.

Ufficio: disponibilità

Fr. Eligio accettò di entrare nella seconda fase della sua vita missionaria senza traumi o musi lungi, ma con una grande capacità di adattamento e di serenità. Nelle case dove c’era bisogno di un fratello capace di sbrigare tante piccole cose, potevano mandare Fr. Eligio ed egli si dichiarava sempre contento e sempre disponibile. “Va bene, va bene!” era diventata ormai la sua parola d’ordine.

Dal 1984 al 1988 fu ad Ouro Preto d’Oeste come fratello tuttofare, addetto in modo particolare alla chiesa che teneva in ordine e pulita, sempre adornata di fiori freschi che sottolineavano il suo animo gentile. Accoglieva la gente, s’intratteneva con chi voleva scambiare una parola, approfittando dell’occasione per dare un buon suggerimento o per assicurare la sua preghiera. Quando c’era bisogno di qualche lavoretto, riprendeva volentieri la cazzuola che maneggiava con gusto.

Ormai, però, gli acciacchi si facevano sentire e presentavano il conto. Ed ecco che il 17 dicembre 1991, il superiore generale P. David Glenday, gli scrisse: “Ricordo l’impressione di serenità e di simpatia che mi hai lasciato nel nostro incontro a Verona mentre mettevi a punto la tua salute. Spero che questa mia ti trovi bene. Ne approfitto per comunicarti che, col primo gennaio 1992, tu farai parte della provincia italiana. Carissimo Fr. Eligio, voglio esprimerti, a nome di tutto l’Istituto, la nostra gratitudine per i lunghi anni di missione che tu hai trascorso in Brasile e per la tua testimonianza di vita consacrata. Io personalmente conto su un ricordo particolare nella tua preghiera. Sei stato un fratello prezioso per la Congregazione, per la Chiesa”.

Eligio accettò di buon grado, con spirito di fede e di obbedienza il volere dei superiori, anche se gli dispiaceva lasciare il Brasile al quale ormai si era affezionato. Si riprese così bene che, il 29 aprile 1992, scrisse al superiore generale: “dato che Fr. Paolo Raniero parte per il Brasile Nord il prossimo 5 giugno, sarebbe molto bello se io pure potessi fare il viaggio in sua compagnia. Mi pare che, con la grazia di Dio, potrei fare ancora un po’ di bene”.

“Il P. Generale - gli rispose P. Moretto - è contento che tu parta secondo la tua richiesta, pur restando, ufficialmente, membro della provincia italiana. Sentiti comunque libero di tornare in Italia appena la salute dovesse venir meno. Anche l’Italia è casa tua, come il Brasile”.

Sereno tramonto

Dopo qualche anno, la salute ricominciò a segnare rosso:

“Non voglio essere di peso a nessuno”, disse Fr. Eligio, e tornò a Rebbio. “L’età è avanzata - scrisse - quindi adesso sono qui dove conto di trascorrere i miei giorni aiutando i confratelli con la preghiera”. Non solo aiutava i lontani con la preghiera e con l’offerta generosa dei suoi acciacchi, ma anche i vicini con il suo buon esempio, con la sua serenità e ottimismo, nella consapevole accettazione della volontà del Signore.

Negli ultimi mesi fu trasferito nella comunità Giuseppe Ambrosoli di Milano dove poteva essere maggiormente assistito. Spirò serenamente come il servo fedele che aveva terminato la sua laboriosa giornata ed ora si accingeva ad andare a ricevere la paga dal Padrone.

Aveva espresso il desiderio di essere sepolto a Rebbio. I confratelli e i nipoti hanno rispettato quest’ultima volontà. Il 14 giugno del 1945 aveva scritto nella sua domanda di entrata tra i Comboniani: “Da molti anni sento nel mio cuore il desiderio di spendere la mia breve esistenza per i poveri neri che ancora non conoscono il Signore”. La sua “breve esistenza” si era concretizzata in 56 anni di missione. Ora poteva andarsene. “L’eredità che ci ha lasciato - ha scritto P. Gesuino Podda, provinciale del Brasile - non deve andar perduta. Ora lo possiamo tranquillamente pregare soprattutto per le vocazioni dei Fratelli, lui che ha tanto amato la sua”.               P. Lorenzo Gaiga

Da Mccj Bulletin n. 210, aprile 2001, pp. 101-108