Giovedì 24 aprile 2025
«Il suo sguardo si è posato anche su di me». Christian Carlassare, vescovo di Bentiu, in Sud Sudan, ricorda l’attenzione del Papa nei suoi confronti, specialmente dopo l’attentato subìto nel 2021. «Mi ha fortificato in vista del recupero e confermato nella volontà di tornare per essere testimone di pace e riconciliazione». E aggiunge: «Sin dall’inizio del suo Pontificato si è preso a cuore la situazione del Sud Sudan». [Mondo e Missione]
Papa Francesco ci ha fin da subito indicato l’amore misericordioso di Dio e ne è diventato testimone non solo con l’insegnamento ma anche con i suoi gesti.
Fin dall’inizio del suo Pontificato si è preso a cuore la situazione del Sud Sudan, come anche quelle di molte altre periferie umane. Nel silenzio che avvolge queste realtà, perché contano relativamente poco ai fini del potere e del mercato, Francesco ha prestato orecchio e se ne è fatto portavoce, sia nella preghiera che nel ricordo nei suoi Angelus, sia nell’invito a Roma dei capi politici del Sud Sudan che nella visita a Juba avvenuta nel 2023 come pellegrinaggio ecumenico di pace.
Per lui ogni situazione di ingiustizia e conflitto non rappresenta semplicemente una questione sociale da far progredire secondo la logica evangelica: il suo sguardo va ben oltre. Va a quei fratelli e sorelle che soffrono ingiustizia, a cui viene negata la vita, e che gridano a Dio notte e giorno e per cui il Signore manda testimoni ad indicare l’unica via possibile, quella della conversione e della riconciliazione.
Il suo sguardo si è anche posato su di me per chiedermi prima di servire la diocesi di Rumbek e ora la nuova diocesi di Bentiu. Nei giorni dell’attentato del 2021 si è fatto presente con la sua preghiera. Questa sua attenzione nei miei confronti mi ha fortificato in vista del recupero dell’uso delle gambe e confermato nella volontà di tornare per essere testimone di pace e riconciliazione. In un incontro mi ha chiesto se avessi paura di ritornare. Gli risposi che l’unica paura sarebbe quella di non essere in grado di servire la gente di Rumbek e del Sud Sudan perché il loro bisogno è grande. E lui, da padre buono, mi ha semplicemente detto: «Sappi che c’è il Signore. Non sei tanto tu. È Lui che guida la Sua Chiesa. Tu solamente testimonia la Sua Parola». Mi è stato di grande conforto e illuminazione.
Francesco ha svolto il suo ministero di pastore proprio con questa grande fede nel Signore. È stato testimone di una fede vissuta, di una spiritualità incarnata nelle Galilea del nostro mondo che si fa impegno nella storia. È stato un esempio di amore fraterno, di dialogo, di attenzione per le persone più vulnerabili e i gruppi più emarginati. Ha aperto strade e un cammino meraviglioso da compiersi ecclesialmente uniti verso quella terra nuova e quei cieli nuovi promessi da Gesù, dove ci riconosceremo tutti fratelli e sorelle, figli dello stesso Padre.
È doloroso ricevere la notizia della sua morte inaspettata poiché, seppur debole, sembrava avesse superato il momento più critico e fosse in ripresa. Ci viene a mancare in un momento dove ci sembra di avere ancora più bisogno di lui, unica voce ferma di fraternità e pace mentre tutti parlano di riarmo e potere. Anche qui la situazione in Sud Sudan è molto delicata, perché si stanno riaccendendo le tensioni politiche che erano rimaste sopite negli ultimi anni e che possono diventare scintille per altre violenze, in parte già cominciate in alcune regioni del paese.
Ma questo dolore arriva misto anche alla gioia della Pasqua e la fede nella risurrezione. Allora ancora di più, Papa Francesco ci invita a continuare su questo cammino che lui ha tracciato, un cammino dove la Chiesa – finalmente famiglia solidale e sinodale – spalanca le porte e va incontro ai fratelli e sorelle, proclamando la bellezza, la genuinità e la gioia del Vangelo, e lavorando per costruire una comunità riconciliata che testimonia la pace. Non lo dimenticheremo, Papa Francesco, anzi, forse lo incontreremo un po’ più avanti nel cammino, dove lui già sta in compagnia del Maestro.