Nel cuore dell’estate, quando la natura inizia a dare i suoi frutti, la chiesa offre alle comunità cristiane l’occasione per celebrare in certo modo la “Pasqua Mariana”, cioè Maria “donna vestita di Sole…”, nel mistero della sua Assunzione alla gloria per lei preparata dal Padre e acquistata dal Figlio.

Assunzione della B. V. Maria

Ap 11,19;12,1-6.10; Salmo 44; 1Cor 15,20-26; Lc 1,39-56

Nel cuore dell’estate, quando la natura inizia a dare i suoi frutti, la chiesa offre alle comunità cristiane l’occasione per celebrare in certo modo la “Pasqua Mariana”, cioè Maria “donna vestita di Sole…”, nel mistero della sua Assunzione alla gloria per lei preparata dal Padre e acquistata dal Figlio. Gloria verso la quale ella ha camminato durante tutta la sua esistenza terrena, in fedeltà al “sì” dell’annunciazione col quale aveva accettato di aderire al progetto salvifico di Dio. Infatti all’annuncio dell’angelo Maria si autodefinisce come donna al totale servizio del progetto di Dio “Eccomi, sono la serva del Signore, si compia in me la sua parola”: Ella antepone la sequela a qualunque progetto personale.

Le parole di Elisabetta ci aiutano quindi a capire che la maternità divina non è la ragione vera della grandezza di Maria: è beata perché ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore. Credere, nella tradizione biblica, significa dare fiducia all’immagine del patriarca Abramo. Egli è proposto come esempio a tutti i suoi discendenti, perché si è lanciato totalmente nella grande avventura che porta a Dio, su una promessa umanamente irrealizzabile. Ma quando ci si mette a credere in Dio, le viste umane non sono più all’ordine del giorno. Basta lasciare Dio, disporre delle nostre vite, e i suoi progetti vanno avanti, e sempre per la nostra felicità.

Alla luce di questo percorso comprendiamo, perché Maria può dire: “Grandi cose ha fatto in me il Signore”. Il significato di questa solennità dell’Assunta si può sintetizzare nelle parole del Magnificat. Infatti, le letture di questa festa sembrano costituire un concerto armonico che culmina nel cantico della serva del Signore, che si fa portavoce di tutti i poveri e umili della storia per cantare la fedeltà di Dio; rileggendo la propria storia come una pagina di storia sacra che Dio sta scrivendo anche attraverso Lei.

Al Magnificat fa eco, nella prima lettura, la voce che risuona nel cielo a commento dello scontro tra il drago feroce e pericoloso (con sette teste e dieci corna) e la donna che stava per partorire. Questa gran voce che viene dal cielo proclama la vittoria di Dio e del suo Cristo, e annuncia la salvezza per i credenti.

Alla signoria vittoriosa di Dio e del suo Cristo è associata anche Maria, i cui tratti regali sono evocati chiaramente nel ritornello del salmo responsoriale: “Risplende la regina, Signore, alla tua destra”. Viene evocata così particolarmente l’assunzione di Maria col corpo al cielo, che manifesta pienamente la vittoria pasquale del Cristo. Si compiono anche in Maria, primizia ed immagine della chiesa, i misteri della nostra salvezza o, meglio, si rivela il volto dell’umanità quale Dio l’ha concepito nella prima creazione e quale si manifesterà nei credenti nell’ultimo giorno.

Il tema della vittoria della vita sulla morte viene ripreso da Paolo, nella seconda lettura. La risurrezione, già realizzata in Cristo, si compirà anche in coloro che aderiscono in lui Paolo qualifica allora Cristo come “primizia”. Questo termine indica i primi frutti del raccolto, promessa, anzi garanzia della produzione successiva. La risurrezione di Cristo è quindi “garanzia” della risurrezione di chi appartiene a lui. Come esiste infatti una solidarietà con Adamo nel destino di morte, così esiste una solidarietà con Cristo che dà la Vita.

Maria è stata scelta da Dio per pura grazia. Questa consapevolezza fa scaturire in lei il gioioso riconoscimento della bontà e misericordia di Dio: “Di generazione in generazione la sua misericordia si stende su quelli che lo temono”. Il timore di Dio, nel linguaggio biblico, non è la paura, perché non si può avere paura di qualcuno che ci vuole bene, che ci ama veramente; ma si tratta di un amore riverenziale di un rispetto mischiato di fiducia verso colui che è certo onnipotente, ma che vuole anche la nostra felicità, che solleva il povero, che esalta l’umile che protegge chi pone soltanto in lui la propria speranza.

Il canto del Magnificat in questa celebrazione grandiosa risulta quindi un inno alla fedeltà di Dio, che di generazione in generazione scrive pagine e pagine di misericordia. È un invito a ciascuno di noi di leggere la propria vita alla luce di Dio, cioè come una vera pagina della storia della salvezza. La misericordia riversata di generazione in generazione continua anche per noi oggi. È un dovere di riconoscere l’opera di Dio nella propria vita, ed è pure un segno di consolazione e di sicura speranza nella propria storia.

Questo dovere di “memoria” compete non solo al singolo credente, ma anche alle coppie, alle famiglie, agli amici o alle comunità. Così ciascun credente ed ogni gruppo o comunità dovrebbero essere in grado di comporre e cantare, oggi e tutti i giorni, il proprio Magnificat, cantico di lode e di gratitudine, assieme alla Vergine. Ma, ecco, questa riconoscenza deve inoltre trasfigurare tutta la nostra esistenza personale in un inno continuo dal nostro Signore.

Infine, nella luce del mistero di Maria glorificata insieme con Cristo, non possiamo mancare di fare riferimento alla dignità della donna e alla sua sempiterna vocazione insostituibile nell’ambito della famiglia, della chiesa e della società.

Auguriamo soprattutto, che anche nella società odierna le donne possano sempre corrispondere al progetto che Dio ha sulla loro vita. Maria è entrata nell’infinito di Dio per meglio servire di lassù i suoi figli pellegrini su questa “Valle di lacrime”. Guardiamo con fiducia che accanto al figlio, ella è nostra potente avvocata e protettrice.
Don Joseph Ndoum