Giornata delle vocazioni per i Missionari Comboniani: “La buona testimonianza è contagiosa”

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Domenica 25 aprile 2021
“L’Africa è un continente di speranza per quanto riguarda le vocazioni alla vita consacrata missionaria comboniana. È un momento di benedizione come lo è stato per l’Europa dopo la seconda guerra mondiale” afferma P. Elias Essognimam Sindjalim, Segretario generale della formazione dei Missionari Comboniani (MCCJ), in un colloquio con l’Agenzia
Fides. [Nella foto: missionari comboniani che lavoro in Africa]

La comunità dello Scolasticato Internazionale Comboniano a Lima, Perù, quest’anno 2021, è composta da studenti di Teologia di 11 nazionalità:
Kenya, Etiopia, Uganda, Mozambico, Filippine, Colombia, Guatemala, Zambia, Spagna, Togo e Benin.
Seguiamo l'esempio di San Daniele Comboni che ha cercato missionari in ogni paese per la sua missione!

Può farci un quadro della situazione delle vocazioni comboniane?

Quest’anno abbiamo trentasette novizi che faranno la prima professione nel mese di maggio: l’8,1% provengono dall’Asia, quasi il 19% dall’America e per il 72,9% sono africani.
Gli studenti di teologia e i fratelli nella tappa finale della formazione di base sono 147 in quest’anno formativo 2020-2021. Per l’86,39% sono africani, il 2,04% sono asiatici, il 10,88% sono americani e lo 0,68% europei. Di questi 147 studenti, il 10% è costituito da religiosi non sacerdoti, i fratelli. È importante sottolineare che noi siamo un istituto di sacerdoti e fratelli che svolgano dei ministeri complementari nella missione.

Le circoscrizioni (provincie e delegazioni) comboniane che registrano i numeri più alti di candidati e di giovani in formazione in Africa sono la Repubblica Democratica del Congo, il Togo-Ghana-Benin, il Mozambico, il Malawi-Zambia, l’Uganda. Ultimamente i numeri stanno crescendo in Sud Sudan e Kenya.

In quali contesti fioriscono le vocazioni?

Nella storia dell’istituto le prime vocazioni africane venivano quasi esclusivamente dalle parrocchie e dalle opere sociali dei missionari comboniani. Ma le cose sono cambiate, ormai i giovani che chiedono di diventare comboniani vengono anche delle parrocchie non comboniane a causa della globalizzazione ma soprattutto come frutto del servizio di animazione missionaria svolto attraverso le riviste missionarie e della promozione vocazionale su cui ha investito il nostro istituto, oltre che dai ministeri sociali.

La maggior parte viene da Chiese vive, dove hanno la testimonianza di tanti consacrati (comboniani o non) e di laici che incoraggiano a fare la scelta della vita religiosa. Alcuni dicono che gli africani entrano nella vita religiosa a causa della povertà. Io penso che il vero humus per le vocazioni sia la vivacità e la vitalità delle Chiese locali africane, nelle quali i giovani trovano uno spazio di crescita della loro fede. Anche se questa motivazione di fuga della povertà ci può essere in alcuni candidati, essa è purificata nel lungo processo formativo comboniano.

Cosa spinge oggi un giovane africano a farsi prete e missionario comboniano?

La prima causa è senza dubbio la vita di fede che vivono nelle famiglie e nelle Chiese locali, con la loro vitalità e vivacità, come dicevo prima. Dove c’è vita di fede, lo Spirito è all’opera, e solo un giovane che è immerso in questa vita di fede può ascoltare la voce di Dio che lo chiama a mettersi in cammino vocazionale. Il secondo motivo è la testimonianza di vita e di missione di tanti missionari e missionarie che sono impegnati in Africa. Tanti giovani ci dicono “voglio essere missionario come un tale”, anche senza sapere tutto quello che significa essere missionario comboniano. La buona testimonianza è contagiosa. Il terzo punto è l’impatto sociale delle opere caritative missionarie. In tanti paesi africani è il ministero sociale della Chiesa (nelle scuole, negli ospedali, nei centri di promozione umana, di giustizia, pace e integrità del creato, ecc.) che salva ogni giorno, in modo concreto, la vita di tante persone.

Postulaanti missionari comboniani a Balaka, in Malawi.

Quali sfide si pongono in questa situazione di abbondanza di vocazioni?

Se le vocazioni sono una benedizione, sono anche una responsabilità. Il fatto che di fronte ai grandi numeri di candidati bisogna fare i conti con la responsabilità della qualità della formazione e del vivere per tutta la vita gli impegni della vita religiosa. Per questo le sfide sono tante, come esempio cito le quattro più importanti.

La prima sfida è quella di discernere bene le vocazioni, di accompagnarle e di formarle a vivere gli impegni della vita religiosa per tutta la vita. L’istituto in questi ultimi dieci anni ha investito tanto in personale e in mezzi economici per preparare i formatori e i promotori vocazionali. Il Capitolo del 2009 ha fatto la scelta del modello educativo dell’integrazione (integrare tutte le energie e le dimensioni della vita della persona attorno al centro vitale che è il Cristo) come modello da seguire nell’accompagnamento e nella formazione dei nostri candidati. Per questo in questi ultimi anni, i formatori e i promotori vocazionali sono stati formati in questo modello avvalendosi prevalentemente della scuola per formatori dell’Università Gregoriana, di quella dell’Università Salesiana e anche delle scuole per formatori degli ex-alunni dell’istituto di psicologia della Gregoriana che si trovano nei diversi continenti. Sono state anche organizzate delle assemblee continentali della formazione per fare formazione permanente con i formatori e i promotori e discutere insieme le problematiche della formazione cercando di contestualizzarla.

La seconda sfida è quella economica, perché bisogna adattare le strutture formative ai numeri crescenti, investire negli studi di qualità e avere i mezzi economici necessari per il sostentamento dei candidati e dei formatori nelle case di formazione. Questa sfida è per il momento affrontata grazie alla solidarietà delle circoscrizioni dell’Europa e degli USA e Canada. Ma ci sono anche delle iniziative di auto-sostentamento che stanno crescendo nelle grandi città dove lavoriamo.

La terza sfida è quella dell’interculturalità, che è stata sempre la sfida più importante del nostro Istituto perché dalla sua fondazione è stato chiamato a dare la testimonianza della cattolicità della Chiesa formando in missione delle comunità internazionali e interculturali. Questa sfida è affrontata strutturando la formazione nei Noviziati, negli Scolasticati e nei Centri di Formazioni per Fratelli con l’internazionalità. I progetti formativi sono concepiti con l’obiettivo di aiutare i candidati a passare dalla multiculturalità all’interculturalità, da una mentalità nazionale o continentale a quella cattolica, che abbraccia il fatto che in Gesù Cristo tutti siamo fratelli.

La quarta sfida è quella di formare alla missione oggi. Vivendo in una società “liquida”, uno può cadere nella tentazione di pensare che la missione sia ovunque e dimenticare lo specifico della missione comboniana che è la missione ad gentes, ad vitam, ad pauperes. I giovani possono fare fatica a vivere quello che i comboniani chiamano la missione difficile, la missione della periferia. Per questo la preparazione alla missione con lo specifico comboniano è sempre nell’orizzonte di tutto il percorso formativo.
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SL – Fides]