P. Guido Oliana: “San Giuseppe e il Fratello comboniano. Paternità, fraternità e ministerialità”

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Martedì 30 marzo 2021
Nella tradizione comboniana San Giuseppe viene considerato come il patrono e l’esempio dei fratelli in virtù della sua professione di “falegname”. Spesso tale visione era vista superficialmente a livello devozionale senza grandi approfondimenti teologici e spirituali. Era caratterizzata da una comprensione piuttosto moralista o edificatoria. Con l’approfondimento del carisma della vocazione del fratello missionario comboniano, avvenuto nel dopo Concilio, anche il riferimento al protettore San Giuseppe deve essere arricchito e qualificato teologicamente.

I
LA TEOLOGIA E SPIRITUALITÀ DI SAN GIUSEPPE
E LA VOCAZIONE DEL FRATELLO MISSIONARIO COMBONIANO

Paternità, fraternità e ministerialità

P. Guido Oliana

Introduzione

L’esortazione apostolica di Giovanni Paolo II sulla missione di San Giuseppe, Redemptoris Custos (“Il custode del Redentore”) (15 agosto 1989) (CR), scritta in occasione del primo centenario dell’Enciclica Quamquam pluries di Leone XIII,(1) può essere considerata la magna carta della teologia di San Giuseppe.(2)

P. Tarcisio Stramare, biblista e teologo, membro della commissione per la Nova Vulgata, uno dei più grandi esperti della figura di San Giuseppe, che collaborò con la stesura dell’esortazione apostolica, in diverse occasioni afferma: “La paternità è lo strumento che Dio ha messo in mano a San Giuseppe per servire Gesù, appunto come padre”. “San Giuseppe è prima di tutto un contemplativo”. “Quante volte San Giuseppe avrà pronunciato nella sua vita il nome di Gesù, come pure quello di Maria!” La sua prima funzione è quella di minister salutis, cioè di “ministro della salvezza, dove per ‘salvezza’ si intende evidentemente quella offerta agli uomini da Gesù”. “San Giuseppe è […] prima di tutto un modello di contemplazione. Ogni giorno aveva davanti a sé la Verità, e certamente era incantato dalla Verità, che è Gesù. Se manca la contemplazione anche l’azione diventa […] mera azione e basta”. “Purtroppo nei libri di dogmatica, nei seminari e nelle università cattoliche, la figura di san Giuseppe è oggi assolutamente assente. Ma come si può fare teologia della Santa Famiglia e quindi della famiglia se manca San Giuseppe?”(3) Quest’ultima affermazione potrebbe fare sorridere qualche professore di seminario, tuttavia essa evidenzia una lacuna nella nostra spiritualità cattolica attuale e in particolare, forse, nella nostra formazione comboniana.

Nella tradizione comboniana San Giuseppe viene considerato come il patrono e l’esempio dei fratelli in virtù della sua professione di “falegname”. Spesso tale visione era vista superficialmente a livello devozionale senza grandi approfondimenti teologici e spirituali. Era caratterizzata da una comprensione piuttosto moralista o edificatoria. Con l’approfondimento del carisma della vocazione del fratello missionario comboniano, avvenuto nel dopo Concilio, anche il riferimento al protettore San Giuseppe deve essere arricchito e qualificato teologicamente.

L’occasione propizia per questo approfondimento ci viene ora offerta da Papa Francesco, che ha dedicato il 2021 a San Giuseppe, offrendoci degli spunti interessanti nella sua Lettera Apostolica “Patris corde” (“Con il cuore di padre”) (PC)(4) in occasione del 150° anniversario della dichiarazione di San Giuseppe quale Patrono della Chiesa Cattolica fatta dal Beato Pio IX, l’8 dicembre 1870 durante il Concilio Vaticano I, a cui partecipava anche il Comboni come teologo del Vescovo di Verona Luigi di Canossa. Siamo, perciò, invitati ad approfondire teologicamente e spiritualmente la figura di San Giuseppe e di farne emergere le sfide alla vocazione del fratello missionario comboniano e del comboniano in genere.

Per raggiungere tale scopo seguirò la seguente mappa. Esaminerò le fonti principali su San Giuseppe: la Bibbia, i Padri della Chiesa, il magistero dei Papi Giovanni Paolo II e Francesco, San Daniele Comboni e alcuni documenti della tradizione comboniana. Da tali fonti emergono delle ispiranti indicazioni applicabili alla vocazione del fratello missionario comboniano in relazione complementare con la vocazione del presbitero comboniano.

1. San Giuseppe nella Bibbia e nei Padri della Chiesa

Il nome Giuseppe significa “Colui che aumenta” o “Colui che raddoppia”. Alcuni commenti biblici affermano il significato di “Egli (il Signore) aggiungerà”, implicando perciò il nome di Dio.(5) Si può rendere anche come “accresciuto da Dio” (“yasaph, “accrescere, aggiungere”)(6) o “Jahvé voglia aggiungere [altri figli a quelli già nati]”.(7)

Attualizzandone liberamente il significato etimologico, possiamo dire che provvidenzialmente Dio aggiunse la figura di Giuseppe nella storia della salvezza nel contesto dell’incarnazione come “segno essenziale aggiunto” alla paterna azione divina per renderla concreta e percepibile storicamente. Analogamente, il fratello comboniano risulta essere un “segno essenziale aggiunto” della paterna azione provvidente di Dio mediante il suo molteplice servizio, ma in comunione con la missione del presbitero comboniano, il quale garantisce la paterna azione salvifica divina mediante l’annuncio della parola, la celebrazione dei sacramenti e la cura pastorale. Questo è il contenuto che vorrei sviluppare nel corso di questa riflessione per mostrare la complementarietà e la reciprocità delle due pur distinte ed essenziali dimensioni della vocazione comboniana.

In primo luogo, richiamo brevemente i riferimenti nel Nuovo Testamento alla figura di Giuseppe per comprenderne il significativo ruolo in ordine alla storia della salvezza. Aggiungo poi un accenno al pensiero dei Padri della Chiesa.

a) Giuseppe nel Vangelo di Matteo

Nella genealogia di Matteo, che evidenzia la discendenza di Gesù dalla stirpe di Davide (cf. Mt 1,2), Giuseppe viene menzionato come garante della discendenza davidica del figlio adottivo Gesù: “Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù chiamato Cristo” (Mt 1,16).

Nella narrazione del concepimento e nascita di Gesù, Giuseppe ha un ruolo imprescindibile. “Ecco come avvenne la nascita di Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto. Mentre però stava pensando a queste cose, ecco che gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: ‘Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati” (Mt 1,18-21).

Questo brano ha subito le più disparate interpretazioni. La più immediata, ma anche la più superficiale, è che Giuseppe, vedendosi tradito da Maria, rimasta incinta da qualche altro, essendo un uomo buono e non vendicativo, non volle accusare Maria, che secondo la legge doveva essere lapidata pubblicamente, ma decise di licenziarla in segreto senza farne pubblicità. Questa interpretazione sembra la più comune. Presento più avanti le varie interpretazioni da parte dei Padri della Chiesa

Secondo gli esegeti moderni, Giuseppe è dichiarato “giusto” perché constata nell’evento della gravidanza di Maria la presenza di Dio, e quindi un intervento soprannaturale, per cui si ritira in umiltà, non sentendosi all’altezza a cooperare con un mistero più grande di lui. Secondo il senso che ha in Matteo, Giuseppe è dichiarato “giusto” perché accetta il piano di Dio che sconcerta il proprio piano.(8) Il termine “giusto” “qualifica Giuseppe, che aveva deciso di separarsi da Maria quando conobbe che aveva concepito per opera dello Spirito Santo. Tale decisione non era dettata da un sospetto, come spesso si legge, ma esprimeva, invece, il ‘rispetto’ verso l’azione e la presenza di Dio, tale da spiegare la fiducia che gli venne conseguentemente accordata per mezzo dell’angelo di tenere con sé la sua sposa e di fare da padre a Gesù.”(9) Potremmo collegare il termine “giusto” alla teologia della giustificazione di Paolo. Giuseppe è “giusto” perché “giustificato” (reso accetto e capace) dalla grazia divina e, responsabilmente, dalla sua fede radicale nell’azione salvifica di Dio.

Dopo aver ricevuto il messaggio dell’angelo, che gli comunicava la volontà divina, Giuseppe prontamente la eseguisce. “Destatosi dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con se la sua sposa, la quale, senza che egli la conoscesse, partorì un figlio, che egli chiamò Gesù” (Mt 1, 24-25). Alla notizia che Erode voleva eliminare il bambino, Giuseppe riceve dall’angelo il messaggio di fuggire in Egitto e, nuovamente, egli obbedisce alla volontà divina. “Giuseppe destatosi, prese con sé il bambino e sua madre nella notte e fuggì in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode” (Mt 1,14-15). Giuseppe è menzionato anche nel viaggio di ritorno dall’Egitto (cf. Mt 1,19-20). In questi riferimenti è evidente la missione di Giuseppe come “custode del Redentore”. Non discuto qui la complessa questione storica dell’andata in e del ritorno dall’Egitto nel testo di Matteo, che è un midrash (commento edificante) che illustra la vita di Gesù come una riproduzione catechetica della vita di Mosè e del popolo eletto.

In Matteo, troviamo anche un accenno alla professione di Giuseppe. Meravigliata per la sapienza che Gesù manifestava nelle sue parabole, la gente si chiedeva: “Da dove mai viene a costui questa sapienza e questi miracoli? Non è egli il figlio del carpentiere (fabri filius)” (Mt 13,54-55)? Il termine “carpentiere” (faber) traduce il termine greco tektón. Giuseppe non faceva i semplici lavori di un falegname, ma “esercitava un mestiere con del materiale pesante che manteneva la durezza anche durante la lavorazione, per esempio: legno, pietra, corno”.(10) Mc 6,3 parla di Gesù stesso come carpentiere. “Non è costui il carpentiere, il figlio di Maria”? Matteo reagisce al sarcasmo della gente nell’applicare a Gesù stesso il termine poco nobile di carpentiere, e quindi cambia la frase applicandolo a Giuseppe: “Non è egli il figlio del carpentiere (tektón)”? Luca elimina la menzione dell’umile professione di Giuseppe forse perché essa sembrava inconveniente e dice in generale: “Costui non è figlio di Giuseppe?” (Lc 4,22).

In sintesi, il lavoro di Giuseppe non si riduceva a umili lavori di falegname. Probabilmente era impiegato in costruzioni commerciali con una buona retribuzione. La famiglia di Nazareth non era povera, ma di medie possibilità economiche. “Ai tempi di Gesù in una simile situazione di operaio ‘si trattava di un onore di vita, decoroso ma modesto’, legato alle commissioni per l’incremento edilizio, non sempre eseguito senza tassazioni gravose. Per mantenere il benessere della famiglia, Giuseppe certamente cercò di aiutare Gesù nell’apprendere il tipo di lavoro da lui eseguito in una certa dipendenza da ambienti eletti di falegnami e artigiani.”(11)

b) Giuseppe nel Vangelo di Luca

Nella genealogia secondo Luca, che evidenzia Gesù come figlio di Adamo per mostrare l’universalità della salvezza portata da Gesù, Giuseppe riappare all’inizio del testo. “Gesù […] era figlio, come si credeva, di Giuseppe, figlio di Eli […].” (Lc 3,23). Di passaggio, notiamo l’incongruenza tra le due genealogie. In Matteo Giuseppe è figlio di Giacobbe, in Luca è figlio di Eli.

Luca, poi, menziona Giuseppe in occasione del viaggio con Maria a Betlemme per effettuare il censimento nella terra del suo antenato Davide. “Anche Giuseppe, che era della casa e della famiglia di Davide, dalla città di Nazareth e dalla Galilea salì in Giudea alla città di Davide, chiamata Betlemme, per farsi registrare insieme con Maria, sua sposa, che era incinta” (Lc 2,4-5).

Qui Giuseppe garantisce la discendenza del figlio adottivo Gesù dalla stirpe di Davide, secondo le promesse messianiche dell’Antico Testamento.

Dopo avere ricevuto il messaggio della nascita del Salvatore, i pastori andarono senza indugio a Betlemme, dove “trovarono Maria e Giuseppe e il bambino che giaceva nella mangiatoia” (Lc 2,16). In altri passi, Giuseppe non viene menzionato con il suo nome proprio ma con il termine genitore. Nell’occasione della presentazione al tempio, Luca fa menzione dei genitori (Maria e Giuseppe) che “vi portarono il Bambino Gesù per adempiere a legge” (Lc 2,27). Nell’episodio di Gesù fanciullo che rimase nel tempio tra i dottori, Luca sottolinea: “senza che i genitori se ne accorgessero” (Lc 2,43). Vedendolo tra i dottori Maria, “sua madre gli disse: ‘Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo’ ”. Gesù risponde. “Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?” (Lc 2,48-50).

Notiamo qui la presa di coscienza da parte di Gesù della sua figliolanza divina. Si nota un certo recondito contrasto tra Giuseppe, il “padre putativo” (adottivo o legale), o “il padre aggiunto” secondo la mia libera interpretazione etimologica del nome, e Dio, il vero Padre di Gesù per eterna generazione soprannaturale. Gesù adolescente, maturando la coscienza della sua provenienza divina, si rende conto della sua identità di “figlio di Dio”, e quindi della missione che Dio Padre gli ha affidato. È questo un momento culminante del Vangelo di Luca e anche della teologia e spiritualità di San Giuseppe. Gesù non rinnega la paternità legale adottiva di Giuseppe, ma mette in chiaro che la sua identità e missione provengono da Dio, suo vero Padre, per cui deve rispondere a Dio prima che agli uomini.

Luca menziona Giuseppe anche in occasione della reazione della gente di Nazareth alle parole pronunciate da Gesù nella sinagoga di Nazareth: “Tutti gli rendevano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: ‘Non è il figlio di Giuseppe’ ”? (Lc 4,22). Anche qui troviamo un certo contrasto tra il figlio di Giuseppe a livello legale e il Figlio di Dio a livello soprannaturale, il quale dice parole di grazia, quindi parole ispirate dal suo Padre divino, che non potevano venire da Giuseppe, suo padre adottivo.

c) Giuseppe nel Vangelo di Giovanni

Nel Vangelo di Giovanni il nome di Giuseppe appare almeno due volte. In Gv 1,45 Filippo dice a Natanaele: “Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè nella Legge e i Profeti, Gesù figlio di Giuseppe di Nazareth”. In Gv 6:42 si parla delle mormorazione dei Giudei dopo il discorso di Gesù a Cafarnao sul pane di vita: “Costui non è forse Gesù il figlio di Giuseppe? Di lui conosciamo il padre [Giuseppe] e la madre [Maria]. Come può dunque dire: Sono disceso dal cielo”?

Questi testi indicano che era convinzione generalizzata che Gesù fosse il figlio naturale di Giuseppe. Nessuno poteva immaginarne la provenienza e la natura divina. Per una speciale rivelazione di grazia, solo Maria e Giuseppe erano consapevoli del mistero che Gesù nascondeva. I maligni, che contestavano la divinità di Gesù, lo sospettavano figlio di prostituzione (cf. Gv 8,41).

d) San Giuseppe nei Padri della Chiesa

Alcuni Padri della Chiesa cercano di capire lo smarrimento vissuto da Giuseppe nell’accorgersi che Maria era rimasta incinta senza il suo intervento.

Giustino martire dice che Giuseppe è un uomo “giusto” per la sua mediazione tra l’obbedienza alla legge, che chiedeva al fidanzato o marito di sciogliere il legame coniugale in caso di adulterio, e la sua magnanimità, che mitiga il rigore della legge, evitando la pubblica diffamazione. Giuseppe risulta essere un uomo giusto o saggio. Un’altra interpretazione viene offerta da Gerolamo. Giuseppe conosce la castità di Maria, ma rimane meravigliato dell’accaduto. Nel silenzio egli nasconde il significato di quello che considera un mistero. Giuseppe si trova di fronte a un dilemma tra la propria coscienza dell’innocenza di Maria e il fatto della sua gravidanza che sembra smentirla.(12)

Questa duplice interpretazione non convince gli esegeti moderni. Già Origene ne aveva intuito l’interpretazione corretta. In un’omelia egli mette in luce che “Giuseppe era giusto e la sua vergine era senza macchia. La sua intenzione di lasciarla si spiega per il fatto di aver riconosciuto in lei la forza di un miracolo e di un mistero grandioso. Per avvicinarsi a esso, egli si ritenne indegno”(13).

Ireneo sottolinea la funzione paterna di educatore di Gesù, servizio prestato da Giuseppe con gioia.(14) Origene ancora sottolinea la speciale missione di San Giuseppe come “l’ordinatore della nascita del Signore”.(15) Efrem qualifica San Giuseppe come “ministro dell’economia divina” (dell’incarnazione).(16) Giovanni Crisostomo afferma che san Giuseppe dopo avere accolto Maria come sua sposa, “divenne ministro di tutta l’economia (del mistero)”(17) Girolamo si scaglia contro i “deliri” dei Vangeli apocrifi su San Giuseppe. Egli sostiene che “rimase vergine colui che meritò di essere chiamato padre del Signore”.(18)

Gli autori ecclesiastici del Medio Evo e delle epoche posteriori continuano ad esaltare la figura di San Giuseppe, mettendone in luce la realtà del suo matrimonio con Maria e le virtù, in particolare quella della sua castità sull’esempio di Maria.(19)

2. San Giuseppe nel recente magistero papale

Consideriamo brevemente due documenti pontifici: la Redemptoris custos (“Il custode del Redentore”) (RC) di Giovanni Paolo II e il Patris corde (“Con il cuore di padre”) (PC) di Francesco menzionati sopra nell’introduzione.

a) Redemptoris custos di Giovanni Paolo II

Come già accennato nell’introduzione, la lettera apostolica Redemptoris Custos viene considerata la magna carta della teologia di San Giuseppe.(20)

In riferimento all’imbarazzo di Giuseppe di fronte alla misteriosa gravidanza di Maria, Giovanni Paolo II attesta: “Egli non sapeva come comportarsi di fronte alla ‘mirabile’ maternità di Maria. Certamente cercava una risposta all’inquietante interrogativo, ma soprattutto cercava una via di uscita da quella situazione per lui difficile” (RC 3). Il messaggio dell’angelo illumina e conforta la sua coscienza. “Mediante il sacrificio totale di sé Giuseppe esprime il suo generoso amore verso la Madre di Dio, facendole ‘dono sponsale di sé’. Pur deciso a ritirarsi per non ostacolare il piano di Dio che si stava realizzando in lei, egli per espresso ordine angelico la trattiene con sé e ne rispetta l’esclusiva appartenenza a Dio” (RC 20). “Di questo mistero divino Giuseppe è insieme con Maria il primo depositario. Insieme con Maria – ed anche in relazione a Maria – egli partecipa a questa fase culminante dell’auto-rivelazione di Dio in Cristo, e vi partecipa sin dal primo inizio” (RC 5).

San Giuseppe esercita il suo servizio a Maria, sua sposa, e a Gesù, suo figlio adottivo mediante l’offerta della sua paternità putativa. “San Giuseppe è stato chiamato da Dio a servire direttamente la persona e la missione di Gesù mediante l’esercizio della sua paternità: proprio in tal modo egli coopera nella pienezza dei tempi al grande mistero della Redenzione ed è veramente ‘ministro della salvezza’ ”) (RC 8).(21) Giuseppe presiede alla crescita ed educazione di Gesù. “La crescita di Gesù ‘in sapienza, in età e in grazia’ (Lc 2,52) avvenne nell’ambito della Santa Famiglia sotto gli occhi di Giuseppe, che aveva l’alto compito di ‘allevare’, ossia di nutrire, di vestire e di istruire Gesù nella legge e in un mestiere, in conformità ai doveri assegnati al padre” (RC 16). In sintesi, Giovanni Paolo II afferma che “Giuseppe è il padre: non è la sua una paternità derivante dalla generazione; eppure, essa non è apparente, o soltanto sostitutiva, ma possiede in pieno l’autenticità della paternità umana, della missione paterna nella famiglia” (RC 21).

La grandezza di San Giuseppe viene qui definita nel suo essere “ministro della salvezza”; in quanto padre servì direttamente Gesù e la sua missione salvifica. I misteri della vita nascosta di Gesù necessitavano l’indispensabile cooperazione paterna di Giuseppe dal punto umano, civile e religioso. “Toccava al padre, infatti, iscrivere il bambino all’anagrafe, provvedere al rito della circoncisione, imporgli il nome, presentare il primogenito a Dio e pagare il relativo riscatto, proteggere il Bambino e la madre nei pericoli della fuga in Egitto. È ancora il padre Giuseppe che ha introdotto Gesù nella terra di Israele e lo ha domiciliato a Nazareth, qualificando Gesù come Nazareno; è Giuseppe che ha provveduto a mantenerlo, a educarlo e a farlo crescere, procurandogli cibo e vestito; da Giuseppe Gesù ha imparato il mestiere, che lo ha qualificato come ‘il figlio del falegname’.”(22)

“Espressione quotidiana di questo amore nella vita della Famiglia di Nazareth è il lavoro. Il testo evangelico precisa il tipo di lavoro, mediante il quale Giuseppe cercava di assicurare il mantenimento alla Famiglia: quello di carpentiere. Questa semplice parola copre l’intero arco della vita di Giuseppe” (RC 22). “Si tratta, in definitiva, della santificazione della vita quotidiana, che ciascuno deve acquisire secondo il proprio stato e che può esser promossa secondo un modello accessibile a tutti: ‘San Giuseppe è il modello degli umili che il cristianesimo solleva a grandi destini; San Giuseppe è la prova che per essere buoni ed autentici seguaci di Cristo non occorrono ‘grandi cose’, ma si richiedono solo virtù comuni, umane, semplici, ma vere ed autentiche’ ”(RC 24).(23)

Giuseppe visse la tensione tra la vita contemplativa e la vita attiva che supera nell’amore. “L’apparente tensione tra la vita attiva e quella contemplativa trova in lui un ideale superamento, possibile a chi possiede la perfezione della carità. Seguendo la nota distinzione tra l’amore della verità (‘caritas veritatis’) e l’esigenza dell’amore (‘necessitas caritatis’)(24), possiamo dire che Giuseppe ha sperimentato sia l’amore della verità, cioè il puro amore di contemplazione della verità divina che irradiava dall’umanità di Cristo, sia l’esigenza dell’amore, cioè l’amore altrettanto puro del servizio, richiesto dalla tutela e dallo sviluppo di quella stessa umanità” (RC 27). Giovanni Paolo II conclude la sua lettera apostolica richiamando la portata del Concilio Vaticano II che ci ha sensibilizzato alle “grandi cose di Dio”, all’ “economia della salvezza”, della quale Giuseppe fu speciale ministro. Il Papa si auspica che “San Giuseppe diventi per tutti un singolare maestro nel servire la missione salvifica di Cristo, compito che nella Chiesa spetta a ciascuno e a tutti: agli sposi ed ai genitori, a coloro che vivono del lavoro delle proprie mani o di ogni altro lavoro, alle persone chiamate alla vita contemplativa come a quelle chiamate all’apostolato (RC 32).

b) Patris corde di Francesco

In occasione del 150° anniversario della dichiarazione di San Giuseppe quale patrono della Chiesa universale da parte di Pio IX durante il Concilio Vaticano I (1870), papa Francesco presenta un’interessante riflessione sulla figura di San Giuseppe prendendo in considerazione l’attuale pandemia.

Riferendosi alla drammatica situazione di pandemia di questi tempi, Papa Francesco riconosce il servizio responsabile di molte persone (“medici, infermiere e infermieri, addetti dei supermercati, addetti alle pulizie, badanti, trasportatori, forze dell’ordine, volontari, sacerdoti, religiose e tanti ma tanti altri”) che hanno servito gli altri con pazienza infondendo speranza. La pandemia ci ha insegnato che “le nostre vite sono tessute e sostenute da persone comuni – solitamente dimenticate – che non compaiono nei titoli dei giornali e delle riviste né nelle grandi passerelle dell’ultimo show ma, senza dubbio, stanno scrivendo oggi gli avvenimenti decisivi della nostra storia”. E tra queste persone “quanti padri, madri, nonni e nonne, insegnanti mostrano ai nostri bambini, con gesti piccoli e quotidiani, come affrontare e attraversare una crisi riadattando abitudini, alzando gli sguardi e stimolando la preghiera. Quante persone pregano, offrono e intercedono per il bene di tutti”.

Papa Francesco vede in San Giuseppe un adombramento di queste persone che si offrono generosamente al servizio degli altri senza fare sfoggio di sé. “Tutti possono trovare in San Giuseppe, l’uomo che passa inosservato, l’uomo della presenza quotidiana, discreta e nascosta, un intercessore, un sostegno e una guida nei momenti di difficoltà. San Giuseppe ci ricorda che tutti coloro che stanno apparentemente nascosti o in ‘seconda linea’ hanno un protagonismo senza pari nella storia della salvezza. A tutti loro va una parola di riconoscimento e di gratitudine”.

Nel proseguo della lettera, Francesco sviluppa sette dimensioni della spiritualità di San Giuseppe quale padre amato (n. 1); padre nella tenerezza (n. 2); padre nell’obbedienza (n. 3); padre nell’accoglienza (n. 4); padre dal coraggio creativo (n. 5); padre lavoratore (n. 6); e padre nell’ombra (n.7). Sottolineo gli aspetti più salienti di ogni aspetto.

Nella prospettiva del padre amato (n. 1), Francesco vede la grandezza di San Giuseppe – nella linea di Giovanni Paolo II – “nel fatto che egli fu lo sposo di Maria e il padre di Gesù” e, in quanto tale, “si pose al servizio dell’intero disegno salvifico”, come fu bene sottolineato da San Giovanni Crisostomo.(25) Richiamando una riflessione di Paolo VI, Francesco sottolinea la dimensione della paternità espressa nel suo spirito di servizio, di sacrificio “al mistero dell’incarnazione e alla missione redentrice che vi è congiunta”, nell’avere dato una copertura legale a Maria e in particolare a Gesù in un dono di sé e del suo lavoro, “nell’aver convertito la sua umana vocazione all’amore domestico nella sovrumana oblazione di sé, del suo cuore e di ogni capacità, nell’amore posto a servizio del Messia germinato nella sua casa”(26) In sintesi, “come discendente di Davide (cf. Mt 1,16.20), dalla cui radice doveva germogliare Gesù secondo la promessa fatta a Davide dal profeta Natan (cf. 2 Sam 7), e come sposo di Maria di Nazareth, San Giuseppe è la cerniera che unisce l’Antico e il Nuovo Testamento”.

Nella prospettiva del padre della tenerezza (n. 2), viene sottolineato che “Gesù ha visto la tenerezza di Dio in Giuseppe: ‘Come è tenero un padre verso i figli, così il Signore è tenero verso quelli che lo temono’ (Sal 103,13)”. Di fronte alle nostre debolezze, fidandosi della grazia di Dio, la cui forza si manifesta nella nostra debolezza (cf. 2 Cor 12,7-9), “dobbiamo imparare ad accogliere la nostra debolezza con profonda tenerezza”.(27) Dio opera attraverso le prove e difficoltà della vita. San Giuseppe esperimentò la volontà e l’opera di Dio nelle angustie della sua vita. “Giuseppe ci insegna così che avere fede in Dio comprende pure il credere che Egli può operare anche attraverso le nostre paure, le nostre fragilità, la nostra debolezza. E ci insegna che, in mezzo alle tempeste della vita, non dobbiamo temere di lasciare a Dio il timone della nostra barca. A volte noi vorremmo controllare tutto, ma Lui ha sempre uno sguardo più grande.”

Alla luce della dimensione di padre nell’obbedienza (n. 3), Francesco mostra Giuseppe nella sua capacità di pronunciare il suo “fiat” (sì) nelle varie circostanze della vita come Maria nell’evento dell’annunciazione e Gesù nel Getsemani. Giuseppe insegnò a Gesù a sottomettersi sempre alla volontà di Dio. Giuseppe fu chiamato da Dio “a servire direttamente la persona e la missione di Gesù mediante l’esercizio della sua paternità: proprio in tal modo egli coopera nella pienezza dei tempi al grande mistero della Redenzione ed è veramente ministro della salvezza” (RC 8).

Nella prospettiva della dimensione del padre nell’accoglienza (PC 4), Giuseppe, illuminato della grazia di Dio, accolse Maria incondizionatamente nella sua delicata e paradossale situazione. Anche noi ci possiamo trovare in situazioni complesse o incomprensibili, che ci creano delusione e frustrazione e spesso il desiderio di ribellione. “Giuseppe lascia da parte i suoi ragionamenti per fare spazio a ciò che accade e, per quanto possa apparire ai suoi occhi misterioso, egli lo accoglie, se ne assume la responsabilità e si riconcilia con la propria storia. Se non ci riconciliamo con la nostra storia, non riusciremo nemmeno a fare un passo successivo, perché rimarremo sempre in ostaggio delle nostre aspettative e delle conseguenti delusioni”.

San Giuseppe diventa un maestro di vita spirituale nel suo spirito di accoglienza e riconciliazione con tutte le situazioni esistenziali in cui si è venuto a trovare. Giuseppe non è un esempio di passiva rassegnazione di fronte alle contraddizioni della vita. Egli mostra un atteggiamento di coraggio e forza nell’affrontare le difficoltà. “L’accoglienza è un modo attraverso cui si manifesta nella nostra vita il dono della fortezza che ci viene dallo Spirito Santo. Solo il Signore può darci la forza di accogliere la vita così com’è, di fare spazio anche a quella parte contraddittoria, inaspettata, deludente dell’esistenza.” Non si tratta di cercare soluzioni consolatorie o scorciatoie, ma di affrontare le difficoltà personalmente e con responsabilità creativa.

Lo spirito di accoglienza di Giuseppe ci insegna ad accogliere gli altri senza pregiudizi, dando preferenza ai poveri e ai deboli, agli stranieri, ai rifugiati, agli emarginati. Papa Francesco aggiunge: “Voglio immaginare che dagli atteggiamenti di Giuseppe Gesù abbia preso lo spunto per la parabola del figlio prodigo e del padre misericordioso (cf. Lc 15,11-32)”.

Giuseppe ci rivela anche la dimensione del padre dal coraggio creativo (PC 5) di fronte alle difficoltà. Nei Vangeli dell’infanzia, vediamo le grande sfide che Giuseppe dovette affrontare per proteggere Gesù. Spesso noi abbiamo l’impressione che Dio ci abbandoni alle nostre difficoltà e ci dimentichi. “Se certe volte Dio sembra non aiutarci, ciò non significa che ci abbia abbandonati, ma che si fida di noi, di quello che possiamo progettare, inventare, trovare.”

Francesco ci fa poi delle domande inquietanti. Sull’esempio di Giuseppe, che ha protetto Gesù e Maria in situazioni molto difficili, siamo noi capaci di difendere Gesù e Maria nel contesto della Chiesa? Giuseppe ci è di esempio come Custode della Chiesa. “San Giuseppe non può non essere il Custode della Chiesa, perché la Chiesa è il prolungamento del Corpo di Cristo nella storia, e nello stesso tempo nella maternità della Chiesa è adombrata la maternità di Maria. Giuseppe, continuando a proteggere la Chiesa, continua a proteggere il Bambino e sua madre, e anche noi amando la Chiesa continuiamo ad amare il Bambino e sua madre”.

Nella prospettiva di padre lavoratore (PC 6) viene messo in luce il rapporto tra San Giuseppe e il lavoro.(28) “Giuseppe era un carpentiere che ha lavorato onestamente per garantire il sostentamento della sua famiglia. Da lui Gesù ha imparato il valore, la dignità e la gioia di ciò che significa mangiare il pane frutto del proprio lavoro.” In questi tempi la problematica del lavoro è diventata un’urgenza sociale a causa della impressionante situazione di disoccupazione di molte persone. “È necessario, con rinnovata consapevolezza, comprendere il significato del lavoro che dà dignità e di cui il nostro Santo è esemplare patrono.”

Il lavoro viene qualificato come partecipazione attiva alla storia della salvezza, affrettando la venuta del regno di Dio nello sviluppo delle proprie potenzialità e qualità personali non solo per un individualistico interesse ma per il bene della famiglia. “Una famiglia dove mancasse il lavoro è maggiormente esposta a difficoltà, tensioni, fratture e perfino alla tentazione disperata e disperante del dissolvimento. Come potremmo parlare della dignità umana senza impegnarci perché tutti e ciascuno abbiano la possibilità di un degno sostentamento?” Il lavoro diventa collaborazione con Dio stesso nella costruzione del suo regno. La presente crisi economica, sociale culturale e spirituale può provocare una nuova consapevolezza e riscoperta del “valore, importanza e necessità del lavoro” ai fini di raggiungere una situazione di “normalità” in cui tutti possano avere un lavoro dignitoso.

“Il lavoro di San Giuseppe ci ricorda che Dio stesso fatto uomo non ha disdegnato di lavorare. La perdita del lavoro che colpisce tanti fratelli e sorelle, e che è aumentata negli ultimi tempi a causa della pandemia di Covid-19, deve essere un richiamo a rivedere le nostre priorità. Imploriamo San Giuseppe lavoratore perché possiamo trovare strade che ci impegnino a dire: nessun giovane, nessuna persona, nessuna famiglia senza lavoro!”

Nella prospettiva di San Giuseppe come padre nell’ombra (PC 7), Francesco sottolinea che “padri non si nasce, lo si diventa. E non lo si diventa solo perché si mette al mondo un figlio, ma perché ci si prende responsabilmente cura di lui. Tutte le volte che qualcuno si assume la responsabilità della vita di un altro, in un certo senso esercita la paternità nei suoi confronti.” Il padre introduce il figlio nell’esperienza della vita, senza possederlo, rendendolo responsabile delle sue scelte.

San Giuseppe è perciò considerato “castissimo” in quanto non ha posseduto Gesù. “Solo quando un amore è casto, è veramente amore. L’amore che vuole possedere, alla fine diventa sempre pericoloso, imprigiona, soffoca, rende infelici. Dio stesso ha amato l’uomo con amore casto, lasciandolo libero anche di sbagliare e di mettersi contro di Lui. La logica dell’amore è sempre una logica di libertà, e Giuseppe ha saputo amare in maniera straordinariamente libera. Non ha mai messo sé stesso al centro. Ha saputo decentrarsi, mettere al centro della sua vita Maria e Gesù.” Il rispetto della libertà responsabile e creativa del figlio si fonda sul fatto che “ogni figlio porta sempre con sé un mistero, un inedito che può essere rivelato solo con l’aiuto di un padre che rispetta la sua libertà. Un padre consapevole di completare la propria azione educativa e di vivere pienamente la paternità solo quando si è reso ‘inutile’, quando vede che il figlio diventa autonomo e cammina da solo sui sentieri della vita, quando si pone nella situazione di Giuseppe, il quale ha sempre saputo che quel Bambino non era suo, ma era stato semplicemente affidato alle sue cure.”

Francesco conclude ribadendo che nell’esercitare la paternità non si tratta di possedere i figli. L’esercizio della paternità sull’esempio di San Giuseppe diventa segno di “una paternità più alta. In un certo senso, siamo tutti sempre nella condizione di Giuseppe: ombra dell’unico Padre celeste, che ‘fa sorgere il sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti’ (Mt 5,45); e ombra che segue il Figlio.”

NOTE

1 GIOVANNI PAOLO II, Esortazione apostolica Redemptoris Custos sulla figura e la missione di San Giuseppe nella vita di Cristo e della Chiesa (http//www.vatican.va/content/john-paul-ii/it/apost_exhortations/documents/hf_jpii_ exh_15081989_redemptoris-custos.html).

2 Cf. T. STRAMARE, “La ‘parte’ di San Giuseppe nel mistero della redenzione”, in La Santa Crociata in onore di San Giuseppe, 4/2014, 18-20) (https://sanctusjoseph.blogspot.com/2016/09/teologia-su-san-giuseppe.html). MOVI MENTO GIUSEPPINO-TARCISIO STRAMARE, La teologia Giuseppina, in https://movimentogiuseppinoword press.com/la-teologia-giuseppina/.

3 Per queste affermazioni di P. Stramare, cf. https://lanuovabq.it/it/vi-spiego-quante-grande-il-custode-del redentore; https://lanuovabq.it/it/a-dio-padre-stramare-il-teologo-di-san-giuseppe. L’autore ha pubblicato un corposo studio su San Giuseppe: T. STRAMARE, San Giuseppe. Fatto religioso e teologia, Shalom 2018.

4 FRANCESCO, Lettera apostolica Patris corde in occasione del 150° anniversario della dichiarazione di San Giuseppe quale patrono della Chiesa universale (http://www.vatican.va/content/francesco/it/apost_letters/documents/ papa-francesco-lettera-ap_20201208_patris-corde.html).

5 Cf. https://it.aleteia.org/2019/03/19/cosa-significa-il-nome-giuseppe/.

6 Cf. https://www.nomix.it/significato-nome/giuseppe.php.

7 H. OBERMAYER – K. PEIDEL – K. VOGT – G. ZIELER (edd.), ed. it. A. Minissale, Piccolo Dizionario Biblico, Edizione Paoline 1973, 159.

8 Per questa discussione esegetica, cf. XAVIER LÈON-DUFOUR, Studi sul Vangelo, Milano: Edizioni Paoline 1968², 90-114. Per una sintesi, cf. B. MAGGIONI, Il racconto di Matteo, Assisi: Cittadella Editrice 1983, 25-26.

https://it.wikipedia.org/wiki/San_Giuseppe.

10 M. STANZIONE, “San Giuseppe nel Nuovo Testamento”, in https://www.ilnuovoarengario.it/san-giuseppe-nel nuovo-testamento/, a cui debbo anche le seguenti considerazioni bibliche.

11 M. STANZIONE, “San Giuseppe nel Nuovo Testamento”.

12 Cf. B. MAGGIONI, Il racconto di Matteo, 25-26.

13 Frase citata in https://it.wikipedia.org/wiki/San_Giuseppe. Non sono riuscito a trovarne la fonte originaria.

14 IRENEO, Adversus haereses, IV, 23, 1, in Patrologia Graeca 7, 1048. Il testo viene riportato all’inizio della Redemptoris Custos di Giovanni Paolo II.

15 ORIGENE, Hom. XIII in Lucam, 7, in Patrologia Latina 13, 1832.

16 EFREM, Commento al Diatessaron, I, 26. Per l’opera, cf. Sources Chretiénnes 121. Per la considerazione dei ultime tre citazioni dei Padri (Ireneo, Origene e Efrem), cf. https://movimentogiuseppino.wordpress.com/san-giuseppe nella-teologia/.

17 GIOVANNI CRISOSTOMO, In Matthaeum, 5,3, in Patrologia Graeca 57, 57-58.

18 GEROLAMO, Adversus Helvidium, 1, in Patrologia Latina 23,213Per una presentazione della figura di San Giuseppe in generale e nella visione fantasmagorica degli Vangeli apocrifi, cf. G. RAVASI, Giuseppe, Il padre di Gesù, Cisinello Balsamo: San Paolo 2014, in particolare 69-104 (“Gli Apocrifi questi sconosciuti”).

19 Cf. https://movimentogiuseppino.wordpress.com/san-giuseppe-nella-teologia/

20 Cf. T. STRAMARE, La “parte” di San Giuseppe nel mistero della redenzione , in La Santa Crociata in onore di San Giuseppe, 4/2014, 18-20) (https://sanctusjoseph.blogspot.com/2016/09/teologia-su-san-giuseppe.html).

21 Il testo si riferisce a GIOVANNI CRISOSTOMO, In Matth. Hom., V, 3, in Patrologia Graeca 57, 57s.

22 Per una presentazione del pensiero di altri Padri della Chiesa e autori medievali e delle epoche successive sulla figura di San Giuseppe cf. https://it.wikipedia.org/wiki/San_Giuseppehttps://it.cathopedia.org/wiki/San_Giuseppe.

23 La citazione a cui il testo si riferisce è tratta da Insegnamenti di Paolo VI, VII [1969] 1268).

24 Cf. TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologiae», II-II, q. 182, a. 1, ad 3.

25 GIOVANNI CRISOSTOMO, In Matth. Hom, V, 3, in Patrologia Graeca 57, 58.

26 Omelia (19 marzo 1966), in Insegnamenti di Paolo VI, IV (1966) 110.

27 Cf. Evangelii Gaudium, nn. 88 and 288.

28 Cf. LEONE XIII, Rerum novarum.

II
LA TEOLOGIA E SPIRITUALITÀ DI SAN GIUSEPPE
E LA VOCAZIONE DEL FRATELLO MISSIONARIO COMBONIANO

Paternità, fraternità e ministerialità

P. Guido Oliana

3. San Giuseppe in Comboni e nella tradizione comboniana

San Daniele Comboni ebbe una grande devozione a San Giuseppe e la tradizione comboniana la ha mantenuta. Consideriamo brevemente alcuni aspetti di questa tradizione focalizzata su San Giuseppe come “economo solerte” dell’Africa Centrale che ama la Nigrizia.

Pio IX proclamò S. Giuseppe Patrono della Chiesa universale durante il Concilio Vaticano I (1870). Comboni lo venera come “Protettore della Chiesa Cattolica e della Nigrizia”. “Viva S. Giuseppe, protettore della Chiesa universale ed economo della Nigrizia”.(29) Comboni aggiunge una dimensione apostolica e missionaria alla devozione di San Giuseppe, legandolo strettamente alla redenzione dell’Africa. Ringrazia Gesù, Maria e Giuseppe “per la grazia segnalatissima accorata all’infelice Nigrizia di trascegliere l’ammirabile suo Istituto per cooperare efficacemente e poderosamente all’apostolato dell’Africa Centrale”.(30) “San Giuseppe è il vero papà della Nigrizia”.(31) Comboni invita a lodare il Signore e San Giuseppe “che vuole proprio salvare i negri”.(32) “Questo nuovo mondo dell’Africa Centrale appartiene a San Giuseppe”.(33) L’impresa riesce perché ha consacrato il Vicariato anche a San Giuseppe.(34) San Giuseppe convertirà l’Africa Centrale.(35) “San Giuseppe è uno dei tesori più preziosi della Chiesa e dell’Africa.”(36)

Comboni sceglie San Giuseppe come Economo della Missione e si rivolge a lui con confidente familiarità e fiducia.”Bisogna essere arditelli con questo benedetto Santo”.(37) San Giuseppe viene considerato un galantuomo, di molto giudizio e di buon cuore.(38) L’economo San Giuseppe offre una “poderosa assistenza”.(39) Comboni conclude che “la banca di San Giuseppe è più solida di tutte le banche di Rothschild”.(40)

Comboni non aveva tante considerazioni pie o pietistiche su San Giuseppe, ma concreta fiducia nel suo aiuto finanziario. Ricordando una sua caduta dal cammello in un viaggio dal Kordofan a Khartoum, a causa della quale dovette portare al collo il braccio per 82 giorni, Comboni tassa San Giuseppe con la multa precisamente di 82.000 franchi. San Giuseppe fece sì che la provvidenza mandasse a Comboni i soldi di cui aveva bisogno. La fiducia in San Giuseppe, “solerte economo” e “trionfatore di tutti i cataclismi dell’universo”, esprime la fede del Comboni nella Provvidenza

divina che certamente non mancava di aiutare l’opera della salvezza della Nigrizia.(41) In occasione della terribile carestia del 1878, che mise a dura prova l’economia della missione, Comboni ha la certezza che san Giuseppe quale celeste economo della Nigrizia, farà quadrare i bilanci. Egli considera la preghiera di petizione a San Giuseppe più certa e sicura di tutti i trattati e congressi di tutte le potenze del mondo, incluso il famoso Congresso di Berlino.(42) Comboni è certo che San Giuseppe, suo economo, lo aiuterà ad estinguere tutti i debiti, di cui darà un’adeguata relazione a Propaganda Fide.(43) “Nella barba di San Giuseppe sono nascosti molti napoleoni d’oro e lire sterline. Essa ce li darà quando ci occorrono”.(44)

Ciò che feconda la sua fiducia totale nella Provvidenza attraverso la mediazione San Giuseppe è la croce. “Le croci, le afflizioni, le tribolazioni sono necessarie, e rassodano e fanno prosperare l Opere di Dio: e la mia Opera e Opera di Dio”.(45)

La tradizione comboniana continua ad alimentare la devozione a San Giuseppe, “il grande nostro Patrono”. Nell’arduo periodo della Seconda Guerra Mondiale, il Superiore Generale P. Antonio Vignato fa memoria delle “grazie straordinarie che questo caro Santo ha sempre elargito in nostro favore e la sua potente protezione in ogni grave momento”. San Giuseppe è fonte di “nuova fiducia” e “confidente speranza” nei presenti “tristi momenti”.(46) Nel periodo della guerra i comboniani sentivano il bisogno di ringraziare San Giuseppe per la sua protezione. Egli è invocato come “protettore” e “padre sollecito della Congregazione, delle sue opere e dei suoi figli”.(47) San Giuseppe, “ornamento della vita domestica” e “sostegno delle famiglie” è inoltre invocato per la grazia della comunione nelle nostre comunità: “Faccia regnare tra noi quello spirito di famiglia che è uno dei frutti più preziosi della devozione a San Giuseppe”.(48)

San Giuseppe era onorato e pregato in particolare nel mese di marzo durante il quale si celebra la solennità di San Giuseppe. La seconda edizione delle Costituzioni della Congregazione dei Figli del Sacro Cuore (1959) evidenzia che il mese a onore di S. Giuseppe decorre dal 19 febbraio al 19 marzo.(49) Nel Manuale di Preghiere della Congregazione dei Figli del Sacro Cuore (1962) troviamo ben cinque preghiere indirizzate a San Giuseppe: O San Giuseppe, Sposo della santissima Madre di DioCustos virginum (“Custode delle vergini”); A San Giuseppe, per la santificazione e l’aumento della CongregazionePer la conversione dell’Africa (in questa preghiera è menzionata l’intercessione di San Giuseppe); O gran protettore dei moribondi.(50)

In una nuova edizione del Manuale di Preghiere della Congregazione dei Figli del Sacro Cuore (1963) troviamo le stesse preghiere a San Giuseppe del precedente manuale.(51) Ne vengono aggiunte altre: Novena a San GiuseppeOrazione a San Giuseppe (mese di marzo); Litanie di San GiuseppeInno in Latino a San Giuseppe (Te, Ioseph, celebrent); Per la conversione dell’Africa (nuova preghiera); A S. Giuseppe. Novena per ottenere una graziaPer i moribondi e defunti (nella preghiera per i defunti si menziona il “caro San Giuseppe”). Nelle sezione “pratiche indulgenziate” (con indulgenze), in riferimento alle devozioni annuali: Novena a San Giuseppe. In riferimento alle devozioni per le case di formazione: Litanie di San Giuseppe; l’inno Te Ioseph celebrentNovena per ottenere una grazia.(52)

In questi manuali è chiara la dimensione fortemente devozionale dell’interesse in San Giuseppe. Tuttavia quello che merita essere sottolineato sono le motivazioni di queste preghiere: onore per la grandezza spirituale del Santo; la dimensione missionaria (conversione dell’Africa, santificazione e incremento della Congregazione); la sua protezioni nelle difficoltà (lavoro apostolico in Africa, le miserie della Seconda Guerra Mondiale, la morte); l’ispirazione a vivere fedelmente i voti; la sua potenza intercessoria.

Nell’attuale Regola di Vita (1979, n. 51.5; 1988, n. 51.4) si menzionano le feste dei Santi che hanno uno speciale significato o per la chiesa locale o per l’Istituto, come quelle di San Giuseppe. Nel recente libro La Famiglia Comboniana in Preghiera, un rinnovato manuale di preghiere, celebrazioni e riflessioni, troviamo molti riferimenti a San Giuseppe. Viene menzionata la solennità di San Giuseppe del 19 marzo. La celebrazione viene introdotta da una citazione di CR 27 sopra riportata a proposito della sintesi avvenuta in San Giuseppe tra vita contemplativa e vita attiva, tra “amore della verità” (caritas veritatis) e “l’esigenza dell’amore” (necessitas caritatis). Si fa menzione della dignità del lavoro consacrato da San Giuseppe e si richiama la devozione di Comboni a San Giuseppe.(53) Nel libro viene riportata una preghiera di recente composizione inspirata alla spiritualità comboniana: San Giuseppe garante della Provvidenza di Dio.(54) Viene poi dedicata un’intera sezione a San Giuseppe, uomo giusto, con varie preghiere al Santo: San Giuseppe, patrono della Chiesa (Paolo VI), San Giuseppe, custode di Gesù (Giovanni XXIII), Tu mi sei di esempio (Cardinal Ballestrero), San Giuseppe intercede per le vocazioni (preghiera messicana) e le Litanie di San Giuseppe.(55) Nell’Allegato II (San Giuseppe e il Comboniano) vengono presentate delle riflessioni su San Giuseppe, basate sui testi del Comboni stesso: San Giuseppe e i Comboniani; San Giuseppe, “povero per provvedere agli altri”; San Giuseppe, “sempre giovane”; San Giuseppe, l’uomo “del sostanziale”.(56) Nell’ultima riflessione si sottolinea, tra l’altro, “il nesso fondamentale esistente tra persona, lavoro e società e “Giuseppe, uomo della comunità.”(57) Nelle ultime pagine vengono riportate delle citazioni della lettera RC: “Patrono della Chiesa del nostro tempo”, “Il primato della vita interiore” e “Il lavoro espressione dell’amore”.(58) In conclusione, richiamo un’omelia del Superiore Generale P. Tarcisio Agostoni in un convegno di Fratelli a Pordenone (1979), che sembra sintetizzare il valore attuale della devozione a san Giuseppe in particolare nella vita del fratello comboniano, ma anche nella vita di ogni comboniano. P. Agostoni afferma che ognuno può avere i suoi santi protettori preferiti, ma un comboniano non può non avere come patrono principale San Giuseppe che fece parte direttamente del piano di salvezza. “Si tratta di capire qual’è il messaggio che Dio ci vuole trasmettere per mezzo di San Giuseppe, che Lui ha posto vicino a Gesù”.

P. Agostoni sottolinea tre dimensioni fondamentali della grandezza teologica di San Giuseppe: 1) San Giuseppe è un prescelto, un prediletto da Dio a fare parte dei suoi grandiosi disegni. 2) San Giuseppe è scelto per un sublime disegno: introdurre Gesù nel popolo eletto, nella società e nel mondo. 3) San Giuseppe è l’uomo “giusto”, amico di Dio, che si trova “in una sintonia intima con Dio e il suo cuore batte all’unisono con il suo [di Gesù] Cuore.” Come uomo giusto, San Giuseppe “ha sposato l’azione di Dio. Ha saputo attendere nella pazienza che Dio desse il suo segno, ha saputo reagire prontamente al minimo movimento della mano di Dio e l’ha ricercato con incessante onestà”. Da queste considerazioni teologiche P. Agostoni fa emergere alcune domande provocanti. “Abbiamo fiducia in San Giuseppe come economo delle nostre missioni e della nostra Congregazione”? Questa fiducia – come abbiamo visto in Comboni – deve essere “segno della nostra fede nella Provvidenza, nell’esistenza del soprannaturale”, alla luce di Mt 6,33: “Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta”. Faccio notare il ritorno del significato etimologico del nome Giuseppe: “Dio aggiunge” che si può applicare al potere intercessorio di San Giuseppe nel concedere ulteriori grazie.

San Giuseppe viene poi presentato – come accennato da P. Vignato sopra – “modello della nostra vita comunitaria” e anche “modello per i nostri voti” di castità, povertà e obbedienza. Nella castità, San Giuseppe fu un esempio per la sua vita di preghiera e di continua dedizione a Cristo. “Il problema della castità sarà risolto perché chi gusta Dio fino in fondo, chi si mette in attitudine nuziale verso Cristo non ha bisogno di altre soddisfazioni”.

Nella povertà, San Giuseppe ci insegna la vita del lavoro umile, responsabile in qualunque campo di servizio. Il lavoro è questione di giustizia. Sull’esempio di San Giuseppe, tutti noi, Fratelli e Padri, non dobbiamo rinunciare ai lavori umili e nascosti. “I Fratelli si offrano per primi e diano buon esempio”.

Nell’obbedienza, San Giuseppe ci insegna una vita di obbedienza a Dio e alle autorità civili, come quando si adeguò alla legge del censimento e della preghiera al tempio. “Giuseppe ha trovato la sua grandezza e la sua felicità nell’adeguarsi al disegno di Dio”. È la nostra vita un continuo adeguarci alla volontà di Dio espressa in maniere diverse?(59)

In conclusione, San Giuseppe si presenta come un esempio di fedeltà al piano salvifico di Dio, alla sua volontà espressa nelle diverse circostanze della vita, ad una vita di preghiera che con Cristo contempla il volto del Padre, crescendo in amicizia intima con lui. San Giuseppe è un grande modello di vita comunitaria e consacrazione evangelica nella professione dei tre voti di castità

(identificazione con l’amore di Cristo), povertà (umile e gioiosa sottomissione alla legge del lavoro) e obbedienza (adeguamento ai segni della volontà di Dio nelle diverse situazione di vita).

3.1 Sintesi delle virtù di San Giuseppe

Dalle considerazioni bibliche, patristiche, magisteriali e comboniane possiamo riassumere cinque principali qualità umane e spirituali di San Giuseppe, che poi possiamo applicare alla vocazione del fratello comboniano in comunione e reciprocità con la vocazione del presbitero comboniano.

In primo luogo, San Giuseppe è l’uomo “giusto” e “giustificato” (illuminato e fortificato dalla grazia) in quanto fedele al piano salvifico di Dio, che lo porta ad accettare il suo umile servizio a Maria, sua sposa, e a Gesù, suo figlio adottivo, senza interessi personali. Giuseppe diventa così lo strumento storico “aggiunto”, trasparente del protagonismo di grazia del Dio trascendente, manifestando la sua paternità legale ma reale nel contesto sociale, culturale e religioso del suo tempo. Diventa perciò “ministro del mistero della salvezza” o dell’ “economia divina” racchiuso in Gesù. In una parola, Giuseppe diventa segno o sacramento storico della paternità trascendente divina.

In secondo luogo, in questo servizio San Giuseppe manifesta le virtù dell’umiltà, della discrezione, della trasparenza, del discernimento attento ai “segni dei tempi” per cogliere con precisione la volontà di Dio Padre che egli doveva esemplificare storicamente. È dunque un uomo obbediente a Dio prima di tutto.

In terzo luogo, San Giuseppe è il garante della sicurezza familiare della Sacra Famiglia di Nazareth. Protegge e difende la madre Maria e il bimbo Gesù nei diversi drammatici avvenimenti della loro vita. È un realista che fugge da ogni interpretazione spiritualista del suo ruolo. È concreto, sa assumere anche le sue responsabilità lavorative ed economiche per il mantenimento della famiglia, diventandone un amministratore vigile e solerte. Potremmo dire che Giuseppe è “un laico consacrato” impegnato nella laicità della vita, senza fuggire dagli impegni religiosi quando le circostanze culturali e religiose lo richiedono. È dunque un uomo povero, che vive la sua povertà di spirito nelle situazioni esistenziali concrete. Non teme di sporcarsi le mani. È responsabile nei suoi impegni.

In quarto luogo, San Giuseppe è un persona casta perché totalmente dedicata al bene di Maria e di Gesù senza atteggiamenti possessivi. Il suo amore è gratuito. Si mantiene nell’ombra, lasciando primeggiare l’azione provvidente e salvifica di Dio Padre senza cercare la propria affermazione personale. È dunque un uomo casto, che sa mettersi in disparte, vivere nell’ombra per lasciare che il figlio adottivo Gesù scopra e viva liberamente la sua vocazione alla luce delle inspirazioni del Padre celeste.

In quinto luogo – secondo la tradizione comboniana – la teologia e spiritualità di San Giuseppe hanno una dimensione fortemente missionaria. Comboni chiama San Giuseppe protettore della Chiesa Universale e della Nigrizia e sottolinea con insistenza il legame affettivo, apostolico ed intercessorio di San Giuseppe con la conversione dell’Africa Centrale.

4. San Giuseppe: ispiratore della paternità, fraternità e ministerialità comboniana

Il missionario comboniano vive in sé queste qualità umane e spirituali di San Giuseppe nella complementarietà diaconale del fratello come servizio alla comunità ecclesiale a diversi livelli e della vocazione presbiterale del sacerdote ordinato come servizio alla parola, alla celebrazione dei sacramenti e alla cura pastorale.

a) La vocazione del fratello missionario comboniano e del presbitero missionario comboniano

Con il suo spirito di servizio umile e discreto in diverse mansioni, il fratello comboniano come San Giuseppe testimonia in modo trasparente il protagonismo della grazia divina nel costruire la Chiesa come “famiglia di Dio” nella comunità religiosa comboniana o nella comunità ecclesiale parrocchiale o diocesana. Egli rifugge da ogni forma di protagonismo, in particolare da ogni tentativo di recupero di tratti clericali sia negli atteggiamenti che nel vestito, che indicano la ricerca del potere e dell’auto-affermazione sotto spoglie sacrali. L’identità del presbitero comboniano, fuggendo analogamente da ogni forma di clericalismo (protagonismo autoritario sacrale) diventa segno e strumento (sacramento) del protagonismo spirituale della grazia di Dio che opera nella comunità cristiana per costruirla come “popolo di Dio” e “corpo di Cristo” nello Spirito Santo mediante il servizio della parola, dei sacramenti e dell’animazione e cura pastorale.

Potremmo qualificare l’identità del fratello comboniano come “sacerdote della creazione”, mentre il presbitero comboniano come “sacerdote della redenzione”. Il presbitero comboniano è segno o sacramento della paternità quale fonte della vita nel processo della redenzione mediante il servizio della parola, della celebrazione dei sacramenti e della cura pastorale. Il fratello comboniano è segno o sacramento della creazione attraverso il servizio del suo lavoro, qualunque esso sia, che tocca, trasforma e ordina le cose create.

È chiamato a diventare “sacerdote della creazione”“co-creatore” con Dio, alla luce dei tre valori trascendentali: la bellezza, la verità e la bontà. Nel suo lavoro il fratello comboniano trasforma le cose create alla luce della verità, cioè rispettando la correlazione tra il valore della creazione secondo la volontà di Dio e i problemi della gente. Il suo intervento nella creazione deve rispondere ai bisogni della gente: edifici e costruzione e riparazioni meccaniche, iniziative sociali, educative e sanitarie, etc. Trasforma e usa le cose create alla luce del valore della bontà: tutto ciò che fa deve essere utile al bene comune (educazione, salute e vita dignitosa). Le trasforma e le usa alla luce del valore della bellezza: tutto ciò che fa deve affascinare e attrarre le persone a Dio creatore, a Cristo redentore e alla Chiesa sua manifestazione storica.

Il testo di Gen 2,15 (“Dio […] pose l’uomo nel giardino dell’Eden, perché lo coltivasse e o custodisse”) invita il fratello comboniano a “ ‘coltivare e custodire’ il giardino del mondo […]. Mentre ‘coltivare’ significa arare o lavorare un terreno, ‘custodire’ vuol dire proteggere, curare, preservare, conservare, vigilare.”(60) Nel suo lavoro il fratello comboniano avrà un atteggiamento ecologico-spirituale. Trasformando e usando le cose create alla luce dei suddetti valori, come “sacerdote della creazione”, il fratello comboniano ne manifesta la sacralità, cioè la loro corrispondenza alla volontà di Dio, e quindi da offrire a Dio come un gradito sacrificio di lode.

Analogamente, il presbitero comboniano alla luce degli stessi valori trascendentali esercita il suo servizio quale “sacerdote della redenzione” nel servizio della parola, dei sacramenti e della cura pastorale. Alla luce della verità, egli proclama la parola e celebra i sacramenti in sintonia con le realtà esistenziali profonde della gente mediante un’attenzione pastorale personalizzata. Alla luce della bontà, egli ha di mira la salvezza o liberazione autentica della gente. Alla luce della bellezza, egli fa sentire l’attrazione liberatoria e guaritrice di Cristo per opera dello Spirito Santo nel contesto della Chiesa. In questo modo, come dice San Paolo, il presbitero comboniano è “ministro di Gesù Cristo tra i pagani, esercitando l’ufficio sacro del Vangelo di Dio perché i pagani divengano una oblazione gradita, santificata dallo Spirito Santo” (Rom 15,16). Egli offre a Dio i popoli convertiti e trasformati dal Vangelo come sacrificio di lode per il suo amore salvifico.

Nei suoi diversi e più disparati servizi concreti, il fratello comboniano crea l’ambiente di fraternità e di famiglia come segno della paternità provvidente di Dio, che non fa mancare nulla alla sua famiglia (comunità religiosa, parrocchiale o diocesana). Il presbitero comboniano garantisce la dimensione della paternità salvifica di Dio, che vuole che tutti gli uomini siano salvi mediante Gesù Cristo (cf. 1 Tim 2,3-7).

Il padre in una famiglia provvede alla logistica (casa-ambiente dove vivere dignitosamente) all’alimentazione (procura del cibo adatto e soddisfacente) e alla protezione (garanzia della sicurezza anche fisica), educazione sviluppo integrale e sostenibile delle persone. Il fratello comboniano è così servitore della comunità affinché essa diventi sempre più “famiglia di Dio”, come Giuseppe presiedeva alla Sacra Famiglia di Nazareth, che era la “famiglia di Dio” per eccellenza.

La collaborazione tra presbitero e fratello deve essere complementare, evitando ogni forma di rivalità, competizione o rivendicazione di sorta. Mentre il presbitero diventa segno dell’azione salvifica di Dio Padre mediante Cristo e nello Spirito Santo, il fratello, evidenziando l’azione provvidente di Dio Padre, prepara e custodisce l’ambiente o il contesto, affinché l’azione soprannaturale di Dio mediante il servizio presbiterale dell’annuncio della parola, della celebrazione dei sacramenti e della cura pastorale, trovi nella quotidianità della vita concreta di famiglia (comunità religiosa o ecclesiale parrocchiale o diocesana) il suo riflesso e supporto umano in una clima di fraternità nel rispetto della dignità della persona umana e dei suoi valori.

b) Il carisma della ministerialità

La qualifica di San Giuseppe come “ministro della salvezza” o “ministro dell’economia divina”, evidenziata dai Padri della Chiesa ed illustrata dalle due lettere apostoliche del magistero papale presentate sopra, ci porta a riflettere sul carisma della ministerialità, di cui si parla spesso in questi tempi. Il termine è un neologismo. In parole semplici, esso significa spirito di servizio competente a diversi livelli e in diverse mansioni. La teologia e spiritualità di San Giuseppe presentata sopra pervade diffusamente il carisma della ministerialità.

Il significato del termine ministerialità si rifà al significato etimologico del termine latino “minister” (ministro), che richiama la parola “manus” (mano). Il minister era il servitore a tavola che rappresentava il signore della casa che aveva indetto e organizzato un convito. Poiché il signore della casa non poteva servire personalmente i molti commensali, i “ministri” o servitori della mensa lo rappresentavano. Essi erano il prolungamento delle sue mani, cioè il prolungamento della sua generosità, accoglienza e spirito di famiglia. Non credo che l’etimologia di ministerialità – come ho udito in una recente conferenza – si rifaccia a minus (meno), evidenziando pertanto l’umiltà, l’abbassamento, la piccolezza del servitore, anche se questi aspetti fanno necessariamente parte di chi svolge un servizio gratuito per puro amore. San Giuseppe come “ministro dell’economia divina” rappresenta storicamente in questo mondo le “mani” di Dio Padre che raggiungono l’umanità attraverso il dono del Figlio Gesù.

Analogamente, la ministerialità del fratello missionario comboniano diventa espressione delle “mani” di Dio, il Signore della casa (la Chiesa), che serve i suoi figli per mostrare loro la sua generosità, il suo spirito di accoglienza e la sua paternità provvidenziale nella Chiesa, sua famiglia. Il presbitero comboniano diventa il garante della trasparenza del ministero o servizio del fratello comboniano in rapporto alla centralità della paternità salvifica di Dio padre nella comunità religiosa ed ecclesiale.

c) Dimensioni della ministerialità

La ministerialità comboniana, ispirata alla spiritualità di San Giuseppe, è una realtà con valenza tipicamente ecclesiologica, perché legata al servizio della costruzione della Chiesa come “famiglia di Dio” sia nella comunità religiosa che in quella parrocchiale o diocesana. La dimensione ecclesiologica riflette altre dimensioni cruciali.

La ministerialità comboniana ha anzitutto una dimensione trinitaria. La dimensione teologica di Dio Padre provvidente è resa trasparente dalla testimonianza del fratello comboniano che presta il suo servizio di supporto alla vita concreta (logistica, alimentazione, sicurezza, sviluppo integrale e sostenibile), animata spiritualmente dal servizio della parola, dei sacramenti e della cura pastorale da parte del presbitero comboniano. La dimensione cristologica è espressa nell’atteggiamento del servizio come sacrificio della propria vita affinché gli altri abbiano vita in abbondanza, che trova in Gesù l’esempio supremo. La dimensione spirituale (o pneumatologica) si esprime nella vitalità del dono gratuito che si ispira allo Spirito Santo che è l’amore che intercorre tra il Padre e il Figlio.

Mediante il suo tipico ministero soteriologico-sacramentale il presbitero comboniano rende presente la dimensione teologica della paternità salvifica di Dio Padre e, analogamente, la dimensione cristologica del dono gratuito di sé e la dimensione spirituale nella forza dell’amore che è lo Spirito Santo.

La ministerialità comboniana ha dunque una dimensione di grazia. Non deve ridursi a pura funzionalità umana, cioè ad attivismo, ma diventa espressione di un forte atteggiamento contemplativo nel rendere visibile e percepibile la vita e la dinamica trinitaria: la paternità provvidenziale (creazione) e salvifica (redenzione) di Dio Padre, nello spirito di servizio sul modello del Figlio Gesù che dà la vita, nella vitalità dell’amore che è l’energia che comunica lo Spirito Santo. Il fratello e il presbitero comboniano devono fare sintesi vitale tra azione contemplazione, evitando gli estremi di un attivismo sfrenato o di uno spiritualismo disincarnato.

La ministerialità comboniana ha una dimensione comunitaria. Il servizio del fratello comboniano non è un modo di affermazione individualistica dei propri talenti ai fini di un’auto affermazione personale da protagonista, ma è l’espressione di un servizio alla comunità religiosa o ecclesiale animata e sostenuta da una profonda vitalità trinitaria, alimentata teologicamente e spiritualmente dal trasparente servizio presbiterale del sacerdote comboniano. C’è una intrinseca complementarietà e interagente reciprocità nella vocazione del fratello e del presbitero comboniano. Queste sono due dimensioni distinte ma complementari. La perdita di una delle due dimensioni fa venire meno anche l’altra. Nel contesto di una comunità religiosa comboniana, senza il servizio del presbitero comboniano non può sopravvivere il servizio del fratello comboniano e, viceversa, senza il servizio del fratello comboniano non può sopravvivere il servizio del presbitero comboniano.

La ministerialità comboniana è al servizio del bene comune, della difesa e promozione della dignità della persona umana dei vari confratelli e della gente che serviamo nell’apostolato. Essa fugge da ogni forma di clericalismo da parte sia del presbitero che del fratello, il quale esprime l’atteggiamento di chi vuole essere il protagonista, che difende i privilegi, i poteri e lo stato a scapito del bene comune della fraternità o dello spirito di famiglia.

La ministerialità comboniana ha anche una dimensione pluralista cattolica: sa cogliere ed apprezzare le differenze o talenti altrui e cerca di promuoverli senza gelosie, antagonismi o rivalità. Sa cogliere e sviluppare le diversità e la complementarità dei vari doni. Fugge da ogni forma di omologazione o conformismo.

La ministerialità comboniana si alimenta continuamente nella contemplazione della parola di Dio che nutre la dimensione trinitaria, focalizzandosi sull’azione del Padre nella storia della salvezza, del Figlio nel suo spirito di solidarietà con l’umanità e dello Spirito Santo come amore gratuito (agape) che motiva e anima ogni atteggiamento ed impegno di vita.

La ministerialità comboniana ha una forte sensibilità sociale che coglie i bisogni profondi dei fratelli e sorelle e vi risponde in modo sostenibile.

La ministerialità comboniana ha un’accentuata apertura ecologica che rispetta il valore della natura correlato con il servizio al povero e al bisognoso la cui sopravvivenza dipendono dalla gestione saggia della creazione. In fine, la ministerialità comboniana ha ovviamente una forte dimensione missionaria, in quanto è animata da un vibrante slancio apostolico per la crescita del regno di Dio in tutto il mondo e in particolare nelle zone dove i missionari comboniani svolgono il loro servizio di evangelizzazione.

Conclusione

Ho cercato di presentare diversi aspetti di una possibile teologia e spiritualità ispirata alla figura di San Giuseppe. Ne è risultato un ricco profilo che supera ogni riduzione devozionalistica che oggi non è più tanto appetibile e non fa più presa sui giovani. Lo scopo dell’articolo era quello di favorire una spiritualità di San Giuseppe che possa illuminare e sostenere la vocazione del fratello missionario comboniano. Ma non si poteva e non si doveva dimenticare la vocazione del presbitero missionario comboniano con la quale essa interagisce e si arricchisce creativamente.

Le varie dimensioni emerse possono ispirare la spiritualità comboniana nella duplice vocazione del fratello e del presbitero comboniano. Se la spiritualità di San Giuseppe viene profondamente compresa e vissuta si supera ogni forma di antagonismo o competizione tra l’identità del fratello e quella del presbitero. Le due identità sono complementari e tra loro interagenti, ma distinte. Ogni confratello deve sentire il gioioso orgoglio della propria identità senza complessi di inferiorità o di superiorità.

È auspicabile una continua riflessione su e assimilazione della teologia e spiritualità di San Giuseppe, ai fini di qualificare la tenuta positiva e creativa della comunità religiosa comboniana e della sua azione evangelizzatrice.

NOTE

29 COMBONI, Scritti 3849. Per una riflessione su San Giuseppe in Comboni, cf. A. GILLI – P. CHIOCCHETTA, Il Messaggio di Daniele Comboni, Bologna: EMI 1977, 352-356; “S. Giuseppe maestro di vita missionaria nel ‘messaggio’ comboniano”, in P. CHIOCCHETTA – A. GILLI, La preghiera in Comboni, 135-186. Per riferimenti agli scritti di Comboni, cf. Indice analitico, in D. COMBONI, Scritti, Bologna: EMI 1991, 2142-2144. Si veda anche G. OLIANA, Contemplazione e Missione in Daniele Comboni (Biblioteca Comboniana 12 MS), Roma: Missionari Comboniani 1999, 78-81.

30 COMBONI, Scritti 5866.

31 COMBONI, Scritti 4025.

32 COMBONI, Scritti 2380.

33 COMBONI, Scritti 3130.

34 Cf. COMBONI, Scritti 5284.

35 Cf. COMBONI, Scritti 3114.

36 COMBONI, Scritti 5427.

37 COMBONI, Scritti 2416.

38 Cf. COMBONI, Scritti 3434.

39 COMBONI, Scritti 4170.

40 Cf. COMBONI, Scritti 3519.

41 Cf. COMBONI, Scritti 4171, 4175.

42 Cf. COMBONI, Scritti 5186.

43 Cf. COMBONI, Scritti 5361, 5382.

44 COMBONI, Scritti 1513.

45 COMBONI, Scritti 5362.

46 A. VIGNATO, Circolare in data 1 Marzo 1945, in La voce della Congregazione, Verona Scuola Tipografica Nigrizia 1957, 170.

47 A. VIGNATO, Circolare in data Febbraio 1946, in La voce della Congregazione, Verona Scuola Tipografica Nigrizia 1957, 175.

48 A. VIGNATO, Circolare in data Febbraio 1946, in La voce della Congregazione, Verona Scuola Tipografica Nigrizia 1957, 177.

49 COSTITUZIONI DELLA CONGREGAZIONE DEI FIGLI DEL SACRO CUORE (1959²), 39.

50 MANUALE DI PREGHIERE DELLA CONGREGAZIONE DEI FIGLI DEL SACRO CUORE, Missione Africane di Verona 1962, rispettivamente alle seguenti pagine:12, 28, 33, 34, 48.

51 MANUALE DI PREGHIERE DELLA CONGREGAZIONE DEI FIGLI DEL SACRO CUORE, Missione Africane di Verona 1963. Per le preghiere che si trovano anche nel precedente manuale, cf. rispettivamente le seguenti pagine:12, 28, 33, 34, 45. Per le nuove aggiunte, cf. rispettivamente: 115,167, 240, 246-248, 257, 280, 282, 283.

53 Cf. LA FAMIGLIA COMBONIANA IN PREGHIERA, Roma 2008, 301-302.

54 LA FAMIGLIA COMBONIANA IN PREGHIERA, 372.

55 Cf. LA FAMIGLIA COMBONIANA IN PREGHIERA, 425-430.

56 Cf. LA FAMIGLIA COMBONIANA IN PREGHIERA, 579-598.

57 Cf. LA FAMIGLIA COMBONIANA IN PREGHIERA, 596 e 597.

58 Cf. LA FAMIGLIA COMBONIANA IN PREGHIERA, 596-601; 602- 604; 605-607.

59 T. AGOSTONI, “Omelia su S. Giuseppe”, in Fratello Comboniano Oggi. Dai Convegni di Pordenone, 1979, 180- 184

60 FRANCESCO, Lettera enciclica Laudato si’ sulla cura della casa comune (24 maggio 2015) (http://www. vatican. va/content/francesco/it/encyclicals/documents/papa-francesco_20150524_enciclica-laudato-si.html).