Martedì 22 settembre 2020
Come introduzione, vorrei fare due osservazioni: la prima, per dire quali sono le situazioni di discernimento che abbiamo in mente e che vorremmo esaminare; la seconda, per chiarire lo spirito che ci muove nel proporre questa riflessione sul discernimento alla luce della nostra storia. Usiamo qui la parola discernimento in un senso lato e intendiamo il modo di preparare e prendere decisioni, in risposta alle sollecitazioni del Vangelo di Cristo e ai segni dei tempi e dei luoghi (Mt 16,3; Lc 12, 54-57).

Discernimento alla luce della nostra storia:
alcune considerazioni

Obiettivo della riflessione

Nell’elaborare questa riflessione teniamo in conto, in modo particolare, di tre situazioni nelle quali siamo, ciclicamente, chiamati ad esercitare il discernimento, come Istituto, comunità comboniane e individui. La prima, riguarda il discernimento capitolare, che esercitiamo ogni sei anni. La seconda situazione riguarda il discernimento provinciale (o continentale, adesso…) che esercitiamo in assemblee provinciali e di settore. La terza situazione, infine, riguarda il discernimento che siamo chiamati a fare, ogni tre anni, nei processi di scelta delle persone chiamate ad esercitare l’autorità e il coordinamento dell’Istituto (superiori di circoscrizione e locali).

Lo spirito che ci muove

Non è facile fare una riflessione sul nostro discernimento, partendo dal nostro cammino e dalla nostra storia recente. Da una parte, è difficile valutare percorsi e decisioni in cui siamo ancora coinvolti, ai quali siamo ancora molto vicini, senza quella necessaria distanza che aiuta a vedere le cose in prospettiva e a capirle meglio. Dall’altra, si può essere accusati di giudicare le persone coinvolte nei processi di discernimento.

Con la riflessione non intendiamo valutare persone o intenzioni. Cerchiamo di riflettere su sistemi e modi di discernimento, sui metodi che adottiamo per esercitarlo, come Istituto, comunità e individui. Lo facciamo, essenzialmente, per due ragioni. Prima, per essere in sintonia col magistero di Papa Francesco, che fa del tema del discernimento e della sua necessità un punto costante del suo insegnamento e magistero ecclesiale[1]. Seconda, per venire incontro alla domanda che molti di noi si fanno: come mai decisioni degli ultimi Capitoli restano ineseguite, degli appelli vengono dimenticati in fretta? Come mai, indicazioni e appelli capitolari e di assemblee hanno una speranza di vita così breve e non riescono ad operare una vera configurazione della nostra vita e missione?

Naturalmente, ognuno di noi avrà la sua risposta a queste e ad altre domande simili; questa riflessione intende solo essere un aiuto a trovare risposte alle domande che ognuno di noi magari si fa, secondo il suo luogo di osservazione della vita dell’Istituto.

1. Punto di partenza

Cercheremo di partire dalla nostra storia, dai nostri percorsi di discernimento degli ultimi Capitoli Generali. Concretamente, partiremo dal Capitolo che ha significato il punto più alto ed efficace del nostro discernimento. Mi riferisco al Capitolo del 1969, il Capitolo speciale, indetto per rispondere alla richiesta di Papa Paolo VI agli Istituti, di fare un Capitolo per riprendere la primigenia inspiratio e promuovere il rinnovamento degli Istituti secondo gli orientamenti del Concilio Vaticano II[2].

Il X Capitolo Generale, del 1969, con il processo di riflessione e rinnovamento che ha introdotto nell’Istituto, può essere considerato come una vera e propria riconfigurazione dell’Istituto comboniano, paragonabile solo alla trasformazione dell’Istituto in congregazione religiosa (1885, apertura del noviziato-1899, primo Capitolo Generale).

Questa volta, però, il processo non accentua la configurazione religiosa dell’Istituto, bensì, la sua configurazione apostolica, cioè, il carisma missionario e la dimensione apostolica come caratteristiche della sua identità carismatica. L’Istituto non rinnega la sua condizione di congregazione religiosa, il valore della consacrazione (voti) e della vita fraterna ma afferma, quale caratteristica della sua identità, la dimensione apostolica e missionaria, decorrente dal carisma del fondatore Daniele Comboni, intorno alla quale ripensa tutta la sua vita e missione, ripensamento che è al cuore dell’attuale Regola di Vita[3].

2. Caratteristiche del discernimento fatto

Il processo di discernimento, che ha permesso questo profondo processo di rinnovamento e di attualizzazione del carisma, si è appoggiato su tre pilastri:

2.1 Il metodo “vedere, giudicare e agire, che veniva dai movimenti ecclesiali del tempo, in particolare dall’Azione Cattolica, e che ha segnato il discernimento ecclesiale per decenni. Nel nostro Capitolo del ’69 i tre momenti del discernimento sono stati particolarmente curati. Innanzitutto, il vedere: il Capitolo è stato preparato da uno notevole sforzo per “vedere” la situazione concreta di persone, comunità e province, attraverso un questionario con un centinaio di domande, inviato ad ogni comboniano. Si trattava di “una consultazione ampia e libera” di tutti i membri[4]. Le risposte sono state raccolte a livello di province e poi, a livello d’Istituto, da una Commissione Centrale che doveva preparare il Capitolo. Secondo, il giudicare: è stato il lavoro del Capitolo stesso, compiuto per mesi (il Capitolo è durato da maggio a dicembre) dalle 9 sottocommissioni, nelle quali i Capitolari si erano distribuiti, coprendo tutti gli aspetti della vita dell’Istituto, dal fine e dalla spiritualità all’economia. Terzo, l’agire: si comincia nel Capitolo, con le decisioni prese e condensate nei Documenti Capitolari[5], e si continua in un decennio fecondo d’implementazione che porta al rinnovamento di tutto l’Istituto nelle varie dimensioni della sua vita e missione, alla riunificazione dei due Istituti comboniani, FSCJ e MFSC, nel capitolo del 1979, e all’approvazione della Regola di Vita e del nuovo nome dell’Istituto, MCCJ.

Preservare questo metodo di discernimento, e la preoccupazione per il vedere, è un lascito del X Capitolo Generale, che è passato poi nella Regola di Vita che, al n. 154, fa l’elenco delle relazioni ufficiali da presentare a ogni Capitolo, inclusa la relazione dei superiori provinciali, e, al n. 154.2, dice che “la relazione della provincia è preparata, dopo aver consultato i missionari, sulla base di uno schema suggerito dal consiglio generale, ed è firmata dal superiore provinciale, dal suo consiglio e dai delegati”[6].

Questo metodo di discernimento, impostato sul “vedere, giudicare e agire” assieme, ci mantiene in un continuo dinamismo di osservazione, giudizio e proposta che ci riallaccia alla tradizione carismatica comboniana, secondo il metodo della “discussione comune” che Daniele Comboni ha proposto ai missionari nel Regolamento per gli Istituti del Cairo[7], e che rimane come sfida per ogni generazione comboniana, a livello comunitario, di circoscrizione e d’Istituto.

2.2- Ascoltare tutti, anche le minoranze. Nella preparazione e nello svolgimento del X Capitolo Generale del 1969 c’è stata la preoccupazione della rappresentatività e dell’ascolto di tutti; i fratelli missionari comboniani hanno partecipato all’evento capitolare per la prima volta nella storia dell’Istituto, con 5 delegati, su un totale di 67 capitolari. Inoltre, sono stati invitati a partecipare come osservatori due missionari comboniani MFSC e vari osservatori, in rappresentanza dei gruppi minoritari nell’Istituto (i missionari comboniani originari del Sudan, dell’Inghilterra, degli Stati Uniti, della Spagna e del Portogallo, e da questi scelti per partecipare al Capitolo). È stata la prima e l’unica volta in cui le minoranze, come tali, sono state rappresentate.

2.3 La responsabilità della rappresentanza. Il terzo pilastro del discernimento è stato il senso di responsabilità e l’impegno dei delegati, delle persone elette in rappresentanza dei confratelli. I delegati sono stati coinvolti nella preparazione del Capitolo, prima a livello provinciale, con l’elaborazione dei risultati dell’inchiesta e con le assemblee provinciali; poi, durante il Capitolo, nelle lavoro intenso delle nove sottocommissioni in cui i capitolari hanno portato il loro contributo; durante la pausa capitolare, ritornando nelle loro provincie per presentare il testo dei documenti capitolari ai confratelli e avere il loro consenso e sintonia; e, poi, alla fine del Capitolo, con il ritorno alle province, assumendo il ruolo di principali animatori della provincia nell’attuazione delle decisioni capitolari.

Questo forte senso di responsabilità che è sulle spalle di chi rappresenta è poi passato all’attuale Regola di Vita[8], al n. 151 e al n. 151.1, che dice: “Ogni capitolare ha la responsabilità di procurarsi tutte le informazioni necessarie per un fruttuoso svolgimento del suo mandato, si interessa di tutti i problemi del suo collegio elettorale, prende contatto con i suoi elettori e si informa della situazione dell’intero Istituto”.

3. La deriva degli anni ’90

3.1 Filtrare la realtà con l’ideologia

Questo lascito del X Capitolo Generale ha ispirato il discernimento fatto lungo gli anni ’70 e ’80. Ma alla fine degli anni ’80 e negli anni ’90 si è verificata una crescente pressione per diminuire, nei Capitoli, il tempo e l’attenzione data al vedere. Il Capitolo del 1969 aveva ristrutturato il coordinamento centrale dell’Istituto, con la creazione delle province e delegazioni e dei segretariati e uffici generali. Nei Capitoli successivi si è passato a considerare eccessivo il tempo assegnato alle relazioni delle province, aumentate considerevolmente di numero, come se il tempo concesso al vedere fosse sprecato. A questa considerazione pratica se ne è aggiunta un’altra, di carattere ideologico: più che le situazioni concrete, interessava capire le idee, i movimenti della storia che determinano le società in cui siamo presenti.

È aumentata così la pressione per ridurre il tempo concesso ai superiori di circoscrizione per presentare la realtà delle loro circoscrizioni e si è fatta avanti l’idea di preparare le relazioni per continenti, da presentare in Capitolo. L’angolo di osservazione, il vedere, si è allontanato dalle situazioni concrete (delle società e delle Chiese locali) e ha dato più enfasi a elementi generali e comuni alle province, a elementi continentali. Le relazioni individuali delle circoscrizioni hanno continuato ad essere fatte e stampate per essere lasciate in fondo alla sala capitolare, per eventuale consultazione di chi fosse interessato, e non presentate e discusse in Capitolo (chi ha partecipato ai Capitoli, dal 1997 in poi, sa bene che i delegati non si danno la briga di andare a leggere le relazioni di ogni circoscrizione). Si è cominciato con il XIV Capitolo Generale (1991) dove le relazioni provinciali sono state fatte, ma in forma ridotta, e sono state presentate anche delle relazioni continentali[9]. Nei successivi Capitoli si è aperta la strada ad un discernimento che privilegia le idee, l’ideologia, e sottostima la realtà e le situazioni concrete. Possiamo parlare di un processo di discernimento che “filtra la realtà con l’ideologia” e che si situa all’opposto di quanto insegna oggi Papa Francesco, che ci dice “che la realtà è più importante dell’idea,” uno dei quattro principi di discernimento che propone nell’EG[10].

3.2 Dimenticare i doveri della rappresentatività

Parallelamente a questa tendenza a filtrare la realtà con l’ideologia, emerge un atteggiamento che vede diminuire l’impegno di chi è eletto per rappresentare, a conoscere e a mantenersi in contatto con quelli che rappresenta. Si fa strada l’idea di una “rappresentatività infusa” (chiamiamola così…), diretta, che porta a pensare che il voto ricevuto, di per sé, rende capaci di rappresentare ed esonera dal dovere della preparazione e dell’informazione continua. Si avverte che un numero significativo di delegati capitolari arrivano al Capitolo senza essersi preparati e non rispondono al dovere di informare quelli che li hanno eletti.

Lo stesso fenomeno si verifica nelle assemblee provinciali e di settore. Si arriva senza aver curato la preparazione e si pensa che l’elezione all’impegno che si ha, renda capaci di esercitare il discernimento, senza necessità di una verifica con quelli che si rappresenta. Questo fenomeno è stato favorito, in un secondo tempo (fino ai nostri giorni…), anche dall’abitudine di realizzare incontri provinciali e di settore senza un’agenda previa e preparata e distribuita per tempo. È subentrato una dinamica che vede la realizzazione di incontri più per attuare programmi provinciali e continentali che per esercitare un discernimento efficace e risolvere i problemi che abbiamo. L’importanza dell’agenda sta nel fatto che essa permette ai partecipanti di adempiere ai doveri inerenti alla rappresentanza, di prepararsi e di consultare quelli che essi rappresentano, riguardo alle questioni da approfondire e su cui decidere.

Mi rendo conto che questa affermazione è seria, ma sono sicuro che non sono l’unico ad aver saputo di raduni continentali di superiori e coordinatori provinciali senza agenda o con l’agenda preparata all’ultimo momento o di raduni di settore a livello continentale dove si sono prese decisioni su questioni che non erano in agenda e senza che averle prima studiate o discusse con i confratelli. Questo può spiegare, da una parte, il fatto che i problemi si trascinino di assemblea in assemblea, per molto tempo. Dall’altra, che decisioni apparentemente profetiche ma prese senza una riflessione né un coinvolgimento previo dei confratelli, siano rimaste lettera morta e vedano passare degli anni prima di realizzarsi… sempre che arrivino ad una realizzazione!

3.3 Cominciare sempre da noi stessi: il Capitolo è sovrano

I Capitoli Generali degli anni ’90 e degli ultimi due decenni hanno visto affermarsi un’altra “caratteristica” del nostro discernimento recente. Mi riferisco alla tendenza dei Capitolari, negli ultimi Capitoli, a cominciare sempre da loro stessi, senza il dovuto riguardo per ciò che era stato deciso nei Capitoli precedenti, o per quello che altri (consiglio generale, segretariati…) avevano preparato come sussidio al discernimento capitolare. Mi riferisco al fatto che nei capitoli del 1997, 2003 e 2009 i capitolari hanno avuto molta difficoltà ad accettare i documenti preparatori e li abbiano rifiutati assumendosi il compito – impossibile – di elaborare dei documenti nell’arco di pochi giorni e di esercitare un discernimento dall’inizio, senza preparazione previa.

Si giustifica quest’ondata di pensiero e di sensibilità dicendo che “il Capitolo è sovrano” ma si dimentica che il Capitolo è sovrano nella misura in cui rappresenta tutti i missionari e che i Capitolari esercitano il discernimento in rappresentanza (secondo il concetto di autorità nella corresponsabilità e di responsabilità nella sussidiarietà, che definiscono la struttura del nostro ordinamento di coordinamento e governo) e non in base a visioni personali o altri titoli che possono avere. La nostra Regola di Vita[11] afferma, infatti, che “Il capitolo generale è l’autorità suprema dell’Istituto, esercitata in maniera straordinaria e collegiale, ed esprime la partecipazione di tutti i missionari alla vita dell’Istituto stesso”.

3.4 L’abbandono dei principi non detti, ma seguiti

Nella tradizione comboniana di discernimento c’erano dei principi non scritti da nessuna parte, perché decorrenti dal Vangelo, ma seguiti da tutti, tenendo conto del bene maggiore dell’Istituto. Mi riferisco, per esempio, al principio implicito, condiviso, in base al quale chi non fosse in condizioni di esercitare un ufficio, per ragioni che solo la persona può conoscere, si ritirasse dal processo di scelta e/o nomina. Non c’era bisogno di esplicitarne le ragioni; ci si ringraziava per la fiducia mostrata e ci si ritirava dal processo, risparmiando all’autorità, che deve confermare la scelta, situazioni di discernimento increscioso (come quelle di duplicità di vita, irresponsabilità e abusi nell’ambito della pastorale, dell’economia, dell’affettività e sessualità… che rendono problematico l’esercizio di un ufficio o dell’autorità).

Negli ultimi due decenni si è fatto strada il pensiero che esercitare un ufficio, di autorità o coordinamento, sia un diritto di ognuno e di tutti, senza riguardo per le condizioni personali di capacità e di preparazione e/o altre; e che basti il voto dell’elezione per rendere capaci e idonei all’esercizio della carica. La Regola di Vita, nell’adottare scadenze di tre anni per l’esercizio di uffici e autorità[12] ha favorito il passaggio e l’avvicendamento di responsabilità all’interno dell’Istituto, un principio opportuno, specialmente in tempi di intensa crescita di personale e di rinnovamento di strutture (come è stato, appunto, il tempo in cui l’attuale Regola di Vita è stata adottata). Ma non ha dispensato, né gli elettori né i candidati alle cariche, dalla responsabilità personale e dalla ricerca delle condizioni e della preparazione necessarie per svolgere un incarico per il bene dell’Istituto e della sua missione.

Questa situazione che descriviamo rispecchia quella della Chiesa e l’andamento culturale del nostro tempo. Soprattutto negli ultimi anni del pontificato di Papa Giovanni Paolo II, e dopo, un numero non indifferente di sacerdoti si sono resi disponibili all’esercizio del ministero episcopale nella Chiesa, dimenticando principi non scritti della tradizione e creando situazioni incresciose (nell’ambito della mancanza di responsabilità e degli abusi).

L’esposizione mediatica che queste situazioni hanno avuto, nei nostri giorni, ha portato due conseguenze, che possiamo considerare positive: ha aiutato a riconsiderare questi principi non scritti, perché ovvii e non negoziabili, dal punto di vista del Vangelo, e ha provocato un cambiamento di tendenza, per cui oggi una media del 30 per cento, “un prete su tre”[13], dei candidati a vescovi si ritira durante il processo di scelta. “Molti candidati si giustificano dicendo di non ritenersi adatti o perché non vogliono rischiare di «recare danno alla Chiesa»,” dice il cardinale Marc Ouellet nell’intervista menzionata; un cambiamento di tendenza che avrà una qualche ricaduta tra noi, facendo crescere la coscienza che, se non vigiliamo sul nostro discernimento personale e comunitario, possiamo anche recare danno alla Chiesa e all’Istituto.

Il XVII Capitolo Generale, del 2009, ha riflettuto su questi elementi di coordinamento e governo (Atti Capitolari, 114-124) e, soprattutto al n. 125 (1-5) ha parlato di “autorità e competenza”. Dopo aver ammesso (n. 121.3) che “il principio di sussidiarietà, già affermato dalla RV, è poco conosciuto e praticato,” il Capitolo si augura che l’autorità “favorisca la trasparenza e la rendicontazione, a fronte di una certa abitudine all’approssimazione e alla cultura dell’impunità” (n. 125.1).

4. Conclusione

Trasfusione di memoria. Da un lato, il nostro tempo è un kairós, un tempo di grazia, per le novità che si aprono davanti a noi, per le potenzialità che scopriamo nascoste nel miraggio delle cose nuove. Ma dall’altro, è anche un chaos, tempo di confusione, di crisi e di incertezza, per la grande varietà di narrazioni che attraggono la nostra immaginazione e creatività. Qualcuno lo chiama tempo di “chaos interpretativo” riguardo alla missione specifica degli Istituti missionari[14]. Le nuove narrazioni sono seducenti, soddisfano il nostro desiderio del nuovo, ma si rivelano infeconde, incapaci di trasformare le nostre situazioni, la nostra realtà, nella direzione proposta dal Vangelo di Gesù.

Occorre, perciò, esercitare discernimento, come spesso ricorda papa Francesco. Se, da una parte, occorre ascoltare i giovani e le aspirazioni al nuovo[15], occorre anche fare una “trasfusione di memoria”[16], per attualizzare i doni e i valori che hanno segnato le tappe del nostro cammino storico e arricchire così il carisma oggi, rendendo feconda la nostra narrazione missionaria.

“È necessario fare memoria”, dice Papa Francesco, “prendere un po’ di distanza dal presente per ascoltare la voce dei nostri ‘antenati’. La memoria non solo ci permetterà di non commettere gli stessi errori del passato[17], ma ci darà accesso a quelle acquisizioni che hanno aiutato i nostri antenati ad attraversare positivamente gli incroci storici che andavano incontrando”. “La trasfusione della memoria”, conclude il Papa, “ci libera da quella tendenza attuale, spesso più attraente, di cercare in fretta… dei risultati immediati” che sarebbero “una rendita facile, rapida ma effimera”[18].

Quanto detto sopra evidenzia che, nel prospettare una riflessione sul nostro discernimento, ispirata alla nostra storia, non proponiamo di configurare la nostra vita e missione oggi secondo soluzioni del passato. Vogliamo, però, che il nostro discernimento odierno si ispiri agli atteggiamenti e ai valori del passato, vogliamo imparare il discernimento anche alla luce della nostra storia. “Ignorare la storia”, come ci ricorda qualcuno[19], “ci fa ripetere gli errori del passato” (e, nella nostra storia, non mancano esempi).
P. Manuel Augusto Lopes Ferreira, mccj
12 aprile 2020 – Pasqua di Risurrezione

Nota: Bibliografia sul discernimento:

-Il discernimento nella Regola di Vita: Discernimento e autorità (88.2; 153.3; 160.2); discernimento individuale e comunitario (16.1; 23.2; 29.3; 33; 41.2; 45.2; 56.4; 69.1; 78.4; 87.2.3; 97.2; 111.1).

-Discernimento e Sinodalità: La sinodalità nella vita e missione della Chiesa, della Commissione Teologica Internazionale; 4.3 (numeri 110-114) Ascolto e dialogo per il discernimento comunitario.

-Il Discernimento, Collana Parola Spirito e Vita della EDB, Bologna 2015. Autori vari approfondiscono il tema del discernimento nel Vecchio Testamento (pagine 21-63), nel Nuovo Testamento (pagine 81-151) e nella Vita della Chiesa (pagine 165-225), con particolare attenzione all’attualità (sinodalità).

-Discernimento, di Mariano Martínez Fernández, in Dizionario Teologico della Vita Consacrata, pagine 615-638. Offre una bibliografia sul tema (libri, riviste a articoli).[i]

 

[1] Per esempio: Gaudete et Exultate, nn. 166-175; Evangelii Gaudium, parte III del capitolo IV, con i quattro principi: Il tempo è superiore allo spazio, 222-225; L’unità prevale sul conflitto, 226-230; La realtà è più importante dell’idea, 231-233; Il tutto è superiore alla parte,234-237.

[2] Paolo VI, Ecclesiae Sanctae, 6 agosto 1966.

[3] Sul X Capitolo Generale: Fidel González F., I Capitoli Generali dell’Istituto Missionario Comboniano (1899-1997), Roma 1998, pp. 155ss. Tarcisio Agostoni, The Comboni Missionaries, an outline history 1867-1997, Rome 2003, pp. 403 e ss.

[4] Fidel González F., op. cit., p. 163.

[5] Documenti Capitolari, Roma 8 dicembre 1969.

[6] Regola di Vita, Roma 1988.

[7] Daniele Comboni, Scritti, 1866.

[8] Regola di Vita, Roma 1988, p. 150.

[9] Tarcisio Agostoni, op. cit., p. 490.

[10] Papa Francesco, Evangelii Gaudium, nn. 231-233.

[11] Regola di Vita, n. 146, p. 146. Cfr. CIC 631.

[12] Regola di Vita, nn. 112, 120, 124.

[13] Dichiarazione del Cardinale Marc Ouellet, Prefetto della Congregazione per i Vescovi, a Vida Nueva, 10 dicembre 2019.

[14] Missione Oggi, settembre 2017, p. 48.

[15] I giovani “sentinelle del mattino”, espressione di Papa Giovanni Paolo II.

[16] Papa Francesco, 6 maggio 2016, nel ricevere il Premio Carlo Magno, al Parlamento Europeo.

[17] Evangelii Gaudium, 108.

[18] Evangelii Gaudium, 224.

[19] Graham Allison, TED talks.