Omelia del Superiore Generale, P. Enrique Sánchez G. nella Messa presieduta da lui nella cappella della Curia Generale

San Daniele Comboni
Festa
10 ottobre 2010


Ogni volta che mi trovo a parlare di San Daniele Comboni ho l’impressione di trovarmi di fronte a una sorgente di acqua fresca dove nasce un fiume che diventa mare, oceano d’infinite profondità.
Si può dire tanto e ci sono tanti aspetti della sua vita, tutti affascinanti, che ci troviamo nell’imbarazzo della scelta.
Comboni è padre, modello di missionario, uomo che si è anticipato al suo tempo, fondatore di una famiglia missionaria. Lui è stato sognatore di un’umanità nuova e per questo difensore dei più poveri del suo tempo, un appassionato degli africani, un animatore missionario come pochi.
Comboni è stato un uomo di Chiesa, un pastore che ha dato la vita senza far calcoli, uno dei padri della chiesa in Africa, è un profeta che continua a farci sentire il grido dei poveri e ci fa scoprire l’amore di Dio in tutta la sua attualità.
Senza dubbio lui è una delle figure del nostro tempo che ha ancora tanto da insegnarci e che continua a suscitare, io direi, più che un fascino o ammirazione, una provocazione che non ci consenti di rimanere tranquilli dopo l’incontro con lui.
E una figura che coinvolge e una presenza che trascina nella sua passione missionaria.

Tra le tante cose che possiamo dire di Comboni, oggi vorrei fissare il mio sguardo sulla sua santità perché considero che è lì che si nasconde la grandezza e il mistero della grande umanità e il segreto della sua vocazione e del carisma che tanti tra di noi abbiamo ereditato di Lui.

La prima cosa è che non so se devo dire che Comboni è grande perché è santo o se è santo perche è grande.

Dicendo questo voglio semplicemente sottolineare che la grandezza di Comboni appare ai nostri occhi soprattutto quando lo scopriamo nel suo rapporto con il Signore, con la fonte di ogni santità. Non per caso diceva che la vita del missionario che sogna con andare al centro dell’Africa deve essere una vita di fede e che si può diventare missionario nel suo istituto soltanto nella misura in cui si ha la capacità di contemplare Cristo crocifisso amandolo teneramente.

“La vita di un uomo, che in modo assoluto e perentorio viene a rompere tutte le relazioni col mondo e colle cose più care secondo natura, deve essere una vita di spirito, e di fede. Il missionario, che non avesse un forte sentimento di Dio ed un interesse vivo alla sua gloria ed al bene delle anime, mancherebbe di attitudine ai suoi ministeri, e finirebbe per trovarsi in una specie di vuoto e d’intollerabile isolamento. (Scritti 2698)

La grandezza di Comboni penso che non dobbiamo cercarla nella sua straordinaria intelligenza o nel suo coraggio per andare dove nessuno voleva andare. Lo straordinario di Comboni lo troviamo nella sua capacità di contemplare i suo fratelli, la realtà dell’umanità e la sofferenza dei più poveri con gli occhi di Dio, e ancora di più, con il cuore di Dio.
Quello che fa di lui un modello e un’inspirazione certo è il suo grande spirito missionario, ma in questo ci sono tanti altri suoi contemporanei che hanno vissuto la stessa esperienza con una simile passione, basta vedere anche non pochi dei suoi compagni di missione e dei suoi missionari dei primi tempi.
Quello che lo fa unico e che fa che la Chiesa ci lo proponga come modello di santità è il cammino di fede che ha vissuto Comboni.

Un cammino che appare a noi oggi, attraverso i suoi scritti, come un’esperienza non sempre facile e chiara. E stata un’esperienza che l’ha accompagnato dall’inizio fino alla fine della sua vita e che non è stato altro che l’esperienza crescere nella capacità di abbandonarsi nelle mani di Dio. Esperienza di consegnarsi con grande fiducia in un Dio che sembra sempre avere altri piani e che esige dei rischi che comportano una grande sofferenza perché la santità si paga con il dono della vita.
Parlare della santità di Comboni non ha niente a vedere con delle immagini che alle volte noi ci facciamo dove quello che interessa e raggiungere uno stato di perfezione impossibile, dove non c’è posto alla fragilità umana, dove tutto sembra impeccabile. Non, Comboni con la sua vita non ci parla di questa santità. Lui non nasconde le sue difficoltà, le sue lotte, la sua sofferenza nel capire che cosa Dio vuole di Lui. Lui ci fa vedere come alle volte è difficile rinunciare alla nostra oggettività, ai nostri criteri, al nostro volere insegnare a Dio a fare le cose.
Comboni appare come uno che sa confidare nel Signore, come uno che si lascia guidare, che intuisce che Dio è all’opera in tutto quello che accade nella sua vita.

La santità di Comboni ha un sapore di speranza
che si traduce in manifestazioni di coraggio, d’entusiasmo, di positività che l’accompagnano sempre, ma soprattutto nei momenti in cui tutti considerano che non c’è più niente da fare. Quando davanti alle difficoltà della missione appare la tentazione di abbandonare, quando la logica umana fa sentire il peso della sua sentenza facendo credere che non c’è futuro. Proprio lì, Comboni emerge come il gigante della speranza che sa vedere, dietro le ombre delle difficoltà, la mano di Dio che non abbandona mai.
La santità di Comboni non è sinonimo di certezze originate nella chiarezza delle idee. La sua certezza nasce della contemplazione di Cristo crocefisso che diventa esperienza interiore di comunione con una persona con la quale vive in un rapporto di grande intimità, di grande familiarità e di grande amore.

“Il pensiero perpetuamente rivolto al gran fine della loro vocazione apostolica deve ingenerare negli alunni dell’Istituto lo spirito di sacrifizio. Si formano a questa disposizione essenzialissima col tener sempre gli occhi fissi in Gesù Cristo, amandolo teneramente, e procurando di intendere ognora meglio cosa vuol dire un Dio morto in croce per la salvezza delle anime” (Scritti 2720-21)

La santità in Comboni non è altro che un modo di tradurre in vita quello che lui trova nell’incontro personale con il Signore che si è appropriato del suo cuore.
La speranza che accompagna sempre a Comboni va insieme alla convinzione che il Signore ha dato la vita per noi e l’ha dato sul serio. Per questo la sua santità e una santità missionaria, perché nasce dell’esperienza di essere amato e chi è amato non può fare altro che diventare testimone dell’amore.

La santità di Comboni può essere scritta soltanto con il linguaggio della croce.

“Che avvenga pure tutto quello che Dio vorrà. Dio non abbandona mai chi in lui confida. Egli è il pro terrore dell’innocenza ed il vindice della giustizia. Io sono felice nella croce, che portata volentieri per amori di Dio gnera il trionfo e la vita eterna.” (Scritti 7246)

Nella vita di Comboni non c’è santità senza croce, non c’è esperienza di Dio senza il totale svuotamento di sé, non c’è vera vita se prima non si passa per il cammino della rinuncia, del sacrificio, della sofferenza vissuta non come tragedia ma come possibilità di comunione con il Cristo che soffre e muore in ogni fratello e in ogni sorella che viene condannata a vivere al margine, che non può godere del suo diritto ad essere trattato come veri figli di Dio.
La santità che ci offre Comboni non è altra che la santità missionaria fatta di nascondimento, di donazione fino in fondo, di solidarietà con quelli che sono i dimenticati del nostro mondo, certamente fatta di croci dove sono inchiodati oggi tanti fratelli e sorelle nostre. E una santità scomoda che non attira tanto, che non fa rumore e non gode di popolarità, ma sicuramente è la santità più autentica che possa essere vissuta oggi nel nostro mondo.
E santità che si traduce in festa e in gioia incontenibile perché è opera di Dio, l’unico che può fare tutte le cose nuove, che può creare un mondo nuovo dove tutti siamo guidati dal vero pastore, Cristo il Signore.
Che San Daniele Comboni ci ottenga oggi il dono della sua santità che ci aiuti a vivere la nostra vocazione missionaria con una grande disponibilità e fiducia riconoscendo che siamo nelle mani di Dio.


P. Enrique Sánchez G. Mccj
Superiore Generale
Roma, 10 ottobre 2010