In Pace Christi

Urbani Luigi

Urbani Luigi
Date of birth : 10/08/1905
Place of birth : Semogo SO/I
Temporary Vows : 01/11/1926
Perpetual Vows : 13/06/1930
Date of ordination : 05/04/1931
Date of death : 09/03/1937
Place of death : Tradate/I

Nacque a Semogo (diocesi di Como) il 10 agosto 1905. Entrò nell'Istituto nell'autunno del 1921, dopo aver fatto il ginnasio nel Seminario Minore di Como. Fece i primi Voti 1'1 novembre 1926, i perpetui il 13 giugno 1930, e venne ordinato sacerdote il 4 aprile 1931. Fu per un anno padre spirituale a Troia, poi a Brescia. Nell'ottobre 1934 venne mandato come superiore a Troia; ma nel maggio successivo, colto da tubercolosi, fu dovuto ricoverare nel sanatorio di Tradate. Dotato di profonda pietà, di grande affabilità, e zelo, fu caro a quanti lo conobbero. Sopportò con serenità, anzi con gioia la lunga malattia, sempre sospirando il cielo. Spirò santamente all'alba de1 9 marzo 1937, nel detto sanatorio, e fu sepolto nella nostra tomba di Venegono.

Da Bollettino n. 14, giugno 1937, p. 423

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FIGURE VALTELLINESI [1]

P. LUIGI URBANI

Comboniano (1905-1937)

1. Ci siamo già occupati di un missionario comboniano, Fr. Giosuè Dei Gas di Piatta, morto eroica­mente di lebbra in Africa.

Questa volta vogliamo tracciare il profilo di un altro comboniano, il padre Luigi Urbani di Semogo, che non è mai stato in missione, eppure fu un gran­de missionario, come S. Teresa del Bambino Gesù, monaca carmelitana di clausura, che è stata proclamata Patrona delle Missioni.

È un altro dei figli della nostra Valtellina, e precisamente di quella generosa terra di Semogo, che ha dato e continua a dare tanti sacerdoti e missionari alla Chiesa.

2. La vita di P. Luigi Urbani si svolse nel breve arco di 32 anni, essendo nato a Semogo il 10.8.1905 e morto nel Sanatorio di Tradate il 9.3-1937.

Ma in così breve tempo ha saputo percorrere un lungo itinerario di santità, tanto da lasciare nella sua Congregazione e nel suo paese, e speriamo in quanti per mezzo di queste brevi note lo cono­sceranno, un grato e perpetuo ricordo.[2]

LA FAMIGLIA

3. Non si può capire la virtù di P. Luigi Urbani se non si tiene conto del ceppo familiare dal quale è uscito e dove trascorse la sua prima giovinezza.

Sono due i filoni conduttori di questa famiglia, che ha dato al Signore tre figli sacerdoti e una suora: l'uno di ordine spirituale e l'altro di ordine materiale: una grande Fede religiosa vissuta e praticata con profonda convinzione, e la tuber­colosi, che peserà come una tara sui suoi membri, che morirono tutti ancora in giovane età di que­sta malattia, eccetto l'ultimo figlio Tommaso, dive­nuto il francescano P. Celestino tutt'ora vivente.

Eppure questa famiglia, di fronte a una tale ter­ribile malattia, contratta quando era un male che non perdonava, seppe vedere al di là degli aspetti umani negativi del male, il suo significato reli­gioso e spirituale di conformità alla croce di Cristo e di partecipazione ai suoi patimenti.

Il babbo Celeste, che moriva a soli 53 anni, la­sciava ai figli questo testamento: "Dio sia bene­detto, che tanto ci ama da trattarci come il suo Divin Figlio."

E la Croce era così profondamente radicata in quei cuori e in quelle carni, che l'incomparabile Bettina, che fu la guida spirituale della sua fa­miglia e meriterebbe un profilo a parte, nel 1925 scriveva al Bollettino Salesiano implorando pre­ghiere perché il Signore tornasse a visitare e a dimorare in famiglia: "sono ben 18 mesi che non ci visita con qualche malattia."

Ci vuole una grande Fede e una provata virtù per vedere un segno della presenza del Signore nella malattia, riguardo alla quale possiamo dire che la presenza del Signore fu ininterrotta.

LA GIOVINEZZA

4. A una simile scuola di sacrificio, Luigi che non era certo nato santo, incominciò presto a combattere i suoi difetti e a praticare con impegno le virtù.       

Un piccolo episodio, accaduto quando aveva appena sei anni, ci fa vedere dove subito il suo piccolo cuore era orientato. Un tardo pomeriggio uno "zio'" lo incontrò che saliva, con una sorellina, sulla montagna; il giorno volgeva al tramonto e i bambini erano molto lontani da casa. Lo zio li interrogò: "Dove andate?" "Là, su quel monte lì - rispose Luigino - a toccar il cielo col dito!"

Fanciullo, era tanto grande il suo desiderio di servire la Messa che, ogni mattina, si alzava prima delle 5 ad aiutare la sorella Prudenza a "regolare" le mucche, per essere pronto davanti alla chiesa prima che il sagrestano l'aprisse.

Non è da meravigliarsi allora che ben presto ma­nifestasse il desiderio di farsi sacerdote. Ma dovette sospirare un bel po’ prima di poter entrare in Seminario.

Già durante gli anni che frequentò le scuole elementari, la povertà della famiglia gli richiese il sacrificio di andare a servizio durante le vacanze estive. Finite le elementari, per tre anni dovette andare a lavorare a Livigno presso una famiglia, perché la morte del babbo nel 1916 e la lontananza di Enrico, il primogenito, che era alla guerra, dove morirà nel 1918, avevano aumentato i bisogni della famiglia, che non aveva la possibilità di mantener­lo in Seminario.

Memorande le parole della solita Bettina al fra­tello in partenza per Livigno: "Ricorda che in ogni momento sei alla presenza di Dio e del povero bab­bo. Non fare mai azioni indegne della compagnia che hai sempre accanto."

Finalmente nel 1919 poté riprendere gli studi; ma non era ancora il Seminario. Grazie al Rev. Don Gervasio Sosio di Semogo, allora Rettore della chiesa di S. Ignazio a Bormio, che lo ospitò, insieme ad altri semoghini, frequentò i primi tre anni del Ginnasio a Bormio.

LA VOCAZIONE

5. Nel 1922 poté entrare nel Seminario di S. Abbondio a Como dove completò gli studi del Ginnasio. Nel frattempo era maturata in lui la vocazione missionaria, per cui entrò nel Noviziato di Venegono (VA), tra i Figli del S. Cuore, Congregazione fondata da Mons. Daniele Comboni, grande missionario dell'Africa.

Alla scelta di questo Istituto missionario dedicato al S .Cuore, contribuì la lettura degli scritti di Suor Benigna Consolata Ferrero, la confidente del S. Cuore del monastero della Visitazione di Como, che fece nascere in lui una grande devozione al S. Cuore di Gesù.

6. Quelli del Noviziato furono gli anni decisivi della sua vita. Il suo carattere volitivo, formato in fami­glia alla scuola del sacrificio, trovò il terreno più fecondo per ricevere i germi della santità, che divenne e resterà il suo unico proposito per tutta la vita.

Due sono i caratteri dominanti di questo periodo, ri­conosciuti dalle numerose testimonianze dei suoi compagni:

* Una interiore unione con Dio, che alimentava in una pietà eminentemente Eucaristica (S. Cuore) e in una tenera devozione alla Madonna.

* Una assidua ed esatta osservanza delle Regole, come espressione della sua piena adesione alla Volon­tà di Dio.

7. Fatta nel 1926 la sua Professione religiosa, fu inviato a Verona, dove per due anni proseguì gli studi. Quindi fu mandato come "prefetto", cioè assistente dei seminaristi, al Seminario comboniano di Brescia dove rimase fino alla Ordinazione sacerdotale.

Qualcuno prognosticò un solenne fiasco, dato che ad una presenza poco piacevole, univa un carattere apparentemente chiuso e severo. E invece fu un autentico successo.

Lui che non aveva doti brillanti, privo di una profonda cultura pedagogica, seppe adattarsi al suo nuovo non facile compito, così da suscitare nei ragazzi un vero entusiasmo, che si può spiegare solo con le sue doti soprannaturali di virtù, congiunte con un innato equi­librio e buon senso.

"FORMATORE DI PICCOLI MISSIONARI"

8. Ordinato sacer­dote nella Pasqua del 1931, attendeva solo di partire per l'Africa per coronare il suo sogno di missionario.

Ma la sua salute, che in conseguenza delle tare familiari (i genitori e tre fratelli erano già morti di tubercolosi), cominciava a preoccupare, consigliarono i Superiori a rinviare la sua partenza per la missione e, nonostante la giovane età, valutando la lusinghiera prova data nel Seminario di Brescia, fu scelto come Direttore Spirituale del Seminario da poco fondato a Troia (Foggia).

9. Le fasi seguenti della esistenza di P. Luigi Ur­bani si susseguirono brevi e intense: gli rimanevano ormai solo sei anni di vita, durante i quali egli per­corse un lungo cammino sulla via della perfezione.

Riassumiamole brevemente:

* Dal 1931 al 1933 fu Direttore Spirituale a Troia, dove insegnò anche alcune materie scolastiche.

* Durante l'anno 1933-34 fu Direttore Spirituale del Seminario di Brescia.

* Poi, essendo partito per l'Africa il P. Bernardo Sartori, fondatore del Seminario di Troia, P. Luigi Urbani vi fu chiamato a succedergli come Superiore nel settembre del 1934.Ma non finì neppure l'anno scolastico, perché nell'aprile del 1935, essendosi manifestata la tubercolosi, che forse da anni covava nel suo petto, fece ritorno a Venegono, da dove il 1 maggio 1935 entrò nel Sanatorio di Tradate, dove il 9 marzo 1937 chiudeva i suoi giorni con una santa morte.

PROFILO SPIRITUALE

10. Esteriormente non presen­tava particolari doti fisiche che giustifichino la forte attrattiva che ha esercitato su tante anime nella sua breve vita.

Un suo alunno così lo descrive: "P. Urbani fisicamente appariva piuttosto brutto: di statura bassa, una faccia sciupata, con una barbetta fulva e rara, un naso incavato e largo alla punta; aveva però la testa di bella forma coi capelli castano-biondi ordinati, gli occhi erano azzurri e avevano una espressione di dolcezza e spiritualità."

Anche le altre testimonianze sono unanimi nel riconoscere che era sempre "sorridente, "sereno", che accoglieva tutti con la più grande cordialità senza dare il più piccolo segno di insofferenza, anche quando era molto occupato e stanco.

Ciò dimostra come sono state le sue straordina­rie doti spirituali ad attirargli tanta simpatia in quanti lo avvicinavano.

11. L'alto grado di virtù raggiunto da P. Luigi Urbani risalta soprattutto nell’ultimo periodo della sua vita, quando la malattia purificò il suo spirito facendone una copia perfetta del Cristo sofferente.

Per lui valgono alla lettera le parole di S. Paolo: "Mentre l'uomo esteriore si va disfacendo, quel­lo interiore si rinnova di giorno in giorno"(2 Cor.4,16).

Dobbiamo limitarci a mettere in risalto solo due tratti della sua fisionomia spirituale:

La sua grande umiltà

Alla morte del fratello Vitale, mentre anche la sorella suora era gravemente ammalata, aveva detto: "Ecco, ora è la mia volta. Godo che anche la sorella muore religiosa. Così lassù in Valtellina il nostro nome è già dimenticato e nelle case religiose donde si salpa per i li­di eterni, presto anche il nostro ricordo finirà con noi."

Ma il Signore disponeva diversamente, come aveva detto nel Vangelo: "Chi si umilia sarà esaltato" (Mt.23,12).

Agli studenti comboniani che erano venuti a tro­varlo lasciò questo ricordo "di un moribondo": "Siate santi: sarete santi se sarete umili, molto umili Sì, siate umili, umili davvero. Ricordatevi che quaggiù tutto è vanità: le lauree non valgono nulla se non si è santi. Se non c'è la grazia di Dio non si fa nulla."

La sua perfetta conformità a Cristo crocifisso

Durante la malattia non tralasciò un solo giorno di celebrare la S. Messa, anche quando si sentiva sfinito, tanto era il suo desiderio di fare una cosa sola con la Vittima divina.

"Da quando sono tornato da Lourdes – diceva – io mi trovo tutto cambiato. Prima, sì, ero rassegnato e dicevo al Signore: Sia fatta la tua volontà. Ma ora sento una calma, una forza, un’allegria che mi spin­ge a ringraziare il Signore per questo piccolo ma­le e mi confondo perché proprio non ero degno di tanta predilezione."

12. Negli ultimi tempi, lui che aveva sempre parlato poco, volle dare le ultime scintille di ener­gia che gli rimanevano col rivolgere a tutti la sua parola, nonostante gli costasse tanto.

Il suo letto era diventato meta di un continuo pellegrinaggio: ammalati, medici, infermieri, suore,

visitatori si alternavano continuamente al suo capezzale per ascoltare con avidità una sua parola, un suo insegnamento, per raccogliere un suo ultimo ricordo.

E mai che chiedesse per sé un po di riposo.

Lui che aveva detto: "Nella vita non c'è un mi­nuto d'avanzo! Che grande cosa è saper impiegare bene tutti i momenti senza mai perderne uno!" - sentiva che ormai aveva poco tempo e doveva af­frettarsi a dare compimento al suo apostolato sacerdotale.

13. E venne il tempo del suo "consummatum est - tutto è compiuto".

L'8 marzo (1937) non gli permisero di alzarsi a celebrare la S. Messa, tanto le sue condizioni si erano aggravate.

A mezzanotte di quello stesso giorno sentì che il Signore stava per arrivare e verso le 3 chie­se la S. Comunione.

"Si sente ancora il polso? - domandò dopo un po' - Non lasciatemi addormentare." Voleva morire in piena coscienza e difatti, come le poche forze glielo consentivano, ripeteva brevi preghiere a Gesù e alla Madonna.

Le sue ultime parole furono una invocazione alla sua cara Madonna: "Madre mia, fiducia mia!"

Aveva spesso ripetuto negli ultimi tempi: “Quale gioia! fra poco potrò gustare la felicità dell’Eternità e trovarmi con Dio."

Questa "gioia", P. Luigi Urbani, la ottenga anche a noi quando il Signore verrà a chiamarci da

questa terra.

FEBBRAIO 1978

 


[1] Profilo scritto da Don Carlo Bozzi, il parroco si Sant’Antonio Morignone, il paese travolto dalla frana.

[2] Queste note sono state tratte dal volume di p. Stefano Santandrea, Un Formatore di Piccoli Missionari, P. Luigi Urbani - Bologna, Editrice Nigrizia,1967, pp. 347.