Padre Alberto Mosna aveva la fama di essere un «duro» nel senso che «le cose debbono essere fatte come vuole lui». Noi diremmo: un uomo di carattere, un trentino tutto d'un pezzo.
«Un duro! - commenta padre Orlando - Per resistere 38 anni di seguito al Collegio di Khartoum, per essere stato fedele a un impegno scolastico così lungo, irto di immense difficoltà, incomprensibile a chi non è stato sul posto, bisogna essere duri sul serio, forti senza incrinature».
«Essere insegnanti nel Collegio di Khartoum era un'esperienza traumatizzante soprattutto dopo l'indipendenza - conferma un confratello che c'era stato -. Se uno cercava di fare il democratico, i ragazzi ti ribaltavano la scuola; bisognava proprio procedere in virga ferrea per ottenere qualche risultato».
Questa è stata la vita di padre Mosna. E lui se l'è cavata benissimo. Ha fatto l'insegnante di materie commerciali e di lingua inglese in un clima torrido che mette a dura prova il sistema nervoso, con valanghe di alunni e programmi davvero impegnativi. Inoltre per molti anni fu anche professore di ginnastica, incaricato degli sport e scout master.
Per i confratelli era «Berto». A chi gli chiedeva di dove fosse, con fare faceto rispondeva: «Berto da Mattarello, in quel de Trent», volendo significare che si considerava un po' matto.
Nelle sue note giovanili troviamo scritto: «Carattere buono, ma un poco sui generis» (p. Capovilla). «Di buona volontà, attaccato alla vocazione, ma soggetto ad entusiasmi e scoraggiamenti. in breve lasso di tempo» (p. Sina).
«C'era da ridere quando doveva smaltire qualche arrabbiatura - dice padre Orlando -. Piantava tutto e si metteva a passeggiare magnis itineribus su e giù per la terrazza, recitando il breviario sotto un sole che picchiava a 60 gradi... Sì, un qualche cosa di originale ce l'aveva».
Oltre all'inglese, conosceva l'arabo parlato. Aveva anche una certa conoscenza del greco moderno. Il suo ufficio di sport master lo metteva a contatto con una grandissima varietà di persone e di religiosi: arabi, armeni, greci, italiani, nilotici... Era molto richiesto come arbitro nelle gare sportive di palla-canestro, palla-a-volo, ecc. per la sua famosa competenza e notoria imparzialità. A queste partite andava sempre con la talare bianca quasi per sottolineare che, prima di tutto, lui era l'abuna Albert.
Ecumenismo vissuto
Era anche un esperto in fotografia. Veniva considerato come uno dei fotografi ufficiali della missione. Ma anche molti tra la gente andavano da lui per foto-tessere. I parroci e i vari incaricati dei centri di preghiera lo chiamavano per documentare battesimi, prime comunioni, cresime ed avvenimenti vari. E lui si godeva.
Non parliamo della sua voce tenorile e dell'abilità come musicista e suonatore: fu una colonna del coro della cattedrale, ma non lesinava esibizioni esilaranti per le festicciole di famiglia... «Attacca, Berto!». E giù un pezzo d'opera degno dell’Arena di Verona.
Per molti anni fu l'operatore cinematografico del Collegio Comboni e, in seguito, il sorvegliante onnipotente (nel senso di tenere l'ordine) e onnipresente. E nessuno faceva il furbo quando padre Albert era nei paraggi.
Sarebbe impossibile fare un computo di tutti gli studenti e studentesse che lo conobbero. Fu certamente uno dei missionari più in vista nella schiera dei mons. Baroni, p. Sembiante, p. Pasetto, p. Tupone... Non poteva uscire di casa senza sentirsi chiamare per nome, e con amore e riconoscenza.
«L'essersi dedicato a vita a questa sua attività di educatore e di missionario per una moltitudine di giovani in un clima pesante, e l'essersi mantenuto fedele per 38 anni sempre nelle stesse cose e nello stesso ambiente, penso che abbia dell'eroico - dice padre Orlando -. Inoltre il suo comportamento fu indice di un grande amore per i Sudanesi: amore saggio che lo portava a trattare con i musulmani e con i cristiani di varie confessioni sempre con rispetto e con fare gioviale e socievole, senza differenze. Fu una testimonianza vivente di ecumenismo».
Si seppe dopo morte
Nessuno aveva sospettato che quest'uomo un po' mattacchione, gioviale, allegro e «duro», avesse un cuore tenero come una noce di burro, e sentimenti delicatissimi. C'è da pensare che la sua durezza fosse solo apparente e «professionale», per tenere a bada la scolaresca. Nel suo libro di preghiere infatti si trovò un foglietto, sgualcito dall'uso, con una preghiera che denota una forte e insospettata sensibilità.
«Dolce Gesù, per il quale ho lasciato padre, madre, fratelli e sorelle e tutto ciò che avevo nel mondo, io sono contentissimo della mia vocazione, ed esulto d'allegrezza; ve ne ringrazio intensamente. Una sola cosa io vi chiedo e voglio: fatemi vedere tutta la mia famiglia e tutti i miei parenti, nessuno eccettuato, nella celeste e vera patria del Paradiso per tutta l'eternità. Così spero e così sia».
Questa preghiera porta il titolo «per i parenti» e rivela appunto il lato dolce e profondo dell'anima e della spiritualità dello scrivente. Qui salta fuori anche il «trentino essenziale» che chiede a Dio una cosa sola, quella che egli vede come la più importante: la comunione totale, non solo con Dio, ma anche con i Suoi in paradiso.
«Sono contentissimo della mia vocazione», afferma. Per questa vocazione lasciò, dopo le elementari, il paese di Romagnano (Trento) dove il 30 maggio 1913 era nato, per entrare nella nostra scuola apostolica di Muralta. Questa «contentezza», non disgiunta da sacrifici, è sempre stata una costante nella sua vita sia durante il noviziato a Venegono, dove il 7 ottobre 1933 emise i primi Voti, sia negli anni dello scolasticato a Verona, fino a culminare nell'ordinazione sacerdotale, sempre a Verona, il 16 aprile 1939.
Sacerdote novello, partì per l'Inghilterra con il primo gruppo di coloro che andavano in quella nazione per studiare l'inglese. Vi rimase per tutto il periodo della guerra, fino al 1945. E fu anche internato.
«Lo conobbi da scolastico negli anni 1933-34 e poi a Khartoum quando arrivò da Londra con il primo gruppo di Padri, Fratelli e Suore che ebbero il permesso di entrare in Sudan e in Uganda dopo la guerra - dice padre Pasetto -. Lavorammo insieme per due anni, fino alla mia partenza per l'Uganda nel 1948. Per la sua giovialità e ottimismo si fece voler subito bene da lutti. Egli entrò in profondità nelle persone, tanto che tutti gli ex alunni del Comboni che incontrai negli Stati Uniti, in Canada e in altre parti del globo invariabilmente mi chiedevano notizie dell'abuna Charles (Tupone) e dell’abuna Alber! Fu amato perché dimostrò di aver fiducia negli alunni. Avevo visto padre Mosna a Khartoum verso la metà dell’aprile 1983 e mi ricordo che gli dissi che non mi piaceva quel suo viso macilento e smunto. Non si prevedeva una fine così repentina. Ora lo penso insieme agli altri della vecchia guardia: i padri Assunto Valsecchi, Paolo Tagliapietra, Guglielmo Stellato, Costante Franceschin, Angelo Venturelli, Aldo Vecelli, Roberto Zanini... ».
Vincerò anche questa volta
Padre Alberto rimase sulla breccia fino all'ultimo giorno. Il martedì 6 dicembre terminò il suo insegnamento e, sentendosi spossato fino all’estremo, si recò dal medico per una visita. Il responso fu immediato: «Parti subito per Londra o per l'Italia; non perdere tempo». Lasciò Khartoum la notte del l0, tra sabato e domenica. L'11 dicembre giunse a Roma con sospetto tumore diffuso. Il giorno stesso proseguì per Verona. Il 14 fu ammesso alla clinica chirurgica di Borgo Roma (Verona). Alla sera di quel giorno fu colpito da infarto per cui venne trasportato nel settore rianimazione. Sette giorni di agonia e di pochissime speranze. Sempre tranquillo e, nei momenti di conoscenza, molto rassegnato alla chiamata del Signore che avvenne il 18 dicembre alle ore 21.30.
Dopo i funerali nella cappella di Casa Madre, ai quali fu presente una folta rappresentanza di compaesani guidati dal parroco, la salma proseguì per il paese natale.
Al Collegio Comboni e in cattedrale a Khartoum furono concelebrate due messe presiedute dall'arcivescovo monsignor Zubeir, il quale invitò i presenti - c'era mezza città - a ringraziare Dio per ciò che aveva fatto attraverso la testimonianza di p. Mosna. Ai giovani il vescovo indicò in padre Alberto il significato della vocazione missionaria. E concluse: «La sua famiglia ha donato a noi un giovane pieno di forza, ora riceve in una cassa il corpo consumato dal lavoro. Non si è arricchito, ma con il suo insegnamento e la sua vita ha arricchito noi».
Incontrando padre Ravasio a San Pancrazio, pur essendo dolorante ed estremamente dimagrito, p. Alberto ebbe la forza di sorridere e di dire: «Vincerò anche questa volta il male».
Ha vinto, ma con la morte, come il Signore Gesù. P. Lorenzo Gaiga, mccj
Da MCCJ Bulletin, n. 141, aprile 1984, pp. 71-74
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P. ALBERTO MOSNA giunse d'urgenza da Khartoum a Roma l’11 dicembre 1983 con sospetto tumore diffuso. Il giorno stesso proseguì per Verona. Il 14.12.83 fu ammesso alla clinica chirurgica di Borgo Roma, Verona; alla sera dello stesso giorno, colpito da shock cardiologico, fu ricoverato in sala di rianimazione, dove rimase fino alla morte, avvenuta il 18.12.83 alle 21.30 circa. Il padre aveva 70 anni, essendo nato il 30.5.1913 a Romagnano, Trento. P. Mosna entrò nel nostro noviziato di Venegono il 25 ottobre 1931, emettendovi i primi voti due anni dopo. Il 7 ottobre 1938 fece i voti perpetui ed il 16.4.39 fu ordinato sacerdote a Verona. Tre mesi dopo era in Inghilterra dove lo colse la seconda guerra mondiale. Internato, poté partire solo a guerra finita (1945). Nel giugno del 1945 giunse a Khartoum, dove rimase per il resto della sua vita come educatore ed insegnante al Comboni College. Giunta a Khartoum la notizia della morte di p. Mosna, si celebrò una liturgia eucaristica al Comboni College ed una in cattedrale, entrambe presiedute da Mons. Zubeir. L'arcivescovo indicò ai giovani il significato della vocazione missionaria. "La famiglia di p. Alberto Mosna ha offerto un giovane ed ora riceve il suo corpo consumato. P. Alberto è morto povero, ma ha arricchito gli altri".
Nel libro di preghiere di p. Mosna a Khartoum, su un foglietto sgualcito dall'uso c'era la seguente preghiera intitolata "Per i Parenti": "Dolce Gesù, per il quale ho lasciato padre, madre, fratelli e sorelle e tutto ciò che avevo nel mondo, io sono contentissimo della mia vocazione, ed esulto d'allegrezza: ve ne ringrazio immensamente. Una sola cosa io vi chiedo e voglio: fatemi vedere tutta la mia famiglia e tutti i miei parenti, nessuno eccettuato, nella celeste e vera patria del Paradiso per tutta l'eternità. Così spero e così sia.” R.I.P.
Da Familia Comboniana, gennaio 1984, p.11-12