In Pace Christi

Bonfanti Adriano

Bonfanti Adriano
Date of birth : 09/03/1931
Place of birth : Vogogna Ossola (NO)/I
Temporary Vows : 09/09/1950
Perpetual Vows : 09/09/1956
Date of ordination : 15/06/1957
Date of death : 03/09/1996
Place of death : Nairobi/KE

P. Adriano Bonfanti è un missionario per il quale le poche pagine di un necrologio risultano sicuramente strette, perché è stato "uno di quelli che hanno lasciato il segno". In un modo personale, tutto suo, ha cercato di battere le orme di mons. Comboni, lottando fino alla fine per le cause che gli sembravano giuste, incurante delle critiche, delle disapprovazioni, delle "scomuniche", ma sempre per il bene della Chiesa missionaria (almeno nelle sue intenzioni) e a favore dei "più necessitosi".

Il metro cubo di carte che sono conservate a Roma sul suo conto, ci dice che questo intrepido "crociato" va senz'altro annoverato tra i missionari che hanno svolto il loro ruolo con un tocco di novità, di inventiva e di coraggio. Attenzione, però: vedere Bonfanti solo alla luce delle sue lotte sarebbe riduttivo e ingiusto, come lo sarebbe stato per Comboni se gli storici si fossero limitati alle sue diatribe col Mazza, col Carcereri, col Castellacci, col Canossa, ecc. ecc.

Veronese di Cadidavid, P. Bonfanti è nato "per caso" a Vogogna, in provincia di Novara, perché papà Battista, operaio meccanico, e mamma Pasquina Proni, casalinga, si trovavano in quella località per motivi di lavoro. Dopo Adriano arrivarono altri due fratellini, uno dei quali tenterà di seguirlo entrando nel seminario comboniano di Trento, ma poi uscirà. La famiglia era profondamente cristiana.

Da ragazzino, a Cadidavid, Adriano sentì parlare di missioni e di Africa dai Comboniani di Verona che si recavano spesso nella sua parrocchia per corsi di predicazione, ed egli si entusiasmò al punto di chiedere di diventare uno di loro.

Andò a Padova per le medie e poi a Brescia per il ginnasio. Ci resta la pagella di quinta ginnasio con i voti scolastici e con le note del superiore, P. Diego Parodi, poi Vescovo di Balsas.

Come voti non ci si può lamentare anche se non sono brillantissimi (più avanti sapremo il perché); le osservazioni contengono, "in nuce" il Bonfanti adulto.

"Grossolano, ma nello stesso tempo molto sensibile. Sofisticato, fantastico, dotato di multiforme ingegno e sarcastico. Indipendente: si sente quasi superiore agli altri per la sua versatilità artistica (musica, pittura, poesia). Assai sventato, aborre la diplomazia e le convenienze sociali. Quando è ripreso accetta volentieri le osservazioni, ma non si trattiene dal dire le proprie ragioni. Sincero ed aperto. Nello studio potrebbe rendere molto di più".

Tra i primi a Gozzano

Il 23 settembre 1948 Bonfanti, insieme ad un altro bel gruppo di novizi del primo anno, inaugurò la sede del noviziato di Gozzano, acquistata l'anno prima dai Gesuiti, e abitata da un paio di mesi dai novizi del secondo anno, provenienti da Venegono Superiore.

Col carattere che aveva, Adriano ebbe molto da lottare con se stesso. P. Giordani, maestro dei novizi, che nei suoi giudizi non ha mai sbagliato un colpo, trova che Bonfanti "mostra maggior ingegno che criterio", che ha tendenza "a voler scherzare un po' su tutto e su tutti: gli è nel sangue e non c'è niente da fare, anche se, essendo in noviziato, si sforza di migliorarsi. Ma non illudiamoci: terminato il noviziato, balzerà fuori l'uomo vecchio.

È superficiale e leggero, ma ha spirito di iniziativa e di organizzazione. È un mago con i ragazzi: il suo modo di fare catechismo è splendido e riesce a tenere a bada la scolaresca con grande facilità.

Fantasioso e inventivo, ogni volta escogita nuovi sistemi per invogliare i ragazzi allo studio del catechismo, alla ricerca e all'approfondimento delle verità, e per affezionarli alla Chiesa. Ama la vocazione e sembra nato apposta per fare il missionario, però sarà un missionario a modo suo.

Anche se non è capace di star zitto e ha sempre qualcosa da dire su tutto, volentieri lo raccomando all'ammissione dei santi voti".

Nella domanda per essere ammesso alla professione religiosa, Adriano si scosta dalle solite formule ispirate a sacra riverenza o a timore, per esprimere ciò che sente, liberamente, senza complessi: "Dopo sette anni di formazione, cinque di scuola apostolica e due di noviziato, faccio la mia domanda per l'ammissione ai voti, primo passo verso l'augusta meta del Sacerdozio.

È una grazia che sento di non meritare, ma è il caso di dire: ''Si iniquitates observaveris Domine, Domine quis sustinebit''. Però, col pensiero che i voti non sono il fine, ma il mezzo per santificarmi, chiedo ...".

Giornalista

Pronunciati i voti temporanei, 9 settembre 1950, andò a Rebbio per il liceo (1950-1953). Fu anche a Trento come assistente dei seminaristi di quella scuola apostolica comboniana durante i mesi estivi, e poi a Venegono per la teologia.

In questo periodo Bonfanti manifestò un altro dono che il Signore gli aveva dato: quello di scrivere. Dopo aver dato alcuni ragguagli sul suo modo di impostare la giornata e sul suo carattere ("se studiasse potrebbe rendere di più; è il buffone della brigata, sempre allegro, tende all'ottimismo e a vedere gli aspetti allegri delle cose; arruffone, ma sa cavarsela sempre, è portato a dire la sua con puntate argute, talora sciocche, ma innocue per cui non è da ritenersi pericoloso; non è facile trovarlo in fallo perché ha sempre una giustificazione o una facezia") P. Leonzio Bano tocca ciò che costituirà una seconda vocazione in P. Bonfanti: "Scrive appassionatamente sulla vocazione e su argomenti missionari. Scrive con facilità, con immediatezza, con sottile umorismo e con arguzia un po' birichina tanto da rendere piacevole la lettura dei suoi articoli anche ai più distratti. Potrebbe riuscire un utile elemento per la propaganda, la stampa, il cinema, ecc. cose tutte per le quali dimostra spiccata tendenza".

E più avanti: "Ha spedito articoli a riviste che li hanno accettati e graditi. Ma si diletta anche in racconti immaginosi e fantastici. Gli piacciono le discussioni e sogna di diventare giornalista.

Quando è con i ragazzi la sua fantasia vola negli spazi infiniti, tanto che deve essere frenato. Con lui tutti se la godono, ma lui più di tutti...".

Queste attività extra assorbivano molto tempo al nostro "giornalista" in erba a scapito dello studio che ne soffriva. Un anno, mentre era a Trento, venne anche rimandato in quattro materie. Non se la prese più di tanto e, scusandosi col superiore, scrisse: "Quello che più mi dispiace è che lei ha fatto le scale tutte le mattine, per svegliarmi, e ne ha avuto così poca soddisfazione".

Mitica missione

Con la nota: "Si può stare contenti: si temeva peggio", scritta da P. Bano, Adriano venne ammesso al sacerdozio. Per la verità sulla sua pagella c'erano anche altre note come: "Esuberante, di grande zelo, deciso, attivo, di sacrificio, amante della preghiera, bonario e tollerante, sincero, caritatevole e allegro".

Il 15 giugno 1957, dunque, venne ordinato sacerdote dal Card. Montini nel duomo di Milano.

Dopo un anno di insegnamento ai futuri Missionari Comboniani di Firenze, andò per alcuni mesi in Inghilterra ad apprendere la lingua. Non è che tenesse sempre gli occhi sui libri, naturalmente. Ecco quindi un suo articolo pubblicato su Nigrizia dal titolo "I fatti di Notting Hill" sulla discriminazione razziale inglese (novembre 1958). E poi un altro dal titolo "I provocatori" in cui commenta un film sulla fratellanza tra gli uomini (dicembre 58).

Quindi passò a Verona nella redazione di Nigrizia per "dare una mano al Piccolo Missionario". Qui la sua fantasia ebbe modo di concretizzarsi. I confratelli di una certa età ricordano ancora lo splendido fumetto a puntate, scritto appunto da P. Bonfanti, in cui è rappresentato uno scienziato che era riuscito a soggiogare con apparecchiature elettroniche il cervello dei leoni della savana africana, i quali, guidati dallo scienziato, ne combinavano di tutti i colori. Ovviamente le loro gesta e avventure strabilianti erano sempre in difesa del missionario attaccato dal nemico di turno... A Bonfanti occorreva sempre un nemico da far fuori.

Altri racconti sono: "Alla conquista di un continente", "La vendetta del Pumbero", "La capanna delle teste mozzate"... Bastano i titoli per capire il contenuto.

Quando finalmente gli giunse il permesso, poté imbarcarsi per il Sudan meridionale. Venne assegnato al Bussere, prima come vice parroco e direttore del giornale "The Messenger", poi anche come professore. Vi rimase dal 1959 al 1963.

Scrive P. Ravasio: "La sua prima esperienza missionaria durò solo tre anni e mezzo a Bussere, presso Wau, fra i Belanda. Il Bahr el Ghazal apparve al giovane ed esuberante missionario come una missione mitica. Vi incontrò grandi missionari e s'innamorò di quella terra".

Il guaio è che era già cominciata la persecuzione contro la Chiesa cattolica, portata avanti dagli arabi musulmani. Un tipo come P. Bonfanti, che finalmente aveva trovato un nemico vero, non poté che farsi espellere dalle autorità governative un anno prima della grande espulsione in massa di tutti i missionari (1964).

Quel breve tempo di missione fu gratificante per il nostro P. Bonfanti. I suoi servizi dalla missione arrivavano a Nigrizia con puntualità. Ecco alcuni titoli : "La Passione di Cristo in Africa"; "Anime bruciate"; "Sacerdoti per sempre" "Consacrazione di novelli sacerdoti"; "Saranno una potenza ideologica irresistibile" (studenti d'oltremare in Europa); "Hanno bruciato le tappe" (apporto del clero diocesano alle missioni); "Fucilate e colpi d'obiettivo" (viaggi); "Noi tre" (vita di missionari); "Il novellino al potere" (grane di un superiore - lui - fresco d'Africa); "Le piaghe d'Egitto" (problematiche missionarie); "Il presepio dei pomodori" (vita di missione); "The Messenger anno 30"; "Una chiesa per Aweil"; "Caccia grossa ma non troppo"...

Tra una visita ai villaggi e una serata con le filmine, in cui faceva impazzire i ragazzi con le sue trovate, tra un articolo per Nigrizia e le giornate passate in tipografia a comporre il giornale, tra una lezione scolastica e un'esercitazione di catechismo ai catecumeni, elaborò e curò i canti Belanda che sono ancora in uso nella Chiesa sudanese, e cominciò a raccogliere testimonianze sugli usi e i costumi di quel popolo.

Quando arrivò a Verona nel marzo del 1963, aveva un tale magone sullo stomaco che gli pareva di soffocare. Ma era sostenuto dalla speranza di poter ritornare in quella terra in un tempo relativamente breve. Invece lo attendevano 10 lunghi anni di estenuante attesa, e ancora di lotte.

Il crociato di Dio

Nel marzo del 1964 anche tutti gli altri missionari che si trovavano nel Sudan meridionale furono espulsi nel giro di poche ore. Molti di essi erano rassegnati alla "permissione di Dio", qualcuno confessava umilmente: "Scontiamo i nostri peccati", altri dicevano: "Povero Comboni! È la fine per la Chiesa sudanese", tutti mostravano evidenti segni di sofferenza o di rabbia, a seconda dello spirito da cui erano animati. Tra questi ultimi c'era il combattivo P. Adriano Bonfanti.

E subito si costituì un "comitato pro Sudan" al quale facevano parte P. Bonfanti, P. Bresciani, P. Cavallera, Mons. Mason e altri.

Primo frutto di questo comitato fu un libro intitolato "Espulsi dal Sudan" scritto da P. Bonfanti. Un libro appassionato, ma vero, in cui venivano raccontate con immediatezza e ricchezza di particolari le vicende dell'espulsione, ed erano sottolineate le incongruenze e le ingiustizie delle autorità islamiche.

Queste, per ripicca, pubblicarono un "Libro bianco" in cui davano una loro interpretazione all'espulsione, giustificandola.

Immediatamente P. Bonfanti pubblicò il "Libro nero" come risposta, punto per punto, al "Libro bianco". La battaglia divampò senza esclusione di colpi. Contemporaneamente l'agenzia "Sudan Informazioni", che il nostro giornalista aveva fondato, inviava notizie e servizi ai giornali di mezzo mondo per influenzare l'opinione pubblica internazionale sul fenomeno Sudan e in difesa degli africani e dei missionari che nella sua mente e nel suo cuore formavano un tutt'uno. Di questa agenzia restano sei grossi volumi (agosto 1967- dicembre 1973).

I confratelli di Khartoum e zone limitrofe, che non avevano subito l'espulsione, scalciavano e protestavano contro gli infuocati interventi di Bonfanti temendo qualche drastico provvedimento nei loro confronti. "Non solo le proteste di Bonfanti non ottengono niente, ma possono risultare dannose a noi che siamo ancora qua", dicevano.

Bonfanti, appellandosi allo spirito profetico, a quello di Giovanni Battista e a quanti altri, andava avanti imperterrito a testa bassa e corna avanti.

I superiori di Roma vagliavano le ragioni degli uni e degli altri e poi non sapevano quali pesci prendere. P. Briani, Superiore Generale, vecchio sudanese, era certamente favorevole all'iniziativa di Bonfanti e del "comitato", ma c'erano anche altre ragioni di cui bisognava tener conto.

Ad un certo punto P. Bonfanti si accorse che le notizie riguardanti il Sudan meridionale e la persecuzione in atto in quel paese, prima di giungere a Verona, facevano tappa a Roma dove venivano filtrate. Allora protestò come sapeva fare lui.

Il corrispondente dall'Uganda, P. Degano, gli rispose in data 3 gennaio 1971: "Ho ricevuto ordine di mandare tutto e solo a Roma. E io lo faccio. Non è colpa mia: mettetevi d'accordo tra voi, oppure mangiatevi e io tratterò con il sopravvissuto". Tutto propter Regnum Dei, ovviamente.

P. Bonfanti mise insieme una documentazione ricchissima su ciò che venne pubblicato sul Sudan in quegli anni. Ricordo i suoi grossi album formato giornale, con ritagli, foto e articoli vari.

L'altra battaglia

Ma P. Bonfanti divenne protagonista di un'altra battaglia, questa volta interna all’Istituto.

Nel 1969 ci fu il Capitolo Generale che avrebbe eletto Generale P. Tarcisio Agostoni al posto dell'ormai anziano e stanco P. Briani testimone della persecuzione sudanese, del martirio dei confratelli dello Zaire e della contestazione del "68".

P. Bonfanti, volendo dare il suo apporto al Capitolo e ai Capitolari, allora chiusi in se stessi e molto distaccati dalla base, diede vita ad un ciclostilato dal titolo emblematico: "Lo Scudiscio". Tra i capitolari c'era la "talpa" o le "talpe" che telefonicamente gli fornivano la temperatura dell'Assemblea sottolineando i punti sul tappeto e l'andamento delle discussioni.

E "Lo Scudiscio" riportava tutto, senza misericordia e senza veli. La penna, tra le dita di P. Bonfanti, si muoveva con la destrezza e gli effetti del "fioretto" in mano al più esperto spadaccino. Ma niente di male, perché il ciclostilato che ne usciva era riservato agli addetti ai lavori, e non poteva che farli meditare o farli ridere. Qualcuno si infuriava e rispondeva con argomentazioni condite da qualche titolo più o meno "onorifico"... che P. Bonfanti pubblicava pari pari, col nome e il cognome del mittente, sul numero successivo. E poi arrivava in redazione di Nigrizia a commentare i fatti, sereno e sorridente. In effetti, in quella schermaglia, si divertiva un mondo. Scrive P. Ravasio: "Non fu facile fermarlo". E P. Neno Contran: "Come mi piacerebbe ripescare i numeri de 'Lo Scudiscio capitolare' nei quali diede sfogo alla sua vena di polemista".

P. Bonfanti, pur così intelligente e aggiornato, non voleva rassegnarsi ai cambiamenti di mentalità e di metodi conseguenti al Concilio Vaticano II e alla "rivoluzione" del 1968. Egli lottava per conservare l'obbedienza "pronta, cieca e allegra" come gli avevano insegnato in scuola apostolica, perché il religioso si lasciasse muovere "perinde ac cadaver" o come il gesuitico bastone di noviziesca memoria che si lascia mettere in qualsiasi angolo senza protestare. Non parliamo della castità che una vita troppo libertina, secondo lui, metteva in serio pericolo. Gli scolastici che giocavano al pallone in calzoncini, applauditi dalle ragazze di Mani tese che ai bordi del campo tifavano per l'uno o per l'altro, era decisamente troppo, ed egli partiva alla carica con la lancia in resta. Un confratello, per questo suo rigore, lo definì "custos virginum". P. Adriano non era solo nella lotta: egli era la punta di diamante, ma dietro aveva una buona squadra che, nell'ombra, lo sosteneva e lo incoraggiava ad andare avanti.

A modo suo

Chi scrive è stato 10 anni a Verona con P. Bonfanti, lavorando con lui fianco a fianco, anche se in settori diversi. Il ricordo che ha è quello di un uomo sempre sorridente e contento. Pareva che lottasse con l'uno o con l'altro quasi per divertirsi, per rendere varia e interessante la vita. Di sicuro in lui non c'era ombra di risentimento. Lottava perché gli sembrava giusto che un missionario dovesse battersi per le cause che riteneva giuste, anche se ciò gli collezionava grane a non finire. Era, insomma, "un missionario a modo suo", come aveva detto P. Giordani.

E a proposito di quella voglia di dire sempre qualcosa su tutto e su tutti, cosa anche questa annotata dal suo padre maestro, ecco un episodio.

Un giorno P. Bonfanti chiese ad un confratello un passaggio in auto per andare in un determinato posto. Questi si prestò molto volentieri. Ma, appena partiti, Bonfanti cominciò a dire all'autista: "Ma come freni! Ma che modo hai di fare le curve!" e via di seguito. Ad un certo punto l'autista si fermò e aprì la portiera dalla parte dell'ospite. Questi, credendo che il confratello dovesse andare da un'altra parte, scese e ringraziò".

Dopo aver richiusa la portiera, l'autista gli disse: "Ora puoi frenare come ti pare e anche fare le curve a modo tuo", e lo lasciò a piedi.

Missionario in Kenya

Erano ormai passati dieci anni dall'espulsione dei missionari dal Sudan e le speranze di un ritorno erano ormai svanite. Alcuni dei reduci erano morti, altri erano ammalati e i più erano andati in altre missioni a prestare il loro servizio.

Il "comitato" pro Sudan si era sciolto e gli animi si erano acquietati. Un giorno il provinciale d'Italia, P. Malugani, incontrò P. Bonfanti in refettorio e gli disse: "Ho saputo che vuoi andare in Africa. Scegli pure la nazione che maggiormente ti piace".

"No - rispose prontamente P. Bonfanti - forse siete voi che desiderate che io vada in Africa, e ne capisco molto bene le ragioni, tuttavia parto volentieri".

Il 30 ottobre 1973 P. Bonfanti approdò a Nairobi pieno di ideali e di buona volontà come un novellino. Dopo una tappa nella casa provincializia per studiare la lingua, andò a Makindu e poi a Mulala. Ma queste erano solo tappe per impratichirsi. Dal 1974 al 1992 fu superiore locale e poi parroco di Kasikeu.

Dal 1993 alla morte fu parroco a Kiongwani dove consumò le sue energie fino all'ultima fiammella. I 22 anni di Kenya furono i più belli per il nostro missionario, anche se la nostalgia del Sudan gli rimase dentro fino alla morte. Del resto il primo amore non si dimentica mai.

Tuttavia si identificò con il popolo Kamba nella diocesi di Machakos fino a diventare uno di loro. Oggi la gente lo considera un padre, un anziano, un saggio. Ciò è importante per gli africani.

Tutto coopera al bene

P. Bonfanti impostò il suo lavoro missionario in modo moderno e ispirato ai dettami del Concilio Vaticano II. Fece subito largo uso dei mezzi di comunicazione sociale, come la stampa, gli altoparlanti, il cinema e le proiezioni.

Convinto che la nostra società si basa in gran parte sulle immagini, le sfruttò in pieno. Un esempio: volle che le pareti della chiesa di Kasikeu fossero coperte da giganteschi quadri della Via Crucis. Diceva che in quei quadri c'era tutto il Vangelo. E i fatti gli diedero ragione, infatti davanti a quelle pitture sostavano, e sostano, cristiani e catechisti per approfondire le loro cognizioni religiose e per essere sollecitati a presentare al missionario continue domande e spiegazioni. L'insegnamento agganciato ad un'immagine era certamente più efficace.

La sua capacità di captare l'attenzione dei ragazzi gli assicurò la loro amicizia. E con l'amicizia entrava l'insegnamento e la pratica della vita cristiana. I ragazzi, poi, parlavano in famiglia di quel missionario tanto simpatico, sempre sorridente, scherzoso e buono, e così gli preparavano la strada. E le conversioni si moltiplicavano, la vita cristiana fioriva.

Il vescovo era entusiasta di P. Adriano che considerava più che un fratello, per cui tra i due ci fu sempre concordia e piena collaborazione con grande edificazione del clero locale e dei cristiani.

I più poveri, i piccoli, gli anziani, avevano un posto di predilezione nel cuore di P. Adriano. Basti pensare che faceva operare a sue spese i bambini disabili. Disse un giorno: "Se la gente che ha soldi assistesse al miracolo di vedere un bambino costretto a trascinarsi sulle ginocchia balzare in piedi e mettersi a giocare, gli handicappati sparirebbero dalla faccia della terra".

Animatore

P. Bonfanti, seguendo anche in questo l'esempio di Comboni, non limitò la sua attività all'Africa, ma divenne un eccezionale animatore missionario. Il suo "Ponte Italia-Africa" arrivava regolarmente agli amici, ai familiari e ai benefattori. La stampa e la diffusione di tale notiziario erano a cura del "Clan dei Kamba", tutti volontari, Via Basson, 41 Verona. I Kamba sono la popolazione tra cui P. Bonfanti lavorava.

Il notiziario è una miniera inesauribile di notizie. Non solo lancia l'appello "Vacanze utili a Kasikeu", ma dice anche "Abbiamo bisogno di speranza". Voleva che i laici sentissero l'interesse per la missione, visto che "Il battesimo ci fa tutti missionari", e che andassero "a viverla sulla propria pelle".

Compiendo i suoi 60 anni di vita scrive: "Gioia di vivere perché c'è un grande perché" e il suo entusiasmo missionario, l'amore agli africani, i desiderio di far crescere la Chiesa sprizza da tutti i pori di quest'uomo già seriamente minato dalle malattie, ma che viveva come se fosse perfettamente sano.

E uomo concreto

Non ci sarebbe da sprecar parole su questa dote di P. Bonfanti, tuttavia vale la pena riportare ciò che ha scritto sul suo giornale in occasione del centenario della morte del beato Comboni. "Leggere la biografia di Comboni vuol dire conoscere una delle meraviglie che Dio opera per mezzo dei suoi servi.

Comboni fu un uomo di fede tale che poté superare difficoltà di ogni genere, causate dagli elementi, dai potenti e dalle idee storte dei buoni... Una della su frasi che voglio citare per i miei amici, e che dimostra il carattere di un uomo pratico e senza complessi ipocriti, è questa: ''Con il denaro si fanno miracoli per l'Africa''.

Da quanto voi, cari amici, parenti e benefattori potete vedere in queste pagine, veramente con il denaro si possono fare grandi miracoli di carità per i nostri Fratelli e per il Regno di Dio".

"Missione Bontà"

In questo contesto si inserisce la "Missione Bontà" patrocinata dalla trasmissione televisiva "Fantastico", portata avanti da Adriano Celentano tra il 1987 e il 1988, quella del fustino del detersivo Dash per intenderci, che tanto scalpore ha fatto presso alcuni e tanti soldi ha procurato a P. Bonfanti.

Il provinciale d'Italia (Moretto) si lamentò con quello del Kenya per "l'intrusione" della provincia del Kenya nel contesto italiano, dove i Comboniani portavano avanti "un'azione profetica" che vedeva nelle multinazionali la causa di tanti mali nel Terzo Mondo. P. Bonfanti, a sua volta, lamentò l'intrusione della provincia italiana negli affari della Chiesa del Kenya.

La lotta scaldò gli animi: quel benedetto P. Bonfanti veniva a rompere le uova nel paniere servendosi proprio di una multinazionale, la Procter & Gamble (o era lei che si serviva di lui per vendere di più), offuscando l'immagine dei Comboniani "puri e forti". La rivista Nigrizia entrò nel dibattito pubblicando qualche articolo contro la Procter & Gamble e sostenendo la linea "profetica" dei Comboniani. La gente, che nella maggioranza non è esperta di profezia, capì solo che i Comboniani erano divisi tra loro.

Bonfanti, per la sua iniziativa, aveva l'approvazione del suo provinciale, del Vescovo e perfino del Card. Tomko... soprattutto aveva migliaia di persone che morivano di sete e che non potevano istruirsi. Questo la gente lo capiva benissimo.

"Voi fate presto a parlare di profezia perché avete la pancia piena e sedete a tavole ben imbandite - insinuava Bonfanti - ma qui...", e fece anche la sua bella apparizione in televisione, proprio nel programma Fantastico, visto da quasi 20 milioni di spettatori.

E le buone casalinghe italiane comperavano Dash a tutto spiano dicendo: "Dato che il detersivo ci occorre, è meglio prendere quello che aiuta i poveri moretti" e il loro cuore si inteneriva come nel giorno di Natale, senza comprendere le sottili distinzioni dei "profeti di turno" e di Nigrizia. Anche molti confratelli, probabilmente non assidui lettori di Nigrizia, non trovavano disdicevole il modo di fare di P. Adriano, anzi confessavano, a bassa voce per non farsi sentire da chi scrive (che ha sempre ragione): "Trovassi anch'io una multinazionale così!". E si leccavano le dita.

Bonfanti, come era nel suo stile, lasciò che tutti dicessero la loro e proseguì imperterrito la sua strada, felice e contento di poter far del bene a chi ne aveva bisogno. "Dash o non dash - diceva - ogni prodotto è ormai figlio di una multinazionale. Tanto vale che punti su quello che è disposto a darmi una mano per le mie opere". Insomma, da buon veneto, metteva in pratica il celebre proverbio entrato nelle commedie di Goldoni, che recita: "Dato che la casa se brusa, me scaldo anca mi". Non è cattiva filosofia.

E intanto nella sua missione sorsero 52 padiglioni con scuole, dispensario, ecc. e due enormi contenitori per l'acqua che assicurano una vita dignitosa a migliaia di persone. La polemica ora è finita, le opere restano, e "niente sarebbe più ingiusto e superficiale che restringere l'attività missionaria di Bonfanti alla 'missione bontà', scrive P. Ravasio. E poi aggiunge: "Quale sia una linea di missione profeticamente valida, lo decide il criterio evangelico: 'dai frutti li conoscerete'. Frutti duraturi".

Questa non fu l'ultima battaglia di P. Adriano, ma sulle altre, sorvoleremo.

Soprattutto evangelizzatore

Scrive P. Neno Contran: "Ostinato nel suo lavoro, incapace di soste, P. Bonfanti ha continuato fino alla fine come ha fatto Comboni e come hanno fatto altri grandi missionari i quali, sebbene sapessero di essere minacciati, hanno vissuto, lavorato e lottato facendo finta di niente, perché hanno avuto tanta dignità da non rassegnarsi ad apparire deboli e ad essere messi da parte, fosse anche solo temporaneamente. Hanno voluto morire in piedi e quasi ci sono riusciti. In questo modo, nella loro malattia non vanno per le lunghe e non danno fastidio con degenze interminabili.

P. Adriano era uno che non si rassegnava a trascorrere le sere seduto su una sdraio per il meritato riposo che, oltretutto, gli avrebbe tanto giovato alla salute. Quanta strada ha fatto con il camioncino su cui aveva piazzato in permanenza un altoparlante in modo da poter catechizzare anche mentre guidava. Sempre dal camioncino proiettava film biblici e catechistici anche nelle comunità più fuori mano.

Piombava poi in un sonno così profondo che una notte i ladri - era ancora a Kasikeu - non solo portarono via tutto quello che vollero, ma sedettero a tavola mangiando e bevendo a sazietà nella sala da pranzo attigua alla stanza in cui dormiva".

In quell'angolo verdissimo e alberato

Diabete e problemi di pressione cominciarono a rendergli la vita difficile. Già nel 1978 aveva un tasso di diabete di 240 mg/dl. Da anni prendeva una dozzina di pasticche al giorno, per le malattie più diverse. Domenica mattina 18 agosto, proprio sul punto di iniziare la Messa a Kiongwani, si sentì male. Il catechista mandò a chiamare il vicario, P. David, che stava celebrando in una stazione secondaria.

Appena libero, questi caricò P. Adriano sull’auto e lo condusse al Nairobi Hospital. Fu sottoposto a vari esami. P. Bonfanti era persuaso che si trattasse di un malessere leggero e transitorio per cui, invece di ricoverarsi, preferì fare la spola tra casa e ospedale viaggiando con l'autista. Gli sembrava impossibile doversi fermare, anche se le piaghe alle gambe, dovute al diabete, avevano ormai raggiunto l'osso.

La sera di domenica 25 fu portato di nuovo al Nairobi Hospital e ricoverato in una stanza vicina a quella di P. Lino Zucco. Intanto ebbe una vasta emorragia allo stomaco.

Dopo aver sentito che P. Lino era morto, cominciò ad agitarsi fino a volersi strappare l'ago della flebo. Era convinto che i medici stessero esagerando e continuava a ripetere che voleva tornare alla sua missione di Kiongwani.

Quando P. Romeo De Berti, viceprovinciale, gli disse che i medici ritenevano necessarie alcune trasfusioni (cinque Fratelli del CIF avevano già donato il sangue) ebbe un moto di rifiuto. Fu solo quando P. Romeo replicò bruscamente: "Se non accetti, vuol dire che vuoi morire", che acconsentì. Si sottopose alla trasfusione ed ebbe un leggero miglioramento, ma fu di breve durata.

Il giovedì 29 fu portato in sala di rianimazione. I medici speravano di metterlo in condizioni di affrontare il viaggio in Italia. Invece ebbe un’altra emorragia e perse conoscenza. Fu fatta subito un'endoscopia da cui risultò che l'ulcera, di notevoli dimensioni, era perforata e improvvisamente il cuore cessò di battere. Ma grazie all'intervento immediato del cardiologo, che gli praticò un massaggio, P. Bonfanti si riprese. Nei giorni seguenti registrò altri tre arresti, sempre risolti col massaggio.

All'una del 3 settembre ebbe un'ennesima emorragia. Questa volta il cuore si fermò per sempre. Gli erano accanto i confratelli P. Romeo e P. Zanoli che erano andati a visitarlo verso mezzogiorno.

La sua Messa funebre è stata presieduta dal Vescovo di Machakos, mons. Kioko. Una trentina di concelebranti e una chiesa piena di fedeli, venuti anche da Kiongwani, la missione prediletta da P. Adriano in cui aveva realizzato ciò che di meglio era riuscito ad immaginare nella sua visione pastorale, fu la testimonianza del grande amore da cui era circondato.

Ora riposa accanto a P. Lino Zucco, che lo ha preceduto di poco, nel cimitero di Saint Austin, in un angolo verdissimo e alberato della capitale, insieme a decine di missionari e missionarie di diverse congregazioni.

Il suo provinciale, che era stato con lui durante tutta la settimana santa, scrisse: "Ho dovuto concludere che P. Adriano è un grande missionario (sottolineato), idolo della sua gente. Il leone ha ora perso gli artigli di un tempo ed è molto più mansueto".

Con la morte, questo nostro confratello ha terminato la salita al santo monte di Dio. L'ha percorsa in piena dedizione per gli altri fino agli ultimi giorni, col suo stile inconfondibile e talora di difficile lettura, ma sempre per il bene dei più bisognosi e della Chiesa, scavalcando, se occorreva, prescrizioni e formalità. Per lui esistevano Dio in cielo e l'uomo "necessitoso" sulla terra. Il resto erano bei discorsi. Ora è bello immaginarlo nella beatitudine insieme a Comboni col quale ha condiviso tanti aspetti.      P. Lorenzo Gaiga, mccj

Da Mccj Bulletin n. 195, aprile 1997, pp. 76-88