In Pace Christi

Errico Raffaele

Errico Raffaele
Date of birth : 24/04/1912
Place of birth : Magliano (LE)/I
Temporary Vows : 07/10/1932
Perpetual Vows : 07/10/1937
Date of ordination : 10/07/1938
Date of death : 07/03/1998
Place of death : Carmiano (LE)/I

P. Raffaele è nato a Magliano, in provincia di Lecce, ed è morto a Carmiano, paese a quattro chilometri dal primo, in casa della sorella dove abitava dal 1992, da quando cioè aveva avuto un serio peggioramento della salute.

La sorella Maria, religiosa secolare e donna di grande carità, aveva chiesto ai superiori di concederle la possibilità di accudire il fratello amorevolmente e le fu concesso. Così P. Raffaele, pur facendo parte della comunità comboniana di Lecce, fu ospite della sorella fino alla morte.

La sua ripresa fu così buona che poté dedicarsi alle confessioni e ad altri piccoli ministeri in parrocchia e in paese. Un ictus, 16 mesi prima della morte, lo prostrò definitivamente fino a spegnerlo come una lucerna che ha esaurito l'olio, alla veneranda età di 86 anni, il 7 marzo 1998.

"10 persone di tre tipi"

La famiglia di P. Raffaele si è formata da un gesto di solidarietà umana che sarebbe più appropriato chiamare carità cristiana. Scrive la sorelle Maria: "A mio padre, Luca Vadacca, morì la moglie a 31 anni, lasciando 5 figli, quattro maschi e una femmina, la sottoscritta. Il più grande aveva 8 anni e il più piccolo un anno.

Nella famiglia di P. Raffaele, che era composta di tre bambini, era morto il papà, Antonio, durante la guerra 1915-18. Mentre lui era al fronte, morirono anche i due più grandicelli, colpiti dalla spagnola. Così rimase la mamma, Maria Quarta, con il piccolo Raffaele e il nonno, Mariano, molto vecchio".

P. Raffaele ricordò fino agli ultimi giorni della sua vita la scena di addio col papà quando partì soldato: "Ho sempre presente nella memoria mio papà quando mi abbracciò e mi baciò per l'ultima volta prima di partire per il fronte. Io avrò avuto tre o quattro anni. Di lui non si seppe più niente. Dissero che era disperso".

Mio padre - prosegue la signorina Maria - si sposò con la mamma di P. Raffaele e così formammo una nuova famiglia di 6 figli. In seguito nacque un altro bambino e diventammo 7 fratellini, di cui io era l'unica femmina. Con il nonno che rimase sempre con noi eravamo in 10. Aggiungo subito che, pur essendo 10 persone di tre tipi, eravamo legati da un grandissimo amore.

Il papà di P. Raffaele era contadino e lavorava in proprio della buona terra. Altra ne aveva preso a mezzadria, sicuro che le braccia non sarebbero mancate. Era religiosissimo, credente e praticante, così pure la mamma, che poi diventò anche la mia.

Il mio papà voleva un bene di predilezione a Raffaele 'perché - diceva - lui non ha il suo vero papà e io devo amarlo due volte: per lui e anche per me', e io non ero gelosa perché mi sembrava giusto, anzi dicevo che lo amavo per tre, cioè per me e per i due fratellini che gli erano morti".

L'incontro con P. Sartori

Dopo le elementari al paese, Raffaele venne inviato a Lecce per le medie. Il patrigno aveva notato in quel figlio non suo, ma che amava, belle doti di intelligenza e disse che non doveva fare il contadino. L'ambiente della città, però, non giovò al ragazzo che, dopo il secondo anno, rimase bocciato.

Il parroco, che teneva d'occhio i giovinetto e che vedeva in lui segni di vocazione, lo consigliò di entrare nel seminario diocesano. Cosa che Raffaele fece di buon grado.

Durante l'anno di quarta ginnasio, in maggio, P. Bernardo Sartori, proveniente da Troia dove aveva aperto un seminario missionario, tenne una conferenza ai seminaristi. Parlò con la foga che gli era propria per cui Raffaele decise che si sarebbe fatto comboniano.

Maretta in famiglia

Quando in famiglia si seppe che Raffaele voleva andare in Africa, la mamma si mostrò contrarissima.

"Prete sì - diceva - missionario no".

Il papà, invece, si mostrò più aperto:

"Se il Signore lo chiama - diceva - noi non abbiamo il diritto di opporci".

Nella lotta, Raffaele si rivolse alla sorella, pregandola di fare da avvocato presso la mamma. E Maria ce la mise tutta tanto che, dopo un mese, anche la mamma diede il suo assenso, pur con grande sofferenza.

Nella cartella di P. Raffaele ci sono due lettere con l'intestazione "Curia Vescovile di Lecce". Una è del 2 settembre 1930 e l'altra del 19 settembre 1930. In quest'ultima è scritto:

"Le presento i giovani seminaristi De Giorgi, Errico e De Tommasi che vengono a far parte della famiglia dei Missionari delle terre africane. Ho la certezza che, con la grazia del Signore, essi saranno buoni missionari e non verranno mai meno alla loro vocazione".

In noviziato a Venegono

L'addio dal paese dei tre futuri missionari fu solennissimo. Scrisse P. Raffaele: "Il parroco, don Ferdinando Gherardello, un santo sacerdote, celebrò la messa e, al vangelo, disse tra l'altro, queste parole che mi rimasero dentro per tutta la vita: 'Figlioli, andate con la benedizione di Dio ad evangelizzare le genti. E se un giorno, il maligno con le sue lusinghe e tentazioni vorrà farvi tornare indietro, gettatevi piuttosto in un fiume'. Parole belle che ho sempre ricordate e sempre ricorderò". Noi, oggi, non siamo d'accordo che espressioni simili siano poi tanto belle, ma allora andava così.

Partiti da Lecce alle ore 21.00 del 18 settembre 1930, i tre giunsero a Milano verso mezzogiorno. Con le Ferrovie Nord proseguirono per Venegono dove giunsero qualche ora dopo. Là una carrozza li attendeva e li trasportò al castello, sede del noviziato, sotto una sottile pioggia.

Il maestro dei novizi, P. Giocondo Bombieri, li accolse con gesti di simpatia e li condusse in refettorio per rifocillarli. Alla sera di quello stesso giorno, P. Raffaele, dando relazione ai suoi del buon viaggio, aggiunse con tocco poetico: "Arrivammo mentre il tempo piangeva perché avevamo lasciato il mondo per consegnarci anima e corpo al Signore".

La Prova

Tra i documenti di P. Raffaele non ci sono i giudizi del P. Maestro, quindi non possiamo sapere su quali punti il novizio abbia concentrato le sue forze per la "conversione radicale" che si era proposta. Né ci sono noti i risultati. Nel suo diario accenna a una "prova" cui fu sottoposto. Sentiamo:

"Alla fine del secondo anno di noviziato, fui chiamato da P. Pietro Simoncelli, Superiore Generale, in visita al noviziato. Senza tanti preamboli mi disse:

'Ho pensato che sia meglio che tu lasci la vita religiosa e missionaria. Potresti fare tanto bene fuori'. Per niente intimorito, risposi: 'Padre, ci sono ancora altri istituti missionari. Se lei mi manda via, batterò a qualche altra porta, perché Dio mi vuole missionario'. Terminato il dialogo, mi recai dal padre maestro e gli raccontai tutto. 'Non hai capito che il P. Generale voleva metterti alla prova per vedere se la tua vocazione era sicura? Stai tranquillo e avanti!'.

Il 7 ottobre 1932, festa della Madonna del rosario, emisi i primi voti temporanei. Ero missionario".

Alla scuola di san Leopoldo

Qualche giorno dopo i voti, Raffaele fu destinato a Padova come assistente dei ragazzi che, in quel seminario, si preparavano a diventare sacerdoti. Era superiore P. Candido Uberti. Tra i ragazzi che Raffaele assisteva c'era anche Tarcisio Agostoni che diventerà P. Generale dei Comboniani e Domenico Ghirotto, poi procuratore Generale della Congregazione presso la Santa Sede.

Raffaele conobbe molto da vicino San Leopoldo Mandic, il cappuccino che passava le giornate nel confessionale e che era noto come "il tinazzo della misericordia divina". Per i due anni nei quali Raffaele rimase a Padova andò a confessarsi da questo santo cappuccino. "Lo ho stimato, lo ho amato e a lui ho affidato l'anima mia. Lo ho sempre ricordato anche quando sono andato in missione e lo ho considerato un mio protettore".

Verso l'Africa con allegria

"L'anno scolastico era rotto da qualche rappresentazione e qualche accademia in cui ognuno di noi aveva modo di sfornare il proprio spirito poetico o di esibirsi come cantante - prosegue P. Raffaele. - Ma in certe occasioni quei giovani combinavano anche degli scherzi di fronte ai quali i superiori non sapevano se ridere o se arrabbiarsi.

"Ricordo Armido Gasparini, oggi vescovo in Etiopia, che per festeggiare mons. Bini, vescovo di Khartum che era tra noi per un po' di vacanze, organizzò una festa nella quale lesse un finto telegramma del Re, ma poi c'era anche la cerimonia del battesimo di un grande capo africano. Il poveraccio che fece da capo dovette prendersi in testa un secchio d'acqua fresca tra le risate di tutti.

Durante l'estate si andava a Segonzano e poi a Fai della Paganella per le vacanze. A Fai volevamo spianare un bel pezzo di terra per ricavarne un campo da pallone.

'Fate pure - disse il P. Generale che era Pietro Simoncelli'. Di buona lena gli studenti delimitarono lo spiazzo di terreno e cominciarono a portare fuori i sassi. Un lavoro improbo perché, più si levavano, più ne appariva. Nel bel mezzo c'era un rialzo roccioso che era impossibile smuovere.

'Qui ci vuole la dinamite', disse uno.

'Niente dinamite. Girategli attorno', disse il Generale. Ma ecco che Raffaele ebbe il colpo di genio. Aveva letto da qualche parte come gli antichi riuscivano a spaccare le pietre senza esplosivi, e cercò di applicare il sistema.

Radunò sulla protuberanza rocciosa, e tutto intorno, una grande quantità di sterpi che accese ottenendo un gran falò. E intanto ordinò agli amici di procurare tanti secchi di acqua. Quando gli sembrò che la roccia fosse rovente e le fiamme avevano finito di consumare gli sterpi, l'acqua venne gettata sulla roccia che... andò in mille pezzi. E così il campo da pallone fu approntato con arte.

Il tempo dell'ordinazione sacerdotale si avvicinava. P. Federici, superiore, scrisse di Raffaele: "E' un figliolo abbastanza buono, però ogni tanto bisogna richiamarlo perché si lascia prendere da tante cose. Ha la stoffa del buon missionario per cui lo raccomando".

Il 10 luglio 1928 P. Raffaele venne ordinato nella Cattedrale di Verona, il 13 celebrò nel seminario di Lecce festeggiato dal rettore e da tanti amici sacerdoti. Il 14 la festa si trasportò al paese e fu davvero grande.

Tappa con la Mediatrice

Mentre era in famiglia gli arrivò la lettera del nuovo P. Generale, P. Antonio Vignato, che lo destinò a Troia come insegnante di latino, italiano, storia, geografia ed inglese nelle medie. Un gran lavoro, specialmente per l'inglese nel quale P. Raffaele era autodidatta. Come se ciò non bastasse c'era anche il ministero domenicale nei paesi e gli fu addossata anche la predicazione del mese di maggio nella chiesa della Madonna Mediatrice, tenuta dai missionari e venerata dalla gente.

Dopo un anno di permanenza a Troia (1938-39), durante il quale il novello sacerdote si era "fatto le ossa", arrivò l'ordine di partire per la missione.

Ma prima ci fu l'ordinazione sacerdotale di P. De Giorgi il quale, costretto da suo padre, aveva dovuto lasciare il noviziato. Solo dopo un anno era riuscito a rientrare e a proseguire i suoi studi. Ordinato sacerdote nel 1939 volle che fosse l'amico P. Errico Raffaele a tenergli il discorso di prima messa... Era stato grazie a lui se aveva seguito la vocazione missionaria.

A Troia P. Raffaele poté respirare il clima creato da P. Bernardo Sartori che fu l'apostolo di quella zona. Soprattutto poté rinforzare la sua devozione alla Madonna vivendo accanto alla Mediatrice. I piccoli seminaristi, gente della sua terra, gli richiamarono la sua infanzia e con loro si trovò a suo agio.

Ma il desiderio di missione si faceva ogni giorno più vivo in lui per cui scrisse al Superiore Generale pregandolo di mandarlo in Africa al più presto. P. Vignato gli rispose che, alla fine dell'anno scolastico, poteva sentirsi libero di partire. La sua missione sarebbe stata nella terra di Comboni, in Sudan.

Missionario in Sudan

Il 14 giugno 1949 P. Raffaele era al suo paese per dare l'addio alla popolazione e ai familiari.

Scrive P. Raffaele:

"In tre partimmo dal paese per il noviziato e in tre partimmo anche per la missione. Ci imbarcammo a Napoli il 16 luglio diretti a Port Sudan. Era la prima volta che salivo su una nave e ciò mi faceva un certo effetto. Attraversammo il Mediterraneo, costeggiammo l'Egitto e, superato il Canale di Suez, raggiungemmo Port Sudan. Il sole era così implacabile che, per raggiungere la sede dei missionari, abbiamo cercato di camminare sfruttando l'ombra delle case.

L'accoglienza da parte dei confratelli fu cordiale e ci ristorarono con un po' di acqua fresca che, tuttavia, sapeva di sale. Per P. De Tommasi il viaggio finiva lì essendo stato destinato proprio a quella missione.

Con P. De Giorgi proseguii per Khartoum a bordo di un trenino a scartamento ridotto. E qui ecco la prima avventura. Dopo un giorno di viaggio nel deserto, un fortissimo temporale spostò i binari appoggiati sulla sabbia. Due giorni siamo rimasti in quel deserto che bruciava come una fornace. E le due notti passate sotto le stelle ci fecero ammirare la bellezza del firmamento come non lo avevo mai visto. Finalmente il binario fu sistemato e si poté riprendere la corsa.

Giunti a Wadi Halfa, trovammo un treno regolare che ci portò ad Atbara. Il giorno dopo eravamo a Khartoum. Fummo accolti con grande cordialità da Mons. Francesco Saverio Bini che si ricordava delle birichinate che avevamo combinate con lui quando eravamo studenti di teologia. Ci trattò da signori, ci fece visitare il grande Collegio Comboni, vedemmo anche il posto dove era stata sistemata la tomba di Mons. Daniele Comboni. Momenti di intensa emozione...".

Anche la guerra

"A Malakal - prosegue P. Raffaele - siamo stati costretti a fare una tappa di sei giorni. Il governatore inglese ci disse che era scoppiata la seconda guerra mondiale per cui non era prudente muoverci. Noi italiani, infatti, eravamo diventati automaticamente 'nemici' degli inglesi che governavano in Sudan anche se di guerra non ne sapevamo nulla.

Trovammo ospitalità presso una famiglia di un maltese che aveva sposato una napoletana. Alla sera, però, il capitano ci aveva obbligati a far ritorno al battello per passare la notte.

Io avevo degli ami con i quali mi divertivo a pescare i pesci. Venivano su dei bei pesciotti di 3 chilogrammi che portavo alla famiglia che ci ospitava e che mangiavamo in allegra compagnia. Ma la cosa più stupenda erano i tramonti sul Nilo. Cose da non poter descrivere.

Finalmente arrivammo a Wau dove trovammo Mons. Orler e gli altri confratelli che ci attendevano. Dopo qualche giorno ci furono le destinazioni. P. De Giorgi era assegnato alla missione di Mboro a circa 25 chilometri da Wau dove era superiore e P. Provinciale P. Arpe che nel 1946 verrà ucciso con due lanciate da un rinnegato. Io invece venni dirottato a Yubu che distava 300 chilometri da Wau".

Una specie di lazzaretto

Yubu era la missione più lontana, rispetto a Wau e, a quel tempo, faceva parte del territorio isolato, entro cui le autorità inglesi inviavano le persone colpite dalla malattia del sonno. Quindi era considerata come una specie di lazzaretto. Anche i nostri confratelli dovettero sottostare per anni ad una specie di clausura e convivere con questa comunità particolare perché formata da individui provenienti da luoghi lontani uno dall'altro quindi con lingue, tradizioni e culture diverse.

Ciò impose ai missionari una ginnastica mentale non indifferente. Primo, per farsi capire; secondo, per adeguarsi agli usi e costumi diversi fra loro; terzo, per dover esercitare il ministero con persone in gran parte malate o che erano state malate.

Padre Raffaele lavorò bene se si pensa che, alcuni mesi prima della morte, ricevette dal campo profughi di Maboki (Centrafrica) una lettera di un suo ex ragazzo, ormai uomo adulto, che ricordava con affetto il vecchio maestro, cioè P. Raffaele. Se pensiamo che P. Raffaele era assente dall'Africa dal 1962, cioè da 36 anni, si capisce che il ricordo lasciato in mezzo a quella gente è stato altamente positivo.

Arrivo a Yubu

Il 12 settembre, dopo quasi tre mesi di viaggio da quando aveva lasciato l'Italia, raggiunse la sua destinazione. P. Riccardo Simoncelli e P. Busnelli accolsero il nuovo venuto con segni di gioia. Dopo averlo ristorato, lo condussero a visitare la missione, la chiesa, la casa delle suore, la scuola elementare e il catecumenato. Davvero il lavoro non sarebbe mancato.

I giorni seguenti furono occupati dallo studio della lingua Zande. Maestri erano P. Busnelli e un sottocapo che conosceva un po' di inglese.

L'8 dicembre, solennità dell'Immacolata, P. Raffaele fu in grado di fare la sua prima omelia ai cristiani i quali si congratularono perché "avevano capito quasi tutto, più col linguaggio dei gesti che con il suono delle parole". Bella consolazione dopo tanto studiare!

Al villaggio dei lebbrosi

A 20 chilometri dalla missione di Yubu c'era un villaggio dove erano radunati parecchi malati di lebbra. P. Raffaele volle che una delle sue prime visite ai villaggi fosse proprio riservata a questi infelici che vivevano nell'abbandono e nell'emarginazione anche se periodicamente l'incaricato del governo portava cibo e medicine. Fu accompagnato da P. Busnelli con la "motocarretta".

"Facevano pietà - scrive P. Raffaele - con le mani monche e con tante piaghe che emanavano un fetore nauseabondo. Il peggio venne dopo, quando P. Busnelli volle celebrare la santa messa in una capanna coperta di paglia e con i muri di fango alti neanche un metro. Anche i sedili erano di fango e di mattoni cotti al sole.

Ad un certo punto la puzza che proveniva da quei corpi dilaniati dal male mi procurò un acuto mal di testa e mi fece venire conati di vomito. Ma con la grazia di Dio riuscii a resistere e a far finta di niente.

'Ti abituerai e non ci farai più caso', mi disse P. Busnelli. Per superare la ripugnanza che provavo, per tre giorni di seguito mi recai al lebbrosario fermandomi a parlare con i malati ai quali lasciavo farina, sale, sapone, sigarette, indumenti e coperte.

Ho potuto esperimentare che P. Busnelli aveva ragione. Anzi devo dire che per me era un piacere tornare tra quella brava gente, intrattenermi con loro e parlare degli usi e dei costumi della tribù dalla quale provenivano. Sicché divennero miei maestri. Molti mi chiesero di essere istruiti per ricevere il battesimo, cosa che feci molto volentieri con soddisfazione di tutti".

Tre anni a Mupoi

Dal 1954 al 1959 P. Raffaele fu superiore della missione di Mupoi. Uomo sempre sereno e conciliante con tutti, aveva intrecciato rapporti di amicizia con le autorità sia inglesi, come musulmane e locali.

Mons. Domenico Ferrara, Prefetto Apostolico di Mupoi dal 1949, incaricò P. Raffaele di prendere contatti con il Commissario distrettuale per studiare la possibilità di fondare una missione sullo spartiacque tra Sudan e Congo.

La località prescelta si chiamava Ezo. Le autorità inglesi diedero il permesso di iniziare i lavori per una "missioncina provvisoria". P. Raffaele, alla guida di un bel gruppo di operai, si recò sul posto e cominciò a mettere le fondamenta della chiesetta con pietre squadrate e cemento.

Un giorno capitò da quelle parti il commissario distrettuale inglese e, vedendo l'andamento dei lavori, disse:

"Avevamo dato il permesso per una chiesa provvisoria. Con quelle pietre mi pare che non si tratti di cosa provvisoria".

"Lei sa - rispose P. Raffaele - che se non usiamo questo tipo di materiale, il primo temporale spazzerà via tutto".

L'incaricato delle foreste che accompagnava il commissario, aggiunse:

"Lasci fare al Padre ciò che vuole, tanto, né io né lei staremo qua a lungo". Già infatti, si parlava di indipendenza e si vedeva come si stavano mettendo le cose in Sudan. Il commissario stette un attimo in silenzio e poi disse:

"Questa sera nella mia casa ci sarà una festicciola. Vuole venire anche lei, Padre?".

"Ben volentieri, anche se non potrò fermarmi molto perché alla sera mi sento parecchio stanco". Durante il trattenimento il discorso cadde sui fatti di cui si parlava in quel periodo.

"Sì - disse il commissario - l'incaricato delle foreste ha detto bene: noi saremo spazzati via, e voi con noi, ma la vostra chiesa resterà, diventerà ancora più grande e più solida... e non parlo solo della chiesa di pietre squadrate che avete messo nelle fondamenta di Ezo".

Parole profetiche. Nel 1964 tutti i missionari verranno espulsi dal Sudan meridionale, ma la Chiesa è rimasta, è cresciuta, si è diffusa in tutto il territorio con i suoi preti e i suoi vescovi.

Testimone del cambiamento

P. Raffaele fu testimone del passaggio del Sudan da Paese soggetto al colonialismo inglese a Stato indipendente. L'indipendenza ebbe luogo nel 1956, ma ancora prima di questa data erano iniziati i movimenti di guerriglia che avrebbero tenuto sotto torchio la nuova nazione fino ai nostri giorni.

P. Raffaele ha fatto appena in tempo a sfiorare questa situazione perché, costretto dalla malattia (soffriva di calcoli renali, di cuore e di altri disturbi) dovette lasciare il Sudan prima della grande espulsione del 1964. Infatti, dopo l'esperienza di Mupoi, tornò a Yubu per ricoprire il ruolo di superiore. Vi rimase dal 1959 al 1963, anno in cui dovette rientrare in Italia con un forte esaurimento dovuto ai dispiaceri per come si mettevano le cose e al super lavoro al quale si era sottoposto.

Una casa a Lecce

Giunto in Italia, andò dalla sorella Maria che lo accolse in casa e subito si preoccupò affinché non gli mancassero le cure.

"Ero così malconcio - scrisse - che anche nel mese di luglio dovevo stare con le gambe vicino al fuoco".

Appena rimessosi un poco grazie all'opera del dottore del suo paese e di un cardiologo, P. Raffaele andò a visitare il Vescovo di Lecce, Mons. Minerva che conosceva dagli anni del seminario.

"Perché, Eccellenza, non si può trovare una casa per i missionari Comboniani a Lecce?".

"Non è una cattiva idea. Solo che dobbiamo rifletterci sopra e pregare". Alla terza visita il Vescovo disse che si poteva avvertire il Superiore Generale dei Comboniani (allora P. Briani) della possibilità di una presenza comboniana a Lecce.

"Pieno di gioia - scrisse P. Raffaele - andai a casa e mandai un espresso al P. Generale mettendolo al corrente delle disposizioni del Vescovo. Dopo qualche giorno arrivarono il P. Generale col suo economo, P. Baj. Furono ospiti di mia sorella Maria e di mio fratello Enea. Ci fu l'incontro col Vescovo il quale assicurò il suo pieno appoggio. E così anche Lecce ebbe la sua comunità comboniana con una bella casa in località Cavallino".

Anni fecondi

La lunga permanenza in Italia di P. Raffaele è stata particolarmente feconda. Uomo dotato del dono del consiglio accoglieva sacerdoti, religiosi e religiose che si servivano del suo ministero sacerdotale, senza dire della gente che lo accostava con rispetto e venerazione, sicura che non si sarebbe allontanata dal suo confessionale con il cuore vuoto o con la tristezza nell'anima.

L'aspetto di animazione missionaria e vocazionale che ha caratterizzato il ministero in Italia di P. Raffaele durante la sua lunga sosta nella comunità comboniana di Lecce, è sottolineato da una lettera che P. Francesco Antonini, superiore provinciale dei Comboniani ha scritto in occasione della morte di questo confratello.

I confratelli di quella comunità assicurano che P. Raffaele, pur essendo anziano, era aperto ai giovani più di qualche giovane, e i giovani stavano volentieri con lui, parlavano e si confidavano. Accettava il modo di fare delle nuove generazioni, la loro musica, il loro modo di partecipare alla messa, le loro iniziative. Qualcuno diceva: "Questa anziano ci precede sempre".

La morte

Da un anno e mezzo, da quando cioè era stato colpito da ictus, P. Raffaele celebrava in una stanza della casa della sorella adibita a cappella e trascorreva le sue giornate nella preghiera e nell'accoglienza delle persone che andavano a fargli visita.

La sua salute, però, andava declinando per il succedersi dei disturbi cardiaci e renali. Il medico lo seguiva con le cure adeguate e la sorella lo assisteva con assidua premura. Fu proprio grazie a queste attenzioni se poté tirare avanti così a lungo benché fosse in condizioni ormai disperate.

"La sua morte, avvenuta nel suo letto e in casa sua - dice la sorella Maria - ha fatto ricordare le morti degli antichi patriarchi. Ha lasciato questo mondo in pace con Dio e con gli uomini, confortato dai sacramenti chiesti e ricevuti in piena consapevolezza, circondato dall'affetto dei suoi familiari, dei confratelli, dei sacerdoti del paese e della gente che lo venerava come un santo. La pace che si stese sul suo volto dopo il trapasso, si rifletteva anche nell'anima dei presenti che percepivano chiaramente la sua vicinanza col Signore e con la Madonna che aveva tanto amati".

E' stato sepolto nella cappella di famiglia nel cimitero di Arnesano, un paese a metà strada tra Carmiano e Lecce.

Una fede cristallina e una straordinaria capacità di dialogo con la gente, sia in missione come in Italia, furono le caratteristiche principali di questo missionario buono, disponibile, sempre contento ed estremamente accogliente. Che dal cielo ottenga alla Congregazione comboniana tante e sante vocazioni.      P. Lorenzo Gaiga

Da Mccj Bulletin n. 200, luglio 1998, pp. 110-119

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Fr. Raffaele was born at Magliano, and died a couple of miles away at Carmiano, where he had been staying with his sister since 1992, when his health had worsened. Maria, his sister, is a secular religious, and has asked to look after him. The superiors assigned him to the community of Lecce, allowing him to live with his sister. For a while he improved enough to give some help in pastoral work locally, but a stroke 16 months before his death left him prostrate, and he faded away quietly, like a lamp that has exhausted its last drop of oil. He was 86.

"10 persons of 3 kinds"

Fr. Raffaele's family was a union formed out of love and Christian charity. Maria explains the circumstances. Her mother had died at 31, leaving the father, Luca Vadacca, with 5 children: four boys and Maria; the oldest was 8 years old. In the Errico family the father, Antonio, had never returned from World War I, and had been posted as "missing in action". He had left three children at home, but two of them died of "Spanish flu". At home his wife Maria (Quarto) was left with Raffaele and an aged parent, Mariano. Maria (sister) concludes: "My father married Raffaele's mother, and formed a family of 6 children. Then another baby was born, making seven. With the old grandfather there were 10 people of three kinds - but all bound together by a great love".

An example of this can be seen in the reasoning of both Maria and her father. First of all, both families had been very religious. Antonio Errico had worked his own land, plus some he rented. Luca felt that he had to love Raffaele twice over: for himself and for the missing Antonio. Maria said that, in that case, she had to love him three times over: for herself and the two little ones who had died!

Meeting with Fr. Sartori

After primary school at home, Raffaele went to secondary school at Lecce. His stepfather saw that he was intelligent, and wanted him to do well. But Raffaele failed the second year exams, because he did not like it in the city. The Parish Priest then stepped in. He too had seen encouraging signs in the boy, and suggested he should go to the seminary. And here, two years later, Fr. Sartori came along from Troia to give a talk to the seminarians. He spoke with his usual fiery enthusiasm, and Raffaele was convinced: he would be a Comboni Missionary!

A small crack appeared in the family: his mother was happy to see him a priest, but not a missionary. His stepfather thought that they should not oppose what could well be the will of God. Raffaele asked his sister Maria to intercede with her mother. This she did with great effect, in that she won a very reluctant and agonised consent.

A letter from the "Episcopal Curia" dated 2 September 1930 presented three candidates to the Comboni Missionaries: De Giorgi, Errico and De Tommasi. In giving his consent, the Bishop stated that he had good hopes for all three.

Novitiate at Venegono

The three had a solemn send-off. The PP, don Ferdinando Gherardello, celebrated a Mass, and during the homily said something that Raffaele never forgot: "Sons, go with God's blessing to evangelize the nations. And if one day the Evil One tries to entice and tempt you to turn back, throw yourselves in a river rather than listen!" Maybe not today's style, but effective.

They left Lecce at 9 P.m. on 18 September 1930, and arrived in Milan towards noon the next day. Another train took them to Venegono station, and a carriage brought them and their bags, under a fine rain, to the Novitiate. Fr. Giocondo Bombieri, the Novice Master, received them kindly, and gave them a meal. Before going to bed, Raffaele managed to keep his eyes open long enough to write a brief account of the journey, with a lyrical conclusion: "We arrived with the earth weeping over us, because we had left the world to give ourselves, body and soul, to God!"

Test?

There are no details of the time spent in the Novitiate. All we have is a note written by Raffaele himself. Towards the end of the second year the Superior General, Fr. Pietro Simoncelli, visited the Novitiate and interviewed each of the novices. To Raffaele he said, straight out: "I think you ought to leave the religious and missionary life. You could do well outside!" Raffaele answered straight back: "There are other missionary Institutes. If you send me away, I will go and knock on other doors; God has called me to be a missionary!"

Then he went in dismay to tell the Novice Master everything, and Fr. Bombieri simply said: "He was only testing you! Don't worry; just carry on!" Once again, other times, other methods...

Raffaele made his first Profession on 7 October 1932. Not long after he was sent as "Brother Assistant" of our junior seminarians at Padua. Among them were a future Superior General, Tarcisio Agostoni, and two Procurators General: Armido Gasparini, now Bishop Emeritus of Awasa, and Dominic Ghirotto. The superior was Fr. Candido Uberti.

Raffaele went for confession and spiritual advice to Fr. Leopoldo Mandic, the Capuchin priest who had a reputation as the "tub of God's mercy" because of his long hours in the confessional. Saint Leopoldo Mandic is now a second "attraction" in Padua, after St. Anthony!

As the time for ordination approached, the new superior, Fr. Federici, noted: "He is quite good, but gets caught up in many things, and has to be called to order from time to time. But he has the material to be a good missionary, and I recommend him."

He was ordained in Verona Cathedral on 10 July 1938, and on the 13th celebrated Mass in the seminary at Lecce, surrounded by the Rector and a lot of friends of past years who were already priests. On July 14 he celebrated a Solemn Mass in his home parish, and it was a truly remarkable occasion!

A time with the Mediatrix

While he was still at home he received the letter of the new Superior General, Fr. Antonio Vignato, appointing him to Troia to teach Latin, Italian, History, Geography and English in the upper classes. A very tall order, especially as regards English, in which he had never had a lesson. On top of all that, he had Sunday ministry in surrounding parishes, and was given the preaching for the month of May, celebrated with special devotion in honour of Our Lady, Mediatrix of all Graces. But after one year at Troia, during which he had been properly "broken in", he received his mission assignment.

Before leaving, he had a pleasant duty. His companion De Giorgi had been forced to leave the Novitiate due to pressure from his father, and had been able to return only after a year of struggle. He was due to be ordained, and wanted Raffaele to give the sermon at his first Mass.

At Troia, there was the climate created by Fr. Sartori, the "founder" of the junior seminary. And there was the effect of the devotion to Mary, living next to the shrine of the Mediatrix. The boys were from his own area, and working with them brought back memories of his own childhood.

But the call of the Mission was strong, and he wrote to the Superior General (Fr. Vignato), asking to be sent to Africa as soon as possible. The reply was better than he had hoped: at the end of the school year he would be free to go to the land of Comboni: the Sudan.

Missionary in Sudan

On 14 June 1949, he bade farewell to his family and fellow parishioners at home. The he set off with two companions. He himself noted that it was like going to the Novitiate all over again: the same three were together again.

They sailed from Naples, through the Suez Canal to Port Sudan. Here the full force of the sun hit them, and they tried to slip from shade to shade as they made their way to the mission house. The confreres received them... warmly, with some cold water (with a slight taste of salt in it. For Fr. De Tomasi it was the end of the journey, since he had been appointed to Port Sudan.

Frs Errico and De Giorgi continued towards Khartoum on a narrow-gauge railway. And had their first adventure. A terrible wind moved the rails, which were simply laid on the desert sand, and they had to wait two days in furnace heat, and two nights during which they could admire the brilliance of the stars. Finally they were able to continue to Wadi Halfa, where they transferred to a "regular" train for the leg to Khartoum. Bishop Bini made them welcome, and they had a long chat about old times. He took them round Comboni College, and they visited the place where Comboni had been buried: a moment of intense emotion.

Even war steps in

At Malakal, on the journey South up the Nile, they had to stop for six days because World War II had broken out. As Italians, they had automatically become "enemies" of the British authorities. After a first night ashore (at the home of a Maltese who had married a Neapolitan) they were ordered to remain aboard, where some time was passed fishing, or admiring the wonderful sunsets.

Finally they reached Wau and found Mgr. Orler and the other confreres eagerly awaiting them. Fr. De Giorgi was appointed to Mboro, about 25 km. from Wau: the superior was Fr. Arpe, who would be speared to death in 1946 by a renegade. Fr. Errico was sent 300 km., to Yubu.

Yubu was not only the furthest mission from Wau at the time; it was also "quarantined", because victims of sleeping sickness had been confined to the area by the British. Our confreres had to share the lot of the patients, and also found great difficulty in communicating with people who came from various cultures and spoke various languages. On top of the problems of communication and not offending any susceptibilities, there was that of ministering to people who were rendered lethargic by their illness.

Fr. Raffaele must have been effective in his ministry. Not long before his death he received a letter from a refugee in Mboki (Centrafrica) recalling the old days. Fr. Errico had already been out of Africa since 1962!

He arrived in Yubu on 12 September - almost three months travelling since he had left Italy! The confreres there to receive him with open arms were Fr. Riccardo Simoncelli and Fr. Busnelli. He was shown the buildings grouped around the mission: the church, the sisters' house, the catechumenate and the primary school: plenty of work, once he had learned the language! The next day he got down to study, with the help of Fr. Busnelli and a sub-chief who had a smattering of English.

He managed to deliver his first homily in Zande on 8th December, Feast of the Immaculate Conception. The people congratulated him, because they had understood almost everything - especially his ample gesticulations!

Leper village

Twenty kilometres from Yubu there was a leprosy centre. That is, people were dumped there, and apart from a government officer who delivered food and medicine periodically, they had to fend for themselves. Fr. Errico "adopted" the village, which he first visited with Fr. Busnelli.

It was harsh "baptism". The physical state of many of the patients and their surroundings, the sickly smell of their sores... When Fr. Busnelli celebrated Mass in a brick-and-mud chapel with a grass roof, Fr. Raffaele almost passed out because of the stench in the enclosed area.  said Fr. Busnelli by way of consolation. And he did. At first, he went back three days in a row to talk to the people and distribute small gifts of salt, soap, cigarettes, clothing and blankets. After a while, he felt at ease, and could see the patients as individuals. Among them, too, was a cross-culture of languages and customs that he had to learn, and they were willing teachers. In return, he instructed all those who asked to be baptised! "A very fair exchange!" he said.

At Mupoi

From 1954 to 1959 Fr. Raffaele was superior of Mupoi mission. A serene and placid man, he made friends with both the colonial and religious (Moslem) authorities. Mgr. Domenico Ferrara, the Prefect Apostolic, asked him to make the necessary contacts to start a mission on the watershed between Sudan and Congo. The place chosen was Ezo, and permission was granted for a "small temporary mission". Fr Errico took a good group of workers, and began to lay a foundation of dressed stone and concrete for the church. One day the English District Commissioner turned up, and remarked that the materials were hardly the ones to be used in a "temporary" mission. Fr. Raffaele replied that mud and grass would not survive the first thunderstorm! At this point the Forestry Officer, who was with the DC, suggested that they let the father get on with it, as they (the British) would not be there for long, in any case. In fact, there was already talk of Independence in the air. The DC relented, and invited the father for drinks in the evening. He confirmed what the Forestry Officer had said, and even made a prediction: the British and the missionaries would all be swept out, but the Church would remain and grow - and not just the foundation at Ezo! Prophetic words that the expulsion of missionaries in 1964 and the tenacity of the Church in Southern Sudan ever since have proved true.

Fr. Raffaele did not witness all the change. He was in Sudan for Independence in 1956, and has already seen the signs of unrest that would become guerrilla warfare and years of great violence and suffering that have lasted until today. But he was not there in 1964 when the great expulsion took place. He had been forced to leave earlier, because of kidney stones, heart trouble and other health problems.

In fact, after his service at Mupoi he returned to Yubu as superior (1959-63). Then the burden of his work and the strain of seeing how things were turning out gave him a nervous breakdown, and he had to return to Italy.

A home in Lecce

In Italy he went to stay with his sister Maria, who not only welcomed him, but set about building him uP. She recalls that he was so poorly that he would sit with his legs close to a fire, even in July. But medical and loving care put him back on his feet, and he looked around for something to do. The Bishop of Lecce, Mgr. Minerva, was an old friend, and Fr. Raffaele went along to ask how he would view a Comboni house in Lecce. The Bishop said they should reflect and pray about it; it did not seem a bad idea.

At the third time of asking, the Bishop told him to contact his superiors, and Fr. Errico flew to the post office to send an express letter to Fr. Briani. The Superior General arrived a few days later with Fr. Baj, Treasurer General, and stayed with the Errico family. At the meeting with the Bishop they were assured of his full support. "And so Lecce got a Comboni community, with a nice house in the Cavallino district," reported Fr. Raffaele.

Fruitful years

His long stay in Italy was not wasted. Fr. Raffaele was very approachable, and a good counsellor. Clergy, religious and lay people came to him freely for Confession and advice. And he never forgot the elements of missionary animation and vocations promotion in his activity. The Provincial of Italy acknowledged his effectiveness in a letter written after hearing the news of his death, and the confreres of the community of Lecce note that "the old man" was quite open to young people, who found they could talk to him, tell him their problems and dreams, ask his advice. He was able to see the positive in their music, their behaviour, the way they took part in the liturgy, their initiatives. Some younger confreres admitted that the old man was some distance ahead of them!

Death

Since his stroke, 18 months before his death, Fr. Raffaele said Mass in a room in his sister's house, which had been turned into a "chapel", and spent his time in prayer and receiving visitors.

He health declined steadily, as heart and kidney problems worsened. The devoted treatment of the doctor and his sister's care kept him going for much longer than his condition should have allowed.

He died at home and in bed, his sister says with a touch of pride. His death was like that of the old patriarchs, leaving the earth at peace with God and man, comforted by the Sacraments, that he requested and received in full possession of his faculties, surround by the affection of his relatives, confreres, local priests and people. A great peace came over his face as he passed away, reflecting the presence of the Lord and of his Blessed Mother.

He was buried in the family vault in the cemetery of Arnesano, a village halfway between Carmiano and Lecce.