In Pace Christi

Schiavon Antonio

Schiavon Antonio
Date of birth : 27/02/1922
Place of birth : Falzé di Trevignano (TV)/I
Temporary Vows : 03/05/1943
Perpetual Vows : 30/04/1949
Date of death : 10/04/2001
Place of death : Verona/I

“S. Onofrio di Sicciole di Pirano, Istria, 17.8. 1940

Reverendo Superiore,

                                 Chi scrive è superiore di una casa benedettina. In una famiglia colonica del Monastero c’è un bravo giovane che da lungo tempo aspira a farsi religioso missionario. Lo scrivente può assicurare che è una vocazione seria e ben fondata. Il giovane è nato a Falzé di Trevignano, Treviso, l’anno 1922 e si chiama Antonio Schiavon; ha compiuto nell’anno 1936 la sesta elementare, dopo non ha più potuto continuare gli studi data la sua condizione.

La famiglia, già da parecchi anni, si è stabilita in Istria. E’ profondamente religiosa. Il giovane vorrebbe essere ammesso in codesto istituto in qualità di studente per poter essere un giorno sacerdote missionario, ma se ciò non fosse ritenuto possibile, è ugualmente disposto ad essere semplice fratello coadiutore. Se la sua risposta, Rev.mo Padre, sarà affermativa in un senso o nell’altro, sarò lieto di dare gli ulteriori dettagli del caso. Con distinta stima ed ossequio in Corde Jesu devotissimo don Benedetto Pietrobono O. S. B.”.

Questo è il primo documento a nostra disposizione che dà inizio all’avventura missionaria di Fr. Schiavon. La risposta dei superiori comboniani fu positiva. Ed ecco che l’Abate fornì ulteriori notizie insieme alla domanda di Antonio per essere ammesso al noviziato.

“Antonio Schiavon, di Giuseppe e di Virginia Semenzin è il più giovane di due sorelle e altri quattro fratelli, tutti agricoltori come il papà. Però erano nati in quattordici. La salute del nostro giovane è ottima.

Da vari anni nutre la propensione allo stato religioso e da circa un anno si è sentito chiamare alla vita di missione. E’ spinto a questo unicamente dal motivo della salvezza delle anime. La sua condotta è sempre stata ottima. Frequenta i sacramenti tutte le feste e nei giorni feriali quando il lavoro glielo consente. Il suo passato è limpido. Non ha compagni; gli basta la sua famiglia. Non ha mai manifestato il desiderio di formarsi una famiglia sua e conosce gli obblighi che si assume entrando in una congregazione religiosa e missionaria. Ha retto criterio e intelligenza vivace.

Le assicuro, Rev.mo Padre, che se volesse farsi Benedettino, dichiaro che sarei pronto a prenderlo. Il territorio dove noi ci troviamo è lontano dalla parrocchia di Pirano circa 12 chilometri. I miei coloni, perciò, frequentano la mia chiesa e al parroco fanno ricorso solo… nelle grandi circostanze. Il giovane aspirante, pertanto, non è affatto conosciuto dal parroco di Pirano tanto più che la famiglia si è stabilita sul terreno del Monastero solo da un anno e mezzo…”.

La vocazione missionaria

A questo punto è lecito domandarci come mai Fr. Antonio ha insistito tanto per farsi missionario comboniano. La risposta ci viene dai suoi fratelli, alcuni dei quali sono ancora vivi e vegeti benché più vecchi di lui.

La famiglia Schiavon è originaria di Falzé di Trevignano, il paese che diede i natali anche a P. Bernardo Sartori. Ad un certo punto i membri della famiglia Schiavon raggiunsero la cifra di 39, troppi per vivere sulla poca terra che possedevano. Un fratello del papà era andato in Istria in cerca di lavoro e lo trovò, non solo per se stesso, ma anche per altri che fossero disposti a lasciare il paese.

Così il papà di Antonio, con la moglie e i figli, si trasferì in quella terra. Lavorarono come mezzadri alle dipendenze di un signore. Questi, ad un certo punto volle vendere ai nuovi venuti la terra, ma essi non erano in grado di acquistarla, allora dovettero emigrare nuovamente e finirono, sempre come mezzadri, alle dipendenze di una grande abbazia.

La vocazione alle missioni fu motivata dall’incontro con P. Sartori che era quasi coetaneo del papa di Antonio. Quelle rare volte che andò al paese prima di partire per l’Africa (Sartori è partito nel 1934), e soprattutto quando ha fatto la festa di addio al paese, parlando con Giuseppe Schiavon si augurava che qualcuno dei suoi figli diventasse missionario. Antonio, allora ragazzo dodicenne, raccolse il guanto, ma la vocazione rimase come un seme nel cuore per altri 6 anni, fino al 1940.

Novizio a Firenze

Nell’ottobre del 1940 Antonio si presentò a Venegono Superiore e fu accolto da P. Antonio Todesco, maestro dei novizi. Subito dopo, però, il nuovo arrivato fu dirottato a Firenze dove era maestro dei novizi P. Stefano Patroni. Antonio aveva l’idea di diventare sacerdote. Infatti P. Patroni scrisse: “Nella prima settimana che fu a Firenze, fu continuamente agitato dall’idea di diventare sacerdote. Ora, da due mesi, sembra tranquillo. Ha buona volontà ed è affezionato all’Istituto. Come carattere è un po’ rabbioso e testardo. Quando cade, però, viene immediatamente ad accusarsi. E’ umile e sincero”.

Quindi un giovane dal temperamento ardente, volitivo e deciso. Ma era uno che si lasciava lavorare, e P. Patroni non mancò di usare scalpello e cesello. Dopo due anni di intenso lavoro poté scrivere del nostro novizio:

“Ha fatto un buon progresso nel suo difetto dominante: la testardaggine nelle sue idee. E’ più portato al lavoro materiale che alle cose spirituali, anche se non tralascia mai le sue pratiche di pietà. Ha un carattere naturalmente buono e generoso. E’ molto meticoloso nelle sue cose: vuole assolutamente la perfezione. Ciò è un pregio, ma anche un difetto. Sente al vivo le umiliazioni, ma reagisce. Riguardo alla bella virtù è molto delicato. Tutto sommato credo che potrà essere un bravo Fratello”.

Il noviziato si concluse con i Voti che Fr. Antonio emise il 3 maggio 1943. Immediatamente fu dirottato a Bologna come addetto alla casa. Qui, però, il nostro Fratello, scoprì una sua seconda vocazione: quella del meccanico. Appena poteva, andava in un’officina a fare pratica. Ed il superiore, P. Febo Chiodi, lo favorì in questa sua inclinazione vedendo che il Fratello era portato al quel genere di cose. “A Bologna, a quel tempo – dice P. Chiodi – c’erano i Salesiani che avevano scuole professionali. C’era anche il settore di meccanica. Fr. Schiavon mi chiese di poter frequentare quella scuola. Glielo concessi di buon grado e… si scoprì un genio della meccanica”.

E’ interessante la lettera che il Fratello scrisse per la rinnovazione dei Voti nel 1946 perché si vede la sua dirittura di coscienza e la libertà nel trattare con i superiori: “Rev.mo P. Generale… chiedo di emettere i Voti triennali. L’esperienza fatta in questi tre anni mi dice che i Voti, con la grazia di Dio e la buona volontà, si possono osservare tutti e sempre. La sua espressione di malcontento nei miei riguardi che mi ha manifestata l’ultima volta che ci siamo visti, mi ha fatto molto dispiacere. Guardi che io non ho mai inteso di oppormi alla volontà di Dio, solo volevo essere sincero con lei e dire ciò che realmente pensavo”. Fu ammesso ai Voti triennali. Quindi fu inviato nella sede comboniana di Rebbio di Como come addetto alla casa, in attesa di prepararsi per la missione che era prossima.

Mozambico via Portogallo

Nel 1948 scoccò anche per Fr. Antonio l’ora della missione. La sua destinazione era il Mozambico. Partì dall’Italia per il Portogallo insieme a P. Giovanni Cotta e P. Domenico Ena, e ai fratelli Bortolatto Giuseppe ed Eligio Locatelli (che poi andrà in Brasile). Prima di mettere piede in Mozambico era indispensabile un soggiorno in Portogallo per lo studio della lingua. Ciò era una condizione posta dal governo portoghese per coloro che volevano andare in quella sua “provincia d’oltremare”. Fr. Schiavon soggiornò nel seminario di Viseu da giugno ad ottobre del 1948, quindi s’imbarcò per la missione.

Egli appartiene ai primi comboniani che raggiunsero il Mozambico, quindi è considerato tra i fondatori di quelle missioni dove bisognava partire da zero, estirpando i cespugli e tagliando le piante per cominciare a piantare le prime rudimentali abitazioni. Un lavoro da pionieri.

Ecco le tappe del suo soggiorno mozambicano: Mossuril 1948-1957. Il suo incarico fu quello di economo locale e di addetto all’officina meccanica. Fu quindi a Carapira dal 1957 al 1990 con gli incarichi di procuratore delle missioni, addetto all’officina e direttore della Scuola Tecnica. Dal 1990 al 1994 fu a Matola con i postulanti. Il postulato venne aperto proprio nel 1990, quando vi giunse il nostro Fratello. Egli era addetto alla casa, all’officina e… a dare buon esempio a quei futuri missionari comboniani mozambicani. Consacrazione e missione sono state sempre due cose essenziali per Fr. Antonio e le ha vissute in pienezza, con tutte le sue energie. Ciò costituiva una lezione fondamentale per le nuove leve. Ma torniamo ai primi tempi.

“Procuratore e meccanico”

In missione Fr. Schiavon dimostrerà subito come il lavoro fosse una cosa importante perché era un mezzo fondamentale di promozione umana per tanti giovani africani. “Le sue passioni fin da piccolo – dice il fratello Igino – erano i motori e la caccia. La prima volta che è venuto in vacanza, dopo 10 anni di missione, gli ha comperato un buon fucile col quale Antonio avrebbe assicurato carne alla missione. Andava a caccia, quando era permesso, per procurare il cibo ai confratelli e ai ragazzi della scuola. Aveva una mira infallibile”.

“Quanto alla meccanica – prosegue il fratello - quando si trattava di aggiustare un motore, stava in officina anche di notte pur di preparare per i confratelli l’auto per la mattina dopo. Chiunque avesse bisogno di riparazioni alla propria auto era sicuro che Antonio era disponibile, anche recandosi lontano per mettere a posto una macchina che era rimasta in panne. Se uno andava da lui e non gli domandava qualche suggerimento riguardante la meccanica, quasi si offendeva… come andare dal medico per dirgli che non si ha bisogno di lui”.

“Creava le condizioni perché si potessero fare le opere di carità in vista del bene della gente – aggiunge P. Francesco Antonini, suo compagno di missione ed ora superiore provinciale d’Italia. - Le suore dell’ospedale che avevano la macchina rotta, avevano la precedenza perché la suora doveva essere all’ospedale. Non è, però, che facesse il meccanico e basta. Egli partecipava a tutta l’attività pastorale: catecumeni, battesimi, feste. Godeva vedendo che la missione cresceva. Era, insomma, aperto a tante iniziative. Lavorava, pregava e poi si prendeva quell’ora di tempo per leggere e studiare. Riceveva riviste di storia e di meccanica, perché voleva essere sempre aggiornato. Dopo cena ascoltava la sua radio per seguire le novità del mondo”.

Dice P. Vincenzo Capra, pure suo compagno di missione:

“Di giorno aggiustava le macchine, di sera caricava il suo Bedford, la notte viaggiava cacciando antilopi, cinghiali, bufali, senza lasciarsi sfuggire qualche leopardo e magari anche leone. Quando giungeva in una missione, era un sollievo per tutti. Oltre alla sua allegria e al suo ottimismo, portava carne fresca in modo che i confratelli facessero festa con una buona pietanza. Poi si guardava attorno se c’era qualcosa da sistemare: ora c’era la canalizzazione dell’acqua potabile, ora il deposito, ora la centrale elettrica e la relativa installazione. Quindi la jeep, la macchina da cucire delle suore… Ma all’occorrenza faceva anche il muratore, l’elettricista e l’imbianchino.

Poi caricava il camion di tronchi per la segheria di Fr. Antoniazzi. Quando metteva le mani a qualche lavoro, non lo mollava finché non fosse finito. Una macchina uscita dalle sue mani era più che sicura, meglio che nuova; si poteva star sicuri che non ti avrebbe lasciato per strada. Sfruttava al massimo le cose vecchie facendo degli adattamenti e risparmiando a tutto spiano. Veramente aveva un dono speciale per la meccanica. Sentiva i motori come se gli parlassero”.

Fratello identificato

“Fr. Antonio – ha detto P. Francesco Antonini - dava l’impressione di una persona perfettamente identificata nella professione e nella missione. Non aveva dubbi sull’identità del fratello. Per lui la sua vocazione era chiara, vissuta in pienezza.

I primi tempi sono stati duri e Fr. Antonio è stato come il factotum anche se lui era ‘il meccanico’. Fu subito procuratore del gruppo comboniano. Seguiva i lavori delle varie missioni che sorgevano, portava i rifornimenti con il camion e i viveri per i missionari.

Un’altra cosa che lo ha distinto è stato il senso di appartenenza all’Istituto. Egli si sentiva identificato con i suoi fratelli e le sue sorelle comboniani. Come missionario ha sentito profondamente l’evangelizzazione e lo sviluppo del Paese e ha collaborato con quella che era la sua specialità. ‘Io faccio funzionare le macchine, perché i sacerdoti possano evangelizzare, portare l’Eucaristia e i Sacramenti’, soleva dire. Anche negli anni difficilissimi della guerra quando il governo ha nazionalizzato scuole, officine, ospedali, quando c’era carestia, fame e impossibilità a trovare non solo cibo ma anche pezzi di ricambio, i Comboniani non si sono mai fermati perché Fr. Antonio ha continuato ad aggiustare le macchine”.

Portava la gioia

“Quando la situazione politica si rasserenò e i missionari poterono riprendere liberamente il loro ministero, Fr. Antonio continuò ad andare nelle varie missioni ogni sabato sera. Non più per portare aiuti o cibo, ma per fare il cinema ai ragazzi e alla gente. Arrivava col proiettore ed era una festa per tutti, un momento di fraternità, di gioia. Voleva che la missione producesse anche gioia, pienezza di vita.

Era un uomo trasparente, onesto, non c’era in lui ombra di bugia. Se doveva dire una cosa, la diceva diritta e, quando vedeva delle cose ingiuste, si arrabbiava. Non tollerava i ‘lavativi’, coloro che prendevano le cose alla leggera. Si arrabbiava quando, per negligenza, i confratelli o i dipendenti rovinavano le macchine. Guai dimenticarsi di controllare il livello dell’olio o dell’acqua. Non tollerava che si giocasse così alla leggera con ciò che serviva per la missione. Ciò dimostra la passione con cui faceva le cose

Lavorò fianco a fianco con Fr. Metelli, muratore, Fr. Antoniazzi, falegname e Fr. Grazian, pure meccanico… Hanno compiuto meraviglie. Ebbene, dopo aver creato dal nulla scuole, officine, falegnamerie, case e ospedali, si sono sentiti dire dalle autorità che erano dei ladri, che erano andati in Mozambico per arricchirsi. Fremeva nel sentire queste accuse eppure è rimasto, fedele alla missione, sempre preoccupato del vero bene della gente che ha amato con tutte le sue forze”.

Rientro in Italia

Nel 1994 lasciò la sede del postulandato di Matola e rientrò a Verona per curare la salute, specialmente la memoria che aveva momenti di vuoto. Si riprese abbastanza bene per cui cominciò pensare al ritorno. Ma ecco la doccia fredda… La lettera del superiore Generale, P. David Glenday, scritta il 14 dicembre 1994, dice: “Godo nel sentire che ti sei ripreso abbastanza bene, speriamo che gli effetti siano anche duraturi. Posso ben comprendere il tuo desiderio di rientrare nella tua amata missione, ma penso che sia più prudente una tappa in Italia. Mi sento incoraggiato in questo conoscendo la tua disponibilità nel riconoscere e accettare i tuoi limiti di salute come un’indicazione che il Signore vuole che il tuo impegno missionario sia, per il momento, in patria.

Il Signore ti ha concesso lunghissimi anni di servizio missionario in Mozambico durante i quali hai visto la nazione passare dal dominio portoghese all’indipendenza passando attraverso due crudeli guerre che hanno seminato fame, malattie, distruzioni. E tu hai continuato, fedele al tuo carisma, senza mai perderti d’animo. Io ti ringrazio di quanto hai fatto, delle sofferenze e privazioni che hai sopportate per il Regno di Dio. Ti invito a vivere ancora nella preghiera e nel sacrificio il tuo grande amore per il Mozambico chiedendo al Buon Pastore di concedere a quella nazione anni di giustizia e di pace…”. Fr. Antonio chinò il capo e andò a Limone, nella casa del Fondatore. Chi scrive lo ricorda in questo periodo. Incapace di star fermo, mise in funzione una vecchia falcia-erba e cominciò a tenere in ordine il parco.

Qualche volta Fr. Ottorino Gelmini si offriva per dargli il cambio. Non ci fu mai verso che Fr. Antonio mollasse quell’arnese: sembrava che il rumore del motorino costituisse per i suoi orecchi la musica più bella di questo mondo. Ad un certo punto il suo male, la smemoratezza, cominciò ad accentuarsi per cui andò a Rebbio dove poteva essere meglio seguito e curato, anche perché a Limone cominciavano i lavori di ristrutturazione della casa. Si riprese abbastanza bene tanto che, nel 1997, poté tornare in Mozambico. Fu a Nampula come addetto alla casa. Ma due anni dopo, nel 1999 tornò definitivamente e rimase a Verona.

Visse e morì nell’amore di Dio

Fr. Antonio ha concluso la vita come l’aveva vissuta: nell’amore del Signore. Anche il suo ultimo rientro dalla missione è stato sereno, senza proteste, con la consapevolezza che ormai la sua missione era compiuta. E accettò la realtà dei fatti.

Nell’infermeria di Verona, dove è stato costretto ad adottare la sedia a rotelle per muoversi, è diventato preghiera ed offerta. Si è spento serenamente circondato dall’attenzione dei confratelli e dall’affetto dei suoi cari. Il suo funerale, in Casa Madre, è stato particolarmente solenne e partecipato.

P. Silvano Barbieri, suo compagno di missione, ha sottolineato la delicatezza di coscienza di questo Fratello. “Aveva il santo Timor di Dio per cui, se gli pareva di aver mancato in qualcosa, andava subito dal Padre a manifestare il suo cruccio con la semplicità di un bambino. E’ sempre vissuto come se stesse per presentarsi al tribunale di Dio”.

Una suora comboniana ha testimoniato l’amore di Fr. Antonio alla vita comunitaria. “Fr. Antonio non mancava mai alle pratiche comuni e, quando toccava a lui condurre la preghiera e la liturgia, voleva che si cantasse. Gli piaceva cantare le lodi del Signore e della Madonna. Aveva anche una bella voce, robusta e intonata. Le funzioni dovevano essere sempre solenni e ben preparate”.

“Sentiva molto l’amore alla sua famiglia, ai suoi fratelli e nipoti e ne parlava spesso facendoli sentire come membri della famiglia comboniana – ha detto P. Vincenzo Capra - ed essi ricambiavano questo affetto che si trasformava in aiuto per le sue opere. Insomma Fr. Antonio è stato ‘contagioso’: ha saputo diffondere l’ideale missionario anche ai parenti, ai conoscenti e agli amici”.

Anche una volontaria laica che fa servizio nell’infermeria di Verona ha voluto rilasciare la sua testimonianza alla fine della messa esequiale: “Un giorno lo trovai seduto mentre cercava di aggiustare l’ombrello che aveva un’asta rotta. Quando finì sulla sedia a rotelle, la prima cosa che fece fu lo studio del suo funzionamento… Deformazione professionale, ho pensato io. Fino all’ultimo, infatti, ha conservato l’istinto del meccanico che voleva darsi ragione delle cose, anche se ormai la sua mente perduta nelle nebbie, non riusciva più a connettere”.

Una nipote ha voluto portare allo zio il saluto dei parenti e dei familiari. Nelle sue parole (e nelle sue lacrime) è vibrato tutto l’affetto di cui Fr. Antonio era circondato dai suoi.

La salma, dopo aver sostato nella cappella Comboni, è proseguita per il suo paese dove c’è stato un secondo funerale con un gran concorso di popolo.

Fr. Antonio Schiavon ci lascia l’esempio di un Fratello pieno di vita e di grinta, tenace e donato totalmente al lavoro e alla missione. Tutti, ma specie in Mozambico, lo ricordano con affetto e sono riconoscenti al Signore per il dono che la sua persona è stata per le varie opere missionarie. La sua non breve malattia lo ha definitivamente purificato dalle scorie umane che poteva avere accumulato, specie per il suo carattere estremamente esuberante.               P. Lorenzo Gaiga

Da Mccj Bulletin n. 212, ottobre 2001, pp. 110-117