Martedì 4 marzo 2025
Alla vigilia di Natale, il papa Francesco ha inaugurato il 27° giubileo ordinario della storia della Chiesa, il secondo durante il suo pontificato, ponendo l’attenzione su questioni cruciali per l’Africa: la promozione della pace per risolvere i conflitti, la cancellazione dei debiti e la solidarietà con i più bisognosi. [Credit foto: L’Osservatore Romano. Testo:
Nigrizia]

L’origine della parola giubileo si trova nella Bibbia, riferita all’anno speciale in cui gli antichi ebrei, annunciandolo con il suono di un corno d’ariete (in ebraico detto yobel), adempivano a una legge mosaica sancita dal Levitico: “Dichiarerete santo il cinquantesimo anno e proclamerete la liberazione nella terra per tutti i suoi abitanti. Sarà per voi un giubileo; ognuno di voi tornerà nella sua proprietà e nella sua famiglia. Il cinquantesimo anno sarà per voi un giubileo; non farete né semina, né mietitura di quanto i campi produrranno da sé, né farete la vendemmia delle vigne non potate. In quest'anno del giubileo, ciascuno tornerà nella sua proprietà” (Lv 25,10-11 e 13). 

La ricorrenza confluì più tardi nella tradizione cristiana quando papa Bonifacio VIII decise di indire, nel 1300, il primo giubileo, detto anche Anno Santo. «Dobbiamo tenere accesa la fiaccola della speranza che ci è stata donata, e fare di tutto perché ognuno riacquisti la forza e la certezza di guardare al futuro con animo aperto, cuore fiducioso e mente lungimirante. Il prossimo giubileo potrà favorire la ricomposizione di un clima di speranza e di fiducia, come segno di una rinnovata rinascita di cui tutti sentiamo l’urgenza». 

Questo paragrafo del messaggio di papa Francesco nella Bolla di indizione del giubileo ordinario dell'anno 2025 “La speranza non delude” (Rm 5,5), illustra il messaggio centrale del giubileo. Il documento ha una valenza globale ma è ancor più significativo per il continente africano dove perdurano decine di conflitti miranti a promuovere interessi d’ogni sorta da parte di antiche e nuove potenze globali, politiche ed economiche. Conflitti che segnano il destino di milioni di persone innocenti, che pagano con la vita il prezzo tragico che ogni guerra comporta. 

Monsignor Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto si chiedeva in merito al giubileo: «Quali segni di speranza emergono nell’attuale situazione del mondo “villaggio globale”, colpito da violenze e conflitti in molti paesi; quale futuro si va profilando nell’affacciarsi di nuove possibilità e prospettive, in rapporto specialmente all’imporsi dell’intelligenza artificiale?...», e concludeva: «Sessant’anni fa il concilio Vaticano II, in un testo di valenza profetica, aveva affermato: “Si può pensare legittimamente che il futuro dell'umanità sia riposto nelle mani di coloro che sono capaci di trasmettere alle generazioni di domani ragioni di vita e di speranza”». (Gaudium et spes 31).

Accoglienza di papa Francesco in visita a Bangui (Centrafrica) nell’apertura del giubileo del 2015. Credit: L’Osservatore Romano.

Giubileo in Africa

Se da un lato la Chiesa africana ha accolto con gioia l’annuncio del giubileo da parte del pontefice, dall’altro le comunità cristiane in Africa – nelle parole di alcuni vescovi – sottolineano le difficoltà in cui versano decine di milioni di cattolici, sia sul piano economico che in ragione delle condizioni di grave instabilità sociale e conflittualità in cui vivono. Condizioni che permetteranno solo a una minoranza più benestante di recarsi in pellegrinaggio alla tomba di Pietro e alle porte sante aperte a Roma. Basti pensare al Sudan in pieno conflitto civile e con 12 milioni di sfollati, al Sud Sudan con incertezza totale riguardo al futuro o alla Rd Congo afflitta dal perdurante stato di guerra nelle regioni orientali del paese.

Anthony Muheria, arcivescovo metropolita di Nyeri e vicepresidente della Conferenza dei vescovi cattolici del Kenya, durante la visita “ad limina” a Roma ha dichiarato: «Il giubileo per noi è molto costoso. Anche se molti nutrono il desiderio di partecipare a un pellegrinaggio, non hanno la possibilità economica per venire a Roma. Sarà molto importante organizzare delle celebrazioni di apertura di porte sante a livello locale». «Dal Kenya il solo volo aereo per Roma, andata e ritorno, costa 2mila euro – aggiunge il vescovo –, per noi è moltissimo. Chi può venire qui a Roma? Qualche riccone o qualche fedele a cui la diocesi pagherà il viaggio». Lo stesso, sostiene il vescovo, vale per i fedeli dell’Asia e dell’America Latina. Per il vescovo Muheria bisognerebbe «cambiare la mentalità. 

Dobbiamo capire che il luogo centrale della celebrazione giubilare non è Roma bensì la Chiesa, tutte le diocesi, laddove sono concretamente i fedeli; comunque sia l’anno santo è un momento di grazia per tutti». Il cardinale Dieudonné Nzapalainga, arcivescovo di Bangui (Centrafrica) ricorda dal canto suo, il giorno del giubileo straordinario all’inizio di Avvento 2015, e il bene che la visita del pontefice aveva prodotto negli anni: «Ora i cuori sono disposti e possiamo parlare, possiamo camminare davvero insieme e costruire un futuro comune, superando le avversità e i motivi di divisione interna alle Chiese», ha dichiarato.

Accoglienza di papa Francesco in visita alla Repubblica Democratica del Congo. Credit: L’Osservatore Romano.

La memoria delle Chiese africane, in effetti, entrando in questo giubileo è riandata al 2015, quando per la prima volta l’apertura della porta santa fu fatta da papa Francesco non sulla tomba di Pietro a Roma, bensì in un luogo remoto, per molti del tutto sconosciuto. A fine novembre quell’anno il papa aveva annunciato: «L’Anno Santo della misericordia si apre in anticipo in questa terra africana. Una terra colpita per anni dalla guerra e dalla violenza. In questa terra sofferente sono raccolti anche tutti i paesi che stanno passando attraverso i conflitti. Bangui diviene la capitale spirituale della preghiera per la misericordia del Padre». 

In un’intervista il cardinale Dieudonné ha aggiunto: «Per noi quel giubileo fu davvero straordinario e venne vissuto in profondità in tutte le Chiese locali, permettendo a quanti lo volessero di vivere pienamente l’evento, compiere il pellegrinaggio e il passaggio della porta della misericordia in Centrafrica e in tutte le diocesi africane, esattamente come se rappresentassero la porta santa della basilica di San Pietro. Noi in Centrafrica, di fronte alla sofferenza e alla morte avevamo percepito la speranza che veniva da Roma attraverso il pontefice, giunto a riportare pace, perdono e riconciliazione.  Ci aveva allora ammonito a deporre le armi: “Abbracciate la giustizia e l'amore”, ci disse. 

Il suo gesto sarà sempre ricordato nella Repubblica Centrafricana. Musulmani, protestanti, cattolici, tutti eravamo unanimi nel dire che il suo arrivo era stato salutare. Gli imam organizzarono una grande riunione chiedendo ai capi dei ribelli di deporre le armi, e da allora le cose migliorarono. Anche questo era stato frutto della visita del papa». E concludeva: «La visita del papa ci aveva confortato, incoraggiato e sostenuto in questo lavoro. Come responsabili delle comunità cristiane e islamiche gli avevamo chiesto insieme di visitarci. Tutti perciò gli siamo grati».

Il giubileo 2025

«Il giubileo del 2025 sarà un’occasione molto importante per tutta la Chiesa – aveva osservato il cardinale di Bangui –. In Centrafrica si sono creati gruppi per riflettere, pregare, incontrarsi e anche per vedere come, a livello locale, vivere insieme questo momento. Nel 2024 abbiamo celebrato i 130 anni di evangelizzazione nella Repubblica Centrafricana, siamo ora in cammino in questo 2025; con i nostri giovani riuniti in chiesa in grande numero ci siamo detti: questo è un tempo di grazia». 

Come ha opportunamente osservato il camerunese Martin Nkafu Nkemnkia, docente emerito di Storia della filosofia africana all’Università Lateranense a Roma, padre della riflessione teologica “Vitalogia africana”: «Siamo chiamati a metterci in cammino di speranza con la Chiesa universale: un cuore solo e un’anima sola, nella diversità e nella ricchezza delle culture e delle lingue». 

«Essere pellegrini della speranza non significa che si debba viaggiare fino a Roma», ha osservato dal canto suo, intervistato in dicembre a Roma, monsignor Christian Carlassare, vescovo di Bentiu (Sud Sudan), aggiungendo: «Possiamo essere pellegrini della speranza ovunque ci troviamo». Il vescovo ha sintetizzato con quattro “parole chiave” il “pellegrinaggio della speranza” da compiere in Africa durante il giubileo: la prima è appunto pellegrinaggio: non solo in senso fisico, ma soprattutto come viaggio spirituale per incontrare il Signore. 

«Il primo modo per essere pellegrini – dice il vescovo Carlassare – è la preghiera e, in particolare, la contemplazione, che significa vedere Dio, ascoltare il suo messaggio negli eventi quotidiani». La seconda parola è speranza: dono radicato nella fede e che si nutre di amore. La terza è “porta santa”, un passaggio verso una vita nuova, un passaggio verso la vita di fede, la vita della comunità cristiana. «Essere pellegrini della speranza – nelle parole del vescovo – significa operare la conversione che nasce dal sacramento della riconciliazione e rinnovare con Dio, con noi stessi, per gli errori passati e sanando le relazioni spezzate». Quarta parola è comunità. «Si tratta di un pellegrinaggio di speranza – conclude mons. Carlassare – compiuto insieme; di un grande movimento di persone unite dalla stessa fede. Nelle parrocchie, nelle piccole comunità cristiane e nei villaggi o nei quartieri in cui viviamo. Con l’impegno di tutti a rendere più vivibile l’ambiente soggetto spesso al degrado e all’inquinamento che lo sta distruggendo». Da ultimo, ma non per importanza, il giubileo sfida i paesi ricchi, governi, multinazionali e aziende private a cancellare o quantomeno ridurre il debito estero dei paesi emergenti tuttora soffocati da questo autentico cappio al collo. 

Come da lungo tempo i pontefici esortano a fare e oggi papa Francesco, che sfida chi ha il potere a spezzare il ciclo finanziamento-debito con la creazione di un meccanismo multinazionale basato sulla solidarietà e l'armonia tra i popoli. Un’operazione che tutti i paesi creditori dovrebbero porre in atto: dai governi ai creditori privati che in alcuni casi superano quelli pubblici, il Fondo monetario internazionale e la Banca mondiale. La speranza e il sogno si identificano in questo giubileo, che ci chiama tutti, come dice san Paolo parlando della fede di Abramo a rimanere “saldi nella speranza contro ogni speranza”.

P. Giuseppe Cavallini,
missionario comboniano

Nigrizia marzo 2025, pp. 56-59.