Giovedì 6 giugno 2024
Daniele Comboni la incontrò casualmente una prima volta nel paesino di Erbezzo (Verona), nel maggio del 1871, dove una folla attendeva convinta un’apparizione mariana. Tra la gente una giovane di 22 anni, curiosa ma scettica in attesa degli eventi. L’atteggiamento non sfuggì a padre Comboni che, su incarico della curia veronese, stava verificando la veridicità di quella supposta apparizione.
La missione in Africa della venerabile serva di Dio suor Maria Giuseppa Scandola
Comboniana fino all’ultimo respiro
Il futuro vescovo e santo capì subito che in quella giovane — che mostrò un maturo equilibrio di fronte all’evento — albergava la vera vocazione e le confidò il suo progetto: fondare un istituto di suore missionarie della Nigrizia. Maria Giuseppa Scandola, conosciuta da tutti come Marietta, ascoltò con attenzione la proposta confessando di essere però capace solo di cucinare.
Nata a Boscochiesanuova, in provincia di Verona, il 26 gennaio 1849, da Antonio e Giuseppina Leso, Marietta era la terza di quattro figli. Rimasta orfana di padre all’età di 6 anni aveva imparato a leggere e a scrivere grazie alla dedizione di una donna del villaggio che aiutò tante ragazze che altrimenti sarebbero rimaste senza alcuna istruzione. La giovane visse dignitosamente la sua povertà e a 17 anni accettò di andare a servizio in una famiglia. Proprio tornando a casa dal lavoro, una sera di novembre venne aggredita da un uomo e per sfuggirgli si tuffò nell’acqua gelida di un torrente. La scelta le valse il momentaneo salvataggio ma la portò sull’orlo della morte. Dopo aver ricevuto l’estrema unzione ed essere entrata in agonia, Maria Giuseppa si riprese nel giorno dell’Immacolata e tornando a Boscochiesanuova si dedicò a una vita nel raccoglimento, all’istruzione e alla catechesi dei ragazzi.
Comboni e Scandola si incrociarono di nuovo dopo poche settimane a Boscochiesanuova e, all’invito del fondatore, la giovane decise di rispondere affermativamente. Il 17 gennaio 1872, insieme alla madre, si recò a Montorio, dove si trovavano altre giovani aspiranti, per incontrare Comboni il quale le chiese di rimanere. Nel settembre 1874 entrò in istituto e l’8 dicembre dello stesso anno divenne la seconda suora della congregazione fondata da Daniele Comboni: le Pie madri della Nigrizia (che saranno note con il nome di missionarie comboniane). Con la professione religiosa, il 19 marzo 1877, divenne suor Maria Giuseppa. A dicembre dello stesso 1877, insieme ad altre quattro suore e altri missionari capeggiati da Comboni, Scandola partì alla volta di Alessandria d’Egitto proseguendo poi per Il Cairo. Dopo un avventuroso viaggio di altri due mesi, raggiunse con il gruppo la città di Berber fermandosi otto mesi prima di riprendere il cammino verso Khartoum. Nella capitale sudanese la giovane religiosa accolse e aiutò con tutte le forze la popolazione ricevendo l’apprezzamento di monsignor Comboni, il quale però non poté accompagnarla nel suo percorso di crescita spirituale. Colpito da colera, il fondatore peggiorò in poco tempo e, seppur assistito con solerzia da suor Maria Giuseppa, morì nel giro di qualche settimana, il 10 ottobre 1881. La sua scomparsa gettò nello sconforto i confratelli; l’insurrezione mahdista (1882-1898) sconvolse ulteriormente i progetti dei missionari. Alcuni vennero catturati e le missioni distrutte. Il 26 gennaio 1885 anche Khartoum fu presa d’assalto e conquistata, costringendo Scandola al temporaneo esilio a Berber. A fine gennaio la missione giunse a Shellal e dopo pochi mesi ripiegò su Il Cairo per occuparsi prevalentemente delle schiave, donne e fanciulle portate dal Sudan.
Per ospitare i rifugiati dal Sudan il vicario apostolico dell’Africa centrale, monsignor Francesco Sogaro, riuscì ad acquistare un terreno su un isolotto del Nilo, Gesira, dove suor Maria Giuseppa approdò il 12 agosto 1888, guidando il gruppo delle religiose e affrontando con tenacia la nuova situazione precaria. Richiamata nel 1890 a Il Cairo per assistere la madre provinciale gravemente malata, durante l’estate dello stesso anno tornò brevemente in Italia per incontrare i suoi familiari, senza tuttavia far ritorno al paese natale. Nel luglio 1891, dopo la morte della madre provinciale, Scandola resse temporaneamente l’incarico, per poi essere nominata alla guida della Provincia della congregazione il 18 marzo 1892. Tre anni dopo venne inaugurata una missione delle Pie Madri della Nigrizia ad Assuan, che nel 1896 vide arrivare madre Maria Giuseppa come superiora di comunità. Nel 1898, dopo che l’anno precedente erano state approvate ad experimentum le costituzioni delle Pie Madri della Nigrizia, Scandola emise i voti perpetui e cinque anni dopo venne nominata superiora di Lul, la missione più lontana, situata in una zona dell’Alto Nilo, nel Sudan meridionale.
Anche se rette dalla tenacia evangelizzatrice di suor Maria Giuseppa, la presenza delle comboniane si diffuse nelle altre regioni soltanto a partire dal 1919, con le comunità di Wau e dintorni. Molto attive nelle parrocchie, nell’educazione e nella sanità, sono state sempre apprezzate per la loro vicinanza alla gente.
Per la missionaria italiana, Lul sarà l’ultima esperienza terrena. Arrivata il 21 giugno 1903, dopo essere passata per Il Cairo e aver fatto tappa a Khartoum, il 31 si confessò con padre Beduschi, ammalato, che dopo questa prestazione trovò la guarigione. Il 1° settembre 1903, al tramonto, dopo aver ricevuto l’unzione degli infermi, suor Maria Giuseppa Scandola cedette a sua volta alle febbri malariche lasciando la vita terrena. Dopo il funerale, che si svolse il giorno successivo, venne sepolta accanto alla chiesa ma i suoi resti vennero più volte esumati e traslati: nel 1927 vennero posti nel nuovo cimitero di Lul, nel 1929 nella cappella laterale della chiesa di Lul, nel 1950 in una parete della stessa chiesa per poi arrivare, nel 1977, presso la Casa generalizia dell’istituto a Roma e, infine, essere trasferiti a Verona, nella Casa delle Pie Madri della Nigrizia, il 26 novembre 2003.
Dieci anni fa, il 12 giugno 2014, Papa Francesco l’ha proclamata venerabile serva di Dio.
Generoso D’Agnese – L’Osservatore Romano