Venerdì 28 ottobre 2022
Ogni istituto religioso vuole prendersi cura dei suoi membri. In questo contesto, la parola magica è “formazione permanente”. Non c’è età che non ne abbia bisogno. Anche l’anzianità è una fase che necessita di cura. Il nostro Istituto ha già offerto quattro edizioni del Corso Comboniano Anzianità (2014, 2016, 2018, 2022) nei mesi di settembre e ottobre. L’ultimo si è concluso ieri 27 ottobre con una solenne celebrazione eucaristica.
Nove i partecipanti al Corso Comboniano Anzianità (CCA) 2022: P. Silvio Zanardi (82 anni), P. Lino Eccher (81), P. Antonio Campanini (81), P. Franco Mastromauro (80), P. Gian Paolo Pezzi (80), Fr. Mariano Zonta (75), P. José Arieira de Carvalho (75), Fr. Alberto Visintin (73), P. Franco Moretti (72).
Interessanti i temi trattati e offerti alla riflessione e preghiera personale: le tappe della vita; l’esperienza di Dio nell’anzianità; rilettura sapienziale della vita; dimensione fisica dell’anzianità; l’esperienza del Capitolo generale e le prospettive del nostro Istituto; lectio divina sull’esperienza dell’apostolo Paolo come riferimento della nostra identità; la missione comboniana oggi; incontro con San Daniele Comboni; missione nella ministerialità…
Bellissimo e davvero commovente il pellegrinaggio alla casa natale di Daniele Comboni a Limone sul Garda. Molto coinvolgente il corso di esercizi spirituali guidati da P. David Glenday.
La valutazione del corso fatta dai partecipanti è stata più che positiva. Al punto che si sono detti rammaricati che l’opportunità di questo corso non venga accolta con maggiore prontezza dai molti confratelli anziani. Non si tratta di “aggiornamento”, ma di attenzione saggia che l’Istituto vuole avere verso dei confratelli che appartengono alla generazione dal passo lento, curva sotto il peso degli anni.
Ma lo spirito non ha età: si può sempre imparare a vivere bene l’età anziana con le sue peculiarità. I vari in-put sui sintomi e i segni, sul fenomeno e gli effetti dell’invecchiamento hanno incontrato pronta comprensione e suscitato vivace partecipazione. Del resto, altro non erano che l’eco eloquente di un’esperienza vissuta o in atto.
Nella seconda metà della vita la meta cambia. Non ci si trova più su di una vetta, ma nella valle, là dove era incominciata la salita. Si tratta ora di muoversi verso questa nuova direzione. “Se è vero che un giovane che non combatte – e non vince – ha perduto il meglio della sua giovinezza, è ancora più vero che un vecchio che non capisce di dover ascoltare il segreto dei ruscelli che dalle vette scrosciano verso le valli, è insensato. Diventa una mummia spirituale, si trova con un passato pietrificato e si sente tagliato fuori dalla vita” (Carl Jung, Le tappe della vita).
I “9 magnifici” che hanno frequentato il corso si sono detti più pronti a guardare l’orizzonte con maggiore speranza, sentendosi più realizzati, perché l’ansia svanisce e i rimpianti pesano meno. E, guidati da una “Voce interiore”, vogliono avanzare più saggi di ieri, decisi a fare la cosa giusta e a trasformare l’esperienza quotidiana in saggezza.
P. Franco Moretti, mccj
QUARTA EDIZIONE DEL CORSO COMBONIANO ANZIANITÀ A ROMA
“TUTTO HA SENSO NELL’UNIVERSO DEGLI UOMINI E… SOPRATTUTTO IN QUELLO DI DIO”
Il volumetto francese, Comunione ecclesiale e Sinodalità, afferma che il cammino sinodale ci fa riscoprire che la cattolicità della Chiesa non si riduce alla sua universalità. Non solo la diocesi, ma anche la parrocchia e ogni comunità locale è Chiesa e il mistero della Chiesa si realizza ovunque degli uomini e delle donne accolgono la Parola, la vivono e la celebrano. È una visione, un’ecclesiogenesi, che concretizza la Chiesa universale nella Chiesa in loci, in un determinato spazio e tempo. Il suo segno distintivo è che, in loci, ci si parla, ci si confronta e si scoprono i fratelli e le sorelle che Dio ci ha dato nella Chiesa.
Mettere insieme anche solo nove missionari comboniani è ritrovare la missione in loci, in uno spazio e un tempo ristretti dove confluiscono dai quattro orizzonti quasi 500 anni di esperienza e di vita missionaria. Senza contare che ogni missionario comboniano sembra avere di proprio quella spiccata personalità, egregiamente manifestata e solidamente difesa, che era propria del loro fondatore, Daniele Comboni. Dall’aspetto fino e giocondo di chi lo ha assorbito tra le alte vette delle Ande peruviane, dall’uomo accurato e da chi ha girato il mondo come un vagabondo, a chi è felice ma va piano o parla sottovoce lanciando frecciatine, o a chi rispetta tutti ma continua a fare dispetti, si arriva a chi sa fare di tutto meno che i panini e a chi trascina i piedi consumati sui fangosi sentieri africani, senza dimenticare quello che mette i puntini sulle “i” e ne mette tanti.
Una bella varietà umana e così questo corso, chiamato “dell’anzianità” e diretto da chi dell’anzianità è sulla soglia, più che impegno e pesantezza, trasuda giocosa serietà. C’è da pensare che Papa Francesco abbia fatto una simile terapia umana e missionaria per poter scrivere la sua enciclica Evangelii Gaudium.
È anche vero che ognuno, al momento di fare il biglietto aereo o del treno per raggiungere la Roma eterna, ha espresso i suoi desiderata, poi condivisi nel primo incontro-confronto. E qui si ritrova la stessa varietà delle diverse personalità. C’è chi cercava un momento di pace e serenità per fare il punto sul proprio cammino spirituale, chi invece sentiva il bisogno di rileggere la propria vita in vista della tappa finale in questo mondo. Al corso partecipa chi ha passato la soglia dei 70 anni o è magari vicino agli oltre 80, senza contare gli interessi che l’Africa fa accumulare. C’è quindi chi sente che si avvicina il momento di tirare i remi in barca, ma anche chi rivede il passato trovandovi motivi di soddisfazione e chi di ribellione per un tracciato che gli appare prestabilito e, per questo, a stento accolto liberamente: questi due mesi “sabbatici” erano quindi ricercati per la riconciliazione con il proprio vissuto.
Ci sono anche gli eterni giovani, che sognano e si proiettano ancora verso il futuro: sono sempre più numerosi, anche fra i comboniani, i novantenni ancora allegri, spensierati e pieni di progetti. E allora, come mi confidava il decano di immense parrocchie africane, un corso di formazione o anche di esercizi non può limitarsi ad essere un “riposo spirituale”; c’è sempre bisogno di quello che in francese chiamano “ressourcement”, di un’esperienza spirituale che arricchisca anche la comprensione moderna della Bibbia, i nuovi orientamenti della Chiesa nel mondo contemporaneo, una specie insomma di aggiornamento spirituale con implicazioni pastorali.
Grazie a Dio, per l’igiene psicologica e sociale del gruppo, ci sono anche gli immancabili perenni soddisfatti: sembra che il mondo sia stato fatto per loro e loro per il mondo e che lo spirito, anche quello con la maiuscola, soffi dai quattro venti per gonfiare le loro vele. Per loro, l’amabilità, l’attenzione sempre pronta di chi organizza il corso è una carezza del buon Dio. Se poi, com’è avvenuto, gli interventi degli invitati sono di grande interesse, il gioco è fatto. Anche i più affaccendati non trovano ragione di rammarico per aver abbandonato il campo del loro lavoro.
Nel gruppo, per via dell’età, la maggioranza ha emesso i primi voti, i voti perpetui ed è stato ordinato appena dopo il Concilio Vaticano II, l’evento ecclesiale che, oltre a portare un nuovo soffio dello Spirito nella Chiesa, ha invitato le famiglie religiose a riscoprire le loro origini, il carisma e la personalità del loro fondatore. Per molti quindi, Comboni è stata una scoperta postuma, realizzata magari con la lettura completa e personale dei suoi Scritti e della produzione sulla storia dell’Istituto quando la formazione di base era ormai un ricordo lontano. La parola intelligente degli esperti ha permesso un lavoro di sintesi, che solo si riesce a fare in un clima di preghiera, di dialogo fuori dal tran-tran e dagli impegni quotidiani, soprattutto quando i temi avevano al centro il Fondatore Comboni e l’Istituto di cui siamo parte, quello dei Missionari Comboniani.
Ecco che la visita a Castel d’Azzano, una casa di assistenza agli ammalati, ci ha fatto incontrare chi è ormai con la vita al lucignolo fumante. È stata un’esperienza gioiosa e intrisa di speranza missionaria, un momento rinfrescante e ammonitore rivedere tanti amici di gioventù. Certo, dava tristezza vedere come sono “ridotti” superiori provinciali e generali, fondatori e direttori di riviste, animatori di ‘città dei ragazzi’ e parrocchie, benefattori infaticabili di famiglie in povertà e di rifugiati. Ma era anche consolante vedere come, dopo aver vissuto la Parola del Vangelo “andate e annunciate” e “siate sale e luce del mondo con le vostre buone opere”, questi vecchi compagni d’avventura vivono anche quell’altra Parola, “quando avrete fatto tutto, dite siamo servi inutili”.
Servi inutili, non solo nel senso più profondo ‘di non aver fatto nulla’ perché, come la missione e il Regno camminavano prima di loro, così continueranno anche dopo e senza di loro. Ma anche nel senso più intrigante, di essere ormai inutili, ossia liberi dalla tristezza a volte vissuta di sentirsi usati dal potere politico mentre si fanno opere di bene, o dalla Chiesa, per portare avanti idee che sanno di ideologia, o perfino da superiori e confratelli, per realizzare piani e progetti non condivisi né, a volte, amati. E perfino nel senso più prosaico di essere lasciati da parte perché ‘non servono a nulla’, quasi scartati, direbbe Papa Francesco. Eppure, era chiaro che sono una ‘presenza importante’ per quanti con affetto e dedizione si curano di loro e di cui diventano magari inconsciamente un dono. La gioia di essere inutili, perché sono i più fragili che danno il senso dell’essenziale: essi sono amati per quello che sono e non perché sono utili.
Ed ecco che spunta il ricordo di una splendida inquadratura del film “La strada” di Federico Fellini.
Gelsomina, la minuta donna di strada, ha abbandonato Zampanò, il gigantesco giocoliere vagabondo. Il Matto le dice: “Se non ci stai tu con lui, chi ci sta? Tu non ci crederai ma tutto quello che c'è a questo mondo serve a qualcosa. Ecco, prendi quel sasso lì, per esempio... uno qualunque. Be', anche questo serve a qualcosa”. E Gelsomina: “A cosa serve?”. Il Matto: “E che ne so io? Se lo sapessi sai chi sarei?”. Gelsomina: “Chi?”. Il Matto: “Il Padreterno che sa tutto... quando nasci, quando muori… e chi può saperlo? No. Non lo so a cosa serve questo sasso qui ma a qualcosa deve servire, perché se è inutile, allora è inutile tutto”.
Vecchi missionari, sembrano davvero ‘servi inutili’ eppure… Tutto ha senso nell’universo degli uomini e… soprattutto in quello di Dio.
Ottobre 2022
P. Gian Paolo Pezzi, mccj