Mercoledì 1° gennaio 2020
È ormai tradizione consolidata nel tempo dedicare il primo giorno di ogni nuovo anno alla riflessione sulla pace, un problema di drammatica attualità, cui bisogna dare una soluzione che tenga conto del bene comune. Oggi non ci sono alternative alla pace e al dialogo tra le nazioni, i popoli, le loro culture e religioni. Il dialogo non solo è una delle possibili vie d’uscita, ma una necessità ormai ineludibile. (…)
«Comboni e la pace»
Tra ricerca storica, memoria e attualità del presente
P. Antonio Furioli, M.C.C.J.
Introduzione
È ormai tradizione consolidata nel tempo[1] dedicare il primo giorno di ogni nuovo anno alla riflessione sulla pace, un problema di drammatica attualità, cui bisogna dare una soluzione che tenga conto del bene comune. Oggi non ci sono alternative alla pace e al dialogo tra le nazioni, i popoli, le loro culture e religioni. Il dialogo non solo è una delle possibili vie d’uscita, ma una necessità ormai ineludibile. “L’umanità deve porre fine alla guerra, o la guerra porrà fine all’umanità.”[2] L’umanità è giunta a una svolta decisiva, in questo terzo millennio, senza possibile via di ritorno[3]. La presa di coscienza delle nostre responsabilità e della gravità del momento che stiamo vivendo, ci fa gridare con maggiore forza e convinzione l’accorato appello del santo vegliardo Zaccaria: “Guida, o Signore, i nostri passi sulla via della pace” (Lc. 1, 79). La pace vera porta le stimmate sanguinanti e non cancellerà mai le ferite del dolore, ma ha imparato a portarne le cicatrici.
Noi Missionari Comboniani vogliamo celebrare questa 53° giornata mondiale per la pace alla luce del magistero di vita di San Daniele Comboni, che ci offrirà delle indicazioni preziose per una chiave di lettura dei gravi avvenimenti che stiamo vivendo, specialmente in quei paesi dove siamo presenti e dove c’è già in pieno svolgimento una guerra. Solo in Africa sono 18 i conflitti in atto[4], che hanno crocifisso e dissanguato questo martoriato continente trascurato dalla comunità internazionale. La guerra in Congo, da sola, ha già causato oltre 4 milioni di morti, mentre in Rwanda 800.000 sono state le vittime di un’assurda pulizia etnica, che ridesta vecchi fantasmi del passato, mai del tutto esorcizzati. Nel volto devastato dell’uomo, la guerra ha sfigurato e dissacrato il volto stesso di Dio. La crudeltà delle lotte civili e delle guerre richiama tutti noi a essere uomini e donne di pace operosa: “Chi vuole amare la vita e vedere giorni felici, (…) eviti il male e faccia il bene, cerchi la pace e la segua.” (Sal. 33, 13-15; cf. 1 Pt. 3, 10-12). Questo impegno impopolare e non facile assume una rilevanza ecclesiale ancor maggiore, dato che 17 anni fa (il 5 ottobre 2003) Papa Giovanni Paolo II ha canonizzato Comboni, proponendolo così alla Chiesa universale come maestro di sapienza evangelica e come modello ecclesiale di dialogo e responsabilità nelle relazioni tra gli individui, le culture e le religioni.
1. Rilevanza del magistero dei Santi
Nel passato, in occidente, la teologia era stata ridotta a pura conoscenza speculativa, che nel corso dei secoli era andata notevolmente impoverendosi. La teologia aveva perso i suoi contatti peculiari con la viva esperienza e l’insegnamento dei Santi. Il parlare di Dio non può mai limitarsi all’iniziativa umana d’una ricerca solo intellettuale senza coinvolgere anche la vita. La riflessione teologica su Dio è possibile solo se rientra in quel misterioso dialogo tra Dio e la sua creatura, che costruisce e fonda il solido rapporto di Dio con l’uomo.
Oggi si avverte l’esigenza sempre più grande di unificare teologia e spiritualità, poiché si capisce che una teologia senza spiritualità può risultare vuota, mentre una spiritualità senza teologia rischia di essere senz’anima. Per cui la teologia non dovrebbe essere una conoscenza teorica e astratta, quasi tecnica, ma una sapienza vissuta nella quotidianità. Il torrente impetuoso dell’amore divino inonda l’anima attenta e indagatrice per zampillare verso la sua sorgente naturale, espandendosi così fino all’infinito. A mano a mano che questo amore diventa più coinvolgente, il cristiano è arricchito di una conoscenza più intima e profonda che lo fa crescere nella carità (cf. Gv. 14, 21). “La pace genera i figli di Dio, nutre l’amore, crea l’unione (…). Suo compito è di unire a Dio coloro che separa dal mondo del male. Quelli che non da sangue né da volere di carne né da volere d’uomo, ma da Dio sono nati (cf. Gv. 1, 13), offrano al Padre i loro cuori di figli uniti nella pace. Tutti (…) s’incontrino in Cristo (…). Il Padre (…) adottò come suoi eredi non quelli che si sentivano divisi da divergenze e incompatibilità vicendevoli, ma quelli che vivevano e amavano la loro mutua fraterna unione. (…) Il Natale del Signore è il natale della pace. Lo dice l’Apostolo: «Egli è la nostra pace, egli che di due popoli ne ha fatto uno solo» (cf. Ef. 2, 14), perché (…) «per mezzo suo possiamo presentarci al Padre in un solo Spirito.» (cf. Ef. 2, 18)[5]
Comboni è un uomo inebriato di Dio e impegnato a far riconoscere e rispettare l’immagine di Dio che l’uomo porta in sé (cf. Gn. 1, 26), per questo egli diventa testimone credibile dei valori che propone. La sua è la prestigiosa autorevolezza della coerenza evangelica e della fedele concretezza di chi segue Gesù Cristo da vicino, di chi conosce bene le esigenze della testimonianza cristiana. Di conseguenza la teologia è sempre più attenta al magistero dei Santi, perché là dove c’è la santità c’è anche una conoscenza sapienziale ed esperienziale (cioè personale e diretta, per quanto è umanamente possibile) di Dio. Sull’importanza dell’esperienza di Dio nella vita dei credenti e per il futuro del cristianesimo, così si esprime uno dei più geniali teologi del XX secolo: “La persona pia di domani o sarà un mistico, cioè uno che ha sperimentato qualche cosa o cesserà di essere pio”[6]. Il teologo è un uomo di fede che deve lottare con se stesso per arrivare a credere. La teologia, quindi, deve essere corroborata dall’esperienza e dal magistero dei Santi, perché il loro strumento di conoscenza e di misura della realtà è la fede. La fede è una guida severa, esigente ma sicura; ignora le concessioni e i calcoli. Per i Santi dubitare significa già cedere, mentre solo la fede dona la Salvezza. Dietro il velo opaco delle apparenze essa già presagisce e pregusta le verità escatologiche. L’attesa vigile e impegnata è l’atteggiamento fondamentale del cristiano che considera la storia non come un fiume impetuoso destinato alla foce del nulla, ma aperto all’incontro con l’Infinito. Nel lungo corso della storia della Chiesa, i Santi hanno tenuto vigile lo spirito della profezia nell’attualizzare il “discorso della montagna” di Gesù (cf. Mt. 5, 1-12; Lc. 6, 20-23), nelle circostanze le più disparate e le più difficili (basti pensare alla tenacia di S. Francesco d’Assisi per riportare la pace tra i comuni belligeranti del suo tempo, a Bartolomeo de Las Casas per la difesa degli Indios dell’America Latina e allo stesso Comboni nella sua ìmpari lotta per l’abolizione della schiavitù[7], ecc).
Ai nostri giorni Johan Galtung[8], provocatoriamente, così scrive: “La pace è un’idea rivoluzionaria, la pace con mezzi pacifici è una rivoluzione non violenta. Questa rivoluzione deve aver luogo costantemente, il nostro lavoro è espanderne l’estensione e il dominio. I compiti sono senza fine, la domanda è se siamo all’altezza di svolgerli.”[9]
2. La pace secondo Comboni
Durante la vita di Comboni (1831-1881) in Italia[10] si combatterono tre guerre d’indipendenza e nell’Europa delle Nazioni, ancora alla ricerca d’un assetto territoriale e di un’identità nazionale stabili e precisi, ci furono ben quattro guerre. Comboni nacque sotto la dominazione austriaca, per diventare in seguito suddito di Carlo Alberto, Re di Sardegna, e di Vittorio Emanuele II, dal 1861 Re d’Italia. Comboni fu un convinto assertore del potere temporale pontificio[11], la cui fine definitiva avvenne con la Breccia di Porta Pia[12]. Anche se Comboni, in vita[13], non subì nessuna conseguenza dalle guerre combattute nel suo tempo, tuttavia, il suo lavoro di sensibilizzazione e di coinvolgimento missionario in Europa fu più volte costretto a limitazioni mortificanti. Comboni ha fatto la stessa esperienza di sofferenza e di spaesamento interiore dell’Autore del Salmo 119, 7, che rivolgendosi a Dio, denuncia una situazione paradossale: “Troppo io ho dimorato con quanti detestano la pace. Io sono per la pace, ma quando ne parlo, essi vogliono la guerra.”
É verosimile che, quest’intima esperienza di sofferenza per un’endemica “assenza di pace”, lo facesse riflettere sul valore inestimabile della pace, anche se la sua lettura di questa tragica realtà è tutta e solo teologale: “Noi siamo venuti in Africa con il bacio della pace, allo scopo di portare agli Africani il più gran bene che vi sia: la Fede. Gli Africani non ci hanno mai dato occasione di disgusto (…). Non temete, carissimi genitori, col crocifisso sul petto e con la parola di pace si superano tutte le difficoltà; è vero che ci vuole la grazia di Dio, ma questa non manca mai. Dovremo faticare, sudare, morire, ma il pensiero che si suda e si muore per amore di Cristo e per la salute delle anime le più abbandonate del mondo, è troppo dolce per spaventarci alla grande impresa.”[14]
La teologia qui brevemente tratteggiata da Comboni ci presenta la centralità di Cristo, che crea l’uomo nuovo e gli spalanca inedite capacità di bene e di sapere osare l’infattibile per amor suo. All’interno di questo testo emerge un’antropologia da cui scaturisce uno stile di vita fondato sulla condivisione, sulla parità dei diritti, sulla gratuità del dono, sulla dedizione appassionata di chi nel fratello vede il sacramento della presenza di Dio nella storia dell’umanità. Già l’Autore dell’«Imitazione di Cristo» a questo proposito insegnava che “L’uomo di pace giova più dell’uomo dotto.” [15]
Per Comboni la pace non è solo una realtà interiore; l’uomo di pace è colui che vive il clima perenne dell’alleanza con Dio e quindi anche d’armonia con gli altri. Dono inestimabile di Dio, ma anche esigente impegno dell’uomo nella ferialità del suo vissuto quotidiano.
3. Interdipendenza tra pace e giustizia
La teologia biblica si preoccupa d’illustrare i collegamenti della pace con altri valori importanti, come la giustizia (cf. Is. 32,7), la carità (cf. Ef. 4,15), l’equa ripartizione dei beni (cf. At. 2,44-45), l’uguaglianza tra gli individui e le nazioni, ecc…“ I 500 uomini più ricchi del pianeta guadagnano da soli ogni anno più di quel che riescono a mettere insieme 460 milioni di persone povere.”[16] S. Agostino, anticipando una sensibilità evangelica molto attuale, su questi stessi temi così commentava già ai suoi tempi: “Abbandonata la giustizia, a che cosa si riducono i Regni di questo mondo se non a grandi latrocini?”[17]. Il giudizio divino sulla storia e sui suoi gloriosi imperi, dall’apparente splendore e potenza, rivelerà il vuoto e l’inconsistenza che Dio non mancherà di sondare e di far venire alla luce. In ogni vicenda della storia Dio si dona all’umanità, ma ogni evento in cui l’uomo rifiuta Dio si conclude con un nulla di fatto: “E in quella stessa notte Baldassar, re dei Caldei, fu ucciso.” (Dn. 5, 30)
Il recente magistero pontificio ha affermato più volte con vigore che “Lo sviluppo è il nuovo nome della pace”[18]. Il Concilio Ecumenico Vaticano II, dal canto suo, ha ricordato, a tutti gli uomini di buona volontà, che “la pace non è la semplice assenza della guerra (…), ma essa viene con tutta esattezza definita opera della giustizia.”[19] Tuttavia senza pace non ci può essere alcuna giustizia, né alcuna libertà. San Giovanni Paolo II ha elaborato un’acuta e felice sintesi del magistero della Chiesa di quest’ultimo mezzo secolo: “La sensibilità verso gli immensi bisogni dell’umanità porta con sé il rifiuto spontaneo nei confronti di coloro che vogliono la guerra, che sono incompatibili con tutte le battaglie contro la fame, le malattie, il sottosviluppo e l’analfabetismo.” Parole gravi e inequivocabili che sembrano riecheggiare gli autorevoli insegnamenti di un grande Padre Africano della Chiesa dei primi secoli: “È lo Spirito che ci permette di far diventare pacifici coloro che sono sconvolti dall’ira e dall’odio e di ridurre i violenti a mitezza.”[20] La pace non ha senso o non è sufficiente se si riduce a garantire la sopravvivenza fisica degli esseri umani. “Le inique politiche del commercio internazionale continuano a impedire a milioni di abitanti dei paesi più poveri del mondo di uscire dalla loro povertà mantenendo in piedi un sistema caratterizzato da oscene disuguaglianze.”[21] Papa Francesco, nel suo recente magistero, così scrive: “Quello che è vero della pace in ambito sociale, è vero anche in quello politico ed economico, poiché la questione della pace permea tutte le dimensioni della vita comunitaria; non vi sarà mai vera pace se non saremo capaci di costruire un più giusto sistema economico."[22] La vera pace non è solo non-belligeranza, ma è essenzialmente convergenza costruttiva di atteggiamenti, di comportamenti, di opere, fra le diverse classi sociali e fra i popoli: “Una guerra perduta come pure una guerra vittoriosa porta un aumento delle banche e delle industrie.”[23] Bisogna credere fermamente nella pace come necessità vitale, operare concretamente per la pace, costruire la vera pace.[24] “Poiché le guerre nascono nelle menti degli uomini, è nelle menti degli uomini che devono essere elevate le difese della pace.”[25]
In una sorprendente sintonia con il solenne magistero della Chiesa, in occasione dell’anno santo giacobeo[26], il 25 Luglio 1999, Juan Carlos di Borbone, Re di Spagna, affermò che: “Una pace senza giustizia è una violenza silenziosa.” [27]
La giustizia ha una valenza assai più ricca di quella che noi intendiamo come rapporto interpersonale, perché è il compimento dell’alleanza con Dio. L’agape supera le dimensioni anguste, rigide e codificate della giustizia, configurandosi come amore di dedizione per gli altri, a imitazione di Gesù Cristo: “Io sto in mezzo a voi come colui che serve”, (Lc. 22,27). La pace è quindi un’opera di giustizia e d’amore[28], perciò nulla può distoglierci dal compiere il bene, neppure le più grandi difficoltà. Così incalza ancora Comboni: “L’umana miseria s’adopera a toglierci la pace del cuore e la speranza d’un mondo migliore; ma noi al fianco di Gesù crocifisso, che patisce per noi, tripudiamo in mezzo all’avversa fortuna, mantenendo intatta quella pace preziosa, che solo ai piedi della croce e nel pianto può trovare il vero servo di Dio. Siamo sul campo di battaglia e bisogna combattere da forti. A grandi premi e trionfi non si può arrivare se non per mezzo di grandi fatiche, travagli e patimenti. Ci sia dunque di sprone e ci consoli la grandezza del premio che ci aspetta in cielo; ma non ci sgomenti e non ci spaventi la grandezza e la difficoltà della battaglia”.[29]
La pace è l’essenza stessa del Vangelo; è il crocevia dove si danno appuntamento il Dio della Pace[30] e l’uomo come artigiano di pace e di giustizia. Pace che si fonda in Cristo, Principe, Autore, Amico, Difensore, Garante, Promotore della vera Pace, che è venuto a riconciliare in sé tutte le cose e abbattere i muri di separazione: “Non siamo dei cani muti (Is. 56, 10), non siamo spettatori silenziosi, non siamo mercenari che fuggono il lupo, ma pastori solleciti e vigilanti sul gregge di Cristo.” [31] Nel suo morire Cristo dà all’uomo la possibilità di scrivere una storia completamente nuova, fondata sull’impegno per la giustizia, nell’eliminazione di tutte quelle realtà da cui emergono le asprezze, le inimicizie, le ineguaglianze, le ripetute ostilità, nell’attesa escatologica della pace finale. Con una sorprendente e speculare attualità con la nostra realtà contemporanea, Isaia si lamentava dell’ingiustizia commessa dagli arrivisti del suo tempo, come di tutti i tempi: “Voi avete devastato la mia vigna; le cose tolte ai poveri sono nelle vostre case. Quale diritto avete di opprimere il mio popolo, di pestare la faccia ai poveri?” (Is. 3, 15) La profezia cristiana ci spinge a un modo nuovo di affrontare le gravi e improcrastinabili problematiche della pace e della convivenza internazionale dei popoli.
San Giovanni Paolo II, espandendo e integrando il consolidato magistero dei suoi predecessori, affidava alla comunità internazionale la chiave-maestra per risolvere, una volta per tutte, i conflitti che oppongono tra di loro numerosi popoli, nazioni, etnie, culture e perfino religioni: “Non c’è pace senza giustizia, ma non c’è giustizia senza perdono.” Papa Francesco sulla stessa lunghezza d’onda scrive: “Imparare a vivere nel perdono accresce la nostra capacità di diventare donne e uomini di pace.”[32] Se la memoria delle sofferenze accumulatesi nell’arco della nostra vita aumenta solo l’intolleranza, l’odio e la sete di vendetta, essa non ci abiliterà mai né al dialogo e tanto meno al perdono reciproco. Per superare il potere devastante dell’odio è fondamentale fare attenzione al dolore degli altri. Se considereremo esclusivamente il nostro dolore assolutizzandolo, non farà meraviglia allora se alla fine sarà l’odio a prevalere nei nostri rapporti. Ma se il ricordo del proprio dolore diventerà anche rivisitazione solidale della sofferenza degli altri, allora paradossalmente essa rappresenterà un passo molto importante nel processo di riavvicinamento. Dare voce al dolore degli altri è la premessa indispensabile di ogni futura politica di pace destinata al successo, alla riconciliazione e alla pacifica convivenza tra i popoli, tra le culture, tra le religioni e tra le etnie. “Siamo noi i veri responsabili di tutte le guerre e, quando davvero vorremo la pace, l’avremo.”[33]
Conclusione
L’impegno di Comboni perché venga resa giustizia agli emarginati, agli esuberi o agli scarti della terra ci obbliga a trovare e a osare vie di pace e di giustizia inedite, mai tentate prima d’ora, riattualizzando nell’oggi le salutari provocazioni del Discorso della montagna (cf. Mt. 5,1-12; Lc. 6, 20-23) del Profeta di tutte le giuste cause nella storia dell’umanità. Tutti dobbiamo imparare a ospitare e a vivere la differenza come dono, responsabilità e segno di maturità, e non come un’insuperabile difficoltà. La differenza non va intesa come ostacolo, ma come opportunità di arricchimento reciproco e di conoscenza.
Noi cristiani non abbiamo messo nel conto la Sua voce dal profetismo graffiante e provocante, che attraversa la nostra storia e l’amore appassionato di un Dio, che ha dimostrato di credere nella bontà degli uomini-fratelli. Dobbiamo aprirci a tutti coloro che “amati da Dio”, amano la pace e sanno coniugare insieme la tensione profetica verso la pace e il discorso sapienziale dei Santi nei confronti dei poveri e degli esclusi con i quali Gesù è venuto a fare causa comune e definitiva: “ Dalla sacra culla di Betlemme Gesù s’affretta ad annunciare per la prima volta al mondo la pace (…) condivide coi poveri la sua sorte (…) gl’infelici conforta, risana gli infermi e rende agli estinti la vita; richiama i traviati e ai pentiti perdona; morente sulla Croce mansuetissimo prega per i suoi stessi crocifissori; risorto glorioso manda gli Apostoli a predicare la salute al mondo intero.”[34]
[1] Infatti iniziò PAOLO VI nell’ormai lontano 1967.
[2] John Fitzgerald Kennedy (1917-1963), dal messaggio all'ONU del 25 settembre 1961.
[3] Cf. Gaudium et spes, 77 ; 84.
[4] * Conflitti ad alta intensità: Algeria, Angola (Cabinda), Nord-Burundi, Congo Brazzavile, Repubblica Democratica del Congo, Liberia, Senegal (Casamance), Somalia, Sud-Sudan, Ovest-Sudan (Darfur), Nord-Uganda.
* Conflitti a bassa intensità: Repubblica Centrafricana, Nord-Ciad, Costa d’Avorio, Eritrea-Etiopia, Nord-Nigeria, Rwanda, Sierra Leone, Sahara occidentale.
[5] S. LEONE MAGNO, Discorso VI per il Natale, 2-3, in P. L. 54, 213-216.
[6] KARL RAHNER S.J., Friburgo 5 marzo 1904 - Innsbruck 30 marzo 1984.
[7] Nella lotta contro la schiavitù Comboni rimase solo con Gordon Pashà (1833-1885) nel breve periodo che fu Governatore del Sudan, con Romolo Gessi (1831-1881), luogotenente di Gordon Pashà nel Bahr el Ghazal e con pochissimi altri.
[8] Nato a Oslo nel 1930, è il più insigne teorico dei moderni studi sulla pace; fondatore nel 1959 dell’International Peace Research Institute di Oslo. Autore di numerosissimi saggi, professore emerito di numerose università europee, attualmente è titolare della cattedra di Peace Studies delle Hawai e direttore di Transcendent, un’organizzazione per la pace, lo sviluppo e la risoluzione dei conflitti con mezzi pacifici.
[9] MARTIN LUTHER KING ha espressioni analoghe: “Non è più questione di scegliere tra violenza o nonviolenza”
[10] Verona, la città d’adozione di Comboni, dal 1796 al 1814 fu teatro d’una ventina di battaglie tra Austriaci e Francesi, essendo zona di frontiera tra i due rispettivi Imperi.
[11] A commento delle notorie e travagliate vicende storiche alle quali Pio IX dovette far fronte, così scrisse Comboni: “Quando soffre il Papa, tutte le membra soffrono”(Cf. Lettera a Mons. A. Bazanella, El-Obeid 24 Giugno 1873, in La voce cattolica, IX (1873) nn. 5-8). Comboni considerava il Papa un baluardo sicuro e una garanzia della libertà italiana.
[12] Il 20 Settembre 1870 il Gen. Raffaele Cadorna (1815-1897) entrò vincitore a Roma. Questo anche perché Pio IX aveva dato ordine alle milizie pontificie di non resistere a oltranza.
[13] Subito dopo la morte di Comboni (10 ottobre 1881) iniziò il movimento riformatore politico-religioso conosciuto come la Mahdiyyah, guidato da Muhammad Ahmad Ibn Abd Allah (1844 -1885), che si presentò ai Sudanesi come l’Imam (il capo della comunità dei veri musulmani) successore di Muhammad, fondatore dell’Islam. Proclamatosi il Mahdi atteso alla fine dei tempi, egli impose la sua fede a ebrei e cristiani. La tomba del Mutran es sudan (Padre dei neri) fu violata e i suoi resti mortali dispersi, per diventare un tutt’uno con quella terra che aveva tanto amato. Nel gennaio 1885 l’esercito dei dervisci entrò a Khartoum uccidendo il Gen. inglese Charles George Gordon Pasha, governatore del Sudan per il governo anglo-turco. Il Mahdi morì lo stesso anno e fu sepolto nella sua casa trasformata in moschea e qubbah (santuario). Gli successe Muhammad Abdullahi at-Ta’ayshi (+ 1899), che il Mahdi aveva nominato come suo khalifah col titolo di al-Siddîq e come amîr dell'armata mahdista, incarico che assunse il giorno della morte del Mahdi, il 22 giugno 1885. L’avventura mahadista terminò con la sconfitta di Kèreri, presso Omdurman, il 2 settembre 1898, travolta dall’esercito anglo-egiziano guidato dal Gen. britannico Orazio Herbert Kitchener (1850-1916). La comunità cattolica sudanese fondata da Comboni contava all’incirca 200 battezzati.
[14] Scritti, 297.
[15] Cf. Lib. 2, cap. 2-3.
[16] GINA VOLYNSKI, funzionaria del Programma per lo Sviluppo delle Nazioni Unite, UNDP, a margine della presentazione del rapporto annuale.
[17] Cf. De civitate Dei, lib. IV, c. 4; in P.L. 41, 115.
[18] Cf. PAOLO VI, Populorum progressio, 76.
[19] Cf. Gaudium et spes, 78.
[20] Cf. S. CIPRIANO DI CARTAGINE, Lettera a Donato, 3-6. 14, in P. L. 4, 198-205. 220-221.
[21] Dal rapporto sullo stato dello Sviluppo nel mondo 2005 presentato dalle Nazioni Unite.
[22] Messaggio per la 53° giornata mondiale della pace, § 3. “La vittoria del sottosviluppo richiede (…) una progressiva apertura, in contesto mondiale, a forme di attività economica caratterizzate da quote di gratuità e comunione.” (Benedetto XVI, Caritas in veritate, n. 39).
[23] MAX WEBER, 1864-1920.
[24] Cf. G.S. 77; 93.
[25] Cf. Preambolo dell’Atto costitutivo dell’U.N.E.S.C.O., organismo delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura.
[26] Ogniqualvolta il 25 luglio, in Spagna solennità di S. Giacomo il maggiore, cade di domenica, si ha l’anno santo giacobeo, limitatamente alla Basilica-Santuario di S. Giacomo di Compostella, in Galizia. Fin dal sec. IX si sviluppò un culto straordinario, che fece di questo luogo uno dei maggiori centri di pellegrinaggio medievale e oltre.
[27] “Porque existe una extendida voluntad de paz entre los pueblos, pero perduran terribles conflictos fratricidas incluso en el corazón de la misma Europa: porque el progreso material permite alcanzar cotas de bienestar hasta hace poco impensables, pero la cadena de miseria, hambre, opresión e ignorancia que aplasta a numerosos pueblos nos recuerda que la paz sin justicia es violencia silenciosa. (Cf. Palabras de S. M. El Rey en la ofrenda al Apóstol Santiago, con motivo del año xacobeo de 1999, Santiago de Compostela, 25 Julio de 1999, pag. 2).
[28] Cf. Sal. 71,7; 84,11.
[29] Scritti, 297.
[30] Cf. Ger. 29,11.
[31] S. BONIFACIO, Lettera LXXVIII a Cuthbert di Canterbury, in M.G.H., Epistolae, 3, 352. 354.
[32] Messaggio per la 53° giornata mondiale della pace, § 3.
[33] JOHN LENNON (1940-1980), compositore musicale e cantante inglese.
[34] D. COMBONI, Scritti, 3323.