Sabato 25 febbraio 2017
I superiori delle circoscrizioni comboniane (province e delegazioni) eletti o rieletti per il triennio 2017-2019 si sono ritrovati a Roma con il Consiglio generale, dal 5 al 25 febbraio, allo scopo di prepararsi al servizio dell’autorità e rafforzare i legami di comunione fra le varie circoscrizioni e il Consiglio generale. La novità di questo incontro è rappresentata dal numero dei superiori africani, 12 su 13 circoscrizioni. Nella foto: superiori delle circoscrizioni dell’Africa francofona e anglofona e del Mozambico.



Superiori delle circoscrizioni,
dell'Africa francofona.

 

Al termine di un lungo processo elettorale in ogni provincia e delegazione, che ha coinvolto tutti i comboniani membri delle circoscrizioni, sono stati eletti i nuovi superiori che garantiranno per il prossimo triennio l’animazione dei confratelli e lo spirito di unità. Sono stati confermati e quindi nominati, come previsto dalla Regola di vita, dal superiore generale con il consenso del suo consiglio, lo scorso 10 ottobre, festa del fondatore, Daniele Comboni.

Le province e delegazioni comboniane in cui è suddiviso l’Istituto nel mondo (Africa, America, Asia ed Europa) sono 26. Il processo di elezione dei superiori e rispettivi consigli era cominciato il 1 maggio dello scorso anno. Dopo un previo sondaggio, si era passati all’elezione vera e propria che richiede all’eletto di avere almeno il 50% più uno dei voti espressi. Una vera e propria democrazia diretta.

Tre delle sette circoscrizioni d’America Latina sono guidate da comboniani “stranieri”: il Brasile, da un italiano; la Colombia e il Perù-Cile, da spagnoli. Portoghese è il delegato dell’Asia. Le cinque province europee, per parte loro, sono guidate da membri originari dei rispettivi paesi.

Ed ecco la vera novità di queste elezioni: 12 delle 13 circoscrizioni comboniane d’Africa sono guidate dal 1 gennaio da missionari africani. L’unica eccezione, l’Etiopia, che ha scelto per guidarla un italiano di origine bellunesi. Etiopico, però, è il superiore generale, padre Tesfaye Tadesse Gebresilasie.

Come non riconoscere che i comboniani, con le elezioni del 2016, hanno fatto un ulteriore passo in avanti nella realizzazione dell’intuizione del fondatore, Daniele Comboni, che più di 150 anni fa proponeva la salvezza dell’Africa attraverso gli africani?

Già a partire dal dopoguerra, i comboniani contavano tra le loro file alcuni confratelli africani. Ma mentre la possibilità di diventare comboniano era sì normale in Occidente (e per quel che riguarda l’America, in Mesico e Stati Uniti), per l’Africa questa possibilità rimaneva praticamente ristretta al Sud Sudan, all’Eritrea e all’Etiopia. Non si pensava ancora a una vera e propria animazione vocazionale a livello di tutto l’istituto. La svolta è avvenuta con il Capitolo generale del 1979 dove ogni circoscrizione veniva invitata alla promozione e all’accoglienza di vocazioni comboniane autoctone.

Non fu facile passare dal principio alla pratica. Non solo per una certa opposizione interna di chi, comboniano, era convinto che i comboniani si dovevano sì preoccupare delle vocazioni sacerdotali e religiose per la Chiesa locale, ma non di avere vocazioni autoctone per il loro istituto, ma anche per una certa opposizione dei vescovi locali africani, attenti a che gli istituti missionari di origine occidentale non “rubassero” vocazioni diocesane.

L’opposizione di questi ultimi venne comunque a cadere in fretta, con la raccomandazione ai missionari però di non favorire giovani che intendevano sfuggire al loro paese e di adottare criteri di formazione e di vita che non li allontanassero dall’ambiente in cui erano cresciuti. Preoccupazione pienamente condivisa anche dai comboniani. Ed ecco allora, anche quando l’“opposizione” di una minoranza non era ancora completamente superata, l’apertura di postulati anche nelle diverse circoscrizioni africane. I candidati non mancavano, soprattutto se si tiene conto dell’apertura missionaria delle Chiese in Africa, della crescita del numero di famiglie cristiane e soprattutto della demografia che dice un numero impressionante di giovani. 

L’apertura di un postulato segna una data importante nella storia di ogni circoscrizione: si tratta di un inizio carico di promesse, di speranza e di… sfide. «È un nuovo capitolo che si apre nella vita della provincia – scriveva ai confratelli l’allora provinciale del Togo, p. Neno Contran, annunciando l’apertura del postulato per ottobre 1983 ? , perché da ora questi postulanti è con noi che percorreranno la loro strada. Fino al presente, questi giovani hanno avuto con noi e le nostre comunità solo contatti casuali. A partire da oggi e poco alla volta, condivideranno in tutto la nostra vita e vedranno se gli ricorda gli ideali comboniani».

Fin dall’inizio, i missionari di Comboni avevano vissuto l’internazionalità (il Comboni parlava di “cattolicità”) come parte del loro carisma. Ma ben presto, morto il fondatore, i comboniani si erano ritrovati italiani, veneti in particolare, con una minoranza di lingua tedesca. Dopo la Prima guerra mondiale, si era giunti addirittura a dividere l’istituto in un ramo italiano e uno tedesco. E sarà solo nel 1979 che le due famiglie comboniane maschili torneranno a formare un solo istituto, contribuendo così ancor più alla già realizzata, almeno in parte, internazionalità delle comunità comboniane.

E ora eccoci a costatare che la geografia delle vocazioni comboniane si è decisamente spostata in Africa, da dove proviene oggi la maggioranza dei candidati, designando «non soltanto una nuova geografia della presenza comboniana nella Chiesa, ma anche nuovi equilibri culturali nella vita dell’istituto». Ora e sempre più, i comboniani vivranno in comunità divenute multietniche e multiculturali, consapevoli, come lo sono da sempre, che non come singoli, ma come comunità sono chiamati a evangelizzare.

Su questa realtà identitaria, sono tornati a riflettere ancora i convocati al Capitolo generale del 2015. Negli Atti di quel Capitolo, si afferma: «Sentiamo la necessità di ricuperare il senso di appartenenza, la gioia e la bellezza di essere vero “cenacolo di apostoli”, comunità di relazioni profondamente umane. Siamo chiamati a valorizzare, prima di tutto fra di noi, l’interculturalità, l’ospitalità e “la convivialità delle differenze”, convinti che il mondo ha un immenso bisogno di questa testimonianza» (n° 33). L’istituto comboniano oggi è composto da membri originari di più di 40 nazioni. L’interculturalità e la multiculturalità, definita «una grazia per crescere sia nell’identità di comboniani sia nelle qualità delle relazioni interpersonali e nella profezia della missione», fanno parte ormai del “patrimonio carismatico” dell’istituto e l’interazione fra culture «diventa cammino che arricchisce le persone, le comunità e il nostro servizio missionario» (n° 47.2).

Ora, il fatto di avere a capo delle circoscrizioni dei comboniani in Africa un africano, dice che ormai (ma già Paolo VI nel suo viaggio in Uganda nel 1969 aveva detto a Kampala: «Voi africani siete ormai i missionari di voi stessi»), in comunione con tutte le altre forze della Chiesa, i comboniani d’Africa sono impegnati in prima persona nella diffusione del regno di giustizia, pace e d’amore di Cristo soprattutto tra gli ultimi. E sono chiamati a dare, da protagonisti, un nuovo impulso all’autentica inculturazione, grazie alla quale, come afferma Ecclesia in Africa, l’uomo è posto nella condizione di «accogliere Gesù Cristo nell’integralità del proprio essere personale, culturale, economico e politico, in vista della piena adesione a Dio padre e di una vita santa mediante l’azione dello Spirito Santo» (n° 62).

Non c’è vera inculturazione, infatti, se non si coinvolge efficacemente la gente, in un vero processo di inculturazione, tramite il quale il messaggio cristiano diventi cultura e incida profondamente nei cuori e nelle menti di un popolo. E se anche i comboniani sono convinti che il mondo è sempre più un “villaggio globale”, gli africani, per parte loro, sono coscienti dell’importanza di riscoprire la molteplice ricchezza delle loro culture. E che un più convinto apprezzamento dei valori di queste culture è via obbligata per una più profonda unione tra i popoli.

Così come sanno, del resto, che il dialogo interreligioso, quello vissuto in numerose famiglie africane che vivono sotto il medesimo tetto e hanno la medesima cucina dei loro fratelli e sorelle della religione tradizionale o musulmana, è sì una via stretta, talvolta disagiata e pericolosa, ma obbligata, nella ricerca del bene di chi ama il proprio paese e la propria gente.

Nelle loro mani, ormai, di persone che conoscono lingua, usi, costumi, cultura…è anche il problema dell’inculturazione della loro vita di religiosi. Evidentemente non risolto dall’acquisita introduzione di danze e di strumenti musicali africani nelle celebrazioni liturgiche. Ma che implica che ci si interroghi sui legami famigliari, sull’uso o l’abuso del denaro e dei mezzi materiali messi a disposizione della comunità missionaria, sulle proprie responsabilità verso la propria famiglia naturale, i fratelli e sorelle più piccoli e verso i nipoti e le nipoti. Come rispondere alle richieste  e alle pressioni che provengono dalla propria famiglia, dal clan, dal proprio villaggio? Tutte realtà che solo nella comunità potranno trovare soluzione. Non dimenticando mai i valori culturali positivi propri di tutta l’Africa: il rispetto degli anziani, la condivisone comunitaria, la cura dei parenti, il codice di condotta morale…

I comboniani africani hanno anche il compito, che è un dovere, di correggere l’immagine stereotipata del continente, favorita anche dall’industria degli aiuti che contribuisce ad alimentare e diffondere  degli stereotipi negativi e superati di africani come vittime impotenti di guerre interminabili e di costanti carestie. L’Africa «non è una terra di vittime senza speranza e sfortunate». I missionari africani, in anni di esperienza e di paziente lavoro, anche in altre nazioni che la loro, hanno potuto conoscere  e amare una realtà ben diversa. C’è un volto dell’Africa molto raramente oggetto di attenzione da parte dei media. È quello di un’Africa «d’immensa bellezza, di spazi aperti e di cieli luminosi, di persone semplici che ci edificano con la loro abnegazione e la gioiosa esuberanza di vita», come mi dice uno di loro. Insomma l’Africa del canto e della danza, del riso e della celebrazione, dell’energia, della creatività e della capacità di ricupero e che, a dispetto di un immaginario diffuso, ha molte cose da insegnare in fatto di riconciliazione, giustizia e pace.

Così, l’anziano missionario che inevitabilmente si ritrae in disparte per lasciare ai confratelli africani la responsabilità di continuare la missione, sogna che questi siano degli autentici “servitori della gioia del vangelo”, come direbbe papa Francesco, che si traduce nella gioia di evangelizzare, la gioia della Chiesa, la gioia dell’istituto, la gioia del meraviglioso creato africano.
"Nigrizia"


Superiori delle circoscrizioni comboniane di America e Asia.


Superiori delle circoscrizioni comboniane di Europa.


Tutti i Superiori delle circoscrizioni comboniane con i membri della Direzione generale.