Il ruolo e la partecipazione della donna nella missione comboniana

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Roma, sabato 17 marzo 2012
Sr. Maria Vidale, missionaria comboniana, è stata la voce femminile a parlare del tema “Il ruolo e la partecipazione della donna nella missione comboniana” nella presentazione della 5ª edizione del libro: Un Profeta dell’Africa “Daniele Comboni”, di Domenico Agasso sr – Domenico Agasso jr con una riflessione del Card. Carlo Maria Martini. Ha tenuto la sua relazione nell’aula capitolare della Casa Generalizia dei Missionari Comboniani a Roma, il 15 marzo scorso. Pubblichiamo di seguito il testo del suo intervento.

Sr. Maria Vidale
Missionaria Comboniana

Presentazione della 5ª edizione del libro: Un Profeta dell’Africa “Daniele Comboni” di Domenico Agasso sr – Domenico Agasso jr con una riflessione del Card. Carlo Maria Martini.

Benvenuti ancora una volta, a tutti noi, che siamo qui per partecipare a questa serata “comboniana”. Desidero salutare non soltanto da parte mia, ma anche di sr Luzia, la superiora generale che avrebbe dovuto essere presente, ma che invece si trova in Africa. Sapendo di dover partire ha chiesto a me, che mi sto occupando di ricerca storica, di essere qui, questa sera del 15 marzo, per la presentazione di una nuova edizione del “Profeta dell’Africa.

Lo faccio con piacere e ci tengo a dire, prima di tutto, che il libro mi è sempre piaciuto, perché si tratta di una biografia agile, scorrevole, attenta e fedele nel riportare i fatti.

Un libro che personalmente consiglio a chi desidera avere un primo approccio con Daniele Comboni.

Prendendo lo spunto dalla pubblicazione di quest’ultima edizione, ho voluto scorrere ancora una volta le sue pagine, soffermandomi sul tema che mi è stato suggerito, cioè il ruolo e la partecipazione della donna nella missione comboniana.

E mi è piaciuto, prima di tutto, vedere come l’autore ha saputo sintetizzare l’esigenza del grande apostolo di avere accanto, in missione, la presenza femminile.

Comboni – leggiamo alla pag. 131 - è da sempre convinto che un’azione missionaria incisiva e duratura è del tutto impossibile senza la partecipazione delle donne”.

Daniele ne era convinto fin dai tempi di Santa Croce, la sua prima missione in Africa, e non ne faceva mistero. Nella nascita e nella crescita di nuove comunità cristiane, il ruolo della donna è insostituibile.

Le “morette” - scriveva infatti, senza mezzi termini, a Luigi di Canossa il 21 maggio 1871- “sono la parte più utile del nostro apostolato” (S, 2452).

Non bastava però, che egli ne fosse convinto personalmente; era necessario che lo fossero anche altri, nella chiesa e nella società. Da quanto si può capire, la sua speranza era che, restituendo alla donna africana – nel caso – il posto che le spettava, si apriva il cammino anche per il suo popolo, quella tanto amata “razza negra” che egli vedeva calpestata e disprezzata da tutti.

Infatti, nell’episodio della “terza scuola” voluta in Cairo nel 1869, Daniele dimostra di avere colto, senza saperlo, due aspetti estremamente importanti di quella che oggi, nella teologia della missione, conosciamo come la “questione della donna”: e cioè che esclusione femminile e razzismo, purtroppo, si trovano spesso insieme.

La “bomba”, ricorda l’autore alle pagine 107 – 109, venne fatta esplodere in un quartiere “bene” del Cairo. Si era nella prima metà del 1869, quando nella parrocchia della Sacra Famiglia venne annunciata l’apertura di una nuova scuola parrocchiale.

Avrebbe potuto essere soltanto “una terza scuola” della missione comboniana in Egitto, ma si differenziava dalle altre due già esistenti, perché, oltre ad essere una scuola femminile, pubblica e aperta a ragazze di ogni confessione, sarebbe stata diretta esclusivamente dalle maestre africane preparate a Verona nell’Istituto Mazza, cioè ex schiave africane, nere, riscattate ancora bambine sui mercati del Cairo.

Si trattava di “un mezzo – sottolinea l’autore citando lo stesso Daniele, escogitato - per rialzare nella riputazione la razza negra calpestata da tutti” (S, 1927).

Non era dunque una concessione, quella che veniva fatta alle schiave di un tempo, ma il riconoscimento di un diritto:Il diritto che la razza nera possiede e che le si deve riconoscere presso quella bianca […] – spiegava in seguito lo stesso Comboni alla Società di Colonia. - E volli mostrare viepiù ai popoli, provandolo con un esempio parlante, che secondo lo spirito sublime del Vangelo, tutti gli uomini [e le donne], bianchi e neri, sono uguali dinanzi a Dio”… (S, 2525).

Daniele Comboni si mostrerà sempre molto fiero e orgoglioso di queste ragazze, delle quali curava personalmente la maturazione umana e cristiana. Le voleva preparate, coscienti e convinte del proprio ruolo e delle proprie possibilità di attuarlo.

Due o tre anni dopo, infatti, le accompagnò egli stesso a El-Obeid, dove si trovava uno dei più grandi mercati di schiavi, perché potessero dare il via alla grande opera femminile, e rigeneratrice, del Kordofan. In El-Obeid, queste laiche “consacrate”, come le chiameremmo oggi, avrebbero scoperto la pienezza della loro vocazione di “donne del Vangelo”, di “sorelle” chiamate a vivere quella mistica della fraternità che apre alla dimensione escatologica del regno.

Donne che accettano di rinunciare ad un possibile status di madri e si fanno sorelle in favore di fratelli “necessitosi”, che si trovano in pericolo e invocano aiuto da chi li possa in qualche modo salvare.

Rispondendo a questa vocazione speciale e squisitamente evangelica, la donna annuncia così che soltanto una relazione umana, veramente fraterna e consapevole del progetto di Dio, può restituire l’originale dignità umana a tutti coloro che – uomini e donne – ne siano stati in qualche modo defraudati. Con la libertà si apre anche il cammino della salvezza, della possibilità di una scelta esistenziale che ci incammina verso quella Casa dove il nostro Dio, Madre e Padre, ci aspetta con le braccia aperte.

Incoraggiando la donna africana, finalmente libera e “rigenerata”, a farsi sorella di altri più poveri, esclusi e minacciati di morte, Daniele non intendeva certo sminuire l’indiscutibile vocazione femminile alla maternità, il ruolo insostituibile della madre nella trasmissione e nella crescita della fede nella famiglia. La creazione di Malbes, “minuscola ma affascinante realizzazione del Piano per l’Africa” (cf pag. 178) e perno della strategia comboniana (p. 193) sta lì a dimostrarlo. Semplicemente egli portava la donna a scoprire il messaggio più profondo del vangelo di Gesù, quello che non a tutti viene rivelato, ma soltanto a coloro che accettano di farsi continuatori della sua missione: le discepole e i discepoli del “cenacolo”.

Concludendo, perché ormai il tempo assegnatomi sta per scadere, mi auguro che anche questa nuova edizione del Profeta dell’Africa conosca il successo delle precedenti, così da giungere fra le mani di persone sensibili e generose, capaci di cogliere un grido di aiuto e sollecite nel rispondere ad una vocazione personale.

Mi auguro ancora che possa, in particolare, essere un richiamo per la donna, che oggi ha certamente raggiunto un grado di autocoscienza molto maggiore di chi l’ha preceduta, ma che forse fatica, a volte, a cogliere i “segni dei tempi” e si perde nel cercare di rispondere alle troppe sollecitazioni che le giungono da varie parti.

Sorella, madre e soggetto di evangelizzazione. Così la voleva Daniele Comboni e così c’è bisogno di lei, ancora oggi.

Viviamo un momento di grande vuoto etico, con la perdita di valori collettivi e una conseguente e preoccupante crisi della politica, per non parlare dell’economia. Nuove forme di schiavitù e di esclusione emergono insistenti per distogliere anche gli stessi cristiani dalla vocazione originale che ci spinge a farci fratelli e sorelle, per poter essere riconosciuti, alla fine, come figlie e figli dal Padre che ci attende.

Dopo tanti progressi – ci ricorda il nostro amico qui presente don Antonio – siamo purtroppo regrediti nella considerazione e nel rispetto delle culture e tradizioni differenti dalle nostre. Con forme di xenofobia a volte preoccupanti. E questo “anche all’interno di qualche comunità ecclesiale” e magari religiosa.

Anche se ancora timido, si direbbe, comincia però a farsi sentire il bisogno, nella nostra società, di qualcuno che prenda in mano le sue sorti e la riconduca sulla strada che porta ad una meta autentica, capace di dare un senso a questo nostro passaggio sulla Terra.

E per questo ci si sta finalmente rivolgendo di più alle donne: nella politica, nell’economia, nell’educazione, nei servizi sociali…

Finalmente interpellata, ci auguriamo che la donna risponda perché, come a suo tempo Daniele Comboni, coltiviamo la certezza che, “ove si introducesse l’azione potente” di una donna cosciente del suo straordinario potenziale evangelizzatore, “noi vedremmo in pochi anni dei grandi vantaggi” (cf S, 1217).
È tutto.
Maria Vidale, smc
Roma, 15 marzo 2012