Appena una settimana dopo il suo arrivo nella parrocchia di sant'Ignazio a Kinshasa, il nuovo posto di lavoro assegnatogli dall'obbedienza, p. Agostini Vittorio è entrato quasi improvvisamente nella Casa del Padre.
Egli, pur servendo quella parrocchia, faceva parte della comunità che risiede a Kimwenza alla quale apparteneva dal 15 novembre.
Ecco come sono andate le cose secondo la descrizione di p. Sergio Cailotto che, con lui, concelebrò la solenne messa d'ingresso nella nuova parrocchia:
"Alle 8,15 abbiamo cominciato la messa nella chiesa succursale di Badiadingi. Durante la prima lettura p. Vittorio mi ha sussurrato all'orecchio che non stava bene. Sudava. E' andato in sacrestia ed è ritornato subito dopo. Il male era diminuito, ma non passato. Durante l'omelia l'ho presentato al popolo che lo ha accolto con un caloroso applauso. All'offertorio mi ha detto che gli veniva nausea, ed è rientrato in sacrestia.
Terminata la messa era pallido, sudato e sfinito. Siamo andati nella chiesa principale di sant'Ignazio per la messa delle 10. Ma egli non si sentì di iniziare la concelebrazione. Anzi, disse che sarebbe tornato volentieri a casa. Allora ho chiesto a un fedele che aveva la macchina di accompagnarlo a casa.
Fr. Annico Meloni, abile infermiere, gli ha preparato una tazza di tè e poi l'ha accompagnato in stanza. P. Di Gennaro, intanto, celebrò la messa e poi corse a casa per vederlo. Era già morto, steso sul letto con la gamba sinistra per terra come se stesse per coricarsi o per alzarsi. Il medico, immediatamente chiamato, ha sentenziato che si è trattato di infarto.
Siamo rimasti tutti storditi, increduli... e la gente, che poco prima lo aveva applaudito in chiesa, accorse in massa.
La messa funebre, preceduta da una solenne veglia, è stata presieduta dal Cardinale il quale, in due riprese, si è fermato a lungo sopraffatto dalla commozione. Io ho fatto l'omelia e p. Moser l'ha completata. Vittorio era nostro compagno e nel 1970 avevamo ricevuto il sacerdozio insieme. La chiesa era gremita, tanto da non poter contenere la gente, molta della quale dovette rimanere fuori. I sacerdoti concelebranti erano 25.
Ora p. Vittorio riposa nel piccolo cimitero presso il monastero dei padri Premostratensi a cinque chilometri da casa nostra. Era arrivato a Kinshasa da otto giorni, ora ci starà per sempre, proprio in quel posto che il Signore gli aveva assegnato fin dalla creazione del mondo.
La sua vita non sempre è stata facile. Non sono mancati momenti d'incomprensione. Ora forse capiamo meglio che la malattia ha avuto il suo peso".
Morire durante la messa
"Era molto intelligente - prosegue p. Cailotto. In poco tempo si rendeva conto delle situazioni in cui si trovava. E avrebbe voluto che anche gli altri ci arrivassero in fretta. Qualche volta non lasciava il tempo sufficiente per arrivarci. Questa è stata per lui, e alle volte per gli altri, una fonte di sofferenza.
Personalmente perdo un amico, la classe perde uno dei confratelli più brillanti e la missione perde un grande missionario. La Congregazione riconsegna al Signore un confratello che l'amava profondamente. E' stato fedele fino in fondo, ed è salvo.
Quello stesso 24 novembre i confratelli dello Zaire facevano particolare memoria di p. Remo Armani, martire comboniano, ucciso ad Isiro nel 1964.
Morire durante la celebrazione della messa, è una grazia che è riservata a pochi sacerdoti. E' toccata proprio a p. Agostini, uomo mite, riservato, piacevolmente umoristico e con tratti di autentica tenerezza nei confronti dei confratelli. Che Dio sia benedetto nei suoi missionari".
Una ricerca lunga e faticosa
Eppure quest'uomo ha dovuto lottare non poco nella sua vita. Il cammino che si è concluso a 49 anni di età è stato irto di spine, dovute in gran parte alle circostanze e al suo carattere "toscano". Ma ha saputo camminare, senza fermarsi mai. Ed è appunto in questo sforzo che appare più luminosa l'opera di Dio nel suo servo Vittorio.
Papà Guido e mamma Porzia Giuditta Reali erano assidui lavoratori della terra e convinti cristiani. Per cui, quando il compaesano p. Carlesi, oggi vescovo in Brasile, mise gli occhi sul più piccolo dei loro cinque figli nella speranza di cavarne un missionario, gli diedero volentieri il consenso.
Dopo le elementari, durante le quali aveva dimostrato una spiccata intelligenza e una soda pietà, Vittorio entrò nel seminario comboniano di Carraia dove frequentò le medie.
Frequentò la quarta ginnasio nel seminario comboniano di Padova. Durante la quinta, ecco la crisi: cominciò dimostrando evidenti segni di una certa insofferenza.
Verso la fine dell'anno scolastico, che avrebbe introdotto gli alunni al noviziato, chiese di uscire. Il che avvenne il 26 aprile 1958. Cosa era successo?
"Motivo principale, se non unico - scrisse il superiore di allora, p. Zagotto - fu un'invincibile incompatibilità con alcuni compagni, ed in particolare con i veneti". Questa incapacità di integrarsi con gli altri, che si rivelò fin dagli anni della giovinezza, sarà una croce che lo accompagnerà per tutta la vita e che, da sacerdote, lo costringerà a cambiare continuamente comunità, essendo incapace di integrarsi.
Ma era un bravo ragazzo che aveva tutte le carte in regola per diventare un buon missionario per cui il superiore, sicuro che si trattava di una crisi passeggera, gli disse che sarebbe potuto tornare in seminario in qualsiasi momento, purché lo avesse desiderato.
Stando a una lettera scritta da Vittorio al p. generale prima dei Voti, che riporteremo più avanti, possiamo constatare che il motivo di questa uscita non è da attribuirsi principalmente all'incompatibilità con i compagni, che realmente esisteva, ma anche a una insicurezza di fondo sull'autenticità della propria vocazione.
Anni di attesa
Vittorio rimase a casa per un paio di anni, come ci assicura la cognata, dedicandosi al lavoro dei campi, poi frequentò le scuole a Firenze sempre, però, con il segreto desiderio di farsi missionario.
P. Bandera, che lo conosceva dagli anni di Carraia, lo seguì da vicino e lo invitò a rivolgersi a p. Leonzio Bano, allora responsabile delle vocazioni. Nel frattempo, p. Mazzoni, che batteva i collegi e i seminari in cerca di vocazioni missionarie, lo riagganciò definitivamente.
Nel 1960 trascorse un mese e mezzo ad Angolo Terme, dove i Comboniani avevano una casa di villeggiatura. Il giudizio di p. Giovanni Riva, superiore, fu positivo: "L'impressione è buona. E' intelligente, di pietà, carattere un po' chiuso. Vorrebbe andare all'estero per non incontrarsi con i suoi compagni di Padova che ora sono in terza liceo". Insomma, questi compagni non gli andavano proprio giù! Alla fine si rassegnò a frequentare il liceo comboniano di Carraia, fondato nel 1958.
Novizio con difficoltà
Nel 1964, a 22 anni di età, entrò nel noviziato di Firenze. E non furono rose e fiori. Quel benedetto carattere "toscano" che si portava dentro lo metteva continuamente alla prova.
I giudizi del p. maestro, dopo il primo anno di noviziato, venivano giù come la grandine sulle vigne: "Superbia; autosufficienza; crede di sapere; poco fervoroso; fa da sé con poca dipendenza; va un po' per la sua strada quanto a progresso nelle virtù; un po' disordinato...". Nello stesso foglio, tuttavia, la stessa mano, scrive: "Temperamento emotivo, speculativo, attivo. Sforzo per formare il carattere e impegno discreto; criterio equilibrato; pietà discreta e buona sottomissione al comando. Insomma ha buone qualità e mi sembra bene intenzionato anche se ha stentato a sottomettersi alla vita del noviziato".
C'era da lavorare, dunque, e Vittorio ce la mise tutta. Intanto cambiò anche il p. maestro. Questi, alla vigilia dei Voti scrisse: "Serio, equilibrato, animato dal desiderio di progredire nelle virtù, fedele al suo impegno, ordinato, talvolta timido e scontroso, va aiutato a vincere la sua timidezza. Conosce il tedesco, l'inglese e il francese. Sa di valere qualcosa. Penso possa essere un buon missionario". Firmato: p. Ernesto Malugani.
Con questo giudizio, il 9 settembre 1968 venne ammesso ai Voti temporanei che ebbero luogo a Firenze.
Una lettera importante
Prima del passo decisivo, tuttavia, volle scrivere una lettera al p. generale nella quale esponeva le motivazioni della sua vocazione. Ne citiamo qualche brano: "Reverendo p. Gaetano Briani, alla vigilia dei Voti sento il desiderio di esprimerle quanto è maturato in me in questi anni. Il tempo della scuola apostolica e del liceo ha illuminato e rafforzato la mia vocazione. Ho trascorso anche un periodo abbastanza lungo fuori dal seminario. Ciò, se da una parte mi ha fatto conoscere le diverse possibilità di scelta, dall'altra mi ha soprattutto fatto capire l'importanza della presenza del prete nella vita degli uomini, l'enorme bisogno di essi, come pure le difficoltà e la bellezza della vocazione sacerdotale. Per cui, ad un certo punto, mi sono orientato decisamente verso il sacerdozio sentendo che questo il Signore voleva da me. Così adesso non riesco ad immaginare la mia vita staccata dalla vocazione sacerdotale. La vita religiosa poi, completa in bellezza il sogno sacerdotale mettendomi a completa disposizione della Chiesa, unendomi a Cristo con un amore indiviso e seguendo il Signore nello stile di vita povero. Ora che le ho manifestato il mio animo, veda, Padre, se sono, non dico degno, ma capace a sufficienza di vivere da consacrato secondo lo stile di vita sacerdotale, religioso, missionario proprio della nostra Congregazione.
Prevedo delle difficoltà, ma sento anche che sarei un vile se rinunciassi a questo ideale di vita che - ormai ne sono certo - il Signore mi suggerisce.
Quanto allo studio della teologia, sono felicissimo. Il mio sacerdozio esige una conoscenza sempre più grande e profonda della Verità che mi si rivelò appena nelle materie appena sfiorate in questi anni...".
Educatore
Subito dopo i Voti venne inviato a Padova per fare l'assistente dei seminaristi. Trascorse un anno meraviglioso del quale ha lasciato una testimonianza in una lunghissima relazione.
"...Rivedo tutta la passione che metto nelle varie attività con i ragazzi, l'amore con cui cerco di seguire e di capire ognuno di loro. Un giorno, uno di essi mi ha detto una frase che ricorderò a lungo: 'sa trattare ognuno in modo diverso'. Questi ragazzi sono per me il primo amore. Nel compito che l'obbedienza mi ha assegnato, sento svilupparsi in me una passione grandissima per la vita e il vero bene dei ragazzi. L'impegno per loro è così pieno, così ricco di gioia, anche se faticoso e alle volte penoso, che non lo cambierei con nessun altro. Mi trovo pienamente a mio agio, completamente realizzato. Sento che posso espandermi come mai ho avuto occasione e in un modo a me congenito.
Sento crescere l'interesse per lo studio dei problemi educativi e, insieme, un maggior bisogno di preghiera e di unione col Signore. Se lei è stato con i ragazzi e vi si è appassionato, capisce il mio dire. Il p. spirituale, mio grande amico, mi ha suggerito di chiederle di lasciarmi ancora qualche anno tra i ragazzi. Insieme abbiamo programmato e realizzato funzioni in chiesa, veglie bibliche, iniziative varie che sono state bene accolte dai ragazzi. Stare con i ragazzi rende più viva e attuale anche la mia teologia...".
A tanto entusiasmo da parte di Vittorio, corrisponde una doccia fredda da parte del nuovo superiore della casa di Padova:
"Fa un po' quello che vuole. Non è molto regolare nei suoi impegni. Quanto ad obbedienza lascia un po' a desiderare ed è molto difficile convincerlo che ha torto. Non sempre dà il resoconto di quanto spende. Carattere difficile, piuttosto testardo, ma è molto attaccato alla vocazione". Insomma Vittorio era un giovane dotato di una forte personalità e, si sa, che con tipi così non è sempre facile andare d'accordo.
Il superiore provinciale, p. Amleto Accorsi, lo ammise alla rinnovazione dei Voti "con un forte richiamo". E invece di continuare il suo ufficio di educatore a Padova, venne richiamato a Verona dove con gli altri suoi compagni frequentò la teologia nel seminario diocesano.
Una chiarificazione
Credo che a questo punto sia necessario afferrare il toro per le corna con tutte e due le mani, e fissarlo bene negli occhi. Ciò è indispensabile per avere una esatta chiave di lettura della vita di p. Vittorio Agostini senza correre il rischio di fargli dei torti.
Abbiamo già detto che era molto intelligente, con una rara capacità di cogliere l'essenza dei problemi con molta nitidezza. Ciò lo poneva in una posizione che poteva sembrare di critica o di superiorità nei confronti degli altri. Ma era solo un'apparenza perché, in realtà, sapeva riconoscere e accettare umilmente le osservazioni, riconoscendo candidamente i suoi sbagli.
Sapeva individuare nelle cose ciò che non andava e lo diceva. La sua, tuttavia, era una critica costruttiva.
Inoltre era rigorosamente logico, profondamente onesto ed estremamente sincero. Non tollerava doppiezze in chi gli stava vicino, peggio ancora se questi era un superiore, o un vescovo, che diceva una cosa per farne intendere un'altra. Egli esigeva che si chiamasse pane il pane e vino il vino. Perciò aveva il coraggio e la libertà interiore di dire ciò che pensava senza troppe circonlocuzioni. Se si accorgeva che l'interlocutore tentava di giocarlo o "faceva il furbo" diventava furioso e tirava fuori tutto il suo caratteraccio di autentico toscano.
"Ho avuto sempre una grande stima di lui - dice p. Venanzio Milani che è stato suo Provinciale in Zaire. - Con lui mi consigliavo perché ero sicuro che mi avrebbe detto ciò che in coscienza riteneva giusto, senza cadere nel pericolo di dire ciò che piace al superiore per procacciarsi, magari, la sua benevolenza. Qualche volta era nervoso, ma bisogna considerare che soffriva di insonnia. Qualche scatto era controbilanciato da una generosità senza limiti e da tanta bontà nei confronti dei confratelli. E poi il tutto era condito da una sano umorismo".
P. Milani, con senso profondamente umano, aggiunge: "Gaiga, trattalo bene, perché se lo merita".
Questa chiarificazione, questa chiave, è indispensabile per entrare nella vita e per capire le traversie della vita di questo nostro confratello che non ha mai saputo che cosa siano la politica e il compromesso. E ciò qualche volta gli è costato caro.
Sacerdote negli Stati Uniti e in Ecuador
La data dell'ordinazione sacerdotale si avvicinava e Vittorio non smetteva di combattere quei difetti che i superiori gli mettevano davanti senza tanti complimenti.
Per l'ammissione ai Voti perpetui, che pronunciò a Verona il 9 settembre 1969, i superiori notarono in lui "un discreto impegno di pietà; quanto alla povertà è uno che non ha pretese perché si accontenta di ciò che passa il convento; è molto responsabile nei suoi uffici; non spreca il tempo, per cui trova il modo sia di studiare, come di dedicarsi ad altre attività; è di sacrificio; ha spirito di osservazione e capacità di riflessione; ama la schiettezza, l'autenticità dei rapporti, specie con i superiori anche se non risparmia giudizi taglienti; ha un ritmo di vita piuttosto austero e alquanto impegnato, anche se non partecipa in maniera completa alla vita di comunità...". Giudizio finale: "C'è un'ottima base di partenza per sviluppare una notevole personalità apostolica".
Ordinato sacerdote nella cappella dell'istituto comboniano di Carraia dal vescovo di Pistoia mons. Mario Longo Dorni il 7 maggio 1970, venne inviato a Cincinnati (USA) come assistente dei ragazzi, studente e vice parroco nella chiesa di San Pio.
La vocazione di educatore era più che mai viva in lui e seppe realizzarla nel migliore dei modi. Ma dopo due anni, nel 1972, scrivendo al p. generale, disse che non lo attirava per niente la prospettiva di finire insegnante a tempo pieno.
Intanto era passato da Cincinnati mons. Barbisotti, vescovo di Esmeraldas, Ecuador, il quale aveva messo gli occhi su p. Vittorio. Un tipo così gli sarebbe andato benissimo per il Collegio Sagrado Corazon dove gli alunni venivano portati dalle elementari fino alle soglie dell'Università, un campo immenso, dunque, di lavoro. Ma poi c'era anche la Città dei Ragazzi che aveva bisogno di un direttore; inoltre al sabato e alla domenica ci si poteva sbizzarire con il ministero nella periferia.
Nel 1972 p. Vittorio Agostini era nella sua nuova destinazione: Ecuador. "Nella Città dei Ragazzi c'è un'ottima possibilità di formare professionalmente molti giovani mettendoli in condizione di avere una vita onesta. In mezzo a questi giovani un fratello avrebbe una magnifica occasione di realizzarsi. Naturalmente dovrebbe essere persona desiderosa di lavorare tra i giovani e dovrebbe avere competenza tecnica. L'importante è che si tratti di una persona matura e dedicata...".
Abbiamo citato questo brano di lettera per mettere in risalto ancora una volta il carisma che p. Vittorio possedeva come educatore dei ragazzi e dei giovani.
L'esperienza al Sagrado Corazon fu... disastrosa. P. Agostini proiettava nell'ambiente latino americano, fatto di gente piuttosto tranquilla, senza tante pretese e priva di fretta, l'efficientismo del nord che aveva attinto negli Stati Uniti. E cominciò a multare i professori che arrivavano tardi alle lezioni, a minacciare e anche a sospendere coloro che si mostravano recidivi, a esigere dagli studenti ciò che, probabilmente, non potevano dare. Gli insegnanti, che regolavano il loro orario guardando il sole più che l'orologio e che al dovere scolastico mettevano davanti i valori della famiglia, non capirono questo loro nuovo direttore, e scoppiò una guerra fatta di denunce e di citazioni in tribunale.
Anziché lasciarsi consigliare dai confratelli che la sapevano lunga quanto a mentalità ecuadoriana, p. Agostini tirava avanti imperterrito nella certezza di essere nel giusto, accumulando problemi per se stesso e per gli altri. E' chiaro che una situazione simile non poteva durare a lungo salvo compromettere l'attività scolastica del Collegio.
Crisi o malattia?
Dopo 20 mesi di vita in Ecuador, i confratelli si resero conto che la grinta che aveva sempre caratterizzato l'attività di p. Agostini stava venendo meno. "Ha bisogno di un ricupero fisico e spirituale... Deve rimettersi bene... Agostini mi fa pena...", erano le frasi che correvano sulle labbra di chi gli era vicino e che non sapeva delle sue notti passate nell'insonnia e, probabilmente, di qualche altrui doppiezza che lo faceva star male più dell'insonnia stessa, per cui si decise un suo ritorno in Italia.
Alcuni mesi più tardi era nuovamente in Ecuador "disposto ad andare in qualsiasi missione e a svolgere qualsiasi attività". Questa era la sua disposizione di animo. In realtà si sentiva preso da uno strano senso di "paura di tutto" che lo portava all'inattività, a chiudersi in se stesso, a non parlare con nessuno. Insomma, era un confratello che doveva essere aiutato.
Nessuno - neppure l'interessato - a quel tempo si rese conto che Vittorio era minato da una sottile malattia che avrebbe contribuito ad accorciargli la vita: il diabete.
"Ciò che è bello - scrisse p. Vittadello - è che Vittorio si è dato ad una preghiera più intensa e prolungata, quasi voglia attingere dal Signore la sicurezza e la forza che non trova in se stesso".
Nel 1978 andò nella parrocchia di Santa Marianita dove gli pareva di realizzarsi meglio a contatto della gente semplice, e senza le scadenze, gli impegni e le responsabilità del Collegio e della Città dei Ragazzi.
Ma la sottile sofferenza che gli mordeva l'anima non lo abbandonava né di giorno, né di notte. Forse doveva cambiare posto; forse il clima dell'Ecuador non era il più adatto alla sua costituzione fisica e spirituale.
In Zaire
Forse l'Africa che aveva sempre sognata da quando aveva lasciato il suo paese per farsi missionario, gli avrebbe dato la serenità e l'entusiasmo di un tempo. Ne parlò con i superiori i quali, in data primo maggio 1980 lo destinarono allo Zaire, previo un periodo di studio a Parigi per rinfrescare la lingua francese.
"Caro p. Agostini - gli scrisse il generale p. Calvia l'11 marzo 1980 - ringraziandoti di tutto il bene che hai fatto in passato e anche per la tua disponibilità che ho potuto constatare durante il nostro incontro, io con tutta la fiducia e con tutta la stima ti do questa destinazione e ti auguro un lavoro lungo e fruttuoso in Zaire. E' con particolare calore che ti faccio l'augurio di un inserimento completo e di un lavoro fruttuoso in quella missione".
"Benvenuto nella nostra provincia - gli scrisse p. Ballan, provinciale in Zaire. - Noi due non ci conosciamo, ma ci sono qui dei tuoi compagni che ti ricordano con piacere e che hanno accolto con gioia la tua destinazione a questa missione".
Al momento di fare la vaccinazione contro la febbre gialla, saltò fuori una allergia o controindicazione per cui il Padre dovette premettere una lunga cura che gli ritardò il momento della partenza. "E' chiaro, comunque - scrisse - che non ho nessuna intenzione di restare in Italia più del tempo strettamente necessario".
Quando finalmente raggiunse lo Zaire, fu destinato a Dakwa dove, nel 1982, divenne parroco e superiore della comunità.
Lacrime e gioia
"C'è chi lavora nelle lacrime e chi raccoglie nella gioia - gli scrisse p. Milani nel 1983. - Tu sei uno di quelli cui è toccata la prima parte del mistero pasquale".
Queste parole del nuovo p. provinciale alludono ad un periodo di particolare sofferenza per p. Vittorio che era sempre in lotta con la salute, col suo carattere portato a far da solo, e con i grossi problemi che quella missione gli metteva davanti. Tuttavia fece un ottimo lavoro, specie per la formazione dei catechisti e nell'organizzazione dell'attività parrocchiale quanto a visite agli ammalati, agli anziani e alla catechesi tra i giovani.
"I suoi corsi biblici ai catechisti - afferma p. Milani - erano magnifici. Pochi come lui riuscivano a spiegare la Sacra Scrittura e a insegnare il metodo di renderla comprensibile alla gente. Questa gli voleva un gran bene perché notava i lui dedizione, entusiasmo, pazienza, comprensione. Eppure non era tenero, specialmente con coloro che volevano servirsi della missione come di un pozzo di san Patrizio dal quale scaturiscono aiuti senza fine e senza fatica. Se era generosissimo con gli anziani e i veri poveri, esigeva che chi era capace di lavorare, lavorasse per avere qualcosa in cambio. Per questo suo sistema, che oggi tutti giudicano il più giusto, trovò contraddizioni e sofferenze. Ma egli non indietreggiò di un passo".
Nel 1984, in occasione delle vacanze, fece una scappata negli Stati Uniti per una serie di Giornate Missionarie, onde rimpinguare le casse vuote della Provincia che, con la costruzione delle case di formazione: postulato e noviziato, si trovava in grave difficoltà. Fece così bene che i confratelli d'America volevano tenerselo, ma egli preferì tornare nello Zaire dove divenne vice parroco a Nangazizi.
Dal 1985 al 1987 fu a Kisangani sempre come vice parroco.
La salute declinava rapidamente tanto che nel febbraio del 1986 p. Aldegheri, nuovo provinciale, gli impose alcune settimane di vacanza in qualche altra missione dello Zaire. Ma Vittorio voleva sparare tutte le sue cartucce. "Caro Vittorio - insisté il provinciale - sono missionario come te e abbiamo gli stessi anni di sacerdozio. Siamo animati dalla comune chiamata missionaria religiosa, pertanto ti chiedo di voler comprendermi in queste mie indicazioni ispirate solamente da sincero aiuto fraterno e da carità".
P. Aldegheri aveva ragione. Le analisi cliniche eseguite a Kisangani diedero un quadro piuttosto tetro della situazione sanitaria di p. Vittorio. Cuore malato, diabete alle stelle e altri disturbi di natura tropicale. Dovette partire immediatamente per Anversa.
Nel 1988 era nuovamente in Zaire deciso a consumarsi per la missione. Fu vice parroco a Mungbere, un comprensorio con un raggio di 50 chilometri dove vivono 33 diverse tribù. Tra esse c'è anche quella dei pigmei che abitano ai margini della foresta. Il sacerdote pistoiese don Alessandro Marini che ha visitato p. Agostini ha scritto: "... ma anche sotto l'aspetto sociale e religioso è veramente magnifico il modo in cui p. Agostini e gli altri comboniani si rapportano alla popolazione indigena compiendo opera di pre-evangelizzazione, cioè studiando gli usi e i costumi locali e cercando di inserirvi, con il più assoluto rispetto per essi, il messaggio cristiano".
Il Corso a Roma
Dal primo luglio 1990 al 30 giugno 1991 p. Vittorio Agostini fu in Italia per cure e per il Corso di aggiornamento a Roma. Ormai doveva usare l'insulina due volte al giorno per poter tirare avanti. Tuttavia, in data 21 aprile 1991, verso la fine del Corso, scrisse al suo p. provinciale: "Il mio diabete, che ora esige l'insulina, non mi impedisce una normale attività pastorale in un centro dove esiste una minima possibilità di controllo".
Partì per la missione e si fermò ad Isiro in attesa di una destinazione definitiva che fu, come abbiamo visto all'inizio, quella di Kinshasa. Il p. provinciale scelse quel luogo centrale per dare la possibilità al Padre di frequenti controlli clinici.
"In questi dieci giorni di permanenza nella nuova parrocchia - scrisse p. Cailotto - abbiamo incontrato il Cardinale, i vari responsabili della diocesi, i nostri confratelli. Vittorio era sereno, contento, desideroso di conoscere i problemi e la metodologia di questa Chiesa. Mi sembrava veramente il Vittorio dei tempi migliori.
Una suora gli faceva l'insulina al mattino; per la sera se la sbrigava da solo. Ma il Padre non riposava bene a causa dei repentini cambiamenti di temperatura che attribuiva al farmaco".
Nessuno, tuttavia, pensava che il suo incontro col Signore sarebbe stato così vicino.
Suor Stefania Balsarri, che lo ha visto una settimana prima della morte, lascia questa testimonianza:
"Mi è rimasta impressa la sua ATTENZIONE per i piccoli, per gli ultimi, durante un viaggio che abbiamo fatto insieme tra i pigmei. Non aveva fretta di lasciarli; si interessava dei loro bisogni; faceva di tutto per comunicare con loro. Ha saputo creare un legame di fraternità molto forte tra noi e loro.
La sua calma, il suo umorismo delicato rendevano gradita la sua compagnia. E' stato un vero missionario desideroso di fare del bene alla gente senza lasciarsi intrappolare da tante formalità che alle volte complicano la vita. E ha sofferto tanto, senza mai lamentarsi, senza mai protestare, senza dire che era stanco. Mi pare che abbia tirato la corda fino all'ultimo, fino a cadere in prima linea da vero discepolo del Signore".
Vero discepolo del Signore, uomo interiormente libero, coerente con se stesso, con la propria coscienza, sciolto dalle pastoie nelle quali molto spesso la vita degli uomini viene a trovarsi, p. Vittorio non ha mai smesso di lottare per migliorare se stesso e per fare del bene alla gente.
Il Signore lo ha ritenuto maturo per il cielo ad appena 49 anni di età. "E morto - ha detto un confratello - nel momento più sereno della sua vita, quando era finalmente contento e soddisfatto, certamente al termine di un cammino spirituale che per lui non è stato dei più facili".
Che dal posto accanto al Signore dove certamente si trova, ottenga pace e serenità in particolare allo Zaire che sta vivendo momenti di tensione e di sofferenza, lui che della sofferenza, un po' dovuta al suo carattere, un po' dovuta alla malattia e un po' dovuta agli altri, ha fatto il pane quotidiano della sua breve ma intensa esistenza. P. Lorenzo Gaiga
Da MCCJ Bulletin n. 175, Luglio 1992, p.37-45
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“P. Vittorio Agostini. Dopo 20 anni ti ricordiamo così”
A Casalguidi, vicino a Pistoia, domenica 27 nov. 2011, abbiamo fatto memoria di P. Vittorio Agostini, morto in Congo a 49 anni, sepolto a Kinshasa vicino a P. Gaetano Manzi. Il salone delle ‘Misericordie’ era colmo di amici; in particolare il parroco don Renzo, l’amico don Gino, P. Remo Mariani, il coordinatore prof. Aldo Carlo Cappellini.
La signora Martine Bugiani, che ne ha curato il ricordo, ha parlato ‘con lui’ così: “Come presidente del Gruppo Missionario Padre Vittorio Agostini, nella nostra parrocchia di S. Pietro in Casalguidi, ho pensato molto a come poterti ricordare. Così è nata l’idea di questo libro. È un modo per dirti GRAZIE per tutte le cose che mi hai insegnato, per dirti che non ho dimenticato i momenti belli che abbiamo vissuto insieme, per dirti che sei sempre vivo nel mio cuore, ma anche per farti conoscere a tante persone che non hanno avuto la fortuna di incontrarti. Padre Vittorio, ti voglio bene! E come me tante altre persone…”.
Il Vescovo di Pistoia, Mons. Mansueto Bianchi, scrive: “Davvero un libro originale quello di Martine Bugiani, che ripropone la vita e la testimonianza di P. Vittorio Agostini. Originale perché l’autrice sceglie di esserci solo come chi dà spazio alla persona di cui si vuole parlare, una presenza di servizio che sempre si ritrae per cedere immagine e parola a P. Vittorio. Le immagini e le parole ci raccontano di lui, la sua vita, la sua Africa. A questa vita, a questa morte, rispondono, nella parte terminale del libro, le voci di coloro che hanno visto e udito, che hanno conosciuto e incontrato P. Vittorio. È l’eco e il ritorno di quel canto, al Vangelo e all’Africa, che è stato la sua vita”.
Mons. Giordano Frosini ricorda così P. Vittorio: “Un ragazzo forte nella sua debolezza, figlio autentico di una terra su cui si è misurata da sempre la fatica e la laboriosità dell’uomo, e che è stata benedetta dalla fede, dall’onestà, dalla probità di tante generazioni”. E parlando dell’Africa aggiunge: “Ora tra noi e il 3° mondo non c’è più il secondo, e ci incontriamo direttamente; noi, il 1° mondo incapace anche soltanto di accogliere i profughi che bussano disperati alle nostre porte, per condividere insieme quelle ricchezze che abbiamo loro tolte. Figure come quella di padre Vittorio sono come un pedaggio che noi paghiamo per il nostro riscatto”. Conclude: “Grazie, padre Vittorio, per l’esempio che ci hai dato, per la scossa che il tuo ricordo dà alla nostra apatia, alla nostra pericolosa indifferenza, forse anche alla nostra scarsa fede”.
Il sindaco del suo paese ha detto: “Sono un laico, ma persone così mi toccano dentro”.
P. Vittorio Farronato, ricordando gli anni condivisi nella formazione e in missione, ha sottolineato un aspetto: la pedagogia di P. Agostini Vittorio nel trasmettere ai catechisti la conoscenza orante e liturgica della Bibbia. P. Vittorio aveva studiato lo stile della trasmissione orale usato dai rabbini, per facilitare comprensione e memorizzazione; e preparava frasi a ritmo binario tipiche dei semiti, per esempio: “Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me”.
Mi sono commosso nel vedere l’affetto della sua gente. Hanno saputo cogliere il senso che ha dato alla sua vita, la sua anima missionaria, il coraggio con cui si è dato senza risparmio, malgrado la salute precaria. Mi sono sentito invitato ad avere uno sguardo interiore più capace di scoprire il Signore nei confratelli. P. Romeo Ballan, il sup. provinciale che aveva accolto P. Vittorio in Congo, si è stupito nel vedere il libro così bello, e ha commentato: “Un libro degno!”.
Il libro ha il titolo: Padre Vittorio Agostini. Dopo 20 anni ti ricordiamo così. È pubblicato da Erasmo Edizioni. Il presidente Mauro Lastraioli, scoprendo la figura missionaria di P. Vittorio, ha curato il lavoro con particolare amicizia, partecipando anche alle spese editoriali.
(Vittorio Farronato)