In Pace Christi

Bronzato Dante

Bronzato Dante
Geburtsdatum : 08/03/1920
Geburtsort : Pellegrina (VR)/I
Zeitliche Gelübde : 07/10/1939
Ewige Gelübde : 07/10/1944
Datum der Priesterweihe : 26/05/1945
Todesdatum : 01/01/1997
Todesort : Verona/I

Ultimo di sei fratelli, di cui tre morti ancora piccoli, Dante proveniva da una famiglia profondamente cristiana. Il papà, Giuseppe, era agricoltore con alcuni terreni in affitto e in più dirigeva la cooperativa agricola data in affitto dal conte del paese alla parrocchia. La mamma, Aristea Gazzani, era casalinga, ma trascorreva buona parte della sua giornata in campagna tirandosi dietro i suoi bambini.

La chiesa, la scuola e il sagrato erano la seconda casa di questi ragazzini che divennero chierichetti zelanti e scolari diligenti, e anche intelligenti, stando alle pagelle scolastiche di Dante e alla riuscita nella vita degli altri.

La formazione scolastica elementare di Dante fu all'insegna degli spostamenti. Frequentò la prima e seconda elementare a Pellegrina, la terza a Caldiero, la quarta a Belfiore e la quinta a Soave dove si recava con il calesse del parroco

Su un foglietto datato 24 agosto 1932 - Dante aveva 12 anni - troviamo "l'occasione" che ha fatto scattare nel cuore del ragazzino il desiderio di farsi Missionario Comboniano. "Mi è venuta l'idea di partire per le missioni dopo aver letto un libro missionario".

Pellegrina era un paese molto battuto dai Comboniani, quindi la "propaganda" abbondava, sia come presenza di missionari, sia come libri e riviste. La vocazione missionaria ha fatto sì che Dante non seguisse la strada dei due fratelli più anziani, Corrado e Artemio, che entrarono nell'Istituto Mazza diventando, il primo, avvocato e, il secondo, professore.

"Un buon impulso alla vocazione di Dante per le missioni - dice il fratello Artemio - è venuta anche da P. Dionisio, un frate del santuario della Madonna del Frassino venuto in paese per predicare le missioni al popolo e accolto alla stazione di Pellegrina con gran concorso di gente in festa".

Dante non si accontentò solo dell'idea di farsi missionario, ma volle scendere subito ai fatti. Ed ecco che, un bel giorno, la mamma non vide più il figlio. Dov’era andato a finire? Era forse caduto in qualche fossato? Cominciarono le ricerche. Finalmente lo trovarono che camminava tutto solo lungo la strada che portava a Verona. "Dove vuoi andare così solo?". "Vado in Africa a fare il missionario". "Sì, sì, andrai in Africa, ma non così su due piedi. Devi prendere qualche cosa con te" gli disse la mamma abbracciandolo. Anche Santa Teresa d'Avila aveva fatto qualcosa di simile quando voleva lasciare il suo paese per convertire i Mori.

Fatto sta che, per l'inizio dell'anno scolastico 1932, Dante Bronzato era nel seminario missionario di Padova dove frequentò le medie, poi passò a Brescia per il ginnasio e il 10 settembre 1937, a 17 anni, era nel noviziato di Venegono Superiore dove, il 7 ottobre 1939, emise la professione temporanea.

Un giovane sereno e rasserenante

Le testimonianze dei superiori che hanno accompagnato Dante nella sua formazione concordano nel vedere in lui un giovane sereno, soddisfatto, sempre contento. Uno "che si sforza di entrare in sintonia con il carattere dei compagni per poter condividere con loro i diversi punti di vista". Questo giudizio di P. Todesco, suo maestro in noviziato, ci mostra un Dante seriamente preoccupato di contribuire ad un clima di distensione e di serenità nell'ambito comunitario.

Ciò spiega anche il desiderio dei confratelli di trovarsi in comunità con lui quasi per partecipare e condividere quella serenità, quell'ottimismo, quella pace che egli col suo bel carattere, col suo sottile e intelligente umorismo, con i suoi bei modi sapeva creare. Insomma, per stare a una testimonianza di P. Canonici che lo ebbe compagno in Messico, "P. Dante dava sicurezza ai confratelli e riusciva sempre a sdrammatizzare le situazioni un po' difficili".

Anche il suo impegno per il progresso spirituale fu sempre serio. Scrisse il padre maestro: "Si mantiene sempre nel primo fervore e lavora con grande generosità e profitto. Il suo spirito di fede, di preghiera, di obbedienza e soggezione sono assai buoni. Come carattere è calmo, adattabile, sincero. È molto intelligente, di criterio e responsabile nei suoi doveri".

Nella domanda per i primi voti scrisse, tra l'altro: "Voglio essere tutto di Dio, sempre di Dio, solo di Dio e solo a Lui voglio piacere per mezzo di Maria Santissima nostra dilettissima Madre. Per questo desidero ardentemente votarmi alla causa del Regno di Dio nella nostra cara Congregazione procurando, con la mia santificazione, la maggior gloria possibile a Cristo Signore attraverso l'evangelizzazione degli infedeli".

E prima dei voti perpetui aggiunse: "So a chi mi dono, conosco colui in cui credo e al quale mi affido. Se la Congregazione mi accoglie nonostante la mia indegnità, la mia felicità sarà come quella dei santi".

Una nota in calce del Superiore Generale dice: "Bronzato dà buone speranze di riuscire un ottimo missionario per lo spirito religioso che lo anima e per le sue buone qualità".

Il "mago" dei giovani

Un giovane con simili doti andava utilizzato nella formazione dei giovani seminaristi Comboniani. Ed ecco che, dopo i voti, trascorso poco più di un anno a Verona per la seconda liceo e l'inizio della terza (ottobre 1939 - gennaio 1941) fu inviato a Rebbio di Como come assistente degli studenti. Vi rimase dal 1941 fino al 1943. Dal settembre del 1943 all'agosto del 1947 (nel 1945 era diventato sacerdote) fu a Crema sempre come assistente dei seminaristi.

Ordinato sacerdote il 26 maggio 1945 da mons. Francesco Maria Franco, vescovo di Crema, rimase per altri due anni in quel seminario comboniano con l'incarico di assistente, insegnante e reclutatore (animatore vocazionale).

Dal 1947 al 1950 fu a Carraia, Lucca, come insegnante e assistente dei ragazzi di quel seminario minore comboniano.

Perché una così lunga carriera con i ragazzi? Ricordo che, quando nel 1951 i seminaristi di Carraia arrivarono a Brescia per la terza media e per il ginnasio, non facevano che parlare di P. Dante Bronzato. Davvero aveva lasciato il segno nella loro vita.

Stava con loro, viveva il più possibile con loro, li sapeva ascoltare dando la massima importanza a ciò che chiedevano e li aiutava a risolvere i loro problemi, insomma era l'amico sicuro e fidato, al quale si poteva ricorrere con la certezza di essere sempre accolti con amore, con gioia, con spirito di condivisione.

Mai una volta che abbia espresso stanchezza o, peggio, noia nello stare con i ragazzi. Sapeva organizzarli nelle passeggiate, nei giochi, nel mettere insieme commedie o recitazioni per cui anche la vita povera di Carraia (a Carraia si era veramente poveri) diventava un idillio.

Aveva un'arte tutta speciale nel fare le correzioni. Il suo principio era questo: prevenire se è possibile, ma se lo sbaglio c'era stato, fare in modo che il giovane capisse che quel suo modo di fare non andava bene. Ma mai correggere per offendere, punire od umiliare. Uno dei suoi alunni disse: "Con P. Dante era impossibile essere cattivi".

P. Faustino Bertolazzi, che fu suo alunno a Crema, durante il funerale volle dare la sua testimonianza: "Ricordo P. Dante e il suo violino che suonava con maestria. Ci intratteneva in allegre serate, ci faceva cantare, ci dava una grande carica di entusiasmo per la vocazione missionaria. Era davvero un mago per noi giovani. Posso affermare che se io ho amato davvero la vocazione, in gran parte lo devo a lui. E ciò che dico io lo potrebbero dire anche gli altri miei compagni, oggi missionari nelle varie parti del mondo".

California baciata dal sol

Il 2 settembre 1950 P. Dante con altri confratelli raggiunse La Paz nella Bassa California. La città, allora, contava 25.000 abitanti ed era circondata da uno sconfinato deserto senza strade, senza servizi, collegata agli altri centri da interminabili carreggiate sconnesse e pericolose per la possibilità di finire in pozze di sabbia dalle quali era difficile uscire.

La corrente elettrica era data da un generatore che forniva per poche ore al giorno una luce rossastra e tremolante, le comunicazioni correvano su un filo volante che spesso veniva interrotto dal passaggio degli animali. La posta impiegava più di un mese per arrivare a destinazione, quando non si smarriva lungo la via. I pochi aerei che facevano servizio, quando lo facevano, erano residuati bellici capaci di atterrare anche sulla terra battuta.

Oggi La Paz è un centro di 250.000 abitanti e la Bassa California è servita da aeroporti e autostrade che l'hanno trasformata in un luogo di villeggiatura per ricchi turisti in cerca di emozioni forti.

I primi 9 Comboniani erano arrivati nella zona due anni prima (1948) come professori e agronomi dato che, all'epoca, la costituzione messicana, che si ispirava all'anticlericalismo massonico più intransigente, non permetteva l'entrata nel Paese ai religiosi e ai sacerdoti stranieri.

Di sacerdoti diocesani in tutta la zona ce n'era uno solo e per di più vecchio. I Comboniani, dunque, erano arrivati come la manna dal cielo e, in due anni, avevano già fatto molto.

P. Dante ebbe immediatamente l'incarico di vicario cooperatore e assistente dei giovani di Azione Cattolica di La Paz.

La missione, quella missione, appagò in pieno i desideri apostolici del nostro confratello. P. Becchio, suo compagno, disse: "P. Dante ha portato a Dio tante anime".

Esercitando il suo particolare carisma, cominciò a organizzare i giovani impegnandoli seriamente nella preghiera e nelle attività ecclesiali. La meditazione della Parola di Dio mediante l'uso della Bibbia, cosa a quei tempi non ancora tanto comune come ai nostri, costituiva il carburante che muoveva quei giovani. Basterebbe ricordare i due pellegrinaggi a Ticuana, sede del Vescovo, dove si tennero i raduni di Azione Cattolica; 2.000 chilometri di marcia con mezzi di fortuna sotto il sole implacabile, la sabbia sottile che entrava nei polmoni, la sete che attanagliava le gole... Grandi sacrifici per i giovani, ma anche per il loro animatore.

Dai giovani di P. Dante uscirono personaggi eminenti della cultura, dell'amministrazione e anche del governo.

Tutta questa attività nel campo giovanile si svolgeva in contrasto con l'opera dei massoni che ostacolavano in ogni modo quanto P. Dante faceva. Eppure lui, con la sua bontà, col suo modo di fare ne convertì molti. Riuscì perfino a convincere l'ispettore regionale a dargli il permesso di aprire un collegio cattolico parrocchiale che divenne la prima scuola cattolica pareggiata della Bassa California.

Accusato di aver favorito troppo i cattolici, l'ispettore venne eliminato dai suoi durante un banchetto.

P. Dante ha lavorato molto nella cattedrale di La Paz e anche in una dipendenza che oggi è diventata un'importante parrocchia.

Ricorda P. Ottavio Raimondo: "Quando nel 1979 giunsi per la prima volta a San José del Cabo, una delle prime persone che incontrai fu proprio P. Dante Bronzato. Mi fece festa come fossimo vecchi amici, mentre non ci eravamo mai visti prima di allora. Poi mi disse: ‘Lavora con i giovani, punta tutto sui giovani, ti seguiranno perché sono generosi. Essi sono il futuro della Chiesa della Bassa California’. Potei constatare come le sue parole fossero vere”.

Nella vita comunitaria era strumento di pace. "Noi qui tutto bene: armonia, lavoro, salute e grazia di Dio", scriveva nel 1973. Di tanto in tanto i confratelli lo sorprendevano mentre canticchiava una canzone le cui prime parole erano: "California baciata dal sol". Eppure le tribolazioni non mancavano neanche per i missionari di Messico.

L'ombra della croce

La vita missionaria di P. Dante non fu tutta rose e fiori. Le croci sulla sua strada furono molte e mortificanti. A parte quelle legate al clima, alle fatiche dei viaggi spesso a dorso di mulo, alla sete, alla polvere, al caldo, al pericolo costante dei massoni (i quali eliminarono P. Corsini perché troppo deciso nel denunciare le loro ingiustizie), ci fu anche l'incomprensione di qualche superiore particolarmente zelante che lo costrinse a mettere da parte il suo violino, giudicato una “perdita di tempo”, che era invece uno strumento di animazione e di apostolato. P. Dante non protestò né fece notare che con il suo violino conquistava i giovani attratti dalla bella musica e dal bel canto. Obbedì e lo chiuse nell'armadio.

Solo quando fu incaricato della schola cantorum della cattedrale (nel frattempo quel superiore aveva lasciato il posto ad altri più aperti), P. Dante riprese in mano il suo strumento per usarlo a gloria di Dio e per la delizia delle orecchie dei confratelli e dei giovani.

I trasferimenti

Anche i trasferimenti per incarichi speciali nell’Istituto costituirono altrettante croci per P. Dante. Dal 1962 al 1968 fu padre maestro dei novizi del Messico; dal 1975 al 1976 fu incaricato del seminario di Guadalajara; dal 1976 al 1979 fu promotore vocazionale a Madrid, in Spagna; dal 1986 al 1988 andò a Lima, in Perù, come formatore degli studenti Comboniani di teologia. Quello scolasticato era stato aperto poco prima, nel 1985.

Se questi ruoli ci dicono la stima che i superiori avevano di lui, dalle sue lettere traspare la sofferenza che egli doveva affrontare nell'assumerli. Ma tutti i suoi ragionamenti finiscono con espressioni di fede e di adesione alla volontà del Signore che gli si manifestava attraverso l'obbedienza. Il suo rammarico per incarichi di così alta responsabilità erano frutto della sua umiltà. Non si sentiva all'altezza, gli pareva di non essere in grado di capire la mentalità dei nuovi candidati al sacerdozio, aveva paura di non farcela o di essere dannoso per l’Istituto... Insomma si sentiva sopraffatto dal lavoro di formatore.

Di fronte all'insistenza dei superiori accettava dichiarandosi, però, disposto a lasciare l'incarico appena avessero trovato un altro. Egli amava la vita parrocchiale o quella di missionario di frontiera.

Gli restò per tutta la vita nel cuore la nostalgia "... per l'apostolato tra gli ammalati e la gioventù... le passeggiate nei ranchos per visitare le comunità più lontane... È suggestivo andare a cavallo in quei grandi deserti dove anche il silenzio - specialmente il silenzio e di notte - assume toni e profondità sconosciute altrove", scrisse in una lettera.

In Bassa California fu anche primo consigliere del superiore provinciale. A lui, al suo consiglio, facevano appello i confratelli che avevano qualche difficoltà, sicuri di trovare uno che li sapeva ascoltare e ben indirizzare.

I suoi periodi come parroco furono i più gratificanti. Li ricordiamo: 1969-1975 parroco a Ciudad Constitución; 1979-1985 parroco a San José del Cabo; 1988-1990 parroco ad Arequipa Espiritu Santo (in Perù); 1990-1992 addetto al ministero a Guerrero Negro (Bassa California).

"Mi pare che, facendo il formatore di futuri missionari, si siano allontanati da me quell'ottimismo, quell'allegria che mi hanno sempre accompagnato e che mi hanno dato forza di iniziativa... Avrei qui sulle dita dei nomi di confratelli che sono certamente più capaci di me per simili compiti, ma è puerile pretendere di insegnare qualcosa a un Consiglio Generale, perciò obbedisco e che il Signore mi aiuti". Intanto vediamo che cosa dicevano i superiori di lui: "Religioso di ottimo spirito, docile e zelante" (P. Albertini).

"Calmo e sereno, P. Bronzato edifica tutti per la sua pietà, obbedienza e carità. Nessuno ha da dire qualcosa su di lui. È un vero apostolo della gioventù" (P. Marigo).

"Di buono spirito e di belle qualità riesce a fare tante belle cose a gloria del Signore” (P. Pizzioli).

"È stimato da tutti, sia dagli interni come dagli esterni" (P. Patroni).

La testimonianza di mons. Giordani

Un paragrafo a parte merita la testimonianza di mons. Giovanni Giordani che ci dà un identikit di P. Dante e accenna anche alla malattia che stava per colpirlo:

"Il suo carattere faceto e semplice nello stesso tempo era la calamita che attirava a sé, meglio, al buon Dio, tutti quelli con i quali veniva in contatto, non esclusi i massoni che avevano ed hanno ancora la loro loggia a fianco della cattedrale. Aveva in mano la gioventù dalla quale seppe estrarre solidi gruppi di azione cattolica.

Buon conoscitore di musica, coadiuvato da un ottimo giovane competente in materia, ha dato vita alla Schola Cantorum Pio XI che, senza esagerazioni, avrebbe fatto bella figura in cattedrali molto più importanti della nostra di La Paz.

L'ultima esibizione di questa Schola Cantorum è avvenuta proprio il giorno dopo che era arrivata la notizia della sua morte, con l’esecuzione, in Cattedrale, della Messa a due voci del Perosi, celebrata dal nostro vescovo Raphael Levis.

I tre lustri passati qui a La Paz rappresentano indubbiamente il periodo d'oro della sua attività missionaria. Ne passò un paio d'altri, di ritorno da Mexico-city, dalla Spagna e dal Perù dove era stato inviato per fare il formatore. Però non era più il Dante di prima perché la memoria cominciava a fargli difetto. Un po’, veramente, faceva cilecca anche prima per cui egli diceva scherzando: 'Tre cose chiedo al Signore: non perdere le chiavi, non lasciare in giro il breviario e non smarrire la strada del Cielo'.

Posso assicurare che se, qualche volta, per le prime due gli è capitato, la terza non l'ha certamente smarrita. Sul pinnacolo della facciata della parrocchiale di Lourdes, a Ciudad Constitucion, c'è una statua dell'Immacolata in cemento bianco. Ho ancora sotto gli occhi l'artista Dante quando, coadiuvato da un altro missionario, le stava dando gli ultimi ritocchi sotto una tettoia della casa parrocchiale e le parlava come fosse una persona viva. La Madonna! Gliel'ha insegnata lei la strada del Cielo!".

La salita al calvario

Già al ritorno da Lima, dove aveva particolarmente sofferto a causa di problemi inerenti a quella missione e per il terrorismo dilagante, si manifestarono i primi segni del morbo di Alzheimer che gli fu confermato a Città del Messico dove era andato a farsi vedere.

Tuttavia riuscì a coprire l'incarico di parroco ad Arequipa (1988-1990) ma, dopo due anni, si rese conto che non ce la faceva più: le dimenticanze erano troppo frequenti. Con molta umiltà, allora, chiese al Superiore Generale di essere lasciato a "tappare un buco" in Messico o in Italia. Fu destinato a Guerrero Negro, nella sua Bassa California dove lavorò nella pastorale come semplice coadiutore. E volle rimanere al suo posto, rendendosi utile come meglio poteva e assaporando la croce che sentiva pesargli sulle spalle ogni giorno di più.

Un giorno, mentre sedeva di fronte all'oceano insieme a P. Salvatore Bragantini, cominciò a parlare della sua vita, della sua infanzia, delle gioie che gli aveva dato la vocazione missionaria. Poi, dopo un buon tratto di silenzio, disse: "Sento che sono alla fine ormai. Eppure non mi pare di essere vecchio. Ma accetto ciò che il Signore mi manda, anzi lo ringrazio di tutti i doni che mi ha elargiti anche se non ne ero degno". Tacque ancora un po', quindi riprese: "Eppure il pensiero della morte non mi fa paura, anzi mi infonde un senso di pace. Ho la sensazione di aver vissuto abbastanza". Quindi, quasi parlando a se stesso: "Il Signore è buono ed è un amico. Per questo ci vuole con lui". P. Bragantini non dimenticò più quelle parole che, ogni volta che gli tornano alla mente, gli fanno bene al cuore.

Definitivamente in Italia

Nel 1992 dovette abbandonare anche Guerrero Negro e rientrare in Italia dove poteva ricevere maggiore assistenza. Rimase qualche tempo a Limone sul Garda, presso la casa natale del Fondatore per il quale aveva una grande devozione. Forse sperava che gli restituisse la memoria per poter tornare nel suo Messico. A Limone, invece, poté meditare, ancora una volta, sull'amore alla croce che tanto stava a cuore a Comboni.

In seguito passò a Rebbio di Como insieme al suo vecchio amico di missione P. Villotti al quale era legato da sincera amicizia. Il peggioramento fisico e psichico, ormai inarrestabile, costrinse i superiori a trasferirlo a Verona nel reparto infermeria. Vi rimase due anni e mezzo.

I sanitari hanno fatto il possibile per procurargli un ricupero di salute, ma i farmaci per quella malattia sono pochi e di scarsa efficacia. Quando il morbo si accentuò, due sue nipoti e i fratelli offrirono il loro aiuto. Merita un giusto elogio Donatella che non ha risparmiato sacrifici per essergli vicino nel suo lungo soffrire e nella solitudine che la malattia gli procurava.

Nella sofferenza, pur tra i rari sprazzi di lucidità, emergeva tutta la gentilezza di cui era pieno il suo cuore. Si sforzava di sorridere e riusciva solo a dire grazie, grazie. Uomo di carattere ilare ed ottimista, come seppe entusiasmare i giovani durante il suo apostolato, così riuscì a spandere gioia e serenità anche al secondo piano di Casa Madre, almeno finché gli fu possibile.

Scrive Fr. Zabeo: "Si è preparato alla vecchiaia e alla malattia, che lo ha accompagnato per oltre 10 anni, con grande fede e una piena adesione alla volontà del Signore. Non si è mai lamentato, neanche quando la lunga degenza a letto lo aveva ormai consumato nel fisico e gli faceva toccare ogni giorno di più la sua povertà".

Il primo gennaio 1997, festa della Madre di Dio e primo giorno dell'anno centenario della morte di Santa Teresina del Bambino Gesù, il cui cammino di "infanzia spirituale" è stato quello di P. Dante, alle ore 14,45 si è spento serenamente come una lampada che ha consumato tutto il suo olio. Dopo il funerale in Casa Madre è stato inumato nel cimitero monumentale di Verona, sezione Giardini.

Di lui ci resta il ricordo di un confratello sempre contento, sereno, capace di ispirare fiducia e ottimismo, pienamente realizzato nella sua vocazione missionaria che ha amato davvero.

Durante un periodo molto difficile della sua vita, in Perù, aveva delineato il suo ideale missionario con queste parole: "La perfetta letizia comboniana consiste nel godere della sofferenza per il Regno di Dio tra i più poveri e abbandonati".   

P. Lorenzo Gaiga, mccj

Da Mccj Bulletin n. 197, ottobre 1997, pp. 45-53

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Dante was the last of six children, of whom three died in infancy. It was a good Catholic family: the father, Giuseppe, cultivated some rented fields, and also ran the agricultural cooperative that the local Count had rented to the parish. Aristea (Gazzani), his wife, was a "home-maker", but spent much of her time in the fields, taking the children with her.

In common with many children of that period, their time outside the home was spent at church, with the space in front of it as a playground. A lot of the lads became active altar servers and did very well in school: Dante's report cards and the success in life of others are a proof.

However, Dante's primary education was rather out of the ordinary: the first two years were at Pellegrina, the third at Caldiero, the fourth at Belfiore and the fifth at Soave (where the PP would take him in his pony and trap).

There is a scrap of paper dated 24 August 1932 - when he was 12 - that tells us what triggered his missionary vocation: "The idea to go the missions came after I had read a missionary book".

Comboni Missionaries visited Pellegrina often, so there was plenty of literature and living examples around. But because of this early "call", Dante did not enter the Mazza Institute like his two elder brothers, Corrado and Artemio. Both of them did well: the first became a lawyer and the other a professor.

"He got a good help forward," says Artemio, "from Fr. Dionisio, a friar at the shrine of Our Lady of Frassino. He came to preach a parish mission, and was welcomed at the station by a great crowd of cheering people!"

Dante was not one who was satisfied by an idea: he wanted to put it into practice at once. So one day, his mother noticed that he had disappeared. Where could he be? Maybe he had fallen into a ditch or something. A search started, and finally he was spotted walking steadily along the road to Verona.

"Where are you off to, all by yourself?"

"I'm going to Africa to be a missionary."

His relieved mother assured him that he would be a missionary, but not like that: he had to take some things with him... It reminds us that St. Theresa of Avila did something similar, when she went off to convert the Moors.

The fact is that when the school year opened in 1932, Dante was in the junior seminary in Padova, and after middle school he went on to Brescia. Then at the age of 17 he left for the Novitiate in Venegono Superiore. Here he made his First Vows on 7 October 1939.

A young man of infective serenity

The reports of superiors throughout his formation testify to a young man who was serene, satisfied with what he was doing. One who "tries hard to fit in with his companions and their different viewpoints". This is what Fr. Todesco, the Novice master said: it shows Dante as a `community man'. It also explains why confreres were happy to be in community with him, since they could share his serenity and optimism, and the distension he spread around him: not passively, but through his character, his subtle humour, his manner. Fr. Canonici, who was with him in Mexico, illustrates this: "Fr. Dante made people feel `safe'; he was able to take the heat out of even the most difficult situations".

His commitment to his spiritual progress was always serious: "He still has his first fervour, and is working generously and making great progress," wrote the Novice Master, adding: "his spirit of faith, prayer obedience and submissiveness is quite good. Character: calm, adaptable, sincere. Very intelligent, with common sense and a good sense of responsibility".

His letters asking to be admitted to First Profession and later to Perpetual Vows show the characteristics marked in this judgement. The Superior General noted on his final application: "Bronzato shows good signs of becoming a very good missionary, because of the religious spirit that guides him and his good qualities".

A "wizard" with children

A young man with such qualities rightly ends up in the formation of junior seminarians. After a year in Verona following his first Profession (October 1939 - January 1941) he was sent to Rebbio (Como) as "Brother Assistant". He remained until 1943. Then from September 1943 until August 1947 he did the same at Crema; but following his ordination on 26 May 1945 by Bishop Francesco M. Franco, he added the tasks of teacher and  recruiter (vocation promoter). For the following three years (until 1950), he was teacher and Assistant at Carraia, another of our junior seminaries.

Why so many years with boys? The fact is, he left a deep impression. I remember boys from Carraia moving into the higher classes in Brescia in 1951: they were full of him! He would spend a lot of time with them, listening - and showing he was paying attention - helping them solve their problems. In other words he was a friend they could trust and turn to freely, knowing he would be welcoming, understanding, supportive.

He never expressed tiredness - and even less, boredom - with his work. He was a good organiser of activities, recreation, theatrical performances - so much so that even the life of poverty at Carraia (and they were very poor) seemed idyllic.

He made correcting faults an art. The first principle was to try to prevent them, but the cure had to convince the lad that his behaviour was wrong, without offending or humiliating him, or even handing out punishments. One of the boys once said: "It is impossible to be bad with Fr. Dante!"

Fr. Faustino Bertolazzi, who had been one of his boys at Crema, said this at the funeral: "I remember Fr. Dante, and how well he played the violin. He used to entertain us, and he would get us to sing, filling us with enthusiasm for our missionary vocation. He was a real wizard with us boys. I can say honestly that if I love my missionary vocation, I owe a lot of it to him. And I can say the same of a lot of my companions, who are now missionaries around the world".

Sunny California

On 2 September 1950 Fr Dante was part of a group that reached La Paz in Lower California. The city, with a population of 25,000 at the time, was surrounded by a trackless desert. There was a single "road" connecting it to the rest of the country: an interminable and dangerous route. Electricity was supplied by a single generator, that provided a few hours of yellowish light each evening. The telegraph wire strung on poles was often broken by stray animals. Post took a month to arrive, when it didn't get lost on the way. The rare airplanes that arrived were all war-residue veterans; but they could land on dirt tracks!

Today the population is ten times as great, and there is an airport and a motorway, that have made the town a tourist centre for people with lots of money in search of excitement.

The first 9 Comboni Missionaries had arrived two years previously as professors of Agronomy (since the secular Constitution, and the Freemasons that upheld it, did not admit clerics). There was one old diocesan priest in the whole area. Our missionaries, coming like dew from heaven, had already been able to achieve much. Fr. Dante was thrown in at the deep end: curate, and in charge of the Youth Catholic Action of La Paz. But it was a mission that suited him perfectly. His companion, Fr. Becchio, observed: "Fr Dante brought a large number of souls to God!"

Using his particular gifts, Fr. Dante set about organising the youth, getting them seriously involved in prayer and Church activities. The engine that drove them was meditation on the Word of God using the Scriptures: Bible prayer groups, not much in vogue at the time... He also organised two pilgrimages to Ticuana, where the Bishop resided, for Catholic Action Meetings. It was a journey of 2000 kilometres, using whatever means were available, with the burning sun, the wind and the grit to contend with. A great sacrifice for the young people, and for their animator, too!

From among those young people, led rather than driven by Fr Dante, have come outstanding people in culture and in local and even national politics. So it is not surprising that the Freemasons tried to hinder his work as much as possible. But he, with his characteristic goodness, had converts from among them, too. He even managed to convince the Regional Inspector to give permission for a Catholic college to open in the parish; it was the first Catholic school in Baja California to be given government recognition. And the poor Inspector was eliminated by his people during a dinner.

Fr. Ottavio Raimondo writes: "When I arrived at San José del Cabo in 1979, one of the first I saw was Fr. Dante Bronzato. He welcomed me like an old friend, though we had never met before. And he told me:  It did not take me long to realise how right he was".

From time to time confreres would hear him humming a song that began: "California baciata dal sol" (California, kissed by the son). Nevertheless, life was not easy.

Shadow of the Cross

Fr. Dante had some particular troubles in his missionary life. Apart from the common ones: tiring journeys on the back of a mule, heat, dust and thirst, danger from the Freemasons (Fr. Corsini was killed by them, because too outspoken), he had to put up with short-sighted superiors too. One, who did not think much of young people, told him to get rid of his beloved violin, as a waste of time. He did not realise that it was an instrument of apostolate and animation. The father said nothing, did not try to explain: he simply put the violin in a cupboard. When the superior had moved on, and he himself had been asked to take over the cathedral choir, Fr. Dante was able to bring it out again and use it to give glory to God and to please others.

Assignments

Being transferred for special assignments in the Institute also brought crosses. From 1962-68 he was Novice Master in Mexico; from 1975-6 he was made Rector of the junior seminary in Guadalajara, then moved to Spain (1976-79) for vocations promotion. In 1986 he was sent to Lima as formator in the new scholasticate (opened in 1985). Though the appointments show that the superiors valued him, his letters reveal how much it cost him to obey. However, he always ends his reasoning with an act of faith and of obedience to the Lord's will, manifested in the orders of the superiors. And a lot of the pain came from his humility. He did not feel he was fit for the task, or in tune with the young scholastics; he feared he might harm the Institute. Being a formator weighed on him very heavily; but he accepted - at least until someone better could be found. The fact is that he was much more at home in a parish or a frontier mission.

His heart was full of yearning "... for the apostolate among the sick and the young... the trips to the ranches to visit the outlying communities... It is so impressive, riding on horseback in those vasts deserts, where even the silence - especially at night - takes on tones and depth that are unknown elsewhere".

In Baja California he was also "First Councillor" to the Regional Superior. Many turned to him for advice, knowing they would get a sympathetic hearing and reply. But his happiest times were when he was Parish Priest: Ciudad Constitucion (1969-75), San José del Cabo (1979-85), Arequipa Espiritu Santo (in Peru, 1988-90). And from 1990-92 he was in pastoral work in Guerrero Negro (Baja California).

"I think that, as a formator of future missionaries, I have lost the optimism and joy that kept me going and gave me initiative... I can think of several confreres with more ability than me for these tasks, but it is childish to imagine I can teach the General Council something. So I obey, and may the Lord help me!"

However, the Superiors saw him differently: "A religious with a great spirit, docile and zealous" (Fr. Albertini). "Calm and serene, Fr. Bronzato is a good example to all by his devotion, obedience and charity. Nobody has an ill word for him. He is a true apostle of young people" (Fr. Marigo). And so on.

Mgr. Giordani's view

The "identikit" drawn up by Mgr. Giovanni Giordani deserves a separate mention:

"A facetious and simple character, he drew people to himself like a magnet - or rather, drew all those who met him to God, including the Freemasons who had, and still do, their lodge right next to the cathedral.

He had great influence over young people, and was able to build up solid Catholic Action groups.

He was a good musician, and with a qualified assistant he was able to build up the choir, the "Schola Cantorum Pio XI", that would have been acceptable in much more important cathedrals than ours at La Paz. Its most recent performance came the day after we received news of his death: the Perosi Mass for two voices in the Cathedral.

His 15 years in La Paz were, without doubt, the golden years of his missionary activity. He was here a couple of other times, when he returned from Mexico, then from Spain and lastly from Peru. But he was not the old Dante: his memory was starting to go. Well, it was going even earlier, because he used to joke:

Certainly, the first two happened to him more than once, but not the third. There is a statue of Mary Immaculate on the pinnacle of the facade of the parish church in Ciudad Constitucion, It is in white cement, and I can still see Fr. Dante putting the last touches to it, and talking to it as though to a living person. I'm sure Our Lady showed him the way to Heaven!"

Ascent of Calvary

When he returned from Peru, he already had the signs of Alzheimer's disease, which was confirmed in Mexico City when he went for tests. He did manage two years as PP at Arequipa, but when his memory began to betray him too often, he humbly asked to be allowed to "fill a gap" in Mexico or Italy. He was sent to Guerrero Negro, in his beloved Baja California, as a curate. Here he could make himself as useful as possible, and learn to know the Cross that weighed more heavily every day.

One day, as he sat looking out over the Ocean with Fr. Bragantini, he reminisced over his life, his childhood, the joy he had found in his missionary vocation. After a long silence, he said: "I feel I don't have long. But I do not feel old. I accept what the Lord sends, and indeed I thank him for all the gifts he has granted me, even though I was unworthy": Again a silence, then he added: "I'm not afraid of the thought of death; it gives me a sense of peace. I feel I have lived long enough". Then, almost talking to himself: "The Lord is good, and is a friend. That is why he want us with him." Fr. Bragantini has always felt comforted himself by these words.

Back home for good

In 1992 he had to leave even Guerrero Negro and return to Italy where he could be closer to treatment. He spent some time in Limone; there he could reflect on the Cross that was so important in Comboni's life. Then he went on to Rebbio, where he found his old companion Fr. Villotti. But the steady worsening of his condition made it necessary to move him into the CAA in Verona, where he lived on for another two and a half years. As he got worse, two nieces and his brothers offered to help with him. Donatella especially deserves praise, because of all she did.

Even in his illness, in the rare periods of lucidity, his gentleness came through. He tried to smile, and say "Thank you". As Bro. Zabeo writes: "He prepared for his old age and the long 10 years of illness that came with it, with great faith and acceptance of God's will. He never complained, even when wasted away physically by being bed-ridden."

On 1st January 1997, Feast of the Mother of God and first day of the centenary year of the death of St. Thérèse of the Child Jesus, whose "Little Way" he had followed, he died at 14:45, like a lamp finally burning out. After the Requiem in the Mother House, he was buried in the Giardini section of the cemetery in Verona.

He leaves us a missionary ideal, which he wrote out during a particularly difficult time in Peru: "Perfect joy for a Comboni Missionary is to rejoice in suffering for the Kingdom of God, among the poorest and most abandoned."