In Pace Christi

Zanotto Giovanni

Zanotto Giovanni
Geburtsdatum : 16/04/1930
Geburtsort : Povegliano (VR)/I
Zeitliche Gelübde : 09/09/1949
Ewige Gelübde : 09/09/1955
Datum der Priesterweihe : 26/05/1956
Todesdatum : 08/11/1998
Todesort : Povegliano (VR)/I

La vicenda umana di p. Giovanni Zanotto è chiusa in 68 anni di vita di cui 42 di sacerdozio. Di questi, 30 sono stati spesi in Brasile, 12 in Italia e quasi tutti dedicati all'animazione vocazionale.

Figlio di Angelo, campanaro del paese, e di Imelde Baciga, casalinga, proveniva da una famiglia profondamente cristiana e numerosa (sei fratelli e tre sorelle). Giovanni era un ragazzino esuberante e sempre in vena di combinarne qualcuna. Scherzosamente diceva che il suo primo campo da gioco è stato la navata della chiesa del paese anche se, con papà Angelo sempre presente e che ogni momento era lì a ricordare la presenza di Gesù eucaristia, c'era poco da correre e da saltare.

Al termine delle elementari (1941) Giovanni incontrò un missionario che era andato a Povegliano per parlare ai ragazzi di Africa e di missioni. Il giovinetto si sentì attratto dalla vita missionaria e chiese di entrare in Istituto. Il suo parroco, don Luigi Bonfante, assicurò che un ragazzino così, sarebbe di sicuro diventato un bravo missionario. Dopo di lui, anche i fratelli Agostino e Luigi percorreranno la stessa strada, mentre una sorella, sr. Anastasia diventerà suora comboniana e un'altra si chiuderà in clausura a pregare per i quattro in prima linea. Una famiglia, quella di Angelo campanar, veramente eccezionale e benedetta da Dio.

Una vocazione tribolata

Terminata la quinta elementare, Giovanni andò a Padova per le medie e poi a Brescia per il ginnasio. In realtà, a causa della guerra e del pericolo dei bombardamenti sulla città, i ragazzi furono mandati a Crema. Non è che a Crema la situazione fosse migliore. In una lettera del superiore ai genitori di Giovanni, in data 1 dicembre 1944, è detto: "Per la condotta Giovanni fa abbastanza bene anche se è ancora un po' bambino ma ha un animo generoso e sincero. È molto contento di trovarsi qui. Per gli studi mette impegno e diligenza. Per i bombardamenti finora siamo stati abbastanza tranquilli: tutte le volte che sono venuti, hanno cercato di colpire il ponte della ferrovia che dista tre chilometri da casa nostra". Un mese dopo il superiore scriveva: "Il ponte è stato abbattuto. Speriamo che non ci disturbino più con i bombardamenti" . Bombardamenti, cibo razionato, costituzione sana ma gracile, Giovanni finì per prendersi un serio esaurimento che gli causava forti dolori di testa. Nell'aprile del 1946 il superiore scriveva ai genitori di Giovanni: "Il vostro ragazzo deve tornare di nuovo in famiglia per rimettersi dal suo esaurimento. Siamo persuasi che abbia bisogno di un prolungato riposo. Non potendo superare gli esami di quinta ginnasio, gli abbiamo suggerito di ripetere l'anno. È un sacrificio per lui e per noi, ma è per il bene del giovane". Giovanni perse l'anno e poi tornò in seminario. Prima di entrare in noviziato, nel 1947, era nuovamente in famiglia col suo mal di testa. Papà Angelo, questa volta, pensava che Giovanni non sarebbe più tornato in seminario. Lo deduciamo da una lettera del figlio in data 2 giugno 1947: "Il papà mi ha dato una certa impressione ... è andato con la mamma a comperarmi un vestito nuovo, forse pensa che io non debba più tornare nel mio Istituto ... ". Invece affrontò gli esami, fu promosso e così il 21 ottobre del 1947 poté partire per il noviziato di Firenze.

Verso il sacerdozio

Era maestro dei novizi p. Giovanni Audisio. "Ho riscontrato un notevole miglioramento nella vita di Giovanni. Nei primi mesi sopportava un po' a fatica la disciplina religiosa e tutte quelle piccole cose che costituiscono la vita del noviziato. Nello studio riesce bene e mostra di avere buon criterio. Gli piace ridere e scherzare anche quando bisognerebbe far silenzio, però è disposto a obbedire anche quando gli costa. Se persevera potrà riuscire un buon missionario" . Dopo due anni di lavoro spirituale il maestro scrisse: "Ha fatto un buon cammino con notevole profitto tanto da far scomparire qualche dubbio che l'anno scorso si poteva avere su di lui. Ha una pietà superiore a quella che comporterebbe il suo carattere. È generoso, allegro, sereno. Ama la vocazione ed è tutto proteso per corrispondervi nel modo migliore". Emise i primi Voti il 9 settembre 1949, poi passò a Rebbio (1949-1951) per terminare il liceo.

Formatore di futuri missionari

C'era da aspettarsela: un giovane esuberante e allegro come Giovanni, non poteva che essere mandato tra i ragazzi di un seminario missionario. E fu inviato a Padova. Contemporaneamente frequentava la teologia presso il seminario diocesano. Un lavoro piuttosto impegnativo per uno che soffriva spesso di mal di testa. Tuttavia Giovanni si mostrò sempre sereno, allegro e disponibile con i seminaristi. Alla sera tardi, quando finalmente riusciva a mettersi a letto dopo aver studiato la lezione del giorno seguente, era sfinito. E al mattino, su presto per le pratiche di pietà e per un ultima ripassata alle materie scolastiche. Si dimostrò un mago nell'organizzare commedie, operette e intrattenimenti con i ragazzi. Nei giorni riservati alle passeggiate, ne approfittava per far visitare i monumenti e le chiese di Padova. Divertirsi istruendo o istruire divertendo, soleva dire. E ci riusciva. I suoi alunni hanno conservato un grato ricordo di lui perché avevano la sensazione di essere seguiti ed amati. Rimase a Padova dal 1951 al 1954. È interessante la lettera che scrisse nel 1951 per la rinnovazione dei Voti, perché denota il tipo, estremamente sincero e un po' spregiudicato: "Riconosco che la mia condotta, quest'anno, è stata peggiore dello scorso anno. Sono partito da Rebbio con un vero senso di apprensione per il giudizio che i superiori formulavano su di me. Riconosco il mio comportamento errato e perciò sono pronto a ricevere volentieri qualsiasi castigo. Ma il desiderio di proseguire non mi è mai venuto meno. Alla vocazione sento di essere attaccato più che mai... Le chiedo scusa se con la mia condotta e la mia mancata santità ho rallentato il lavoro di salvezza delle anime ... ". Stando al giudizio del superiore, p. Angelo Giacomelli, si deve concludere che Giovanni era parecchio pessimista nel giudicare se stesso: "È un giovane di buona volontà che si impegna seriamente. È molto impressionabile e soffre sempre di mal di testa ma non si lamenta e lo sopporta con pazienza. Ama la preghiera, è aperto con i superiori, docile e di buona compagnia con i confratelli. Con i ragazzi ci sa veramente fare. Per il terzo e quarto corso teologico (1954-1956) andò a Venegono Superiore unendosi ai suoi compagni. Ordinato sacerdote il 26 maggio 1956 a Milano dal card. Montini, Giovanni fu destinato a Pesaro come formatore dei seminaristi di quel seminario missionario minore. Dimostrò di aver la stoffa per quel lavoro (come, del resto, ne aveva dato prova a Padova) per cui, nel 1958, fu inviato a Brescia per lo stesso ministero con i ragazzi più grandi, quelli del ginnasio. Qui confermò il suo destino: stare con i ragazzi per aiutarli a diventare buoni sacerdoti.

In Brasile

Nel 1959 poté finalmente realizzare il suo sogno missionario. Non gli fu concesso di andare in Africa, come avrebbe desiderato, ma fu dirottato in Brasile Sud perché là cominciava la formazione dei futuri sacerdoti. E p. Giovanni doveva ancora essere formatore. Dal 1959 al 1963 fu nel seminario di Ibiraçu. Non solo doveva assistere i seminaristi, ma doveva dedicarsi all'animazione vocazionale e a quella missionaria in genere. Dal 1963 al 1964 fu ancora formatore nel seminario minore di São Mateus. Ma la nostalgia per l'Africa, di tanto in tanto, faceva capolino nel suo cuore. Il 3 giugno del 1963, scrivendo al p. generale (Briani) lo ringraziava per aver accettato che i Comboniani lavorassero nel Congo e poi .. . si offriva per quella missione. "Ricorda che nel 1949, durante il noviziato, mi ha detto: 'Ti manderò nel Bahr el Ghazal perché sei matto'. Guardi che se questo Bahr si è spostato nel Congo, io sono sempre pronto. Quella benedetta Africa che mi ha fatto sognare da piccolo, è sempre lì davanti agli occhi anche se pure il Brasile è bello". Dal 1964 fino al 1968 fu superiore e parroco a Sao Gabriel da Palha. Qui mise mano alla costruzione del seminario comboniano, un lavoro che lo impegnò a fondo e gli bruciò parecchie energie ma che gli diede tanta gioia. Scrivendo al p. Generale nel 1967, dopo aver ricordato la "polenta e osei brasiliana" dell'anno prima, aggiunge: "Siamo un'allegra brigata tra padri, fratelli e ragazzi. Ci sentiamo una famiglia anche se, qualche volta, può levarsi qualche nuvola che è subito dissipata. I ragazzi sono 74 di cui 15 semi-interni essendo della città. Penso che per Natale il seminario sia ultimato in tutte le sue parti". Allo scadere del suo turno di superiore, rientrò in Italia per riposarsi e per ... fare il promotore vocazionale a Verona. Vi rimase dal 1968 al 1971. Come tutti sanno, questo fu il periodo più difficile e critico per la società italiana, e anche per quella mondiale, per via della contestazione giovanile. P. Giovanni dovette armarsi di pazienza per instaurare un dialogo costruttivo con i giovani che accostava e che si radunavano più per protestare contro tutto e contro tutti che per discernere la loro vocazione. Il Padre cercò di fare del suo meglio, ma, come ebbe a dire ad un amico, quel ministero tra i giovani gli faceva venire ogni giorno di più la voglia di tornare in Brasile. Nel 1968 si iscrisse all'Istituto Triveneto di Pastorale del Mondo del Lavoro, diretto da don Michele Paglialunga. Per uno che era stato in Brasile, e che doveva ritornarci, una specializzazione in Sociologia, storia del movimento operaio, Etica sociale ed economica, Economia e Organizzazione Aziendale poteva andare bene. Conseguì il diploma a pieni voti. Nel 1971 ripartì per il Brasile. Un suo grosso impegno fu quello di fondare la rivista comboniana Sem Fronteiras che seguirà sempre, fino agli ultimi giorni della sua vita. Contemporaneamente fu formatore in seminario, prima quello di Nova Venecia (1974- 1976) e poi, quello di Belo Horizonte. Nello stesso tempo frequentava la vicina Università per essere abilitato all'insegnamento. In una lettera del 25 marzo 1976 scrisse: "Siamo in un gruppetto di 6 persone, in una casetta di metri 6 per 9, felici della nostra semplicità e povertà, solo con il programma di volerci bene a tutti i costi. Vicinissimi all'Università, è facile frequentare le lezioni e abbiamo più tempo per lo studio e per vivere insieme. Facciamo tutto da noi: preparare il cibo, fare la pulizia della casa, lavare la biancheria, ecc. Le spese della facoltà sono fortissime e pesanti, ma noi cerchiamo di risparmiare il più possibile" . Nel 1976 cominciò a frequentare il gruppo dei Focolarini, trovando in esso motivazioni personali di un maggior impegno, e uno strumento valido di evangelizzazione per la gente.

Missionario nella bufera

La voglia di lasciare il chiuso del seminario per darsi all' apostolato diretto tra la gente, era grande. Congratulandosi per la rielezione di p. Agostani a Generale nel 1975, disse: "personalmente pongo nelle sue mani la mia umile obbedienza con il rinnovato proposito di servire la congregazione dove, quanto e come mi sarà indicato da lei direttamente o dai suoi rappresentanti, sperando di poter anch'io gustare la gioia del ministero tra la gente. Spero di non darle grattacapi e se dovesse succedere, voglio ritornare a lei con semplicità di figlio pentito per sentire il suo perdono e la sua comprensione come padre buono". Ebbe il ministero tra la gente e anche i grattacapi. Dal 1980 al 1983 fu parroco a Pimenta Bueno dove si scontrò con le note ingiustizie dei potenti nei confronti dei poveri, dei contadini, dei senza terra. P. Giovanni non poteva restare indifferente o limitarsi a parole consolatorie con questa povera gente. Come il suo patrono Giovanni Battista, cominciò a parlare, a disturbare le autorità chiedendo giustizia. La pastorale rurale, nella quale era specializzato, era il suo forte. In data 17 settembre 1980 scriveva al fratello p. Agostino: "lo qui non ho libri di teologia da scrivere ma ... romanzi alla Peppone e don Camillo. Le cose in città sono come sulle rive del Po: sindaco e governo contro parroco e popolo. La cosa fa notizia perché prima c'era la 'Santa Alleanza' tra spada e croce. Ora invece c'è stata una scoperta: la croce è piantata nel cuore del popolo. La lotta è cominciata subito nelle prime domeniche con i vendicatori di ventura: gli orticelli di famiglia producevano per la casa e per rivendere di casa in casa. Ma una legge municipale proibiva questa vendita costringendo tutti a fare capo al mercato municipale. Viene la domenica delle Palme e adopero un asinello di un poveretto a portare Gesù in processione (un ragazzino che vendeva palmitos) fino alla porta della chiesa. Quel somarello che non può più portare le verdure, può portare Gesù che libera il popolo dalla schiavitù. Poi cominciano le diatribe per le scuole senza maestre o non pagate da mesi, dei bambini senza medicine, dei prezzi dei beni di prima necessità alle stelle (un chilogrammo di latte in polvere costa come due sacchi di riso prodotto dai contadini). La gente, angariata e oppressa, si appella al parroco. lo faccio la spola tra chiesa e municipio cercando di parlare con il sindaco, di pregare, di convincere, di disturbare ... Poi c'è il ministero. Tutti i giorni visito una o due comunità a 30 - 50 - 60 chilometri e, alla sera dopo cena, dirigo un gruppo di preghiera in parrocchia che conta 15.000 abitanti. .. Mi sono già perduta la mia pancia, ma il più è il logorio della sofferenza di questa gente che ti corrode i tessuti del fegato e ti amareggia l'anima. Anche il governatore ha preso di mira il nostro lavoro con una denuncia pubblica al Ministero della Sanità. Poi è venuto a parlare con me e, per un'ora, gli ho messo davanti tutte le ingiustizie, i soprusi, le sopraffazioni, le oppressioni di cui è vittima la gente, specie i contadini e i mezzadri che muoiono di fame e di ignoranza. E lui, da buon politico, mi ha invitato a colloquiare con lui tutte le volte che passerà di qui. Ma le cose procedono come prima".

Il processo

Ed ecco che il 16 dicembre 1980, p. Bracelli telefonava a Roma da Sao Paulo in questi termini: "P. Giovanni Zanotto è stato ufficialmente accusato e sarà processato in febbraio. La motivazione è per le sue prese di posizione relativamente alla difesa dei lavoratori contro i proprietari terrieri. C'è in corso il processo per l'espulsione, che, però, non sembra immediata. Tutta la Chiesa di Ji-Paranà si è schierata a favore della posizione assunta dal Padre. È chiaro che si tratta di un processo politico. La Provincia fa di tutto per appoggiare il Padre per i suoi gesti profetici". Dai confratelli e anche dai superiori arrivarono al Padre messaggi di solidarietà per la sua azione in difesa dei diritti umani, di congratulazione e di incoraggiamento per la sua azione del resto portata avanti con la massima correttezza e con rispetto, ma con altrettanta decisione secondo le direttive della conferenza di Puebla.

Di nuovo in Italia

La soluzione che p. Giovanni sperava non ebbe luogo per cui, nel 1984, dovette rientrare in Italia. P. Masserdotti lo assicurò che un confratello avrebbe seguito il corso del processo e, quando sarebbe stato il momento di testimoniare, il Padre stesso sarebbe ritornato. Intanto accettò la cosa con spirito di fede, consapevole che aveva agito in difesa dei più poveri e degli sfruttati. Ciò gli era sorgente di serenità e di pace. "Beati i perseguitati per la giustizia ... ". Era proprio il suo caso. Il p. Generale, p. Calvia, gli disse. "Ti sono stato sempre vicino e ti sono vicino in tutte le traversie che hai dovuto sopportare. Ora il tuo entusiasmo e la tua esperienza ti aiuteranno per un buon lavoro in Italia".

In Italia p. Giovanni si dedicò all'animazione vocazionale a Verona (1983-1988) dove era conosciuto e stimato. Dal 1988 al 1989 fu economo nella comunità di Padova, in attesa di ripartire per il Brasile. Nella lettera con la quale il superiore generale lo destinava al Brasile, 10 marzo 1989, leggiamo: "Ciò che hai seminato nelle parrocchie e nei vari gruppi giovanili a Verona e a Padova porterà abbondanti frutti anche in futuro. In Brasile la situazione non è facile, tu lo sai meglio di me, ma con l'aiuto di Dio, e la tenacia del Comboni potrai fare ancora tanto bene. Questo suo ritorno doveva essere "per sempre", almeno nelle sue intenzioni. Per cinque anni, (1989-1994), fu a Ouro Preto d'Oeste come addetto al ministero. Qualcuno volle fare un "regalo" ai missionari, oppure intese lanciare un ammonimento, incendiando la chiesa principale che, "in meno di mezz' ora è stata rasa al suolo". P. Giovanni passò a Nova Venecia dal 1994 al 1997 sempre come addetto al ministero. Nel 1997 gli fu chiesto di diventare superiore a Sao Paulo con il preciso compito di dedicarsi alla diffusione delle riviste missionarie comboniane Sem Fronteiras e Alo Mundo. Il cambiamento gli costò, ma lo fece in spirito di obbedienza. Già dopo qualche mese di lavoro, nonostante i primi sintomi della malattia, era riuscito a creare una fitta rete di amici e simpatizzanti.

L'ultima cena con i suoi

L'aggravarsi della malattia lo costrinse a rientrare in Italia. Un tumore gli aveva invaso i polmoni. Tuttavia, finché gli fu possibile, non smise di interessarsi per trovare fondi onde mandare avanti le riviste brasiliane. Sopportò con umorismo e ottimismo il suo male, arrendendosi solo quando fu il momento della chiamata da parte di Dio. Qualche mese prima della morte, i fratelli Zanotto (compresi i missionari e la suora) si trovarono per "l'ultima cena di addio" nel convento dove abita la sorella claustrale. Pregarono insieme, consumarono il pasto in serenità cristiana, si lasciarono i loro ricordi e poi decisero che, quelli che al momento della morte di Giovanni si fossero trovati sul campo di lavoro, non sarebbero tornati per i funerali, ripromettendo si che si sarebbero ricongiunti in cielo. Suor Maria Anastasia, comboniana, si dedicò totalmente alla cura del fratello che poté così terminare i suoi giorni al paese natale, circondato dall'affetto dei familiari e degli amici. Il suo funerale fu una celebrazione pasquale. Nonostante il clima rigido e la pioggia battente, la grande chiesa di Povegliano era gremita e i sacerdote concelebranti erano un'ottantina. Sulla bara di p. Giovanni, con le insegne sacerdotali, c'era anche la bandiera brasiliana, segno dell'amore che aveva portato a quel popolo. P. Francesco Lenzi, suo compagno di missione e p. Marcello Mencuccini hanno tracciato alcuni aspetti della sua spiritualità e personalità, sottolineando la capacità che p. Giovanni aveva di fare amicizia con la gente, specie con i poveri, la sua carità con tutti, l'allegria che ha sempre ralle- grato la vita comunitaria, l'attaccamento alla sua famiglia e ai suoi fratelli comboniani e sorelle religiose. I cinque, che avevano donato la vita totalmente al Signore, e gli altri rimasti a casa si tenevano collegati con un giornale di pochi fogli ciclostilati, intitolato "VIA AEREA" e stampato e diffuso dai nipoti. Anche il parroco di Povegliano ha dato la sua testimonianza e ha letto una lettera di p. Agostino dal Kenya, che diceva così: "Padre nostro che sei nei cieli accogli la nostra preghiera. lo p. Agostino sono unito a tutta la mia comunità comboniana e diocesana di Marsabit in Kenya per farti questa supplica in occasione del funerale di mio fratello p. Giovanni. Abbiamo accettato con fede la chiamata di p. Giovanni a te. Hai tolto dalla prima fila un altro prezioso operaio come poco tempo fa ci hai tolto in una maniera tragica p. Luigi, ammazzato dai briganti. Tu sai quanto pochi siamo sulle frontiere della Chiesa nelle comunità di missione. Mandaci, ti supplichiamo, altri missionari, dedicati, generosi, pronti a tutto che, come p. Giovanni, sappiano creare comunità nel tuo nome e formino la tua famiglia tra le nostre tribù che continuano ad ammazzarsi senza pietà. Dacci la tua pace". Poi il parroco ha letto le condoglianze da parte del Vescovo di Verona e del suo ausiliare. Seguirono interventi di amici e nipoti. Tutto, insomma, si svolse in un clima di serenità, vorrei dire, di gioia. Alla fine ci fu la benedizione con la reliquia del beato Comboni. Tipo allegro, ottimista, sapeva cavare dai ragazzi il meglio di se stessi per modellarli, plasmarli e indirizzarli ai grandi ideali della vita sacerdotale e missionaria. Il suo segreto: l'amicizia con la quale otteneva ogni cosa. Aveva adottato in pieno il metodo di Comboni: "A passo lento e sicuro pianterò l'opera ... ". Anch'egli fu costante e paziente nelle sue iniziative sia tra i seminaristi, sia tra i giovani, sia quando si trattò di compromettersi e di rischiare in difesa dei poveri. La sua prematura scomparsa ha lasciato un gran vuoto in tanti che lo hanno conosciuto e stimato. Che dal cielo ottenga alla Congregazione tante buone vocazioni, dato che quello delle vocazioni è stato il carisma principale della sua troppo breve esistenza.       P. Lorenzo Gaiga

Da Mccj Bulletin n. 203, luglio 1999, pp. 87-95

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The 68 years of Fr. Giovanni’s life included 42 years of priesthood, of which 30 were spent in Brazil and 12 in Italy; all of them engaged mainly in vocational promotion.

His parents were Angelo, the bell-ringer of the village, and Imelda Baciga, who had her hands full of the work that a family of six boys and three girls can entail.  Giovanni was very active, and often into mischief.  He used to say that his first playground was the nave in church, though his father would immediately call him to order, reminding him of the Blessed Sacrament and the holiness of the place, so it must have been wishful thinking

As he was finishing elementary school in 1941, he met a missionary who had come to give a talk on the Missions in Africa.  He was immediately attracted by the idea, and applied to enter the Institute, encouraged by the Parish Priest, who vouched for his good qualities.

After him, his brothers Agostino and Luigi set out on the same road, and a sister became the Comboni Sr. Anastasia, while another entered an enclosed order to pray for the four who were “at the front”.  A family truly blessed.

Not an easy vocation

After the primary school, Giovanni went on to Padova and then to the Istituto Comboni in Brescia, in fact, because of the war and the danger of allied bombs, the boys were sent to Crema, but the situation there was not much better than in Brescia. In a letter dated 1st December 1944, the superior wrote to the family that Giovanni was behaving well, and was generous and sincere.  He was happy and studied hard. They were not too worried by the bombs, since the usual target was a railway bridge almost two miles away. A month later he wrote again to say that the bridge had been destroyed, and that they hoped to be left in peace from then on.  But the rationing and the bombing were not doing him any good, and he was thin, despite his healthy constitutions. In the end he had a period of nervous exhaustion, which caused severe headaches.

In April 1946 the superior wrote again, saying they were sending the boy home to rest and recuperate.  He needed a long rest and would have to repeat a year because he had been unable to do the final tests; but it was in his best interests.

Giovanni lost his year, and then returned to the seminary. But when the time to enter the Novitiate approached, he was back at home with his headaches. This time the family seems to have decided that he would not be going back. Giovanni himself wrote that his father had gone out with his mother to buy him a new suit, and it looked as though they were resigned. But he went back and passed his exams, and on 21 October 1947 he entered the Novitiate in Florence.

The Novice Master was Fr. Giovanni Audisio. He noted that, after a rather shaky beginning, Giovanni settled down to the discipline and all the little things that make up the life of the Novitiate. He was doing well in the studies and showed judgement even when it clearly cost him a great effort. At the end of the first year he was judged to be a good prospect.

After two years of hard work on both sides, the Novice Master was able to write that he had made very good progress, and the residual doubts from the previous years had gone.  He was devout – far more than his character might lead one to suppose. Generous cheerful, serene.  “He loves his vocation and is ready to do whatever is needed to correspond with it”.

Giovanni made his first Vows on 9 September 1949, and went to Rebbio to continue his studies for the Priesthood.

Formator of future missionaries

It was only to be expected that a young, ebullient man like Giovanni would end up in a missionary seminary looking after younger candidates. He was sent as “Brother Assistant” to Padova. At the same time he was attending lessons at the diocesan seminary, and his headaches came back under the stress. Nevertheless, he carried on, always serene, cheerful and at hand for the seminarians.  It was often very late when he got to bed after finishing his own studies, and he was often worn out.  Then he had to be up early for prayers and a bit of study before facing the boys again for another day.

He was a wizard at organising plays, operettas and entertainment’s with the boys. When they went out for walks, he would take in one or more of the churches and monuments in the city. He used to say that it was either getting enjoyment while learning or learning while enjoying oneself. And he managed. Many of the boys remember him with fondness and gratitude, because he helped them to get so much out of their time in Padova. Yet he himself was there for just three school years, from 1951 to 1954.

The application letter he wrote in 1951 for the renewal of the vows shows us his character: a very sincere and at times outspoken. In it he wrote: “I am aware that my conduct this year has not been as good as last year’s. I am ready to accept any punishment you decide to give me, but my desire to go on in my vocation has grown stronger”. But his superior, Fr. Angelo Giacomelli, has a higher esteem of him, as he writes: “This is a young man full of good will, and seriously committed. Headache disturbs him daily, but he bears it patiently. He is at home with young people.”

He went to Venegono for the last year of theology and was ordained by Card. Montini on 26 may 1956.  Because of his talents in dealing with young people he was sent to Pesaro and later to Brescia.

To Brazil

In 1959 he could leave for the missions, not to Africa as he would have liked but to Brazil, as they were in need of a formator for the young seminarians at Ibiraçu, where he stayed for 4 years. Then he passed to Sao Mateus in 1963. In 1964 was appointed parish priest at Sao Gabriel da Palha. There he took part in the building of the Comboni seminary; a job which took up much of his energy. Seminarians were about 75.

In 1968 he was back in Italy for a period of rest, but his superiors appointed him vocation promoter in Verona, at a time when dialogue with young people was not easy. He also enrolled at the Triveneto Pastoral Institute, for a better knowledge of work and workers, and was awarded a diploma with top marks.

In 1971 he was back in Brazil, and his first great work was to found the Comboni magazine, Sem Fronteiras, to which he was attached all his life.  Of course he was sent to the seminary of Nova Venecia as formator (1974-1976) and later in Belo Horizonte. He also obtained a diploma in Education at the University, though life there was not easy.

In 1976 he also joined the Focolarini Movement, as he saw in it a good means for personal growth and a valid instrument for the spreading of the Good News.

A Missionary in the storm

In the enclosure of the seminary he was dreaming of the parish, to be among the people. Writing to Fr. Agostoni on the occasion of his election as Fr. General, he adds:” I place all my humble person in your hands, at your disposal, though I would personally like to go among the people for pastoral work.”  He was sent to a parish, and got also the thorns of ministry. From 1980 to 1983 he was parish priest at Pimenta Bueno, where, like a new John Baptist (his patron Saint), he took up the defence of the poor against the rich landowners.  In a letter dated 17 September 1980, he writes; “Here I am not writing books on theology, but staging the old play between Peppone and don Camillo. Here the poor are coming to the parish priest for assistance in their everyday struggle: some vegetables they are selling among themselves, (the law requires they go to the market places, and pay the tax), teachers in schools who are not paid, some essential commodities which cost too much…

On Palm Sunday, we shall use a small donkey, which used to carry the vegetables and a poor boy, Jesus who now comes to free people from their slavery…

Even the Governor has accused us, with a public note to the Ministry of Health; then he came personally to see me, We talked for over an hour, but nothing has changed”.

The trial

Then on 16 October 1980, Fr, Bracelli phoned to Rome from Sao Paolo:” Fr. Zanotto is officially called to court and the trial will be held in February. He is accused of standing on the side of the farmers, and this might lead to his expulsion from Brazil. The Church in Ji-Paranà and the confreres are on his side.”

Back in Italy

Things went on for a long time, and in 1984 he was back in Italy. Fr. Masserdotti assured him that at the time of the trial he would be called back. Meantime he took this with a light heart, aware that he had been fighting for justice.  In Italy, once again he was vocation promoter in Verona (1983-1988) and then Bursar at Padova for one year.  In 1989 he was back in Brazil, and for five years, (1989-1994), he was at Ouro Preto d’Oeste, in pastoral work, then from 1994 to 1997 he went to Nova Venecia. In 1997 he was asked to go to São Paulo as superior and propagandist, trying to spread the Comboni magazines Sem Fronteiras and Alo Mundo.  The change was painful for him, but in a short time he was able to establish a substantial network of friends and sympathisers.  But there he began to feel the first symptoms of his illness.

The last supper with his friends

As the cancer continued to invade his lungs, he was compelled to return to Italy. Nevertheless, as long as he could, he kept on looking for friends and funds for the magazines.

He bore the pain smiling, right up to the end.  Some time before his death, all the Zanotto brothers and sisters gathered together at the Convent where one sister lives. There they prayed together and shared their last supper in great brotherly love. They parted promising one another to meet in heaven. Sr. Maria Anastasia, their Comboni sister, stood at her brother’s bed right up to the end, so that he could spend the last days and die at home among friends and relatives.

The funeral was a Paschal Celebration!  In spite of the freezing weather and the rain, the parish church was packed and over eighty priests were present. On the coffin, besides the priestly vestments, a Brazilian Flag was placed to symbolise his love for that nation, his second home.

His brother, Fr. Agostino, carrying the tradition of having a “family paper” called “ Via Aerea”, sent

A letter from Kenya, with a prayer:” Lord, give us more missionaries like Fr. Giovanni, as we are so few in the front line, to bring the Good News all nations”.

The final blessing was imparted with the relic of Blessed Daniel Comboni.

His motto was “Step by step I will plant the Church”, on the line of Comboni.  The secret of his success was the friendship he had with all people.