Mercoledì 18 dicembre 2024
SSiamo 20 confratelli (tra cui i due animatori), di tredici paesi, e partecipiamo assieme all’Anno Comboniano di Formazione Permanente, offerto dall’Istituto. È per noi una grazia poter partecipare di questo tempo di riflessione, d’accompagnamento e di spiritualità, facendo rilettura di noi stessi, della realtà, del carisma comboniano e della nostra missione al servizio del Regno di Dio. […]

ACFP 2024-2025
Settimana dell’interculturalità

COMUNITÁ INTERCULTURALI AL SERVIZIO DELLA MISSIONE DI DIO

Siamo 20 confratelli (tra cui i due animatori), di tredici paesi, e partecipiamo assieme all’Anno Comboniano di Formazione Permanente, offerto dall’Istituto.

È per noi una grazia poter partecipare di questo tempo di riflessione, d’accompagnamento e di spiritualità, facendo rilettura di noi stessi, della realtà, del carisma comboniano e della nostra missione al servizio del Regno di Dio. Nella settimana sull’interculturalità abbiamo avuto l’opportunità di riflettere su questa realtà a partire dalla nostra esperienza missionaria e dalla stessa nostra realtà multiculturale.

In questi giorni abbiamo percepito quanto vigenti siano ancora dei pregiudizi e stereotipi che marcano le nostre convivenze comunitarie nei paesi dove viviamo (es.: sentimenti di inferiorità, o di supremazia si alcune culture sulle altre, episodi di razzismo o di indebite generalizzazioni nell’ambito della castità, dell’uso dei beni, della gestione del tempo e delle cose). Alcuni pregiudizi li abbiamo superati grazie alla spiritualità, alla maturità degli anni che passano, alla semplice convivenza tra di noi che è accompagnata sempre dalla ricerca di Dio e della sua volontà. Altri pregiudizi ci restano dentro, ci feriscono ancora, li nascondiamo, eppure ogni tanto ritornano e ci allontanano gli uni dagli altri. A volte, quando c’è di mezzo la politica interna all’istituto, oppure l’economia, queste differenze vengono fuori con più forza, a volte più di quanto vorremmo.

Riconosciamo però che tanti aspetti che giudichiamo culturali molte volte sono legati anche al carattere, alla rigidità-elasticità della persona, all’età, alla storia, alle ferite vissute che ognuno porta con sé. Ovvero, non sempre è un tema culturale! In alcuni casi utilizziamo la “scusa della cultura” per evitare il dialogo o il confronto, e ci chiudiamo in un individualismo autoreferenziale.

Ci rallegra vedere tra noi lo sforzo fatto per accogliere il confratello diverso, il ferito, lo stanco o il frustrato. Abbiamo vissuto tutte queste dinamiche comunitarie con grande carità umana e cristiana, e ci hanno fatto delle persone migliori. D’altra parte, siamo sempre in un cammino di crescita verso la santità comunitaria: se vivessimo con serenità e profondità la nostra vocazione, se davvero fosse Gesù Cristo il centro della nostra vita personale e comunitaria, non ci sarebbero problemi di convivenza multiculturale. Gesù ci insegna ad assumere quei valori indispensabili per vivere assieme e che abbiamo sottolineato nei nostri lavori di gruppo: il dialogo, l’onestà, il rispetto, la responsabilità, la tolleranza, l’ascolto, il senso di famiglia, diventare “cenacolo di apostoli”. “Avere gli occhi fissi su di Lui” ci aiuta a vivere assieme la convivialità delle differenze.

Eppure ci sono conflitti, difficoltà, comunità che si rompono, confratelli che si ignorano o esperienze che falliscono. Ci sono confratelli che hanno lasciato la congregazione, perché la nostra vita assieme non era più all’altezza dei loro sogni (E noi che rimaniamo nell’Istituto non siamo migliori di loro).

É nella concretezza della vita di tutti i giorni, proprio lì dove i conflitti si sentono di più, che possiamo assumere delle scelte comuni che ci aiutino a vivere assieme.

Abbiamo dei punti d’affermare o riaffermare, che umilmente consideriamo che ci possano aiutare a vivere l’interculturalità come ricchezza, dono e strumento d’evangelizzazione:

  1. Per vivere l’interculturalità abbiamo bisogno di una base comune: il paese che ci ospita. Quando arriviamo in un paese diverso dal nostro è importante scegliere di parlare la lingua locale, di mangiare il cibo del posto, di assumere i valori e l’idiosincrasia del popolo che ci accoglie. Come persone, abbiamo il diritto e dovere di fare dei buoni corsi di lingua e d’introduzione alla realtà del paese dove arriviamo, come pure capire e approfondire il cammino fatto dai comboniani presenti, la storia della provincia che ci accoglie, le scelte fatte in passato e quelle assunte nell’oggi della missione, scelte che dobbiamo assumere con fedeltà e allo stesso tempo con creatività, con rispetto ed audacia. Per questo è molto opportuno che ogni provincia abbia un chiaro piano di azione comunitario e pastorale, che chi arriva possa accogliere, apprezzare e scegliere.
  2. Sulla base comune della cultura che ci accoglie, è importante creare spazi comunitari, dove possiamo condividere il nostro modo di essere, la nostra cultura di origine e la nostra conoscenza reciproca, iniziando dalle cose più semplici, come la nostra famiglia di origine, la nostra storia, gli aspetti più significativi della nostra vita e delle tradizioni che hanno segnato la nostra vita. Non è sufficiente lasciare alla libera iniziativa. Dobbiamo mettere in agenda spazi di preghiera, di dialogo, di cucina condivisa, di festa.
  3. Ci sono provincie che fanno fatica ad essere interculturali. Esse vogliono costruire la loro storia solo sulle decisioni prese dai connazionali, che tra l’altro stanno invecchiando con il rischio di non rinnovarsi e non guardare più al futuro con ottimismo e freschezza. C’è ancora un lungo cammino da fare, ma sappiamo che ci porterà ad avere province tutte interculturali, capaci di dialogare e progettare con tutti i propri membri.
  4. E’ importante scegliere assieme uno stile di missione. Ci possono aiutare il cammino fatto della Provincia, o le linee continentali della missione comboniana, ma poi è localmente che dobbiamo metterlo in pratica. Scelto uno stile di missione, poi ci impegniamo a viverlo “assieme”! Ma se in una stessa comunità abbiamo stili o modelli differenti, saremo degli individui, delle isole, saremo persone che vivono l’una accanto all’altra ma che non comunicano. Non “fa” la comunità solo il celebrare la messa, pregare la liturgia delle ore, ritrovarsi a tavola o guardare un programma di televisione. Lo fa la nostra sintonia pastorale, il nostro desiderio di evangelizzare insieme con un solo cuore.
  5. Abbiamo detto che siamo chiamati ad assumere la cultura locale, ma é bene sottolineare che dobbiamo innanzitutto vivere la Buona Notizia di Gesù di Nazareth dentro la cultura che ci accoglie. Gesù – e san Daniele Comboni con Lui - ci provocano sempre a scendere dai nostri piedistalli per avvicinarci con amore ai più “poveri ed abbandonati”, scelta che ci fa più semplici, più veri e attenti alle ferite dell’umanità e pronti per sanarle. A volte le strutture troppo grandi non ci aiutano ad essere comunità, come anche avere troppo personale di servizio che ci fa vivere una vita troppo comoda e dispendiosa, con il rischio di perdere la bellezza della condivisione, della sobrietà, dei ritmi lenti, del vivere e muoverci come fa la gente.

Abbiamo voluto condividere con voi queste riflessioni, frutto della preghiera, del lavoro in gruppo, delle sintesi comunitarie. Amiamo la nostra famiglia comboniana, il nostro carisma, il nostro modo particolare di essere Chiesa. A volte però ci incagliamo, perdiamo profondità e bellezza, a causa dell’egoismo, del narcisismo, o perché ci lasciamo abbagliare dalle false sicurezze della vita borghese e dalla mentalità individualista attuale. Al cuore di ogni nostra cultura di origine ci sono i valori del Regno: il dialogo, il rispetto, l’attenzione al più debole, la solidarietà di gruppo, la ricerca del bene comune, il senso di Dio. Fedeli alle nostre radici, Gesù di Nazareth vuole che costruiamo un mondo nuovo, insieme, come famiglia comboniana interculturale.

Vi auguriamo ogni bene, e un fecondo cammino di Avvento.

I partecipanti all’anno comboniano 2024-2025