La lettura biblica che il Papa propone non è una lettura ideologica, un falso pietismo nei confronti del povero e dello straniero. Non ci sono tracce neppure di una lettura emotiva. Il testo punta decisamente in un’altra direzione.
Va notato che nel Primo Testamento quando si parla dello straniero si fa una distinzione tra chi proviene da un altro popolo (goy) e chi da straniero si è stabilito in mezzo ad Israele (ger). È questo secondo di cui si dice che deve essere rispettato. Questa differenza sparisce totalmente nella parabola lucana. Lì è lo straniero, per di più uno detestato, che si fa prossimo di una persona che – presumibilmente – era membro di Israele.
La parabola del Samaritano non fa altro che far risaltare la componente sociale del messaggio cristiano. È un richiamo forte alla trasformazione delle strutture di pensiero e di azione del singolo e della comunità. Con le parole stesse di Francesco, “il racconto, diciamolo chiaramente, non fa passare un insegnamento di ideali astratti, né si circoscrive alla funzionalità di una morale etico-sociale. Ci rivela una caratteristica essenziale dell’essere umano, tante volte dimenticata: siamo stati fatti per la pienezza che si raggiunge solo nell’amore. Vivere indifferenti davanti al dolore non è una scelta possibile; non possiamo lasciare che qualcuno rimanga “ai margini della vita”. Questo ci deve indignare, fino a farci scendere dalla nostra serenità per sconvolgerci con la sofferenza umana. Questo è dignità”, (FT 68).
Fraternità e solidarietà tra le persone sono sostenute dalla rivelazione, ma non va dimenticato che questi valori sono inerenti all’essere umano – caratteristica essenziale dell’essere umano – non il risultato di una scelta di fede. I testi biblici sottolineano la fraternità e la solidarietà e indicano come queste si esplicitino nel sociale e non nello spirituale. Con altre parole potremmo dire che la spiritualità deve tradursi in vita, altrimenti è solo illusione.
[P. Giuseppe Caramazza - combonimission.net]