XXIX Domenica del Tempo Ordinario – (B): L’autorità del cristiano si fonda sul servizio

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Prosegue, anche questa domenica, l’istruzione dei discepoli lungo la via che Gesù percorre dirigendosi verso Gerusalemme. Infatti, dopo il terzo annuncio sul destino del “Figlio dell’uomo”, che sarà consegnato ai capi della capitale per essere condannato a morte, l’evangelista Marco riporta la reazione dei discepoli.

Di tutto quello che Gesù dice, i discepoli capiscono solo la parola regno, senza capire che non è il loro regno quello che Gesù intende. Come sempre, capiscono quello che vogliono capire. Ecco che Giacomo e Giovanni parlano dei posti del regno di Dio. Questa è la logica con la quale interpretano il viaggio a Gerusalemme; andare nella città santa per loro significa prendere il potere. Facile è la domanda se questi discepoli hanno veramente lasciato tutto. O non hanno mai lasciato i loro interessi e il desiderio di affermarsi. Gli altri discepoli ovviamente si sdegnano con i due accaparratori, perché ragionano esattamente come loro e si sentono beffati dalla loro intraprendente sfacciataggine. Si nascosero.

Gesù si presenta come servo; questo dopo essere stato proclamato figlio, poi bambino. I discepoli che prima si erano lamentati di non avere potere, poi si erano scandalizzati per la piccolezza di Gesù. Ora, davanti a Gesù che si fa servo spariscono, perdono la loro fisionomia. Si nascondono tra la folla, loro non vogliono per nulla essere servi.

Gesù rivela sempre più profondamente la sua identità, sarà il servitore di tutti fino a dare la vita. Davanti all’identità di Gesù emerge anche la nostra identità di persone che non vogliono servire, ma dominare. Comprendiamo subito che, per andare d’accordo con Gesù, è necessario fare un vero cammino di conversione. In questi passi, sorprende la pazienza con cui Gesù accoglie questi comportamenti troppo umani dei discepoli. Essi appaiono refrattari alla logica di Gesù, ciononostante Gesù continua a richiamarli al suo stile di vita e li aiuta con il suo esempio e con le sue motivazioni d’amore.

Questo stile di Gesù, per noi che non ci correggiamo quasi mai, è di grande speranza. La nota sui dominatori di questo mondo, che opprimono le nazioni, non ci fa stare troppo allegri circa i nostri governanti. Comprendiamo perché san Paolo dice di pregare per loro.
Buona domenica!

L’autorità del cristiano si fonda sul servizio

Is 53,2.3.10-11; Salmo 32; Eb 4,14-16; Mc 10,35-45

Prosegue, anche questa domenica, l’istruzione dei discepoli lungo la via che Gesù percorre dirigendosi verso Gerusalemme. Infatti, dopo il terzo annuncio sul destino del “Figlio dell’uomo”, che sarà consegnato ai capi della capitale per essere condannato a morte, l’evangelista Marco riporta la reazione dei discepoli. Purtroppo essi restano, ancora una volta, estranei alla prospettiva di Gesù che va a morire, e lo seguono sempre pronti a litigare per i primi posti. Di questo arrivismo o carrierismo si fanno interpreti i due figli di Zebedeo, Giacomo e Giovanni, che si avvicinano a Gesù e gli dicono: “Maestro, noi vogliamo che tu ci faccia quello che ti chiederemo... concedici sedere nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra”. “Voi non sapete ciò che domandate”, risponde Gesù; poi ripropone la sequela sulla via della morte di croce facendo ricorso a due immagini, quella del calice e quella del battesimo: “il calice che io bevo anche voi lo berrete, e il battesimo che io ricevo anche voi lo riceverete”. E’ una velata allusione al martirio dei due fratelli. Per quanto riguarda la partecipazione alla sua gloria, essa dipende della libera disposizione di Dio e della sua sovrana azione. I discepoli sono quindi chiamati a seguirlo nella fedeltà, anche a costo della vita, sapendo che il loro destino è nelle mani di Dio.

Bisogna inoltre tener presenti, nella preghiera, queste parole di Gesù: “Non sapete che cosa chiedete”. Troppe volte vogliamo imporre le cose a Dio. Deve essere il contrario. Dobbiamo lasciare a Dio la possibilità di farci conoscere il suo disegno. C’è da fidarsi di ciò che ci dà il Signore, più che di quello che possiamo pretendere noi da Lui. La sua proposta è sempre molto più vantaggiosa delle nostre domande. Quindi abbiamo tutto da guadagnare quando Dio non ci concede ciò che vogliamo che Egli faccia per noi. La vera preghiera non è “ vogliamo che faccia per noi quanto ti chiederemo”, ma “vogliamo fare quanto tu ci chiederai”. In altre parole, il discepolo di Cristo è chiamato ad operare nel presente, lasciando che Dio programmi liberamente il futuro.

Per fondare e motivare i nuovi rapporti tra i discepoli, Gesù non esita a offrire se stesso quale ideale cui riferirsi: “Il Figlio dell’ uomo, infatti, non è venuto per farsi servire ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti”. Questo comportamento del Maestro appare normativo per i discepoli. Gesù non soltanto abolisce i gradi ed esorta all’umiltà, ma anche intende cambiare mentalità e sradicare completamente l’istinto del dominio dell’uomo su un altro uomo. Non presenta un progetto di, comunità-senza-autorità, ma di comunità-senza-potere. L’autorità non è caratterizzata dalla possibilità di comando ma dalla realtà del servizio.

La strada della croce non è “soffrire” ma è, anzitutto, “servire”. Il “dare la vita” rappresenta dunque il punto più alto, l’aspetto essenziale raggiunto dal servizio del Cristo in favore degli uomini. Così, non solo la sua vita, ma anche la sua morte è “servizio” a vantaggio degli uomini. Gesù che annuncia il Regno lo attua proprio nella dimensione del “servizio”. E Dio regna là dove un uomo decide di porsi in stato di servizio.
Don Joseph Ndoum

Missione è servire e contagiare di speranza tutti i popoli

Isaia 53,10-11; Salmo 32; Ebrei 4,14-16; Marco 10,35-45

Riflessioni
Nell’imminenza della Giornata Missionaria Mondiale (domenica prossima) ci viene proposto l’esempio di Gesù (Vangelo), che “non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per tutti” (v. 45). Egli è il più grande, eppure si è fatto nostro servitore; è il primo, e si è fatto ultimo, schiavo di tutti (v. 44). Gesù che lava i piedi dei discepoli, l’agonia nell’orto, il Crocifisso… sono fatti sufficienti per convincerci di questa parola del Vangelo odierno. Gesù ha bevuto fino in fondo - e con amore! - il calice della passione, e ha ricevuto il battesimo della morte e della risurrezione (v. 38). In tal modo, Egli, vero Servo del Signore, ha dato compimento alla profezia di Isaia (I lettura): ha offerto se stesso in espiazione, addossandosi le nostre iniquità, con la certezza di una discendenza numerosa (v. 10-11). Poiché Egli, sommo sacerdote grande (II lettura), sa compatire le nostre infermità, tutti i popoli sono invitati ad accostarsi a Lui con piena fiducia, “per ricevere misericordia e trovare grazia, così da essere aiutati al momento opportuno” (v. 16).

Bere il calice – ricevere il battesimo” sono espressioni che per Gesù indicano un itinerario di morte e di risurrezione, affinché tutti abbiano vita in abbondanza (Gv 10,10). A questa Sua opera di salvezza, Gesù vuole associare tutti i discepoli: coloro che sono battezzati nel Suo nome e quelli che Egli chiama a una vocazione di speciale consacrazione (sacerdoti, religiose, religiosi, missionari, laici). Da questa identificazione sacramentale con Cristo nasce per tutti il dono e l’impegno della Missione, cioè per l’annuncio del Vangelo ai popoli che ancora non lo conoscono.

Alla domanda del Maestro: “potete bere il calice...?” i discepoli Giacomo e Giovanni rispondono: “Lo possiamo” (v. 38). In questa risposta c’è una dose di presunzione, ma c’è anche generosità e audacia. Dopo la Pentecoste dello Spirito, essi avranno effettivamente la forza di dare tale suprema testimonianza. Anche oggi, di fronte alle molteplici esigenze dell’impegno missionario della Chiesa nel mondo intero, è richiesto a tutti i cristiani di dare risposte concrete, generose e creative, secondo la condizione di ciascuno. Ad alcuni è richiesto un servizio missionario per tutta la vita, anche in zone lontane e pericolose; ad altri, è richiesta la vita stessa... A tutti, il contributo di preghiera, impegno di evangelizzazione e condivisione solidale con i bisognosi. (*)

In sintonia con il Vangelo missionario di questa domenica, il Papa Benedetto XVI affermava: «I discepoli di Cristo sparsi in tutto il mondo operano, si affaticano, gemono sotto il peso delle sofferenze e donano la vita… La Chiesa non agisce per estendere il suo potere o affermare il suo dominio, ma per portare a tutti Cristo, salvezza del mondo. Noi non chiediamo altro che di metterci al servizio dell’umanità, specialmente di quella più sofferente ed emarginata».

Il mese di ottobre ci offre numerosi esempi di santi missionari che hanno dato la vita per annunciare il Vangelo. S. Teresa del Bambino Gesù (1 ottobre) offrì preghiere e sacrifici nel monastero di Lisieux, S. Francesco d’Assisi (4 ott.) instaurò il metodo del dialogo anche con i musulmani, San Daniele Comboni (10 ott.) scelse di “fare causa comune” con i popoli africani, spendendosi completamente per loro. I santi martiri canadesi Giovanni di Brébeuf e compagni (19 ott.) e i due catechisti ugandesi, i beati Davide e Gildo (20 ott.) incontrarono il martirio nel loro servizio come catechisti; e così molti altri sacerdoti, suore e laici. Sono esempi che ci aiutano a vivere la fede come dono da accogliere, da approfondire, da trasmettere. Ce lo ricorda ripetutamente Papa Francesco: «Nell’immenso campo dell’azione missionaria della Chiesa, ogni battezzato è chiamato a vivere al meglio il suo impegno, secondo la sua personale situazione».

Parola del Papa
(*) «Come gli Apostoli e i primi cristiani, anche noi diciamo con tutte le nostre forze: “Non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato” (Atti 4,20). Tutto ciò che abbiamo ricevuto, tutto ciò che il Signore ci ha via via elargito, ce lo ha donato perché lo mettiamo in gioco e lo doniamo gratuitamente agli altri. Come gli Apostoli che hanno visto, ascoltato e toccato la salvezza di Gesù (cfr. 1 Gv 1,1-4), così noi oggi possiamo toccare la carne sofferente e gloriosa di Cristo nella storia di ogni giorno e trovare il coraggio di condividere con tutti un destino di speranza, quella nota indubitabile che nasce dal saperci accompagnati dal Signore. Come cristiani non possiamo tenere il Signore per noi stessi: la missione evangelizzatrice della Chiesa esprime la sua valenza integrale e pubblica nella trasformazione del mondo e nella custodia del creato».
Papa Francesco
Messaggio per la Giornata Missionaria Mondiale 2021