Sabato 10 ottobre 2020
Dietro a san Daniele Comboni c’è tutta la profezia del Vangelo che “salva” i popoli e li libera da ogni forma di schiavitù: l’opposto di quello che gli imperi coloniali hanno portato in Africa, la cui popolazione per secoli è stata sfruttata e privata di ogni dignità. Questo padre delle missioni africane era nato a Limone del Garda nel 1831 e nel 1854 era diventato prete. (...)
Nel 1857 partì con cinque compagni alla volta del Sudan ma la missione fu un fallimento. Tuttavia quell’esperienza insegnò molto e il sacerdote cominciò a capire che la missione in Africa necessitava di un progetto. In questa idea c’era il seme della famiglia religiosa dei Comboniani. Nel 1867 ripartì e pose la propria base al Cairo: le sue missioni divennero un modello di emancipazione con studenti di colore, guidati da insegnanti di colore. Fondò la rivista “Nigrizia”. Morì nel 1881 a Khartum.
Altri santi. San Pinito di Cnosso, vescovo (II sec.); san Cerbone di Populonia, vescovo (VI sec.).
Matteo Liut
Avvenire
utunno 1857: partono per il Sudan cinque missionari mandati da don Nicola Mazza di Verona, educatore ed evangelizzatore. Fine 1859: tre di essi sono già morti, due rifugiati al Cairo, e a Verona torna sfinito il quinto. È Daniele Comboni, unico superstite degli otto figli dei giardinieri Luigi e Domenica, sacerdote dal 1854. Riflette a lungo su quel disastro e su tanti altri, giungendo a conclusioni che saranno poi la base di un “Piano”, redatto nel 1864 a Roma. In esso Comboni chiede che tutta la Chiesa si impegni per la formazione religiosa e la promozione umana di tutta l’Africa. Il “Piano”, con le sue audaci innovazioni, è lodatissimo, ma non decolla. Poi, per avversioni varie e per la morte di don Mazza (1865), Comboni si ritrova solo, impotente.
Ma non cambia. Votato alla “Nigrizia”, ne diventa la voce che denuncia all’Europa le sue piaghe, a partire dallo schiavismo, proibito ufficialmente, ma in pratica trionfante. Quest’uomo che sarà poi vescovo e vicario apostolico dell’Africa centrale, vive un duro abbandono, finché il sostegno del suo vescovo, Luigi di Canossa, gli consente di tornare in Africa nel 1867, con una trentina di persone, fra cui tre padri Camilliani e tre suore francesi, aiuti preziosi per i malati. Nasce al Cairo il campo-base per il balzo verso Sud. Nascono le scuole. E proprio lì, nel 1869, molti personaggi venuti all’inaugurazione del Canale di Suez scoprono la prima novità di Comboni: non solo ragazzi neri che studiano, ma maestre nere che insegnano. Inaudito. Ma lui l’aveva detto: “L’Africa si deve salvare con l’Africa”.
Poi si va a Sud: Khartum, El-Obeid, Santa Croce… Lui si divide tra Africa ed Europa, ha problemi interni duri. Ma “nulla si fa senza la croce”, ripete. Una croce per tutte: il suo confessore lo calunnia, e Comboni continua a fare la sua confessione a lui. Un leone che sa essere dolce. Uno che per gli africani è già santo, che strapazza i pascià, combatte gli schiavisti e serve i mendicanti. Da lui l’africano impara a tener alta la testa. Nell’autunno 1881 riprendono le epidemie: vaiolo, tifo fulminante, con strage di preti e suore in Khartum desolata. Comboni assiste i morenti, celebra i funerali, e infine muore nella casa circondata da una folla piangente. Ha 50 anni.
Poco dopo scoppia la rivolta anti-egiziana del Mahdi, che spazza via le missioni e distrugge la tomba di Comboni (solo alcuni resti verranno in seguito portati a Verona). Dall’Italia, dopo la sua morte, si chiede ai suoi di venir via, di cedere la missione. Risposta dall’Africa: “Siamo comboniani”. E non abbandonano l’Africa. Ci sono anche ai giorni nostri, in Africa e altrove. Ne muoiono ancora oggi. Intanto il Sudan ha la sua Chiesa, i suoi vescovi. E ora il suo patrono: Giovanni Paolo II ha proclamato beato Daniele Comboni nel 1996.
E’ stato canonizzato a Roma da Giovanni Paolo II il 5 ottobre 2003.
Autore: Domenico Agasso