Lunedì 4 maggio 2020
Partiamo dalla nostra situazione in Asia. Fin dall’inizio dell’anno il nostro lavoro in Cina e nei paesi confinanti ha subito un arresto. Anche nelle Filippine siamo confinati nelle nostre case fino a maggio. La povera gente è rimasta senza lavoro e senza cibo. Solo a Taiwan, pur con certe restrizioni, qualche lavoro è ancora possibile nelle nostre due parrocchie. A Macau si sta ricominciando con qualche piccolo raduno. Dove non è possibile muoversi, accompagniamo con la nostra preghiera la gente che soffre.

I Missionari Comboniani e la pandemia COVID-19

Al centro nella foto, P. Pérez Moreno José Rafael, comboniano che lavora con migranti in Spagna.

Centroamerica

Il primo caso è arrivato in Costa Rica il 6 marzo e così il virus ha cominciato a non essere più un problema “degli altri paesi”. Non è stato più possibile muoverci a causa delle misure imposte dai governi dei tre paesi di cui è composta la provincia. La gente non ha più potuto partecipare alle funzioni religiose e quindi si è cominciato a trasmetterle via internet e le persone sono contente di poter così ancora ricevere quotidianamente la Parola di Dio. Il virus ci ha obbligato a rimanere in comunità e a pregare per quelli che ne hanno bisogno.

Colombia

Il delegato, P. Antonio Villarino, nel suo viaggio di ritorno in Colombia dopo l’incontro di Roma, è rimasto bloccato a Madrid. Nessun confratello si è ammalato in Colombia ma tutti sono chiusi in casa. P. Nascimbene e gli altri confratelli si sono attivati con aiuti caritativi verso la povera gente.

Congo

Il Coronavirus è arrivato a Kinshasa il 10 marzo. Due settimane dopo è stato dichiarato lo stato di emergenza: scuole e chiese, bar, hotels e ristoranti chiusi, banche al minimo, voli nazionali e internazionali sospesi. La vita sociale normale è quasi crollata. A Kinshasa, le nostre comunità sono tutte confinate. Ogni comunità si organizza dando il tempo alla vita fraterna e alla preghiera, rispettando le misure preventive. Le altre comunità della provincia non sono colpite da Coronavirus. Tutte le visite del padre provinciale e i vari incontri previsti nelle regioni di Kinshasa e Kisangani sono stati sospesi. La notizia della morte di P. Bepi Simoni, che ha lavorato in Congo, ci ha molto rattristati. Abbiamo celebrato senza partecipazione di esterni la professione perpetua dello Sc. Maurice Malema. Con un piccolo video il provinciale ha inviato a tutti il messaggio di Pasqua invitando alla speranza e alla solidarietà.

Curia

Nelle comunità di Roma non si è verificato alcun contagio. Tutti osservano le misure di sicurezza. Le tre comunità celebrano sempre separatamente e quella dell’Anno Comboniano sta per terminare il corso, dopo aver dovuto cancellare gli interventi di alcuni facilitatori esterni. Gli studenti invece hanno potuto continuare i contatti con gli insegnanti via internet e sperano di poter fare gli esami per i loro diplomi. In Curia Generalizia abbiamo qualche confratello, tornato da altre regioni d’Italia, che è stato tenuto in quarantena precauzionale, incluso il superiore della comunità P. Celestino Prevedello, che era andato a Padova per le sue cure, e P. Michele Tondi, che era stato al suo paese per il funerale della mamma. Un paio di confratelli stanno aspettando da lungo tempo di poter partire per la circoscrizione a cui sono stati assegnati.

DSP

Per i divieti di movimento e il distanziamento sociale, i confratelli coinvolti nella pastorale si sono trovati senza impegni. Alcuni hanno cercato di creare collegamenti virtuali con i mezzi di comunicazione sociale (telefono, e-mail, internet) per aiutare i fedeli e gli amici a seguire il cammino verso la Pasqua. L’età media dei confratelli in provincia è molto alta per cui bisogna proteggersi bene: nella comunità di Ellwangen, ad esempio, alcuni confratelli più anziani sono stati isolati dal resto. Il 16 aprile, P. Karl Wetzel ha dovuto festeggiare il suo 99° compleanno solo con gli infermieri e i confratelli più anziani. Questa crisi ci aiuta a riflettere e a ripensare la nostra missione e a progettare nuovi modi per ripartire.

Ecuador

Il governo dell’Ecuador ha preso misure radicali per prevenire l’espansione del virus fin da metà marzo, lasciando in funzione solo i servizi di base. Al 20 aprile il numero di contagiati era salito sopra i 20 mila e quello dei morti a più di mille. La provincia più colpita è quella di Guayaquil, dove il sistema sanitario e quello funerario sono stati sopraffatti. La foto delle vittime abbandonate lungo le strade ha fatto il giro dei social media di tutto il mondo. Anche i militari sono intervenuti per sanare la situazione. I tantissimi poveri risentono del divieto nazionale di spostamento; per loro, restare chiusi nelle loro case piccole e scomode è quasi impossibile. L’accesso ai servizi sanitari e alle medicine non è per tutti. Il virus pare aver colto tutti impreparati nelle province, nella capitale Quito e perfino in aree di grande turismo come le isole Galapagos e fra le popolazioni indigene delle province amazzoniche. Alla pandemia, purtroppo, si è aggiunto, il 7 aprile, anche un grave incidente che ha causato la rottura delle condutture petrolifere che hanno versato petrolio nei fiumi Coca e Napo, provocando un disastro ecologico e ambientale. Questo accresce la già grave emergenza economica dell’Ecuador. La Chiesa, svuotata di persone, ha messo in moto le reti sociali e i mezzi di comunicazione per accompagnare la vita della gente e ha cercato di assistere i bisognosi per mezzo dei servizi della Caritas.

Eritrea

Secondo il Ministero della Salute il primo caso di COVID-19 in Eritrea è stato registrato il 21 marzo; finora ci sono stati una quarantina di contagiati, ma di questi, 13 sono già guariti. Questo è un segno di speranza. Fin da principio sono state diffuse istruzioni di prevenzione e sono stati fissati limiti di spostamento e di raduni. Nelle nostre comunità abbiamo lasciato a casa i nostri impiegati e ci siamo assunti i loro lavori. Una nuova esperienza. Ma molti operai qui sono impiegati su base giornaliera e quindi sono rimasti senza entrate. Questo crea una situazione di fame in molte famiglie. Così alcuni si stanno organizzando per raccogliere cibo per i poveri. Abbiamo dovuto mandare a casa i nostri studenti. Il lavoro della delegazione si è bloccato perché non abbiamo mezzi tecnologici di comunicazione (nella sede della delegazione manca perfino la linea telefonica!). Tutti hanno dovuto celebrare la Pasqua a casa loro. Come la prima comunità cristiana al tempo degli Apostoli noi rimaniamo uniti nella preghiera.

Etiopia

Verso metà marzo si è cominciato a mantenere le distanze per evitare contatti e a stare a casa. Gli incontri a livello provinciale sono stati rimandati e alcuni confratelli hanno dovuto cambiare i loro programmi. Le varie chiese e i gruppi religiosi hanno promosso un mese di digiuno che è stato bene accolto dalla maggioranza (quasi coincideva con la Quaresima e col Ramadan) e tante celebrazioni sono state seguite in TV. I casi di ammalati di coronavirus sono solo poco più di un centinaio, ma il governo ha proclamato lo stato di emergenza per difendere i cittadini. I movimenti sono ristretti, ma non ci sono molti controlli.

Italia

In questi ultimi tre mesi la provincia italiana è stata seriamente toccata dal coronavirus. A Milano ha perso vari confratelli, anche se non tutti per il virus, tra cui P. Giuseppe Simoni. Un paio di confratelli sono ancora in isolamento precauzionale. A Lucca P. Giovanni Vedovato e P. Luciano Perina sono ancora in ospedale e la comunità è in quarantena. A Gozzano P. Claudio Crimi è in quarantena in clinica. A Castel d’Azzano il test sierologico ha fatto mettere alcuni confratelli in isolamento precauzionale anche se non stanno male. Nelle altre comunità si osservano le misure di sicurezza per evitare contagi, ma la vita procede abbastanza serenamente.

Il Consiglio Provinciale orienta sulla Fase 2 dell’epidemia. Il Consiglio provinciale ha mandato alle comunità della Provincia un comunicato per orientarle a vivere in modo attivo e responsabile la nuova Fase che si apre nella lotta all’epidemia COVID19. Vengono riaffermate le norme diffuse dal governo e c’è in particolare l’invito a prendersi cura dei confratelli fragili e anziani, ricordando che alcuni li abbiamo persi in questi ultimi mesi a causa del contagio.

A sua volta, il Segretariato della Missione invita ad allargare lo sguardo e agire in fretta, per non lasciar passare le opportunità che la storia, pur tra tanto dolore, ci sta offrendo.

Kenya

Il primo contagio in Kenya è stato scoperto il 13 marzo. Quasi subito il governo ha imposto misure drastiche di sicurezza, inclusa la chiusura delle scuole e la proibizione di qualunque raduno civile o religioso. Fino ad arrivare al coprifuoco notturno. Quattro regioni sono state raggiunte dal virus: Nairobi, Kwale, Kilifi e Mombasa che sono state dichiarate zone rosse. Molte persone che vivono alla giornata sono rimaste senza lavoro e senza cibo. I servizi sanitari non sono equipaggiati per questa calamità ed è possibile fare il tampone solo a pochi malati. Finora i casi dichiarati sono 320, tra cui 14 morti e 89 guariti.

London Province

La situazione in Inghilterra è molto simile a quella dell’Italia. Chiese completamente chiuse, movimenti limitati ad estreme necessità. Per noi significa nessuna Giornata Missionaria o incontri di animazione missionaria, ministero o altre attività pastorali, con l’eccezione dei funerali (solo preghiere al cimitero o crematorio, pochissimi i presenti ammessi). Le comunità in cui gli anziani sono in maggioranza sono più preoccupate. Altre ne approfittano per portare avanti attività che finora avevano avuto poco spazio (incluso rispondere al materiale sulla ministerialità e la revisione della RV). Non mancano preoccupazioni per il futuro economico, perché le comunità si mantengono con il lavoro pastorale e l’animazione missionaria. Non poche famiglie stanno soffrendo anche mancanza di cibo. Molte iniziative di aiuto e solidarietà sono state realizzate da gruppi di volontari. Questa è una grande lezione di fraternità che supera barriere o differenze culturali e ideologiche.

Messico

Il virus è comparso in Messico all’inizio di marzo. Il numero di contagiati e di morti si è mantenuto basso anche se sempre in crescita. Il 31 marzo abbiamo perso il nostro P. Luis Carranza per polmonite, anche se trovato negativo al tampone del virus. Ora siamo isolati e impossibilitati ad uscire. I nostri operai sono rimasti a casa loro, così il ritmo della vita quotidiana ci ha fatto scoprire qualità nascoste di ognuno che si mette a servizio degli altri. La Pasqua è stata celebrata nel silenzio, senza poter visitare le missioni. I contagiati nel paese sono più di 10 mila e oltre un migliaio i morti.

Polonia

Tutti i confratelli del piccolo gruppo finora sono sani.

Al centro nella foto, P. Pérez Moreno José Rafael, comboniano che lavora con migranti in Spagna.

Spagna

Abbiamo iniziato la quarantena senza sospettare quello che ci attendeva e abbiamo tenuto la riunione del consiglio provinciale per via telematica. Ma il 25 marzo ci ha colpito la morte per infarto di P. Gabino Otero a Santiago e non abbiamo potuto celebrare il suo funerale. Quattro giorni dopo il virus ci rubava P. Gonzalo Dasilva a Madrid. Le sue ceneri riposano per ora nella nostra cappella e ci accompagnano nelle nostre celebrazioni fin quando sarà possibile farle trasportare a Vigo, nel suo cimitero di famiglia. Il giorno dopo la morte di P. Gonzalo, P. Jaime Calvera è stato trasportato d’urgenza in ospedale dove è ancora in cura per il virus. Per gli altri membri della comunità di Madrid non c’è stata infezione, anche se non stavano molto bene. Tutti gli altri comboniani in Spagna si sono adeguati alle misure di sicurezza imposte dal governo e stanno bene. Ci sono piovuti addosso moltissimi messaggi di solidarietà da parte di tanti confratelli e amici che ci hanno incoraggiato a fidarci della misericordia di Dio.

Sudafrica

La chiusura totale è cominciata per tutti il 26 marzo e dovrebbe terminare coll’inizio di maggio. Le persone colpite dal virus sono ancora un numero limitato, ma nelle baraccopoli milioni di persone sono costretti a condividere i bagni e l’acqua corrente, quindi molti casi non saranno mai dichiarati. Il denaro pubblico fatto sparire da alcuni governi avrebbe potuto essere usato per costruire alloggi migliori e occasioni di lavoro per la povera gente.

Togo-Ghana-Benin

Tutte le nostre nazioni sono state ormai raggiunte dal virus, ma il numero dei decessi è ancora molto basso. Frontiere, scuole e chiese sono chiuse e qualsiasi celebrazione pubblica è proibita. Si nota una grande collaborazione fra i gruppi religiosi di tutte le denominazioni per mettere in pratica le misure di sicurezza. I mezzi di comunicazione sociale si sono dati da fare per divulgare informazioni sulla gravità della situazione, ma la gente continua ad assieparsi sui mezzi pubblici e a frequentare bar e negozi aperti. Molti si affidano ai rimedi della medicina tradizionale. C’è ancora molto cammino da fare e i nostri ospedali non sono preparati ad affrontare questa pandemia. I membri delle nostre comunità restano chiusi nelle loro case.

Uganda

Si attendono notizie da tutte le comunità. In Uganda i casi di virus sono pochi, ma è partita la proposta di offrire un’ora di adorazione giornaliera per chiedere al Signore la fine della pandemia.