Giovedì 24 settembre 2015
La liturgia quotidiana del XVIII Capitolo Generale dell’Istituto comboniano, in corso a Roma dal 6 settembre al 4 ottobre, è animata, a turno, dalle circoscrizioni. Ieri, spettava alle province della Repubblica Democratica del Congo e del Togo/Ghana/Benin. Entrambe le province hanno celebrato quest'anno il cinquantesimo anniversario della presenza comboniana in quei paesi. P. Girolamo Miante, provinciale del Togo/Ghana/Benin, ha presieduto l’Eucaristia, mentre P. Joseph Mumbere, provinciale del Congo, ha tenuto l’omelia che pubblichiamo di seguito. Nella foto: P. Joseph Mumbere.
P. Elias Afola Kossi Mensah,
missionario comboniano
togolese.
Nella prima lettura, Esdra, nella sua preghiera, ringrazia Dio che ha dato sollievo al popolo d’Israele liberandolo dalla schiavitù. Il Vangelo ci ha raccontato il famoso invio dei dodici in missione con delle raccomandazioni chiare: “Non prendete nulla per il viaggio, né bastone, né bisaccia, né pane, né denaro, né due tuniche per ciascuno”. Questa parola di Dio che abbiamo appena ascoltato ci porta al nucleo del nostro carisma secondo l’esperienza del nostro Padre Fondatore [san Daniele Comboni] che era arrivato a capire il suo mandato missionario in Africa in termini di liberazione degli africani dalla schiavitù.
Da sinistra:
P. Joseph Mumbere,
P. Girolamo Miante,
e P. Enrique Sánchez.
Ascoltare e meditare queste letture a questo punto del discernimento capitolare è una grazia. Siamo chiamati, facendo il discernimento, da un lato ad avere in mente le schiavitù di oggi per gettare le fondamenta delle nostre scelte operative nell’esperienza carismatica del nostro Fondatore; dall’altro, a chiederci come andiamo in missione per annunciare il regno di Dio e guarire gli infermi e le persone schiavizzate. Mi pare che l’errore più grande che commettiamo spesso è quello di vedere le schiavitù al di fuori di noi stessi; di avere una forma mentis che ci porta a vedere noi come persone libere, sante e capaci che escono e vanno a liberare altri dalle loro schiavitù. Cari confratelli, ascoltiamo quello che Esdra dice nella sua preghiera: “Noi siamo schiavi, ma nella nostra schiavitù il nostro Dio non ci ha abbandonati”.
Noi comboniani siamo schiavi di tante cose che portiamo in missione. Il Signore ci dice: “Non prendete nulla per il viaggio, né bastone, né bisaccia, né pane, né denaro, né due tuniche per ciascuno”. Quante volte abbiamo portato in missione cose pesanti che sono in contraddizione con l’annuncio della Buona Novella. Sarà possibile che, in questo Capitolo, riusciamo a liberarci dalle nostre schiavitù prima di pensare a quelle del mondo di oggi? Noi siamo spesso schiavi delle nostre strutture, che ci impediscono di essere testimoni e profeti per il nostro mondo. Siamo spesso schiavi delle nostre visioni ed esperienze di missione, che ci impediscono di aprirci alla profezia e alla testimonianza. Siamo spesso schiavi delle nostre culture, che ci spingono a pregiudicare e a faticare ad aprire vie evangeliche alla fraternità universale. Siamo schiavi del pensare al mandato missionario più come un invio a fare tante cose “mondane” e poco – se non mai – come un invio ad essere pellegrini sulle strade del mondo per costruire nuove relazioni di fraternità.
Grazie a Dio, Esdra ci ricorda oggi che siamo schiavi, ma che nella nostra schiavitù il nostro Dio non ci ha abbandonati. Per questo ci ha riuniti qui nel Capitolo, perché possiamo ricevere da Gesù un nuovo mandato missionario, quello della conversione e della liberazione dalle nostre schiavitù. Perché è solo da uomini liberi, che possiamo liberare altri. Preghiamo anche noi come Esdra: “Mio Dio, noi comboniani siamo confusi, abbiamo vergogna di alzare la faccia verso di te. Tu ci hai dato un mandato missionario chiaro: ‘Non prendete nulla per il viaggio, né bastone, né bisaccia, né pane, né denaro, né due tuniche per ciascuno’, ma dai giorni del nostro Fondatore fino ad oggi siamo stati colpevoli. Siamo andati in missione portando cose pesanti che non avevano a che fare con la tua Buona Novella. Invece di liberare le persone, abbiamo fatto nuovi schiavi. Invece di essere semplici e poveri pellegrini sulle strade del nostro mondo, abbiamo cercato di fare mille cose alla volta che hanno schiavizzato noi stessi. Ora tu, nostro Dio, ci hai fatto una grazia. Ci hai convocati qui per il Capitolo Generale, dandoci un asilo nella città santa di Roma, dove Papa Francesco ci chiama ad essere evangelizzatori che si aprano senza paura all’azione dello Spirito Santo (…), che annuncino la Buona Notizia non solo con le parole, ma soprattutto con una vita trasfigurata dalla presenza di Dio (EG 259). Con l’Esortazione apostolica Evangelii gaudium, il Giubileo della Misericordia e la lettera Enciclica Laudato si’ di Papa Francesco, tu, nostro Dio, hai fatto brillare i nostri occhi e ci hai dato un po’ di sollievo nella nostra schiavitù. Perché noi siamo schiavi, ma nella nostra schiavitù, tu, nostro Dio, non ci hai abbandonati. Ci fai rivivere perché possiamo alla fine del Capitolo comunicare questa vita nuova ai nostri confratelli”.